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Newsletter 6 Giugno/2022 - L'EDITORIALE

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ARTICOLO 7 DEL TRATTATO DI LISBONA SULLO STATO DI DIRITTO
CARTELLINO ROSSO PER VIKTOR ORBAN?

Il “progetto di Trattato sull’Unione europea” del 14 febbraio 1984 (“progetto Spinelli”) era fondato sull’idea che fosse necessario rilanciare l’opera di unificazione democratica dell’Europa e che, per ottenere quest’obiettivo, fosse indispensabile fondare la futura unione sui principi della democrazia pluralista, del rispetto dei diritti umani e dello stato di diritto, dunque del primato del diritto europeo su quello degli Stati membri.

Fra le maggiori innovazioni del “progetto Spinelli” vi era l’affermazione secondo cui si poteva diventare membri dell’Unione europea solo a condizione di rispettare questi principi e questi valori ma che, se uno Stato membro li avesse violati, la Corte di Giustizia avrebbe potuto constatarne l’estraneità alla vita democratica dell’Unione europea consentendo al Consiglio europeo dei capi di Stato e di governo con una decisione a maggioranza qualificata e dopo l’accordo del Parlamento europeo - di emarginarlo dal funzionamento delle istituzioni evitando così  che un regime illiberale potesse paralizzare il funzionamento del sistema europeo per proteggere l’illegittimità della sua sola sovranità assoluta.

Dopo la vicenda della formazione in Austria del governo sostenuto dal partito neo-fascista guidato da Joerg Haider nel 1999, i governi europei hanno cercato di correre ai ripari introducendo nei trattati e a modifica del  Trattato di Amsterdam una norma di natura costituzionale simile a quella suggerita dal “progetto Spinelli” allo scopo non solo di condannare le violazioni ma di prevenirle affidando tuttavia il potere di intervento alla decisione arbitraria e per di più all’unanimità del Consiglio europeo escludendo sorprendentemente l’intervento della Corte di Giustizia e auto-attribuendosi il diritto di “non-decidere” alla unanimità.

Il meccanismo intergovernativo confermato dal Trattato di Lisbona è rimasto inapplicato consentendo alla Polonia e all’Ungheria di collocarsi progressivamente in una situazione di estraneità rispetto alla vita democratica dell’Unione europea e creando un inaccettabile stato discriminatorio fra i cittadini europei all’interno e all’esterno di quei paesi.

L’estraneità della Polonia di Jaroslaw Kaczynski e di Mateusz Morawiecki dalla vita democratica dell’Unione europea continua a nostro avviso a permanere nonostante le modifiche-fantoccio introdotte dal Parlamento polacco alla riforma della giustizia che lasciano inalterato il controllo del governo sui giudici, una pseudo riforma che la Commissione europea si appresta ad approvare la concessione dei fondi del NGEU – se il Parlamento europeo non confermerà la sua posizione ferma a difesa dello stato di diritto – sulla base di un’interpretazione inaccettabile della Realpolitik di fronte alla guerra in Ucraina.

L’ostruzionismo putiniano di Viktor Orban sulla questione delle sanzioni contro la Russia ed i suoi autocrati - considerate uno strumento collettivo per minarne alla base l’economia e ridurre dunque la sua capacità militare aggressiva - si è invece aggiunto alle ripetute violazioni dello stato di diritto in Ungheria denunciate dal Parlamento europeo, dalla Corte di Giustizia e dalla Commissione europea oltre che da un’ampia rete della società civile.

Chi ci segue, sa che - come Movimento europeo – ci siamo ripetutamente rivolti alle istituzioni europee usando prima lo strumento della iniziativa dei cittadini europei (ICE) e poi della petizione per dotare l’Unione europea di forti strumenti per prevenire e reprimere le violazioni dello stato di diritto ma, ciononostante, l’estraneità del regime di Viktor Orban (e del suo partito Fidesz) dal sistema europeo è andata crescendo ed ha raggiunto ora un punto di non-ritorno dopo  l’aggressione di Vladimir Putin all’integrità territoriale e all’inviolabilità delle frontiere dell’Ucraina insieme alla proclamata ed iniziale volontà di ingerenza nel sistema politico a Kiev.

Per proteggere gli interessi dell’Unione europea nel suo insieme che riguardano nello stesso tempo  la sua autonomia strategica, la sua progressiva indipendenza energetica, la sua capacità di svolgere un ruolo di attore internazionale unitario e attivo sul continente europeo, il rispetto delle regole europee e la protezione dei suoi interessi finanziari, è arrivato il momento di estrarre finalmente il cartellino rosso dell’art. 7 del Trattato di Lisbona contro il governo ungherese denunciando la sua estraneità dal sistema europeo e sospendendo tutti i diritti del governo ungherese che derivano dall’applicazione dei trattati – ivi compresi quelli finanziari – e il diritto di voto di quel governo nel COREPER, nel Consiglio e nel Consiglio europeo annullando così l’effetto paralizzante del diritto di veto in tutte le materie in cui il Trattato prevede nel Consiglio europeo e nel Consiglio dell’Unione il voto all’unanimità - con particolare riferimento all’art. 31.1 TUE che è stato applicato nel caso delle sanzioni - in cui Viktor Orban ha fatto uso con illecita arroganza del potere di interdizione che gli è stato consentito dalla prevalente dimensione confederale del Trattato di Lisbona.

Sarebbe stato certo possibile per il Consiglio decidere sulla base dell’art. 31.2 TUE a maggioranza qualificata sulle sanzioni – applicando un accordo raggiunto tuttavia all’unanimità nel Consiglio europeo – per difendere gli interessi e gli obiettivi strategici dell’Unione europea ma il Consiglio europeo si  è guardato bene di rivolgere questa domanda al Consiglio avocando a sé un potere di decisione legislativo che il Trattato di Lisbona non gli attribuisce e l’Alto Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la sicurezza Josep Borrell ha pilatescamente evitato di ricordare al Consiglio europeo e al Consiglio che avrebbero potuto  percorrere questa legittima strada.

Vale la pena di ricordare il principio – costituzionalmente vincolante - della cooperazione leale (art. 4 TUE) che fu iscritto nei trattati di Roma a richiesta del governo tedesco come richiamo alla prospettiva federale dell’integrazione europea e che obbliga tutti gli Stati membri ad astenersi da ogni azione suscettibile di mettere in pericolo gli obiettivi dell’Unione europea fra i quali il contributo “alla pace, alla sicurezza…alla solidarietà e al mutuo rispetto fra i popoli…alla protezione dei diritti dell’uomo in particolare quello dell’infanzia così come allo stretto rispetto e allo sviluppo del diritto internazionale in particolare al rispetto dei principi della Carta delle Nazioni Unite” (art. 3 TUE).

L’applicazione – hic et nunc – dell’art- 7 di questo Trattato e l’uso del cartellino rosso consentirebbero di  uscire immediatamente dalla troppo lunga impasse sul contenuto delle sanzioni – una impasse che rafforza  la protervia di Vladimir Putin e rende inconsistente l’azione geopolitica dell’Unione europea – e segnalare al regime ungherese e ai cittadini ungheresi, che hanno a maggioranza confermato il governo in carica nelle elezioni del 3 aprile, che la chiusura nel recinto di una sovranità assoluta ed il loro isolamento sono contrari agli interessi del paese e che la sospensione dei  suoi diritti può creare danni profondi all’economia e agli equilibri sociali della società  magiara rigettandola ai margini di una storia di trenta anni di progresso, di solidarietà e di pace.

È per noi evidente che l’esperienza che stiamo vivendo drammaticamente dal 24 febbraio e le esperienze vissute in questi primi due decenni del ventunesimo secolo rendono necessario e urgente il superamento del Trattato di Lisbona sulla via di un’unità politica indispensabile premessa per l’adesione di nuovi Stati pronti a partecipare ad un progetto di sovranità condivisa, al superamento della divisione del continente in stati-nazione e allo stretto rispetto dello stato di diritto e del primato del diritto europeo (che dovrà essere inserito nel nuovo trattato uscendo dal limbo di una “dichiarazione non vincolante”) che riguarda tutti gli Stati membri dell’Unione europea, nessuno escluso.

Per questa ragione ribadiamo la necessità e l’urgenza di una mobilitazione popolare a sostegno dell’avvio, in vista delle elezioni europee nella primavera del 2024, di una fase costituente per un’Europa unita, democratica e solidale.

Roma-Bruxelles, 6 giugno 2022

 

coccodrillo

 

 

 

 

 

 

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