Newsletter 28 Giugno/2021 - L'EDITORIALE

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C’era una volta il MES…

Il meccanismo europeo di stabilità (o MES) fu creato nel 2012 nel momento più drammatico della crisi finanziaria legata al debito pubblico greco ed è stato a lungo il simbolo di un’Unione europea incapace di risolvere con flessibilità e visione a lungo termine la questione di una prosperità condivisa e della convergenza delle politiche economiche degli Stati membri.

Otto anni dopo la creazione del MES, una buona parte dei governi e dei governanti che erano stati alle origini delle sciagurate misure economiche e finanziarie ritenute allora indispensabili per far uscire l’Unione europea dalla crisi sono stati per alcune settimane convinti che la pandemia avrebbe colpito l’Unione a macchia di leopardo risparmiando i paesi finanziariamente solidi, che prestando denaro per un tempo limitato ai paesi più colpiti per limitare il peso delle spese sanitarie li avrebbero aiutati a combattere gli effetti del virus e che alla scadenza del prestito essi avrebbero dovuto rimborsare i presiti così generosamente elargiti.

Come nel 2012, si ritenne che il problema principale dell’economia europea fosse legato alla liquidità delle banche e che la soluzione – legata anche a passi in avanti sostanziali nell’Unione europea – dovesse essere trovata non già nella condivisione dei rischi da parte di tutto il sistema ma nella riduzione dei rischi bancari ognuno per sé.

Con la sola eccezione dell’Italia dove l’accettazione o la non accettazione del MES è diventata una disputa ideologica nazional-popolare precostituendo le condizioni per far cadere il governo Conte II, negli altri paesi la potenza degli effetti economici e finanziari della pandemia aveva spinto i leader ad aprire una discussione sull’essenza stessa dell’Unione europea con posizioni contrapposte fra i cosiddetti paesi frugali e i paesi che potremmo chiamare della coesione.

Il Consiglio è giunto ad un accordo sulla riforma del MES che, essendo uno strumento intergovernativo dedicato solo ai paesi dell’area dell’euro e finalizzato a sostenere le banche, dovrà essere ora approvato in tempi non certi da tutti i parlamenti nazionali dei diciannove.

Dopo il dramma nazional-popolare italiano su MES-SI e MES-NO nessuno più parla in Italia dell’uso del MES per uscire dalla crisi sanitaria ed il dibattito si è fortunatamente spostato sulla capacità del paese per adottare le riforme interne necessarie per rispettare le condizioni europee nell’uso del Next Generation EU e del Piano ad esso collegato (che, come sanno i nostri lettori, non è un Fund).

Abbiamo deciso di chiedere ad un gruppo di esperti ed accademici di riscrivere la cronaca dei  mesi che hanno portato dalla apparente centralità del MES come strumento intergovernativo per i paesi dell’Eurozona al fine di combattere gli effetti di una pandemia che stava invece colpendo tutta l’Unione alle differenti iniziative (la “lettera dei Nove”, l’iniziativa franco-tedesca per un fondo di 500 miliardi di Euro a fondo perduto, le proposte della Commissione europea del Recovery Fund, il sostegno del Parlamento europeo…) che hanno spostato  il dibattito dalla dimensione intergovernativa a quella comunitaria, dallo strumento dei prestiti a quello degli investimenti, dai contributi nazionali al debito europeo, dalla centralità del Consiglio ai poteri della Commissione.

Partendo dal tema della politica fiscale europea e della sua unione di bilancio (su cui il Movimento europeo ha fatto precise proposte insieme al Centro studi sul federalismo), si tratta ora di disegnare la nuova Europea a cominciare dalla governance (e cioè dal governo democratico) dell’UEM per fissare le regole, le politiche e le scadenze di un’Unione politica fra gli Stati e i cittadini che vorranno farne parte.

Si tratta di un compito complesso ma non complicato che non può essere lasciato alla responsabilità del Consiglio europeo (lo “spazio istituzionale della paralisi”, come ci ha ricordato Sergio Fabbrini) ma che deve essere assunto dal Parlamento europeo secondo una logica costituente.

 

coccodrillo