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CARE LETTRICI E CARI LETTORI

La nostra newsletter settimanale Noi e il futuro dell'Europa è stata concepita per contribuire ad una corretta informazione sull’Unione europea e partecipare al dibattito sulla riforma dell’Unione, così come abbiamo fatto durante la Conferenza sul futuro dell’Europa e come continueremo a fare in vista delle elezioni europee dal 6 al 9 giugno 2024.

Il Movimento europeo Italia seguirà con particolare attenzione la politica europea dell'Italia dopo le elezioni del 25 settembre 2022 anche attraverso i suoi social Facebook, Instagram, Twitter e infografiche oltre che sulla newsletter.

Ecco l’indice della nostra newsletter di oggi:

Editoriale, che esprime l’opinione del Movimento europeo su un tema di attualità

- Attiriamo la vostra attenzione

- La settimana del Movimento europeo

- Eventi principali, sull’Europa in Italia e Testi in evidenza

Siamo come sempre a vostra disposizione per migliorare il nostro servizio di comunicazione e di informazione e per aggiungere vostri eventi di interesse europeo nella speranza di poter contare su un vostro volontario contributo finanziario.

 

 


 L'EDITORIALE

Come e perché serve un’autentica difesa europea al servizio della pace

L’aggressione imperialista della Federazione Russa all’Ucraina il 24 febbraio 2022, preceduta dall’occupazione della Crimea nel 2014, ha riaperto sul Continente europeo il solco storico fra l’Occidente delle democrazie liberali - che condividono l’idea di un superamento delle sovranità assolute nel quadro del sistema comunitario ma anche della promozione delle libertà individuali nel Consiglio d’Europa - e l’Oriente delle autocrazie illiberali.

L’autocrazia non finisce a Mosca ma si estende all’Azerbajan, alla Bielorussia e al Kazakistan con evidenti pulsioni nazionaliste in tutta l’Europa Centrale e Orientale che permangono - ed anzi si sono rafforzate a causa dalle violenze putiniane - in tutti quei Paesi che hanno scelto di “passare ad Occidente” con l’adesione alla NATO e all’Unione europea o che sono candidati per superare quel solco.

Apparentemente, il grande allargamento dal 2004 al 2013 aveva lasciato sperare che si colmasse quel solco superando le tre divisioni: religiose fra cristiani d’Occidente e cristiani d’Oriente, geografiche e culturali fra mondo slavo e mondo latino che aveva permeato il mondo anglosassone, politiche e costituzionali sul rispetto dello Stato di diritto.

Ciò non è avvenuto perché i tentativi del dialogo e della cooperazione, prima con l’Unione Sovietica ai tempi di Helsinki (1975) e Parigi (1990) e poi con la Federazione Russa dal Founding Act con la NATO nel 1997 al Consiglio NATO-Russia nel 2002, si sono progressivamente interrotti per la conflittuale volontà degli Stati Uniti di George Bush ma anche di Barak Obama di consolidare il vantaggio strategico dell’egemonia americana  ottenuto con la fine della Guerra Fredda e la decisione di Vladimir Putin, dopo la momentanea presidenza di Dmitrij Medvedev, di riprendere in mano il controllo della Russia come attore internazionale e non più regionale.

Ciò non è avvenuto perché, con la ripresa del nazionalismo o, meglio, della volontà imperialista di Vladimir Putin, la reazione russofoba degli ex Paesi satelliti dell’Unione sovietica non si è indirizzata a rafforzare la sovranità europea ma a rilanciare invece ciascuno la propria identità e la propria sovranità sotto l’ombrello protettivo della NATO.

Questa nuova e solo in parte inattesa situazione geopolitica e militare ha riaperto la questione della difesa europea - settanta anni dopo la caduta della Comunità europea di Difesa - la cui soluzione appare urgente e necessaria sia per l’inconsistenza di quello che è stato realizzato finora con la inutile cooperazione strutturata permanente nel 2018 e con la cosiddetta “Bussola Strategica” nel 2022 sia per l’avvio di una vera autonomia strategica europea come pilastro della Alleanza Atlantica anche in vista delle elezioni presidenziali americane del prossimo 5 novembre e di chi entrerà alla Casa Bianca il 20 gennaio 2025.

L’esito del conflitto russo-ucraino è solo una parte della questione della difesa europea sapendo tuttavia che la riemergente e inarrestabile russofobia nei Paesi Baltici e nell’Europa centrale - con la sola, temporanea eccezione dell’Ungheria di Viktor Orban - esige dall’Unione europea una più ampia risposta alla richiesta di solidarietà all’Ucraina oltre al (consistente) sostegno finanziario e all’uso (irrisolto) dei 350 miliardi di asset sequestrati alla Russia.

Per quanto riguarda il ruolo dell’Unione europea nella soluzione del conflitto russo-ucraino, né il Consiglio europeo né l’Alto Rappresentante - che pure potrebbe essere autorizzato ad esprimersi davanti al Consiglio di Sicurezza a nome dei Ventisette e se i Ventisette avessero raggiunto una posizione comune - hanno mai elaborato una proposta per una via d’uscita che garantisca la sicurezza, la stabilità e la pace.

Con l’esclusione della “soluzione finale” o di una vittoria globale di Volodymyr Zelensky e cioè della liberazione dei territori occupati dalle truppe russe nel 2014 in Crimea e nel 2022 nelle regioni russofone o di una vittoria globale di Vladimir Putin e cioè con la sostituzione dell’attuale governo ucraino legittimo con un governo-fantoccio agli ordini di Mosca, ci sono tre soluzioni di cui si parla fin dall’inizio del conflitto:

  • la soluzione “coreana” e cioè la divisione dell’Ucraina in due parti così come fu suddivisa nel 1953 la penisola coreana al trentottesimo parallelo con un confine armato, un armistizio permanente e l’inesistenza di un trattato d pace fra Corea del Nord e Corea del Sud. Ciò significherebbe la resa di Volodymyr Zelensky, un rigido controllo militare fra le due “Ucraine” con una presenza permanente di forze di interposizione delle Nazioni Unite in una situazione di instabilità e di insicurezza che si aggraverebbe e potrebbe precipitare in un conflitto “caldo” con l’adesione dell’Ucraina “occidentale” all’Unione europea e alla NATO.
  • la soluzione “austriaca” e cioè il ritiro totale delle truppe russe dai territori occupati, la rinuncia da parte dell’Ucraina dell’adesione alla NATO e la sua adesione all’Unione europea come Paese permanentemente neutrale così come l’Austria aderì nel 1995 all’Unione europea inserendo il suo status di Paese neutrale nel Trattato di adesione. Ciò richiederebbe l’accettazione da parte dell’Ucraina e della Russia di condizioni che né Volodymyr Zelensky né Vladimir Putin sembrano attualmente disposti ad accettare e la concessione di una forte autonomia alle regioni attualmente occupate dalla Russia con la sottoscrizione di un accordo simile a quello firmato il 5 settembre 1946 dal ministro degli esteri italiano Alcide De Gasperi e il ministro degli esteri austriaco Karl Gruber per l’autonomia dell’Alto Adige o Sud Tirolo. In questo caso e per il rispetto della indipendenza e della inviolabilità dell’Ucraina, l’accordo dovrebbe essere elaborato da una commissione indipendente come quella di Venezia del Consiglio d’Europa e inserito nella Costituzione ucraina come condizione per la sua adesione all’Unione europea sulla base dell’art. 2 del Trattato sull’Unione europea. La soluzione “austriaca” dovrebbe essere garantita anche militarmente dall’Unione europea sulla base dell’art. 42.7 del Trattato sull’Unione europea e con la creazione di una forza multinazionale in attuazione degli articoli 42.3 e 44 del Trattato sull’Unione europea, una forza destinata a diventare strumento permanente della difesa comune per la protezione di tutte le frontiere esterne dell’Unione europea da aggressioni armate sul suo territorio. In questo caso, l’Unione europea dovrebbe proporre e organizzare una Conferenza di pace nel quadro dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa come primo passo per la riapertura di negoziati ispirati dagli accordi di Helsinki del 1975 e del Trattato di Parigi del 1990 che comprendano anche il rispetto della Dichiarazione Universale dei Diritti Fondamentali del 1948 e dei Patti delle Nazioni Unite del 1965.
  • La soluzione “Germania occidentale”, come l’ha definita Ivan Krastev sul Financial Times il 17 febbraio 2024, con una decisione simile a quella che garantì con le truppe americane della NATO la sicurezza della Germania Ovest con settanta basi a Ramstein, a Heidelberg, a Braaschaat, a Stoccarda, a Hanau, a Wiesbaden, a Rhein-Main ed a Einsiedlerhof a fronte della presenza delle truppe sovietiche nel quadro del Patto di Varsavia nella Germania Orientale con pesanti conseguenze sulle relazioni fra i Paesi dell’Europa occidentale e in particolare fra la Francia e la Germania. Oltre ad essere inaccettabile per Volodymyr Zelensky e Vladimir Putin, lasciando in sospeso e in una situazione di tensione e di instabilità la riunificazione futura delle due Ucraine, la soluzione del bulgaro Ivan Krastev - membro del molto euro-tiepido e londinese European Council of Foreign Relations - ripeterebbe il grave errore che l’Unione europea ha compiuto più di venticinque anni fa acconsentendo all’accelerazione dell’adesione dei Paesi dell’Europa centrale alla NATO prima della loro adesione all’Unione europea e metterebbe una pietra pesantissima sulla prospettiva di un’autonomia strategica dell’Unione europea nel quadro dell’Alleanza Atlantica e più in generale della difesa europea.

Noi riteniamo che il futuro dell’Europa e in particolare della sua politica estera, della sicurezza e della difesa – sapendo che il processo di allargamento dell’Unione europea all’Europa orientale (Ucraina, Moldova e Georgia) e ai Balcani cosiddetti Occidentali (Albania, Bosnia Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro, Serbia) è una parte importante di questa politica – passa in primo luogo dalla soluzione che l’Unione europea sarà in grado di proporre e di contribuire a trovare per il conflitto russo-ucraino (e, naturalmente, per il conflitto in Medio Oriente se l’Unione europea uscirà dal suo permanente torpore rilanciando la proposta di Pedro Sanchez di una Conferenza per la sicurezza e la cooperazione nel Mediterraneo che fu, all’inizio degli anni ’90, di Gianni De Michelis e della diplomazia italiana).

La soluzione “austriaca”, che l’Unione europea dovrebbe proporre all’Ucraina nel quadro dei negoziati di adesione e dei programmi di ricostruzione del Paese che costeranno ben più dei 50 miliardi di Euro iscritti dal Consiglio e dal Parlamento europeo nel Quadro Finanziario Pluriennale 2021-2027, può essere un passo importante e pragmatico sulla via della difesa europea evitando fughe in avanti come l’illusione di un’accelerazione della creazione di un esercito europeo o l’idea – buona solo per la stampa e per la campagna elettorale  – di Ursula von der Leyen di un “commissario… agli armamenti europei” senza forze armate e senza competenze.

Prima di creare un debito pubblico europeo – pur necessario e ben al di là di 1.5 miliardi di Euro che Ursula von der Leyen, ormai lanciata verso il bis, intende proporre nel suo piano strategico – il Consiglio europeo e il Parlamento europeo dovrebbero definire gli elementi essenziali di una autentica condivisione degli obiettivi di politica estera, di sicurezza e di difesa insieme ad una comune percezione delle minacce esterne, alla disponibilità alla messa in comune di strumenti di difesa ivi compresi quelli legati alla deterrenza nucleare, al servizio di missioni e di strategie comuni a sostegno della costruzione e del mantenimento della pace, alla maggiore interoperabilità delle forze armate nazionali, ad una base finanziaria comune per una graduale industria pubblica europea e per acquisti comuni, a regole comuni e vincolanti nella vendita degli armamenti a Paesi terzi.

Nella prospettiva di un nuovo Trattato-costituzionale, noi vorremmo che il titolo dedicato alla difesa europea sia preceduto da un articolo in cui si proclama che “l’Unione europea ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. L’Unione europea consente alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia, promuove e favorisce l’Organizzazione delle Nazioni Unite rivolta a tale scopo”.

Roma, 4 marzo 2024

coccodrillo

 

 

 

 


 ATTIRIAMO LA VOSTRA ATTENZIONE

Le sfide del processo di regolazione europeo dell’Ai e delle tecnologie digitali

Introduzione (rivista) al Webinar organizzato il 28 febbraio dal Movimento europeo e dall’Associazione Italiana della Comunicazione pubblica e istituzionale.

Il tema che tratteremo oggi è di evidente, estrema, complessità, toccando da un lato praticamente ogni disciplina da quelle più generali come la filosofia o la sociologia a quelle più settoriali come il diritto, l’economia, l’educazione sino alle discipline squisitamente tecniche-operative, dall’altro direttamente o indirettamente riguarda tutte le politiche pubbliche ed i rapporti privati. Abbiamo deliberatamente scelto di non limitarci a valutare l‘emanando regolamento sull’AI (ci dirà più dettagliatamente l’introduzione sul punto dell’On. Benefei) ma più in generale il processo regolativo sovranazionale delle tecnologie digitali che ha già prodotto quella che alcuni commentatori  hanno definito come un’ “alluvione normativa”  (dal Digital Service Act (DSA), al Digital Market Act (DMA), al Data act) che potrebbe anche recuperare la questione dei diritti dei lavoratori delle piattaforme con un voto in extremis l’11 marzo. Si tratta di un processo iniziato con la Strategia 20-30 e con il cosidetto Digital compass che ha già portato a fare della transizione digitale uno dei tre pilastri delle politiche dell’Unione insieme alla sostenibilità verde  (Green Deal) e a quella sociale (attuazione del Social Pillar) che naturalmente andrebbero assunti nella loro sinergia non atomisticamente come reso evidente anche nel Recovery plan. I tre pilastri nel loro insieme costituiscono quella “condizionalità buona” cui sono stati sottoposti gli aiuti per la ripresa post-pandemica.

Stiamo parlando del lato forte, vincente, che apre possibilità inedite, e che dovrebbe rendere noi europei orgogliosi del processo di integrazione che rafforza così le sue istituzioni mostrando come l’UE, sia comunque arrivata a sviluppare un proprio modello ed a generare nuovi istituti ed una originale narrativa della tecnologia in rapporto allo sviluppo sociale([1]).

Dal punto di vista istituzionale però esistono della fragilità e delle incertezze come la sopravvivenza anacronistica di 27 garanti che pur dovrebbero applicare tutti il diritto dell’Unione i cui orientamenti non sembrano essere sempre convergenti ( cfr. il recente caso di chiusura per la sola Italia e per pochi giorni del programma di  Chatpot GPT appena uscito e con già 100 milioni di fruitori nel mondo). C’è una parte ancora abbozzata di questo processo e cioè l’obiettivo di offrire all’80% dei cittadini europei  competenze digitali di base che dimostra che l’Unione mira non solo a dirigere il progresso tecnologico ed a renderlo  coerente con i fundamental rights ma anche a rafforzare le capacità di controllo e partecipazione dei cittadini, a riprogettare la democrazia anche se, a parte la Conferenza sul futuro dell’Unione (Cofoe),  ancora latitano i progetti e le anticipazioni di questa  nuova capacitazione partecipativa dei soggetti.

In questa materia magmatica la nostra  cartina di tornasole è la natura della scelta regolativa dell’Unione e la sua qualità oggi che i suoi prodotti sono stati quasi tutti varati e dovranno necessariamente essere tra loro coordinati ed interpretati unitariamente e  che saranno certamente sottoposti all’ortopedia della Corte di giustizia il cui timbro, grazie  all’art. 8 della Carta che dobbiamo a Stefano Rodotà, è particolarmente penetrante ed innovativo.

Sono, quindi, possibili prime valutazioni: innanzitutto sulla razionabilità ed accettabilità della metafisica influente la lunga catena regolativa e le sue sfide  e cioè il principio dell’umanesimo digitale, o di libertà dal dominio, se vogliamo utilizzare una espressione più generale ([2])

In realtà tale principio non sembra sempre accolto essendo ancora molto forti le forme di  resistenza (tra i sindacati così come nei partiti) che ancora  credono al possibile arresto dell’innovazione. Troppi epigoni, un po’ fuori tempo massimo, della Scuola di Francoforte ([3]) tengono il broncio al proprio tempo conferendo una radicale tonalità negativa ad una certa disillusione diffusasi dopo la prima fase della digitalizzazione ed alla preoccupazioni (in sé razionali) che si possano diffondere modalità di controllo oppressivo e sviamenti del gioco politico democratico. Ma questa forma di  Kultur pessimismus finisce, a mio parere, solo per indebolire il grandioso tentativo di offrire una direzione ed una prospettiva alla “grande trasformazione”, a quello che il “mitico” direttore di Wired (la rivista più autorevole degli anni ruggenti di Internet) Kevin Kelly ha definito come l’”inevitabile”([4]).

Inoltre l’ondata regolativa è coerente con le sue premesse: come si disciplina una rivoluzione tecnologica come questa? Che tipo di cautele rispetto agli evidenti rischi da quelli alla blade runner sino alle dinamiche oligopolistiche ed anticoncorrenziali ed alle denunciate  invasioni passivizzanti dei mondi della vita (cfr. l’ultimo volume di Habermas ([5]) ? Il digital constitutionalism (che in Ue ha optato per la linea forte e non solo per l’autoregolamentazione del settore, nella scelta di settori di grave  rischio e di divieti assoluti di alcune prassi) è all’altezza dei principi e degli obiettivi che declama o opererà come la Nottola di Minerva (come ha rischiato di essere lo stesso regolamento AI ACT nel non aver previsto originariamente i meccanismi di intelligenza generativa) ?

Ci sono infine gli aspetti rischiosi già ampiamente esaminati in una sterminata letteratura: gli effetti sul mondo del lavoro ([6]) e sul lavoro giudiziario ([7])che potrebbero, se non governati o bilanciati, provocare reazioni molto negative nell’opinione pubblica: aspetti sui quali anche l’UE sembra essere in affanno, se non altro nella progettazione di misure all’altezza delle sfide in corso.

Termino accennando all’altra dimensione più politico- istituzionale del tema: una cosa è disciplinare un settore, un’ altra governarlo e indirizzarlo. La competitività UE può essere solo legata, come sino ad oggi è avvenuto sul tema della privacy (con il cosiddetto Bruxelles effect), ai suoi aspetti legal-costituzionali ma senza politiche pubbliche adeguate e di caratura globale? E’ mai possibile che tra le 10 maggiori aziende tecnologiche non vi sia neppure una impresa europea e che nessuno stato (la migliore è la Francia) disponga di una sua policy su questo fronte correlata ad investimenti di un qualche rilievo? Vorrei ricordare i dubbi espressi dal Prof. Oreste Pollicino sulle pagine del Sole24ore sulla possibilità di replicare i successi del Bruxelles effect anche in questa materia (AI)  ben più delicata e strategica.

Da ultimo la questione del dominio sui dati personali (non uso l’indigeribile termine “sovranità”): anche l’imponente normativa UE è sufficiente  per arrivare a conferire ad ogni individuo la possibilità di disporre liberamente dei suoi dati?

Importanza straordinaria del tema se si assume, come necessario, che il capitalismo è ormai prevalentemente “estrattivo” e “data driven” per cui da questa utilizzazione di dubbia legalità la comunità che  produce questi dati in una sorta di “intelligenza collettiva” (per usare l’espressione di Pierre Lévy ([8]) non riceve abbastanza, non guadagna per i suoi appartenenti una libertà di partenza. Anche il sistema europeo completato sarà davvero “umanista”, senza robusti correttivi di politiche e fiscali e sociali ([9])?  

Giuseppe Bronzini

Segretario generale Movimento europeo 

 

 

[1] Cfr. la  pregevole Dichiarazione sui diritti e i principi digitali per il decennio digitale del 15.12. 2022 che rappresenta una sorta di Manifesto filosofico-istituzionale del processo di regolazione nel suo complesso. Sulla Dichiarazione rimando al mio  Diritti e principi per il decennio digitale: i tre Presidenti sottoscrivono la Dichiarazione comune in Newsletter del Movimento europeo Gennaio 2023

[2] Cfr. la Tavola rotonda su “Le iniziative dell’Unione europea sul lavoro tramite piattaforme digitali” in RGL, n.3/2022 p. 507 ss. in particolare l’intervento di Adalberto Perulli

[3]  Cfr. T.W. Adorno, M. Horkeimer Dialettica dell’illuminismo, 1974 Einaudi, p. 45: "quanto è più complicato e più sottile l’apparato sociale, economico e scientifico, a cui il sistema produttivo ha adattato da tempo il corpo che lo serve e tanto più povere le esperienze di cui questo corpo è capace".

[4] K. Kelly  L’Inevitabile , Il Mulino, 2022

[5] J. Habermas Nuovo mutamento della sfera pubblica e politica deliberativa, Raffaello Cortina Editore 2023 

[6] Cfr. la survey appena pubblicata di E. Dagnino sul sito del Cnel su  Intelligenza  artificiale e mercati del lavoro: INTELLIGENZA ARTIFICIALE E MERCATO DEL LAVORO (cnel.it).

[7] Cfr. il parere del Febbraio 2024 del Comitato consultivo dei giudici europei per il Consiglio d’Europa Moving forward: the use of assistive technology in the judiciary che offre paletti importanti, anche se non paralizzanti l’innovazione, per l’uso dell’AI nel lavoro giudiziario: The CCJE adopts Opinion No. 26 (2023) “Moving forward: the use of assistive technology in the judiciary” - Human Rights and Rule of Law (coe.int)

[8] Cfr. la bella introduzione del Volume Il virtuale. La rivoluzione digitale l’umano, Meltemi 2023

[9] Questa necessità sembra avvertita anche dai grandi innovatori come Sam Altman, il fondatore di Open AI, società produttrice di Chatpot GBT, che insieme ad altri imprenditori della Silicon Valley, anni orsono  fondò un’associazione  filantropica (X Combinator)  con lo scopo di assicurare forme di “reddito minimo” per le zone più colpite dalla disoccupazione tecnologica  in un paese come gli USA nel quale il pubblico non garantisce neppure  l’accesso a tutti all’assistenza sanitaria.

 

 

 


LA SETTIMANA DEL MOVIMENTO EUROPEO

 

5 marzo

  • Consiglio Direttivo Associazione Italiana della Comunicazione Pubblica e Istituzionale
  • Roma, "Elezioni europee 2024 Ciclo di inconrtri per una scelta consapevole"

6 marzo

  • Roma, Comitato Scientifico Associazione Italiana della Comunicazione Pubblica e Istituzionale

8 marzo

  • Nuoro, Convegno "IL CONTROLLO DELLE FRONTIERE STATALI ED I RESPINGIMENTI NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E NEL DIRITTO DEL MARE. IL RUOLO ED I CODICI DI CONDOTTA DELLE ONG NEL FLUSSO DEL MEDITERRANEO" (Istituto Tecnico Commerciale Salvatore Satta di Nuoro)
  • Nuoro, presentazione del volume “A che ci serve l’Europa” di Emma Bonino e Pier Virgilio Dastoli (Centro Europe Direct Comune di Nuoro)

 

 

   


IN EVIDENZA

 

VI SEGNALIAMO

  • 5 marzo, ore 18:30, Roma. ELEZIONI EUROPEE 2024. CICLO DI INCONTRI AL CIRCOLO. Dal 6 al 9 giugno 2024 si voterà per il rinnovo del Parlamento Europeo. Per favorire una maggiore conoscenza della politica europea e una scelta consapevole nel voto, il Circolo PD Parioli organizza un ciclo di incontri che, a partire dall’approfondimento dello sviluppo dell’Unione Europea e del funzionamento degli Organismi, arriva a ragionare sul futuro dell’Europa e sui Grandi Progetti Europei che incidono sulle economie degli Stati Membri. "ORIGINE E SVILPPO DELL’UNIONE EUROPEA E FUNZIONAMENTO DEGLI ORGANISMI EUROPEI". Ne discutono Silvia Costa – già parlamentare europea e membro della Direzione Nazionale PD e Pier Virgilio Dastoli – Presidente del Movimento Europeo Italia. ULTERIORI INFORMAZIONI E LOCANDINA.
  • 8 marzo, ore 9:00-13:00, Nuoro. L'Istituto Tecnico Commerciale Salvatore Satta di Nuoro promuove il convegno dal titolo "Il controllo delle frontiere statali ed i respingimenti nel diritto internazionale e nel diritto del mare. Il ruolo ed i codici di condotta delle ong nel flusso del Mediterraneo", presso il Teatro San Giuseppe bocheteatro di Nuoro, nell’ambito del Progetto Nuoro for Europe di cui è capofila e che ha lo scopo di coinvolgere la partecipazione attiva alla vita dell'Europa sensibilizzando in particolare i giovani sui diritti connessi alla cittadinanza attiva. LOCANDINA.
  • 8 marzo, ore 16:00, Nuoro. Promosso dal Centro Europe Direct del Comune di Nuoro, con la collaborazione del Movimento europeo, si svolgerà un incontro pubblico per la presentazione del libro “A che ci serve l’Europa” di Emma Bonino e Pier Virgilio Dastoli, presso l’Aula Magna di UniNuoro. Da Altiero Spinelli agli Stati Uniti d’Europa, il racconto appassionato di ottant’anni di lotte e conquiste. Attraverso un dialogo serrato e coinvolgente, nel libro si dà conto delle innumerevoli tappe del processo di integrazione europea, si ravviva il dibattito sulle nuove sfide che ci attendono, e si offre il ritratto appassionato e avvincente di Altiero Spinelli, vero padre fondatore capace di intuire e ispirare con lungimiranza, in un continente lacerato dalla guerra, quei principi di fratellanza, pace e libertà a cui ancora oggi dobbiamo tendere. L’evento sarà trasmesso anche in streaming dall’emittente Telesardegna. ULTERIORI INFORMAZIONI E PROGRAMMA.

 

ARTICOLI E TESTI DELLA SETTIMANA

 

 

 

 

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VI SEGNALIAMO

  • 28 febbraio, ore 18:00-20:00. Il Movimento europeo in Italia, in collaborazione con l’Associazione Italiana della Comunicazione Pubblica e Istituzionale, organizza un Webinar sulle questioni dell’intelligenza artificiale, con particolare riferimento al Regolamento europeo sull’IA su cui è stato raggiunto un accordo dal trilogo lo scorso 9 dicembre. Il progetto di regolamento mira ad assicurare che i sistemi di IA immessi sul mercato europeo e utilizzati nell'UE siano sicuri e rispettino i diritti fondamentali e i valori dell'UE. La storica proposta punta inoltre a stimolare gli investimenti e l'innovazione in materia di IA in Europa. L’incontro si svolgerà sulla piattaforma zoom del Movimento europeo. PROGRAMMA.
  • 29 febbraio-1° marzo, Roma. L’Accademia Nazionale dei Lincei organizza un Convegno sul tema “Il Parlamento Europeo: verso quale Europa?”, che si terrà, in modalità mista, presso la sede dell’Accademia. Nel giugno 2024 si terranno per la decima volta le elezioni a suffragio universale per il Parlamento Europeo. L'attuale è una fase storica molto delicata per l'Unione Europea: la guerra in Ucraina, i postumi della pandemia da Covid 19, la turbolenza dei mercati finanziari, la crisi ambientale e le difficoltà della transizione energetica, l'accentuarsi degli squilibri territoriali tra Nord e Sud e Est e Ovest, la crisi dell’equilibrio mondiale e l'affermazione in molti stati membri di movimenti populisti neo-nazionalisti producono crescenti difficoltà nei rapporti tra gli stati membri e tra questi e l'Unione Europea, mettendo in discussione la sua stessa architettura istituzionale. L’incontro costituirà quindi l'esigenza di un esame della situazione sul piano della riflessione scientifica prima che si sviluppi la campagna elettorale. Per seguire la DIRETTA STREAMING. Ulteriori INFORMAZIONI, PROGRAMMA e MODULO D’ISCRIZIONE.
  • 2 marzo, Roma. Si terrà a Roma, ospite del Partito Democratico, il Congresso del Partito Socialista europeo. Un appuntamento davvero importante che lancia, di fatto, la campagna elettorale dei socialisti europei per le elezioni di giugno 2024. Un’occasione per confrontarsi sull’Europa del futuro, per parlare di pace, di ambiente e di diritti. E per scegliere ufficialmente il candidato comune che rappresenterà il manifesto del PES per le elezioni europee. MODALITA’ di PARTECIPAZIONE e ULTERIORI INFORMAZIONI.

 

ARTICOLI E TESTI DELLA SETTIMANA

 

 

 

 

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28 febbraio

  • Webinar “Le sfide del processo europeo di regolazione delle tecnologie digitali e dell’AI” (Movimento europeo Italia e Associazione Italiana della Comunicazione Pubblica e Istituzionale)

29 febbraio-1°marzo

  • Roma, Convegno “Il Parlamento Europeo: verso quale Europa?” (Accademia Nazionale dei Lincei)

2 marzo

  • Roma, Congresso elettorale del Partito Socialista Europeo

 

 

 

   

 

 

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Giorgio Napolitano e la democrazia parlamentare europea

Giorgio Napolitano è stato deputato europeo dal 1989 al 1992 e cioè negli anni che sono stati caratterizzati dalla caduta del Muro di Berlino e dal negoziato sul Trattato di Maastricht anzi sui trattati dato che quel negoziato riguardava sia il passaggio dalle Comunità all’Unione sia la definizione dei pilastri intergovernativi sullo spazio di libertà, sicurezza e giustizia e sulla politica estera sia la realizzazione dell’unione economica e monetaria.

Esercitando come consentito dai trattati e dalle norme europee il doppio mandato nazionale ed europeo, Giorgio Napolitano fu un importante ponte fra la dimensione parlamentare italiana e quelle comunitaria sia nei dibattiti alla Camera sulle questioni europee che nei lavori del Gruppo al Parlamento europeo mentre si preparava la formale adesione dei comunisti italiani alla famiglia del socialismo europeo.

Da deputato italiano partecipò alle assise interparlamentari di Roma nel novembre 1990 che contribuirono all’avvio delle conferenze intergovernative in vista del Trattato di Maastricht sostenendo l’esigenza – contestata dalla delegazione francese guidata da Laurent Fabius – che i membri delle assise dialogassero fra di loro come appartenenti a famiglie politiche europee e non come delegazioni nazionali e votassero la dichiarazione finale (LINK) secondo coscienza e non a nome di un astratto interesse nazionale.

Questa scelta di metodo – politica e non tecnica – consentì di raggiungere un ampio consenso su un testo che oseremmo definire di ispirazione federalista.

Eletto alla presidenza della Camera in una delle fasi più turbolente della vita politica italiana lasciò il Parlamento europeo non dimenticando il suo impegno europeo sia nelle relazioni politiche internazionali sia quando assunse l’incarico di ministro degli Interni sia quando fu eletto nel 1995 presidente del Movimento europeo in Italia per rimanervi fino all’ingresso al Quirinale nel 2006 e per ritornarvi da presidente onorario nel 2015.

Nel 1999 scelse solo la via del Parlamento europeo pur potendo mantenere fino al 2002 il doppio mandato e, dove aver presieduto la prima seduta dell’Assemblea nel luglio 1999 (LINK), la sua prima decisione fu quella di candidarsi alla presidenza della commissione affari istituzionali (creata su proposta di Altiero Spinelli nel gennaio 1982 con il solo mandato di scrivere un nuovo trattato) chiedendo di chiamarla “commissione affari costituzionali”.

La quinta legislatura 1999-2004 fu caratterizzata in primo luogo dalla elaborazione della Carta dei diritti su iniziativa prima del Forum permanente della società civile - come rete di organizzazioni non governative promossa nel 1995 dal Movimento europeo internazionale con il sostegno determinante di Giorgio Napolitano in quanto presidente del Movimento europeo in Italia e di Rita Suessmuth presidente del Bundestag ma in quanto presidente del Movimento europeo tedesco – e poi dal governo tedesco che propose nel dicembre 1999 ai quindici governi europei e al Parlamento europeo di creare un organismo  ad hoc, che il Consiglio avrebbe voluto  chiamare in inglese Body e in francese Enceinte, che decise autonomamente di chiamarsi Convenzione.

Come sappiamo la Convenzione – di cui erano membri parlamentari europei e nazionali, rappresentanti dei governi e della Commissione in un dialogo costante con le organizzazioni non governative e i sindacati riuniti in un “gruppo di contatto” – elaborò un progetto, lo sottopose al giudizio del “gruppo di contatto” e adottò a Biarritz sotto presidenza francese un testo definitivo che teneva conto delle osservazioni critiche del “gruppo di contatto” in vista della sua proclamazione solenne tel quel a Nizza a dicembre 2000.

L’unico ostacolo frapposto dai governi o almeno da una maggioranza dei governi fra cui quello britannico di Tony Blair fu la pretesa che la Carta non fosse giuridicamente vincolante e così fu fino al Trattato di Lisbona con gli opting out concessi a britannici, polacchi e cechi.

Dopo la Carta ci fu la Convenzione sull’avvenire dell’Europa concepita dalla Dichiarazione di Laeken nel dicembre 2001 che avrebbe dovuto essere presieduta da Jacques Delors a cui Jacques Chirac preferì Valery Giscard d’Estaing per evitare di averlo come concorrente alle elezioni presidenziali francesi.

Per incomprensibili manovre interne al Gruppo Socialista, Giorgio Napolitano non fu scelto come membro della Convenzione ma ne seguì i lavori come “osservatore” attento, come presidente e relatore della Commissione affari costituzionali e come oratore in  numerosi interventi in aula durante i lavori della Convenzione e poi quando i governi, tradendo l’impegno sul testo sottoscritto secondo il principio del consenso nel giugno 2003, decisero di scarnirlo eliminando i già limitati passi in avanti a cui avevano acconsentito nella Convenzione per trasformarlo in quello che Giuliano Amato chiamò un ermafrodita.

Nei suoi interventi in aula Giorgio Napolitano ha via via criticato i compromessi al ribasso nella Convenzione ed ha poi sferzato implacabilmente la via riduttiva dei governi fino alle demolizioni consentite dalla presidenza italiana sottolineando puntigliosamente le differenze sostanziali fra il metodo della Convenzione sulla Carta e quello della Convenzione sul trattato-costituzionale in cui i governi usano un potere di interdizione dentro la Convenzione difendendo il principio del consenso esercitando poi un potere di decisione esclusivo nella Conferenza intergovernativa.

Con la stessa puntigliosità e con la stessa determinazione sferzante, Giorgio Napolitano è tornato a Strasburgo da Presidente della Repubblica per sottolineare enfaticamente il valore innovativo del ruolo esercitato dal Parlamento europeo nell’elaborazione e nell’approvazione del “Progetto Spinelli” e l’atto di disprezzo della democrazia parlamentare e popolare quando i governi decisero di abbandonare il pur modesto trattato-costituzionale ratificato da diciassette parlamenti e accettato in due referendum (Spagna e Lussemburgo) per scegliere la via pattizia di un trattato intergovernativo.

Tutti coloro che tifano a favore del metodo della Convenzione in vista della revisione dei trattati dovrebbero leggere attentamente i discorsi parlamentari di Giorgio Napolitano nella quinta legislatura europea e poi quelli a Strasburgo da Presidente della Repubblica riflettendo sui rischi di ripetere l’esperienza vissuta fra il 2002 con l’inizio dei lavori della Convenzione e il 2009 con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona dopo i due referendum irlandesi evitando di sostenere la tesi secondo cui non c’è futuro per l’Europa (federale) se non sarà convocata una Convenzione di revisione dei trattati.

Noi crediamo che ci siano ancora le condizioni per preparare il terreno politico europeo a sostegno di una iniziativa nel prossimo Parlamento europeo nel caso altamente probabile in cui i governi decidano di affidare il futuro dell’Europa ad una decima conferenza intergovernativa.

Roma, 26 febbraio 2024

coccodrillo

 

 

 

 

 

 

 

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