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 CIAK, EUROPA, SI VOTA!

Abbiamo il piacere di segnalarvi che sono aperte le iscrizioni per partecipare alla prima edizione del contest CIAK, EUROPA, SI VOTA! L’iniziativa, promossa dalla Rappresentanza in Italia della Commissione europea, il Parlamento europeo – Ufficio in Italia e Fondazione Cinema per Roma, è rivolta a giovani film-maker, videomaker, professionisti e appassionati di arti visive.

Il contest è finalizzato alla realizzazione di un video breve, della durata di massimo 3 minuti, con l’obiettivo di ispirare, informare e sensibilizzare i cittadini, in particolare le generazioni più giovani, sull’importanza del voto in occasione delle elezioni europee che si terranno nei 27 Stati membri dell’Unione europea dal 6 al 9 giugno 2024.

È possibile partecipare iscrivendo, gratuitamente, il proprio progetto entro domenica 17 marzo 2024. Per i tre vincitori del contest, sono previsti premi in denaro dai 1.000 ai 3.000 euro e accrediti gratuiti per la Festa del Cinema 2024.

Maggiori informazioni, bando e modalità di registrazione del progetto sono disponibili sul sito web della Rappresentanza.

 

 

 

 

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VI SEGNALIAMO

  • 8 febbraio, ore 16:00-19:00, Genova. Il Dipartimento di Scienze Politiche e Internazionali dell’Università degli Studi di Genova, in collaborazione con l’Associazione Universitaria di Studi Europei – AUSE, presieduta dalla Prof.ssa Daniela Preda, promuove il Corso “Formazione alla cittadinanza europea. Le elezioni dirette del Parlamento europeo, tra storia e attualità”, dal 5 al 26 febbraio. Aperto a tutti gli studenti iscritti ai Corsi di laurea e di Dottorato dell'Università di Genova. Nell’ambito del corso, giovedì 8 febbraio, è in programma il “Dibattito sulle elezioni dirette del Parlamento europeo”, introdotto da Daniela Preda, con interventi di Daniele Pasquinucci (Università di Siena), Giuliana Laschi (Università di Bologna-Forlì) e Pier Virgilio Dastoli (Presidente Movimento europeo Italia). PROGRAMMA COMPLETO. Incontri in presenza e a distanza (LINK per seguire da remoto).
  • 9 febbraio, ore 10:30-12:30, Torino. Nel quadro del piano del suo rafforzamento organizzativo, il Movimento europeo ha deciso di costituire una rete di Centri di coordinamento a livello regionale e/o territoriale con le associazioni presenti nelle realtà locali e regionali e con il sostegno della sede centrale di Roma. L’articolazione dell’attività del Movimento nella dimensione regionale appare necessaria e cruciale anche in vista delle prossime elezioni europee che dovrebbero rappresentare la sede e l’occasione per un forte mandato popolare costituente al Parlamento Europeo per realizzare una svolta costituzionale nel processo di integrazione nella direzione di un’Europa davvero democratica e sociale dai tratti federali. Alla riunione costitutiva del Centro di coordinamento a livello regionale seguirà un evento dal titolo “L’Europa cambia Torino. I fondi del PNRR a sostegno dello sviluppo della città”. PROGRAMMA.
  • 13-15 febbraio, Ventotene. Il Movimento europeo in Italia - in collaborazione con il Centro italo-tedesco per il dialogo europeo Villa Vigoni e l’Istituto di Studi Federalisti Altiero Spinelli, con il Patrocinio del Comune di Ventotene, con il sostegno del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e della Regione Puglia - ha deciso di promuovere a Ventotene, l’Isola su cui fu scritto nel 1941 da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi il “progetto di un Manifesto per un’Europa libera e unita”, dal 13 e 15 febbraio un incontro di riflessione sul futuro dell’Europa in vista delle elezioni europee che avranno luogo dal 6 al 9 giugno 2024, ma anche in occasione del 40° anniversario del “Progetto Spinelli”. Parteciperanno una delegazione significativa di giovani leader del Forum Spinelli e un gruppo di studentesse e studenti del Liceo De Giorgi di Lecce insieme ai rappresentanti del Movimento Europeo, del Centro italo-tedesco per il dialogo europeo Villa Vigoni, dell’Istituto Spinelli e delle Fondazioni tedesche in Italia CEP, Adenauer, Ebert e Seidel. PROGRAMMA.
  • 14 febbraio, ore 9:00-18:30, Roma. Convegno “DALL’OSTPOLITIK ALL’UNIONE EUROPEA. L’EREDITÀ DI WILLY BRANDT, DEL PROGETTO SPINELLI E IL FUTURO DELLE RELAZIONI CONTINENTALI” promosso dalla Università Link Campus, il Ministero dell’Università e della Ricerca, Italiadomani. L’incontro si terrà in presenza, con possibilità di collegamento a distanza. PROGRAMMA.

 

ARTICOLI E TESTI DELLA SETTIMANA

 

 

 

 

 

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6 febbraio

  • Riunione Gruppo di lavoro sulle finanze europee (Movimento europeo Italia e Centro Studi sul Federalismo)

7 febbraio

  • Riunione con esperti della comunicazione per riflettere su “Come comunicare l’Europa al tempo delle elezioni”

8 febbraio

  • Genova, "Il dibattito sulle elezioni dirette del Parlamento europeo" (Università degli Studi di Genova Dipartimento di Scienze Politiche e Internazionali)

9 febbraio

  • Torino, costituzione centro di coordinamento territoriale del Movimento europeo e incontro “L’Europa cambia Torino. I fondi del PNRR a sostegno dello sviluppo della città”

 

  

 

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La Corte di giustizia e la tutela delle donne vittime di violenza attraverso la direttiva sui rifugiati e la protezione internazionale: il diritto europeo si integra con il diritto internazionale

La Corte di giustizia il 16 gennaio 2024 ( WS, C-621/2021 ) nella sua formazione più autorevole della Grande sezione ha emesso una decisione davvero notevole su una questione mai affrontata in precedenza e piuttosto spinosa in punto di diritto raggiungendo risultati garantisti importanti in favore delle donne minacciate da atti di violenza fisica o mentale di natura  domestica a causa delle loro libere scelte di vita.

Molto sinteticamente la questione è questa: è applicabile la direttiva 2011/95/UE che mira ad “ assicurare che gli stati membri applichino criteri comuni per identificare le persone che hanno effettivamente bisogno di protezione internazionale ed ad assicurare che un livello minimo di prestazioni sia disponibile per tali persone in tutti gli stati membri” anche a casi di donne minacciate gravemente dalla famiglia dell’ex marito al fine del riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria?  E che ruolo giocano le Convenzioni internazionali in gioco ed anche le linee guida ONU in materia nell’interpretazione della citata direttiva?

Il caso venuto in esame avanti il supremo organo giurisdizionale dell’Unione è questo: una cittadina di origine  curda, di confessione musulmana e divorziata, che sostiene di essere stata costretta a sposarsi dalla sua famiglia e poi picchiata e  minacciata dal marito, temendo per la propria vita se fosse dovuta tornare in Turchia, ha presentato una domanda di protezione internazionale in Bulgaria, rigettata dagli organi amministrativi, cui è seguita l’ordinanza di rinvio pregiudiziale del Giudice ordinario di quel paese. Quest’ultimo chiede se le norme in astratto applicabili della direttiva vadano interpretate in coerenza della Convenzione di Ginevra, della Convenzione sull’’eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna (d’ora in poi CEDAW) del 1979 e della Convenzione di Istanbul dell11.5.2011, firmata nel 2017 dall’Unione europea  ai fini della concessione della status di rifugiato ex art. 10 della direttiva  o in subordine della protezione sussidiaria in caso di minacce di morte o di trattamenti inumani e degradanti.

Il punto di partenza è la formulazione letterale dell’art. 10 della direttiva che richiama nella qualificazione del “rifugiato” la Convenzione di Ginevra nel senso che “per rifugiato si deve intendere il cittadino di un paese terzo il quale, per timore di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza a un determinato gruppo sociale si trova fuori dal paese di cui ha la cittadinanza e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di detto paese”. Non essendo la condizione femminile specificata espressamente  tra i motivi della persecuzione all’art. 10 la protezione deriverebbe solo dalla possibilità che l’esser donna rientri nella nozione di appartenenza ad “ un determinato gruppo sociale “ (interpretazione negata in via amministrativa in Bulgaria ed oggetto di dubbio da parte del Giudici di questo stato). Va aggiunto che l’art. 10 della direttiva aggiunge che si considera che un “gruppo costituisce un particolare gruppo sociale in particolare quando: i membri di tale gruppo condividono una caratteristica innata o una storia comune che non può essere mutata oppure condividono una caratteristica o una fede che è così fondamentale per l’identità o la coscienza che una persona non dovrebbe essere costretta a rinunciarvi, e  tale gruppo possiede un’identità distinta nel paese di cui trattasi, perché vi è percepito come diverso dalla società circostante”.

Su questo delicatissimo punto la Corte di giustizia si destreggia con la maestria che conosciamo valorizzando i collegamenti tra la disciplina dell’Unione e le Convenzioni internazionali. E’ infatti evidente che le donne rappresentano più della metà del genere umano e, come dice il femminismo radicale della “ differenza”,  una radice dinamica ed evolutiva costitutiva di questo che non può essere assimilata  ad un mero gruppo, ad alcuna minoranza o componente  della società. D’altra parte questo approccio anche meramente letterale all’interpretazione della norma porterebbe ad escludere dalla protezione internazionale tutte le donne che vengono minacciate a causa proprio dell’esser donne in paesi ove i pregiudizi, soprattutto di carattere religioso  o tradizionale, negano (talvolta anche legalmente) e calpestano i diritti fondamentali  delle donne,  proprio a causa della loro appartenenza di genere.

Per questo si impone una interpretazione dell’art. 10 alla luce delle Convenzioni internazionali (CESAW e Istanbul  la seconda sottoscritta dall’Unione) come del resto suggerito dal considerando n. 30 della stessa direttiva che afferma che “ per la definizione di un determinato gruppo sociale occorre tener conto degli aspetti connessi al sesso del richiedente, tra cui l’identità di genere e l’orientamento sessuale, che possono essere legati a determinate tradizioni giuridiche e consuetudini… nella misura in cui sono correlati al timore del richiedente di subire persecuzioni”. 

La Corte sviluppa un sofisticato insieme di rimandi alla Convenzione di Ginevra ed alle due Convenzioni e persino delle linee guida dell’UNHCR  che la portano alla ragionevole conseguenza che si possa considerare gruppo sociale quello composto da donne laddove queste risultino gravemente  minacciate  a causa della loro condizione (una caratteristica innata  ed una storia comune irrifiutabile) in alcuni paesi in virtù di leggi, prassi e pregiudizi imperanti.

Queste le affermazioni nella parte cruciale della decisione (punti 57-61):  

“una discriminazione o una persecuzione subita da persone che condividono una caratteristica comune può costituire un fattore pertinente quando, al fine di verificare se sia soddisfatta la seconda condizione di identificazione di un gruppo sociale prevista all’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2011/95, si deve valutare se il gruppo di cui trattasi risulti distinto alla luce delle norme sociali, morali o giuridiche del paese d’origine di cui trattasi. Tale interpretazione è corroborata dal punto 14 delle linee guida dell’UNHCR in materia di protezione internazionale n. 2, relative alla «appartenenza ad un determinato gruppo sociale» ai sensi dell’articolo 1, sezione A, punto 2, della Convenzione di Ginevra;

      Di conseguenza, le donne, nel loro insieme, possono essere considerate come appartenenti a un «determinato gruppo sociale», ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2011/95, qualora sia accertato che, nel loro paese d’origine, esse sono, a causa del loro sesso, esposte a violenze fisiche o mentali, incluse violenze sessuali e violenze domestiche;

   Come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 79 delle sue conclusioni, le donne che rifiutano un matrimonio forzato, allorquando una tale prassi può essere considerata una norma sociale all’interno della loro società, o trasgrediscono una siffatta norma ponendo fine a tale matrimonio, possono essere considerate appartenenti a un gruppo sociale con un’identità distinta nel loro paese d’origine, se, a causa di tali comportamenti, esse sono stigmatizzate ed esposte alla riprovazione della società circostante che porta alla loro esclusione sociale o ad atti di violenza;

   In quinto luogo, ai fini della valutazione di una domanda di protezione internazionale basata sull’appartenenza a un determinato gruppo sociale, spetta allo Stato membro interessato verificare se la persona che invoca tale motivo di persecuzione abbia «il timore fondato» di essere perseguitata, nel suo paese d’origine, a motivo di tale appartenenza, ai sensi dell’articolo 2, lettera d), della direttiva 2011/95;

    Al riguardo, conformemente all’articolo 4, paragrafo 3, di tale direttiva, la valutazione della fondatezza del timore di un richiedente di essere perseguitato deve avere carattere individuale ed essere effettuata caso per caso con vigilanza e prudenza, fondandosi unicamente su una valutazione concreta dei fatti e delle circostanze conformemente alle disposizioni enunciate, non solo in tale paragrafo 3, ma anche al paragrafo 4 di tale articolo, al fine di determinare se i fatti e le circostanze accertati costituiscano una minaccia tale da far fondatamente temere alla persona interessata, alla luce della sua situazione individuale, di essere effettivamente vittima di atti di persecuzione qualora dovesse tornare nel suo paese d’origine;

    A tal fine, come indicato al punto 36, lettera x), delle linee guida dell’UNHCR sulla protezione internazionale n. 1, dovrebbero essere raccolte le informazioni relative al paese d’origine rilevanti per la valutazione delle domande di riconoscimento dello status di rifugiato presentate dalle donne, quali la posizione delle donne davanti alla legge, i loro diritti politici, sociali ed economici, i costumi culturali e sociali del paese e le conseguenze nel caso non vi aderiscano, la frequenza di pratiche tradizionali dannose, l’incidenza e le forme di violenza segnalate contro le donne, la protezione disponibile per loro, la pena imposta agli autori della violenza e i rischi che una donna potrebbe dover affrontare al suo ritorno nel paese d’origine dopo aver inoltrato una siffatta domanda”.

Non si tratta solo di affermazioni astratte in punta di diritto ma anche della precisa ed esauriente indicazione ai giudici ordinari nazionali delle verifiche da effettuare onde dare concretezza alle garanzie fissate nella direttiva.

Ancora  la Corte ha stabilito che l’accesso alla protezione internazionale spetta anche se le minacce provengono da soggetti non statali laddove si provi l’insufficienza della protezione offerta dalla autorità statali del paese di appartenenza anche se non è necessario stabilire una correlazione diretta tra motivi della persecuzione e i motivi di rifiuto di protezione pubblica interna.

Infine, laddove non sussistessero le condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato, sarebbe comunque possibile ottenere la protezione sussidiaria se si giunge a documentare la minaccia di un “danno grave” che “ricomprende la minaccia effettiva, gravante sul richiedente, di essere ucciso o di subire atti di violenza da parte di un membro della sua famiglia o della sua comunità, a causa della presunta trasgressione di norme culturali, religiose o tradizionali, e che tale nozione può quindi condurre al riconoscimento dello status di protezione sussidiaria..”, che  anche in questo caso viene interpretata in senso estensivo alla luce delle Convenzioni internazionali.

In conclusione si tratta di una luminosa sentenza in una materia così difficile, nella presente fase, come quella della protezione internazionale che consente all’Unione europea di offrire una risposta ai maltrattamenti subiti dalle donne in molti paesi, soprattutto africani, all’altezza dei suoi valori di libertà, dignità e di emancipazione sociale valorizzando  a pieno le norme internazionali (questa volta non sono state chiamate in gioco le disposizioni della Carta dei diritti)  le quali acquisiscono così sul territorio europeo un’effettività ed una cogenza particolare. 

La sentenza ribadisce, poi, i compiti “ attivi” dei giudici ordinari nazionali nel dare attuazione al diritto dell’Unione che non possono limitarsi a fare da passacarte ma devono essere parti diligenti  nell’approntare verifiche effettive e serie  sulle allegazioni dei richiedenti la protezione internazionale  e non possono  rifiutare le domande, senza approfondire sul piano istruttorio, in  base alla  mera  mancanza di prova su quanto dedotto dai richiedenti che non sono ovviamente sempre in grado di documentare i rischi che corrono.  

L’Europa è terra di accoglienza per le donne che sono perseguitate per avere praticato la loro libertà: una risposta sul terreno del diritto, ci pare, anche alla prima rivoluzione femminile della storia, quella che si sta sviluppando in Iran, nonostante la brutale repressione.

Giuseppe Bronzini

Segretario generale Movimento europeo 

 

 

 

 

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DICIAMO NO AGLI INGANNI DEL CONSIGLIO EUROPEO
APRIAMO LA STRADA AD UN PROCESSO COSTITUENTE

I trattori o, meglio, i trattoristi europei - mobilitati dalle ricche organizzazioni che rappresentano il 20% dei nove milioni di aziende agricole europee e beneficiano dell’80% del 30% del bilancio dell’Unione - hanno scelto la comoda scorciatoia della Place de Luxembourg a Bruxelles per scagliare la loro rabbia verso il Parlamento europeo.

Essi hanno fatto finta di ignorare che le responsabilità delle decisioni sui prezzi agricoli, sui prelievi, sugli aiuti e sui limiti quantitativi sono esclusivamente nelle mani del Consiglio (v. l’art. 43 del Trattato sul funzionamento dell’Unione) e dunque dei ministri dell’agricoltura che, dal 1962, gestiscono in piena autonomia la Politica Agricola Comune (PAC).

In più di sessanta anni i ministri dell’agricoltura hanno versato fiumi di denaro a favore delle produzioni più avvantaggiate, delle grandi ed intensive proprietà e delle società di intermediazione con una somma che ammonta per il periodo 2021-2027 a trecento-novanta miliardi di euro e cioè ad un terzo del bilancio europeo ed a cinquanta-cinque miliardi di euro all’anno.

La rumorosa e talvolta violenta protesta delle prevalenti lobbies agricole ha fatto immediatamente presa sui governi nazionali che si sono precipitati a versare altro denaro su chi guida la rivolta - come è avvenuto in Italia dove le occupazioni e i blocchi delle strade ad imitazione delle azioni che sono venute dal Nord  hanno spinto Giorgia Meloni e Francesco Lollobrigida a mettere mano al portafoglio dei contribuenti concedendo loro altri tre miliardi di sovvenzioni sottratti al PNRR - dimenticando di affrontare i problemi di fondo dell’agricoltura europea.

Questi problemi sono legati agli effetti catastrofici delle siccità ma anche delle inondazioni provocate dall’inquinamento, agli eccessi delle burocrazie nazionali, alla persistente dipendenza dai combustibili fossili, all’egemonia delle grandi distribuzioni e delle imprese di trasformazione insieme al ruolo prevalente delle multinazionali che controllano il commercio internazionale da paesi terzi spesso esportatori di prodotti meno salubri e meno costosi.

Che fine hanno fatto l’ennesima riforma della PAC, le garanzie per più sostegni ai giovani per il ricambio generazionale, gli aiuti ai produttori per contrastare l’egemonia dell’intermediazione e della grande distribuzione, il sostegno a chi ha deciso di investire più nella qualità che nella quantità e nel restauro della natura e che fine hanno fatto le promesse per far fronte alla desertificazione delle aree interne?

Nello stesso momento in cui centinaia di trattoristi mettevano a ferro e fuoco la Place de Luxembourg, rovesciavano letame inquinato da pesticidi, lanciavano uova rigorosamente non biologiche e abbattevano la statua del povero John Cockerill vestito da meccanico eretta nel 1872, il Consiglio europeo chiudeva - ancor prima di iniziare la sua riunione - un’operazione di restyling del quadro finanziario europeo bloccata da Viktor Orban un mese prima e vendendola all’opinione pubblica come un grande successo per l’Unione e per l’Ucraina.

Con lo stile tipico del linguaggio intergovernativo, il Consiglio europeo ha risposto da par suo agli agricoltori che tentavano di assaltare il Parlamento europeo informandoli di aver “discusso delle sfide che si pongono nel settore agricolo e delle preoccupazioni espresse dagli agricoltori invitando il Consiglio e la Commissione a far avanzare i lavori per quanto necessario impegnandosi a seguire l’evoluzione della situazione e ricordando il ruolo essenziale della Politica Agricola Comune” come a dire di andare a protestare davanti al Justus Lipsius e al Berlaymont e non davanti al Palazzo Spinelli.

Vale la pena di esaminare in dettaglio le decisioni politiche adottate all’unanimità dal Consiglio europeo, che dovranno essere tradotte in atti conseguenti dal Consiglio in accordo con il Parlamento europeo.

Esse sono quasi tutte concentrate sul raggiungimento dell’obiettivo della promessa di fornire all’Ucraina in guerra contro l’aggressione della Russia di Putin cinquanta miliardi di euro per i due terzi in prestiti che saranno effettivamente elargiti solo quando inizierà l’opera di ricostruzione dopo il conflitto con un rigoroso e opportuno monitoraggio delle modalità in cui saranno spesi per evitare fenomeni di corruzione e per un terzo in sovvenzioni dirette di carattere umanitario e non militare.

Il Consiglio europeo ha adottato la precondizione che l’Ucraina prosegua nei suoi sforzi di rendere effettivi i meccanismi democratici, il rispetto dello Stato di diritto e la garanzia dei diritti fondamentali insieme a quelli delle minoranze, la lotta ai conflitti di interesse e alle frodi con la conseguenza che i pagamenti potrebbero essere sospesi se queste precondizioni non fossero rispettate.

Mentre il Consiglio europeo prometteva con la mano destra di elargire i cinquanta miliardi all’Ucraina suggerendo ad Ursula von der Leyen – felice di accogliere questo suggerimento – di essere meno rigida sulle violazioni dello Stato di diritto in Ungheria, i ministri dell’agricoltura promettevano con la mano sinistra ai grandi produttori di grano europeo di ridurne le importazioni dall’Ucraina.

Vi sono poi questioni nello stesso tempo finanziarie e cioè di politica fiscale ed economiche che emergono sotto traccia dalle decisioni politiche del Consiglio europeo che ha venduto alle opinioni pubbliche nazionali una revisione del Quadro Finanziario Pluriennale 2021-2027 di un ammontare teorico di poco più di sessantaquattro miliardi di Euro che si riducono invece della metà se sottraiamo i trenta-tre miliardi di prestiti all’Ucraina con la conseguenza che il Consiglio consegnerà al Parlamento europeo un bilancio pluriennale rivisto pari a  meno della metà di quello che aveva chiesto l’assemblea e alla metà di quello proposto dalla Commissione europea.

Se esaminiamo attentamente le briciole del bilancio rivisto dal Consiglio europeo ci rendiamo conto  

  • che la risposta europea all’IRA statunitense (Inflation Reduction Act), che ammonta a 369 miliardi di dollari, è di 1,5 miliardi di euro per finanziare il cosiddetto Strategic Technologies for Europe Platform (STEP) tutto dedicato ad un Fondo per la difesa europea,
  • che due miliardi saranno dedicati alla protezione delle frontiere…quando sarà adottato il nuovo Patto sulle migrazioni e l’asilo a cui si aggiunge il criptico suggerimento del Consiglio europeo alla Commissione di usare le potenzialità della politica di coesione
  • che 7,6 miliardi saranno globalmente dedicati alla “tensione geopolitica straordinaria” per sostenere i rifugiati siriani in Turchia, il fondo europeo per l’Africa, i Balcani occidentali e le regioni vicine del Sud e di nuovo l’Africa insieme allo NDICI (Neighbourhood, Development and International Cooperation Instrument)
  • che due miliardi saranno dedicati al cosiddetto strumento della flessibilità (Flexibility Instrument) in particolare per un aggiornamento delle priorità nella PAC e nella politica di coesione
  • e che infine 1,5 miliardi di euro saranno stanziati per far fronte ai disastri naturali e alle crisi umanitarie nei paesi terzi attraverso gli strumenti della SEAR (Solidarity and Emergency Aid Reserve).

Nessuna decisione invece è stata presa o annunciata sulle nuove risorse proprie proposte dalla Commissione europea nel 2020 che, se introdotte, saranno usate per rimborsare almeno una parte del debito contratto con il NGEU mentre se non saranno introdotte il debito contratto con il NGEU ed anche quello dei prestiti all’Ucraina dovranno essere rimborsati dagli Stati membri poiché il bilancio europeo sarà utilizzato solo come garanzia del provvisorio debito europeo per pagare gi interessi ma non per rimborsare i debiti entro il 2058.

Nulla è stato detto sull’urgenza e la necessità di rafforzare risposte alle emergenze come il Fondo per una transizione ecologica giusta (Just Transition Fund) che riguarda anche la PAC e, soprattutto, sulle risposte che l’Unione europea deve dare alle sfide della transizione ecologica, alla transizione digitale e alle innovazioni tecnologiche che implicano una politica industriale europea e al superamento della dipendenza dall’egemonia statunitense in termini di sicurezza e di difesa a cui si deve accompagnare un impegno più consistente ed europeo nella dimensione sociale.

Sarà capace il Parlamento europeo usando un potere che gli è attribuito dal Trattato di rifiutare - con un atto di pacifica insurrezione istituzionale - l’approvazione della proposta di regolamento del Consiglio che fisserà il nuovo ammontare del Quadro Finanziario Pluriennale così come deciso dal Consiglio europeo sapendo che gli aiuti all’Ucraina possono essere adottati anche al di fuori del bilancio europeo così come del resto appare da una attenta lettura delle conclusioni del Vertice del 1° febbraio ?

Noi crediamo che il rifiuto del Parlamento europeo sarebbe un atto di responsabilità e di saggezza politica se chiaramente giustificato anche in vista del prossimo Quadro Finanziario Pluriennale e costringerebbe il Consiglio europeo e poi il Consiglio a ritornare sui suoi passi.

Quest’atto di pacifica insurrezione istituzionale sul tema della fiscalità europea – che potrebbe accompagnarsi alla constatazione del silenzio assordante e ostile del Consiglio europeo sulla necessità di superare il Trattato di Lisbona – potrebbe avere lo stesso effetto potenziale che ebbe nel 1979 il rigetto del bilancio per il 1980 dando vita all’iniziativa costituente conclusasi il 14 febbraio 1984 con l’approvazione di un nuovo progetto di Trattato istitutivo dell’Unione europea (“Progetto Spinelli”).

Roma, 5 febbraio 2024

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