Newsletter n.10/2021 - Le ultime da Bruxelles

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Un ruolo delle imprese determinante per la difesa dei diritti umani e dell’ambiente

 di Anna Maria Villa

L’ambiente, la digitalizzazione e la pronta attuazione del pilastro sociale sono le tre linee di azione da seguire, per garantire la ripresa e la resilienza dell’Unione europea dopo la crisi causata dal Covid-19.

Una ripresa e resilienza che presuppongono una nuova e rafforzata immagine dell’Unione europea nell’affrontare i temi sociali ed ambientali anche a livello internazionale. Il rispetto dei diritti umani e la protezione dell’ambiente, in un contesto economico globale, hanno infatti conseguenze oltre i confini europei.

Molte imprese europee operano in mercati internazionali ed in aree dove la tutela dei diritti umani e ambientali è ben lungi da quella garantita in Europa e in occidente.  In quelle aree, anche la loro attività può contribuire a determinare impatti sociali ed ambientali negativi.  L’Europa e le sue imprese sono chiamate dunque ad assumere un diverso ed importante ruolo anche a livello globale, presentandosi con una nuova immagine rispetto a quella adottata sino ad oggi, in coerenza e all’insegna di quei principi ritenuti fondamentali a livello europeo.

Lo sviluppo del commercio internazionale e delle relative catene di valore sono state sicuramente un’indiscussa fonte di benessere per le imprese e per certi aspetti anche per i paesi in via di sviluppo, dove vengono acquistate molte delle materie prime (ad oggi essenziali per la nostra economia, soprattutto per il settore digitale) e dove numerose industrie hanno delocalizzato i loro impianti. 

Il problema della tutela dei diritti umani è noto da tempo. Già nel 2011 le Nazioni unite pubblicavano ‘I Principi guida su impresa e diritti umani’ (UNGP’s), che stabilivano una serie di principi generali che i vari attori si impegnavano a osservare su base volontaria. Gli Stati dovevano proteggere i diritti umani attraverso norme ad hoc e le imprese dovevano rispettarli attraverso un controllo sulle loro attività con azioni di prevenzione e ripristino di eventuali effetti negativi da loro stesse causati. Si trattava di una serie di indicazioni per promuovere una condotta di impresa responsabile e prevenire la violazione di diritti umani.

Analogamente, anche a livello di OCSE e ILO si lavorava per la definizione di standards – sempre su base volontaria - per la redazione da parte delle imprese di una dichiarazione (c.d. due diligence report), con cui si dava informazione di aver rispettato i principi e le norme in materia di diritti umani ed ambientali nell’ambito della propria attività.

Anche a livello europeo sono state adottate una serie di iniziative costituite da norme vincolanti e iniziative volontarie per tutelare i diritti umani ed ambientali nei settori considerati più vulnerabili, quali industrie estrattive, industrie del legname, industrie della moda e del pellame. Inoltre l’Unione europea è stata spesso coinvolta in iniziative di alto valore morale, quali il c.d. Kimberley process,  lo stop al commercio dei diamanti estratti  commercializzati da gruppi armati, i cui proventi finanziavano conflitti interni; ovvero il regolamento per una due diligence obbligatoria per gli importatori europei di alcuni minerali, estratti, in particolare  in paesi del centro Africa, ad opera di bande ribelli locali, che li commercializzavano per finanziare con i proventi i conflitti locali. Grazie a quest’ultimo regolamento, le imprese europee dovevano dichiarare di essere certe che i prodotti acquistati non contribuivano al conflitto nella zona.  Con lo stesso fine, il regolamento approvato nel 2010 prevede misure per bloccare il commercio internazionale del legname (e relativi prodotti) raccolto illegalmente. In questo caso la due diligence – obbligatoria – richiede alle imprese importatrici di indicare l’origine del legname acquistato e rivenduto in Europa.

Un’altra importante direttiva è quella sulla redazione di report non finanziari (NFRD). Dal 2018 la direttiva chiede alle grandi imprese di fornire informazioni sulle loro politiche riguardanti la corretta applicazione delle norme di protezione ambientale, responsabilità sociale, gestione del personale, rispetto dei diritti umani, lotta alla corruzione e alla concussione ecc. nonché una previsione sui possibili impatti negativi delle attività. La relazione di due diligence però non è obbligatoria per la parte riguardante il rispetto dei diritti umani per le attività realizzate in tutta la catena di valore dell’impresa, anche se la mancata informazione deve essere motivata.

La Commissione ha lanciato di recente una consultazione per proporre una revisione di questa direttiva entro il primo quadrimestre 2021. Molte organizzazioni della società civile hanno infatti denunciato che l’implementazione della direttiva per quanto riguarda la parte dei diritti umani è discontinua e necessita di una revisione per un’armonizzazione del sistema a livello UE.  Ad oggi, infatti, l’Unione europea - salvo che in specifici settori – ha seguito un approccio essenzialmente di tipo volontaristico, che ha creato diversità di applicazione della direttiva nei vari Stati membri e quindi ha posto le imprese in diverse condizioni operative. Emerge pertanto una mancanza di certezze legali tra imprese dei diversi Stati che operano negli stessi settori, nonché di strumenti a tutela delle parti lese.

Con il Green Deal europeo, si è avuta una diversa impostazione dell’azione dell’Unione in Europa e nel mondo. Ponendo al centro dell’attenzione l’uomo e l’ambiente, la strategia sottolinea la necessità di evitare di riallocare industrie europee con un impatto ambientale negativo oltre i confini europei.  Pertanto, una due diligence che riferisce anche sul rispetto dei diritti umani e sulla tutela ambientale sembra essere uno strumento importante anche a supporto della realizzazione degli obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite

La crisi sanitaria dovuta al COVID 19, come detto in più occasioni, ha sicuramente aumentato le divergenze tra paesi dell’Unione e anche tra paesi extra europei. È, dunque, essenziale un nuovo ruolo delle istituzioni europee e delle imprese anche oltre i confini dell’Unione.

Il Parlamento europeo ha affrontato questa problematica ed ha adottato una risoluzione di iniziativa, con cui chiede alla Commissione di intervenire su quelle imprese responsabili di atti contro i diritti umani e gli standard ambientali lungo tutta la linea di valore delle attività, non solo in Europa ma anche in quei paesi, con cui le stesse hanno relazioni economiche.

Si tratta di una importante indicazione che coinvolge la stessa governance aziendale. Le imprese saranno infatti chiamate a valutare preventivamente la loro strategia di azione per evitare impatti negativi in termini di rispetto dei diritti umani (compresi i diritti sociali, sindacali e del lavoro), tutela dell’ambiente (per es. in termini di lotta al cambiamento climatico, deforestazione, ecc.), grazie ad una nuova e trasparente governance interna, che principalmente prevede una maggiore responsabilità direzionale, la lotta alla corruzione, una due diligence obbligatoria anche sui diritti umani.

Tutte le imprese (piccole e grandi, industriali, commerciali e finanziarie) saranno, dunque chiamate a adottare misure commisurate alla possibilità di realizzazione di eventi negativi dovuti alla loro attività e a adottare azioni di prevenzione in relazione alle loro dimensioni, alle risorse a disposizione e in rapporto alla lunghezza della catena di valore a cui partecipano, sia in Europa e sia all’estero.

Le imprese europee, che operano all’estero, infatti potranno essere ritenute responsabili del mancato rispetto dei diritti umani o di un evento negativo sull’ambiente, entrambi causati dalla loro attività, salvo che non dimostrino di aver adottato tutte le misure ragionevoli di prevenzione e quindi saranno sanzionate in base alle leggi nazionali per i danni prodotti. Ci sarà infine la possibilità di tutela per chi ha sofferto un danno.

Anche gli Accordi internazionali dovranno prevedere questi temi nei capitoli del commercio e dello sviluppo sostenibile.

Una richiesta molto importante, dunque, nata dalla necessità che l’attività di impresa ovunque svolta, possa garantire il rispetto dei diritti umani e la tutela ambientale in tutti i paesi del mondo, ma anche nata dall’importanza per le imprese ad operare in una parità di trattamento, certezza del diritto, trasparenza decisionale. Accettare lo sfruttamento di minori, o pratiche di produzione non corrette, esclusivamente per questioni legate al profitto non è etico e avrebbe perpetuato con diversi metodi lo sfruttamento di popoli e nazioni già in profonda sofferenza. Non è questo il metodo per portare crescita e benessere in paesi sofferenti, anche se molto probabilmente gli effetti positivi di questa nuova impostazione non saranno subito percepiti dall’impresa e dai paesi dove questa opera. Ci auguriamo però che in tempi brevi possa essere raggiunto quel risultato positivo sperato su popolazioni e territori spesso devastati dalla mancanza di rispetto. Le ditte europee hanno dunque un compito estremamente importante nella lotta alla povertà e allo sfruttamento, anche se tutto ciò sicuramente almeno all’inizio costituirà per loro un grande impegno.