Newsletter 24 Gennaio/2022 - L'EDITORIALE

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CRESCITA, SOSTENIBILITA’ DEI DEBITI E FUTURO DELL’EUROPA

La riunione dell’Eurogruppo a diciannove del 17 gennaio presieduta dal ministro delle finanze irlandese Donohoe e presidente dell’Eurogruppo, e quella dei ministri delle finanze dell’Unione europea a ventisette (ECOFIN) del 18 gennaio presieduta dal ministro dell’economia, delle finanze e del rilancio francese Le Maire sono servite essenzialmente per tastare il polso ai nuovi ministri tedesco, austriaco, olandese e lussemburghese.

Sono tutti convinti che, per molti mesi, la corsa delle istituzioni europee e nazionali verso la riforma della governance economica e finanziaria si giocherà come una gara ciclistica di velocità su pista dove tutti i corridori useranno la tattica dilatoria del surplace.

Viene attribuita al primo presidente della Commissione europea, Walter Hallstein, l’analogia fra la corsa della bicicletta e l’integrazione europea: ambedue se non camminano rovinano per terra ed evidentemente Walter Hallstein credeva poco nell’efficacia della tattica del surplace ed era comunque convinto che, alla fine del surplace, bisognava riprendere la corsa e vincere se si fosse accettato il principio (sbagliato) che nella corsa dell’Europa i paesi membri non sono alleati nella stessa squadra ma avversari.

Eurogruppo e Ecofin hanno affrontato prima a diciannove e poi a ventisette, sotto l’occhio attento delle istituzioni sovranazionali (Commissione europea e BCE), questioni di interesse comune come il caro-energia, la crescita dell’inflazione, le prospettive dell’economia europea in attesa del rapporto della Commissione europea dell’11 febbraio e se si uscirà dalla pandemia, il cammino verso l’unione bancaria e, soprattutto, la riforma del Patto di stabilità e crescita nato nel 1993 dalle costole del Trattato di Maastricht di cui ricorderemo il 7 febbraio i trent’anni dalla sua firma.

Nella sola dimensione a diciannove i ministri hanno affrontato – en passant – la questione del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES), che è stato modificato nel 2020 con un accordo unanime per facilitare in particolare le misure a sostegno delle banche e dunque il completamento dell’unione bancaria ma che, essendo un trattato internazionale, dovrà essere ratificato da tutti i parlamenti nazionali.

Mancano all’appello la Francia e il Portogallo che giustificano il ritardo per le complicazioni tecniche delle procedure parlamentari sorvolando sul fatto che la Francia è già in campagna elettorale e che il Portogallo rinnoverà l’Assemblea della Repubblica il 30 gennaio.

Mancano anche la Germania che è in attesa di una sentenza del Tribunale costituzionale di Karlsruhe che dovrebbe essere emessa entro la fine di marzo e l’Italia avendo il nostro ministro delle finanze Daniele Franco infornato i colleghi ministri che il governo Draghi ha depositato davanti al Parlamento italiano gli strumenti di ratifica e che è in attesa del completamento delle procedure parlamentari.

Quel che Daniele Franco non ha precisato ma che aleggiava nella sala dell’Eurogruppo e dell’Ecofin è la doppia incertezza politica che pesa sulla ratifica italiana sia per la nota ostilità di Lega e 5 Selle sia perché nulla si può prevedere sulla situazione politica italiana dopo l’elezione del Presidente della Repubblica.

Quel che è certo invece è che entro la fine del 2022 dovrà essere presa una decisione sulle modalità di funzionamento del Patto di Stabilità e di Crescita la cui sospensione introdotta per gli effetti della pandemia scadrà il 31 dicembre 2022 e che, se non fosse modificato, spetterà alla Commissione europea “interpretarlo” alla luce della situazione economica e finanziaria dei paesi membri.

Sappiamo già che la Commissione europea presenterà una sua proposta dopo le elezioni legislative in Francia del prossimo giugno e che l’esecutivo europeo ritiene che debba essere avviata una riforma dell’insieme della governance economica dell’Unione economica e monetaria e che essa comprende non solo il Patto del 1993 ma tutti gli strumenti adottati dopo la crisi finanziaria del 2007-2008 (Fiscal Compact, Six Pack, Two Pack, Semestre europeo).

Questa tematica è legata alla distinzione non teorica ma maledettamente concreta fra chi ritiene che la crescita (economica) faciliti la stabilità (finanziaria), come ha affermato il ministro  francese Le Maire e come è sottinteso diplomaticamente nella presa di posizione di Emmanuel Macron e Mario Draghi, e chi ritiene invece che la stabilità e cioè la sostenibilità del debito nazionale preceda e sia una condizione degli investimenti che garantiscono la  crescita, come ha ribadito il nuovo ministro delle finanze tedesco Lindner all’unisono con quelli austriaco e finlandese ma trovando una crepa nel muro dei frugali creata da una linea più aperta del nuovo governo olandese.

La crescita, del resto, non può essere solo legata alla capacità e al diritto di investire in spese pubbliche a livello nazionale – golden rule - grazie anche ai prestiti (loans) che dovranno essere rimborsati dai paesi che li hanno contratti e alle sovvenzioni (grants) nel quadro del NGEU come risposta all’emergenza della pandemia.

Essa deve essere legata alle sfide della transizione ecologica e digitale che dureranno ben al di là del 2026 – e dunque dei PNRR – e che richiederanno investimenti europei e dunque sia risorse europee attraverso varie forme di tassazione europea che strumenti innovativi di debito pubblico europeo come l’emissione di bond perpetui destinati a creare una forma di azionariato dell’Unione europea.

Il caro-energia e l’aumento dell’inflazione (che le banche centrali avevano erroneamente stimato intorno all’1% e che è arrivato nell’Eurozona al 3-3,5%) sono poi strettamente collegati, dovranno fare i conti con la situazione geopolitica (dove le eventuali sanzioni alla Russia in caso di un aggravamento della tensione al confine con l’Ucraina sapendo che i nostri approvvigionamenti dipendono per il 50% dal gas russo) e con il fatto che l’Unione europea nel suo insieme non ha alcun potere in materia di approvvigionamenti in risorse prime energetiche.

A quasi cinquanta anni dalle crisi energetica scoppiata nel 1973 e che provocò la prima politica di austerità e la rottura della solidarietà fra i paesi europei, siamo tutti perfettamente coscienti della assoluta interdipendenza fra i nostri sistemi industriali in particolare nel manufatturiero e che una crisi nel settore produttivo italiano provocherebbe effetti immediati in quello tedesco e viceversa.

Potrebbe apparire un inutile ritornello ma le discussioni nell’Eurogruppo e poi nell’Ecofin (sapendo che presto l’Eurozona accoglierà i paesi che ne sono rimasti fuori per ragioni economiche come Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca e Romania, che Polonia e Ungheria dovranno decidere se vogliono far parte a pieno titolo della famiglia europea ivi compresa la moneta unica, che la Svezia dovrà essere chiamata o prima o poi al rispetto del trattato che non le ha concesso nessun opting out lasciando fuori solo la Danimarca) hanno messo in luce ancora une volta che – al di là dei problemi apparentemente di tecnica finanziaria – è in questione tutto il  futuro dell’Unione europea.

 

coccodrillo