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Newsletter 11 Aprile/2022 - L'EDITORIALE

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Fra Confederazione continentale e Federazione europea:
il futuro delle relazioni fra mondo slavo e Unione europea dopo la guerra in Ucraina

Nella storia più recente dell’umanità ci sono stati alcuni leader che, pur essendo costretti a cedere al dominio della forza, hanno contribuito a cambiare il corso degli avvenimenti non solo per il loro paese ma per un insieme più vasto di popoli e di stati.

Fra questi leader c’è stato certamente Michail Gorbačëv che divenne segretario del PCUS dal 1985 e presidente del Soviet Supremo dal maggio 1989 e cioè cinque mesi prima della caduta del Muro di Berlino e della fine della “guerra fredda”.

In occasione delle annuali commemorazioni del 9 novembre 1989 pochi ricordano il ruolo determinante di Michail Gorbačëv nell’impedire che Berlino diventasse una nuova Budapest (1956) o una nuova Praga (1968) e che la fine della guerra fredda avrebbe potuto rappresentare il primo passo verso la costituzione della “casa comune europea” di cui parlò lo stesso Gorbačëv nel 1989 davanti al Consiglio d’Europa.

Così non è stato perché i leader europei non furono capaci di costruire al posto della cortina di ferro un solido sistema integrato per la sicurezza e la pace in Europa nel quadro della “confederazione” proposta a Praga da François Mitterrand nel 1989, che avrebbe dovuto unire le tre culture continentali: il mondo slavo, il mondo greco-romano e il mondo anglo-sassone e al cui interno avrebbe dovuto essere preservato il modello sovranazionale delle comunità europee in una prospettiva federale.

È stato così che dal dissolvimento dell’Unione sovietica è nata la Federazione russa governata dopo Michail Gorbačëv dall’autocrate Boris Eltsin e poi dal nuovo zar Vladimir Putin, che la prima vittima di questa situazione è stato il popolo russo e che i paesi dell’Europa centrale liberati dall’imperialismo sovietico hanno sviluppato nel tempo la convinzione che l’adesione alla NATO e all’Unione europea sarebbe stata lo strumento per garantire la loro sovranità nazionale.

Nonostante questa convinzione, la dissoluzione dell’Unione sovietica e la conquista o riconquista della democrazia e della libertà in Europa centrale hanno determinato il fatto storico e culturale, oltre che politico ed economico, della ricomposizione della frattura fra una buona parte del mondo slavo (Repubblica Ceca, Slovacchia, Polonia, Bulgaria, Slovenia, Lituania e Lettonia, Croazia) ed i mondi anglo-sassone e greco-romano con l’adesione di questi paesi all’Unione europea a cui dovrebbe seguire il futuro ingresso degli altri Stati che appartenevano alla Federazione jugoslava (Serbia, Montenegro, Bosnia Erzegovina e Macedonia del Nord).

Contrariamente alla Cina popolare, che rappresenta per l’Unione europea un “rivale sistemico”, il mondo slavo, il mondo greco-romano e il mondo anglo-sassone appartengono tutti e tre alla storia europea o per essere più precisi alla storia indoeuropea frutto di identità culturali multietniche e multireligiose che affondano le loro radici nei secoli anche se fra i tre mondi ci sono state fratture che sono state cause di guerre secolari, che hanno portato alla creazione – dopo la pace di Vestfalia nel 1648 e dal Portogallo al Mar Nero - dell’invenzione europea degli Stati-nazione con l’eccezione dell’impero austro-ungarico fino al 1918 e della “grande Russia” divenuta nel 1917 l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche e poi l’impero sovietico e che hanno comportato la soppressione di una parte delle identità delle nazioni slave.

Vale la pena di ricordare che, fra gli obiettivi dell’integrazione europea il primo è stato la promozione della pace, consacrato all’inizio dell’art. 3 del Trattato sull’Unione europea. Non a caso, nell’ottobre 2012 è stato conferito all’Unione europea il Premio Nobel per la Pace, così riconoscendo il contributo dell’Unione alla pace ed alla riconciliazione fra i popoli, grazie al quale gran parte del continente è stato trasformato da un teatro di guerre a un’area di pace. Ma tale risultato, da tutelare e preservare quotidianamente, è considerato storico alla luce del passato del nostro Continente, diviso in due principali fasi.

Nella prima, alle radici filosofiche elleniche, che influenzano tutto l’Occidente, fanno seguito la pax e il diritto romano che uniscono gli antenati di tanti fra gli attuali popoli europei, plasmandone le coscienze giuridiche. Il cristianesimo poi, che condivide radici storiche con l’ebraismo, diffonde fra gli europei e fra tante genti che arrivano sul nostro continente le medesime norme morali riconoscendo ai sovrani l’autorità civile di tradurle in leggi, insieme agli istituti romanistici. La lingua latina, con quella greca (lingua franca la prima e koiné dialektos la seconda) – senza dimenticare il protoslavo che deriva dal protoindoeuropeo, l’antenato comune di tutte le lingue indoeuropee - permette, per secoli, la comunicazione a livello delle élites politiche e intellettuali; nutrite anche dagli innesti culturali arabo-berberi e dalle loro conoscenze, specie matematiche, geometriche e mediche. Per queste ragioni l’Europa medievale, nonostante le difficoltà di comunicazione e le costanti guerre intestine, viene ricordata come un universo culturale alquanto omogeneo.

Nella seconda le rotture religiose fra le componenti cattolica, protestante e ortodossa insieme a quelle politiche, i terribili e lunghi conflitti feriscono quest’unità europea e favoriscono l’affermarsi delle nazioni, con le loro lingue, il loro credo, le loro ambizioni e aspre rivalità. Le nuove unità statali rivendicano un principio di legittimità autonomo, dando vita a nuove forme di governo e di autorità in Europa che si combattono per il predominio, durante secoli di conflitti ovunque nel mondo dove si contendono i domini coloniali. Le potenze dell’Europa divisa, alternando le alleanze e guerreggiando, puntano a conquistare il primato ciascuna per sé.

In quei tempi, l’idea dell’unificazione europea - con rare eccezioni di qualche filosofo o pensatore illuminato - era appannaggio di chi intendeva imporre la sua egemonia o il suo imperialismo sugli altri, sconfiggendoli e conquistandone i territori. Il culmine di questa disastrosa deriva plurisecolare degli Stati nazione sono state le due guerre del ventesimo secolo, definite “mondiali” per la dimensione devastatrice.

Eppure, gli stessi fermenti e le tragedie che ci hanno diviso e contrapposto hanno finito, a ben vedere, per creare un ulteriore legame perché hanno coinvolto tutte le popolazioni europee, per decine e decine di generazioni, nel medesimo turbinio. Così è stato durante la Seconda Guerra Mondiale con la resistenza combattente sotto diverse bandiere nazionali ma con unico spirito e un unico obiettivo. Ecco perché la ricerca della pace rappresenta il primo elemento distintivo dell’identità europea.

Come è avvenuto nel 1950 quando la Germania (occidentale) e la Francia hanno cancellato secoli di rivalità dopo la dissoluzione del Terzo Reich per avviare con l’integrazione comunitaria un processo di unificazione fondato sulla via della pace rivolgendosi agli altri paesi dell’Europa democratica e occidentale, così la sconfitta della Russia di Vladimir Putin - e dei suoi complici in Bielorussia, in Cecenia, in Kazakistan, in Crimea ma anche in Armenia - dopo l’invasione dell’Ucraina dovrà aprire la strada ad una Conferenza sulla pace e sulla sicurezza nel continente europeo sul modello degli accordi di Helsinki del 1975 (Helsinki-2) ricomponendo la frattura fra tutto il mondo slavo con i mondi greco-romano e anglo-sassone - così come la ripresa e l’approfondimento del dialogo interreligioso fra le religioni monoteiste e fra esse e la cultura umanista - nel quadro della Confederazione auspicata da François Mitterrand a Praga nel 1989 al cui interno dovrà essere rafforzata - attraverso un processo costituente - l’unità politica fra i paesi ed i popoli pronti a rinunciare ad illusorie sovranità assolute per condividere un progetto secondo un modello federale fondato sul rispetto dello stato di diritto.

Questo processo parallelo di cooperazione sul continente europeo dovrà essere rafforzato dal ritorno alle dimensioni transnazionali del popolarismo cristiano, dell’internazionalismo socialista e del cosmopolitismo liberale a cui si è aggiunto negli ultimi quarant’anni il movimento ambientalista all’interno di uno spazio pubblico che garantisca il libero confronto fra la democrazia rappresentativa, la democrazia partecipativa e la democrazia di prossimità.

Roma, 12 aprile 2022

 

coccodrillo

 

 

 

 

 

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