G20: nessuno resti indietro L’insegnamento del Manifesto di Ventotene

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Da oggi e per dodici mesi, l’Italia assumerà per la prima volta la presidenza del G20 - la rete dei paesi più sviluppati nel mondo per percentuale del PiL (90%), di import/export (80%), di popolazione (2/3), di terre coltivate (60%) e di prodotti agricoli (80%) –  di cui l’evento principale sarà il vertice dei leader, in presenza se la pandemia lo consentirà, il 30 e 31 ottobre a Bari che farà seguito al G7 sotto presidenza britannica e precederà la COP26 di Glasgow dal 1° al 12 novembre.

Si tratta di una rete intergovernativa nata a Washington nel 2008, dopo l’esplosione della più grande depressione ottanta anni dopo quella del 1929, con l’obiettivo o meglio l’illusione che i “grandi del pianeta” - in un coacervo di democrazie liberali e di paesi autoritari, di sistemi di mercato libero e di capitalismo di Stato, di economie provenienti da decenni di sviluppo industriale e di sistemi produttivi di nuova industrializzazione, di paesi impegnati nel rispetto dello sviluppo sostenibile e Stati ancora molto al di sotto dei criteri di una società gradualmente indipendente da carbonio – sarebbero stati in grado di governare il pianeta sulla via di una cooperazione internazionale fondata sul principio: nessuno resti indietro.

Così non è stato perché tutte le discussioni avvenute dal 2008 in poi intorno al capezzale del sistema finanziario internazionale non hanno portato a nessun risultato tangibile, il pianeta è bel lontano dal rispetto delle tappe intermedie per la realizzazione degli obiettivi dello sviluppo sostenibile entro il 2030, e fra i venti (che, come sappiamo, sono diciannove membri permanenti a cui si aggiunge l’Unione europea in quanto tale e poi gli invitati permanenti come il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale, l’OCSE e l’ONU) nessuno ha avuto l’idea di rimettere sul tavolo la questione della riforma del Consiglio di sicurezza dell’ONU – ferma da anni – e su cui si è costituito il gruppo Uniting for Consensus di cui è parte attiva il governo italiano.

Fra le proposte, ancora molto minimaliste, del gruppo vi è quella di evitare lo scoglio dei seggi permanenti rafforzando la rappresentatività dei gruppi regionali  e assegnando all’Africa il maggior numero di seggi temporanei (ma di lunga durata), riconoscendo all’Asia-Pacifico il più alto incremento percentuale e raddoppiando i seggi di America Latina e Europa orientale.

Se si vuole rilanciare al G20 sotto presidenza italiano una global governance che rimetta all’ordine del giorno il multilateralismo - accantonato durante il quadriennio di Donald Trump ma non solo da Trump – facendolo ruotare intorno all’agenda delle “tre P” (People, Planet,. Prosperity), bisogna partire dall’obiettivo prioritario: nessuno resti indietro.

Circola un mappamondo del G20 dove sono indicati con vari colori i paesi membri di diritto del G20, gli invitati permanenti e i possibili invitati nel 2021 che erano già al tavolo virtuale del Vertice a Riad nel 2020.

Colpisce l’occhio geopolitico l’assenza totale fra le tre categorie dei partecipanti – con la sola eccezione del Sud Africa – dei cinquantacinque Stati che fanno parte dell’Unione africana in un vertice e in decine di incontri propedeutici e paralleli in cui si discuterà, ma non si deciderà data la natura del G20, delle conseguenze sociali della digitalizzazione, dei cambiamenti climatici, delle fonti energetiche sostenibili, del commercio internazionale, del terrorismo internazionale e last but not least della lotta alle pandemie “in vista di una ripresa sostenibile, giusta e resiliente”.

Ciascuno dei temi che saranno in agenda al G20 contiene una domanda a cui i leader non saranno quasi certamente in grado di rispondere, che riguarda tutti e cinque i continenti e che è legata al fenomeno epocale dei flussi migratori destinati a crescere a causa degli effetti del cambiamento climatico, delle conseguenze sociali della pandemia e di un commercio internazionale sempre meno equo e solidale.

Tutto ciò spinge ad invitare al tavolo dei leader i rappresentanti dell’Unione africana non potendosi sostenere che il leader del Sud Africa ne è il presidente e che dunque potrà essere a Bari a doppio titolo.

Suggeriamo al governo italiano di offrire come lettura essenziale ai leader alle delegazioni una copia del Manifesto di Ventotene (di cui ricorre nel 2021 l’ottantesimo anniversario) che esiste non solo nelle ventiquattro lingue ufficiali dell’Unione europea ma anche in arabo e che potrebbe essere facilmente tradotto in cinese, russo, giapponese, turco e nelle principali lingue africane sottolineando che il rilancio del multilateralismo suppone una battaglia senza quartiere al principio della sovranità assoluta, una riflessione sulla crisi della civiltà contemporanea su cui si basa la parte iniziale del Manifesto e un riconoscimento del fatto che la Federazione europea è l’unica garanzia di una pacifica cooperazione “in attesa di un più lontano avvenire in cui diventi possibile l’unità politica dell’intero globo”.

PIER VIRGILIO DASTOLI

Filadelfia di Calabria, 1° dicembre 2020

 

G20: nobody left behind - The teaching coming from the Manifesto of Ventotene