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Discutere per deliberare:
da Porto Alegre (2001) alla Conferenza sul futuro dell’Europa (2021) e oltre

La dimensione della democrazia partecipativa è emersa con la mobilitazione no global del cosiddetto “popolo di Seattle” in occasione del Vertice dell’Organizzazione Mondiale del Commercio nel 1999 e si è consolidata poi a Porto Alegre in Brasile dove fu organizzato nel 2001 il primo Forum Sociale Mondiale visto in contrapposizione con il World Economic Forum che riunisce a Davos dal 1970 l’élite politica e finanziaria del mondo.

Prima di Seattle, erano tuttavia nate nell’Unione europea alcune iniziative di coordinamento della società civile legate alle nuove politiche dell’Unione europea di cui la più importante fu la rete di organizzazioni riunite dall’autunno 1995 nel Forum Permanente della Società Civile che elaborò e adottò nel marzo 1997 in Campidoglio a Roma una sua Carta dei diritti della cittadinanza europea e ottenne dal governo tedesco l’impegno a convocare la convenzione che portò alla Carta dei diritti dell’Unione europea ispirata dal progetto di Trattato sull’Unione europea approvato dal Parlamento europeo il 14 febbraio 1984[1].

Il fenomeno moderno o contemporaneo della globalizzazione (o mondializzazione) è iniziato alla fine degli anni settanta ma la società civile o le società civili sul pianeta hanno intrapreso con fatica la strada tortuosa del coordinamento e del tentativo di agire insieme solo vent’anni dopo cercando di creare sinergie fra coloro che si erano già impegnati a livello nazionale o regionale sui temi centrali della giustizia sociale: la pace, l’acqua, l’alimentazione, l’ambiente, la povertà, i diritti fondamentali, la parità di genere, più recentemente le non discriminazioni sessuali e ora il diritto alla salute, l’accoglienza e le politiche migratorie.

Nonostante la mobilitazione, i passi in avanti nella difesa e nello sviluppo di una vera giustizia sociale sono stati in tutti questi anni più che modesti nella conquista di quei beni comuni – collettivi più che individuali – che abbiamo indicato più sopra, sapendo

  • che nel mondo 785 milioni di persone non hanno accesso all’acqua potabile e a strutture igienico-sanitarie,
  • che un decimo della popolazione mondiale soffre di fame, che i rischi globali planetari sono principalmente riconducibili ai disastri ambientali e alla distruzione dell’ecosistema,
  • che novecento milioni di persone vivono in uno stato di povertà assoluta,
  • che trecento milioni di persone sono state costrette a migrare per ragioni economiche, belliche, sociali, ambientali e politiche,
  • che dall’8 maggio 1945 ad oggi decine sono stati i conflitti nel mondo come appare dalla mappa interattiva[2]
  • e che appare evidente il rapporto fra sviluppo e democrazia se seguiamo le riflessioni di Amartya Sen nel suo recente “Lo sviluppo è libertà. Perché non c’è crescita senza democrazia” (Mondadori 2020).

Le numerose convenzioni adottate dalle Nazioni Unite nel corso degli anni sono rimaste sostanzialmente disapplicate su tutti i temi che abbiamo citato perché si sono scontrate con il sistema di governance onusiano che affida ai governi il potere assoluto di decidere o di non decidere e al Consiglio di sicurezza il compito di intervenire nelle materie di sua competenza solo se non c’è il veto di uno dei  suoi membri permanenti escludendo qualunque capacità di empowerment da parte delle molte organizzazioni non governative che tuttavia sono riconosciute dalle stesse Nazioni Unite.

Gli unici successi della società civile nel corso di questi anni sono avvenuti per via giudiziaria, non esistendo ancora e non potendo prevedersi che possa esistere a lungo una assemblea parlamentare delle Nazioni Unite dotata di un minimo di legittimità democratica.

Il risultato maggiore – pur nei limiti legati ai crimini di cui è competente, al fatto che essa agisce in modo complementare rispetto alla competenza degli Stati e al fatto che essa non sia stata riconosciuta ad esempio dagli Stati Uniti, dalla Russia e da Israele – è lo statuto della Corte Penale Internazionale stipulato a Roma il 17 luglio 1998 ed entrato in vigore il 1° luglio 2002.

Per via giudiziaria si ottengono risultati significativi a livello regionale come avviene con la Corte Europea dei diritti fondamentali legata al Consiglio d’Europa e alla sua Convenzione firmata a Roma nel 1950 o davanti alla Corte di Giustizia dell’Unione europea che difende il primato del diritto europeo e il carattere vincolante della Carta dei diritti adottata a Nizza nel 2000 ed entrata nel sistema giuridico dell’Unione nel 2009.

Sui temi ambientali, la società civile è riuscita a ottenere la condanna dei governi in Francia, Italia, Irlanda, Belgio, Paesi Bassi e Germania per mancato rispetto degli impegni nella lotta al cambiamento climatico così come la Commissione europea è stata condannata dalla Corte di Giustizia dell’UE per mancata applicazione della Convenzione di Aarhus che obbliga a consultare i cittadini su materie ambientali.

Questo tema si porrà certamente se, su sollecitazione di alcuni governi, la Commissione vorrà riaprire il dossier della politica nucleare di tipo civile.

Nulla è stato potuto fare a livello internazionale perché non esiste una Corte Penale Internazionale sui crimini ambientali anche nello statuto della Corte istituita a Roma è stato iscritto l’art. 8 su questi crimini legati tuttavia e per ora ad azioni di guerra, né esiste un’autorità sovranazionale che abbia il potere di monitorare – da una COP all’altra – l’attuazione degli impegni presi dai governi e sanzionare il loro mancato rispetto.

La prova dei modesti passi in avanti è data dal costante monitoraggio della realizzazione dei diciassette obiettivi dello sviluppo sostenibile approvati dalla Assemblea delle Nazioni Unite il 25 settembre 2015 che rientrano nella Agenda 2030 per la trasformazione del mondo che dovrebbe dunque avvenire fra poco più di otto anni.

Se vogliamo gettare le basi di un mondo fondato sulla giustizia sociale – ispirandosi alla lettera che Martin Luther King scrisse dal carcere ai  vescovi statunitensi dicendo “l’ingiustizia che si verifica in un luogo minaccia la giustizia ovunque” dobbiamo cambiare il sistema della governance nel mondo partendo dalle forme più avanzate di integrazione regionale come quella che è stata avviata agli inizi degli anni cinquanta in Europa occidentale per giungere alla riforma delle regole di funzionamento delle Nazioni Unite.

L’idea della democrazia partecipativa, nata a Porto Alegre nel 2001, non ha prodotto nessun cambiamento sostanziale nella governance del mondo e anche nei sistemi democratici più evoluti il principio scolpito nelle nostre costituzioni secondo cui “la sovranità appartiene al popolo” trova inadeguate applicazioni pratiche con uno scarso coinvolgimento dei corpi intermedi nel governo della cosa pubblica (respublica).

Negli ultimi venti anni delle forme di democrazia partecipativa o meglio di spazi pubblici secondo la concezione di Juergen Habermas dove si apre un dialogo fra cittadini e istituzioni si sono fatte strada in Islanda, in Irlanda, in Belgio, nei Paesi Bassi e parzialmente in Francia ma anche in Canada legate alla convinzione che fosse utile coinvolgere la cittadinanza su temi di natura costituzionale andando al di là della democrazia rappresentativa.

L’idea – forse non espressa in maniera compiuta – da coloro che hanno immaginato la creazione di questi spazi pubblici di natura costituzionale era legata all’obiettivo di rafforzare la consapevolezza delle cittadine e  dei cittadini nel controllo delle proprie decisioni e azioni nell’ambito della vita economica e sociale della propria comunità a livello locale, regionale o nazionale, una consapevolezza che si traduce efficacemente in inglese nell’espressione empowerment forse intraducibile in una parola nelle altre lingue.

A valle del dialogo all’interno di questi spazi pubblici ci sono stari sempre dei momenti deliberativi che hanno trasformato la consapevolezza in scelte responsabili.

Ci rendiamo perfettamente conto che sarebbe stato difficile tradurre simili forme di democrazia partecipativa a livello di un’Unione europea di ventisette stati, ventiquattro lingue e quattrocento cinquanta milioni di abitanti il dibattito che si sarebbe aperto nella Conferenza sul futuro dell’Europa, allo scopo di sollecitare le cittadine e i cittadini europei alla consapevolezza del loro essere europei oltre che appartenenti al loro stato, alla loro regione e alla loro città.

Avevamo tuttavia sollecitato come Movimento europeo[3] più volte le istituzioni europee a studiare quel che era avvenuto in quegli spazi pubblici per esaminare in che misura fosse stato possibile tradurre quegli esperimenti in scelte di democrazia partecipativa realmente innovative a livello europeo.

La Conferenza è stata invece avviata e si sta sviluppando secondo un percorso che costringe la partecipazione di un numero limitato dì cittadine e di cittadini in uno ristretto spazio di consultazione, non prevede adeguate azioni di comunicazione, informazione e formazione pubblica (che Stefano Rolando ha chiamato teatro civile) per creare le condizioni di quella consapevolezza che si traduce nello empowerment, esclude la possibilità di un momento deliberativo collettivo lasciando ad un nucleo ristretto di rappresentanti delle istituzioni europee il potere di deliberare a nome di tutti – ma senza accountability – sul futuro dell’Europa.

Sarebbe necessario e urgente un atto di “ribellione” democratica del Parlamento europeo da una parte e delle reti europee della società civile dall’altra per denunciare questa forma di falsa democrazia partecipativa salvando non solo la Conferenza ma anche il dibattito sul futuro dellEuropa e creando le condizioni per aprire di nuovo il cantiere della riforma dell’Unione europea quattordici anni dopo la firma affrettata del Trattato di Lisbona.

 coccodrillo

 

[1] (https://halshs.archives-ouvertes.fr/halshs-00186441/documenthttps://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k33361841)

[2] www.acleddata.com

[3] https://movimentoeuropeo.it/images/Documenti/Apriamo_subito_i_cancelli_del_cantiere_europeo_25.05.2021.pdf

 

 

 

 

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La nostra newsletter settimanale Noi e il futuro dell'Europa è stata concepita per contribuire ad una corretta informazione sull’Unione europea e partecipare al dibattito sulla riforma dell’Unione a partire dalla Conferenza sul futuro dell’Europa.

Come sapete, la Conferenza è stata avviata il 9 maggio 2021 a Strasburgo e dovrebbe concludersi nella prossima primavera.

Ecco l’indice della nostra newsletter

- Editoriale, che esprime l’opinione del Movimento europeo su un tema di attualità
- Attualità dalle istituzioni nazionali
- Eventi principali, sull’Europa in Italia e Testi in evidenza
- Attiriamo la vostra attenzione
- Agenda della settimana a cura del Movimento Europeo Internazionale
- La Conferenza sul futuro dell'Europa
- Next Generation EU a cura di Euractiv
- Europa dei diritti

Siamo come sempre a vostra disposizione per migliorare il nostro servizio di comunicazione e di informazione e per aggiungere vostri eventi di interesse europeo nella speranza di poter contare su un vostro volontario contributo finanziario.

 

 

 

 

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La nostra newsletter settimanale Noi e il futuro dell'Europa è stata concepita per contribuire ad una corretta informazione sull’Unione europea e partecipare al dibattito sulla riforma dell’Unione a partire dalla Conferenza sul futuro dell’Europa.

Come sapete, la Conferenza è stata avviata il 9 maggio 2021 a Strasburgo e dovrebbe concludersi nella prossima primavera.

Ecco l’indice della nostra newsletter

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- Europa dei diritti

Siamo come sempre a vostra disposizione per migliorare il nostro servizio di comunicazione e di informazione e per aggiungere vostri eventi di interesse europeo nella speranza di poter contare su un vostro volontario contributo finanziario.

 


 L'EDITORIALE

Discutere per deliberare:
da Porto Alegre (2001) alla Conferenza sul futuro dell’Europa (2021) e oltre

La dimensione della democrazia partecipativa è emersa con la mobilitazione no global del cosiddetto “popolo di Seattle” in occasione del Vertice dell’Organizzazione Mondiale del Commercio nel 1999 e si è consolidata poi a Porto Alegre in Brasile dove fu organizzato nel 2001 il primo Forum Sociale Mondiale visto in contrapposizione con il World Economic Forum che riunisce a Davos dal 1970 l’élite politica e finanziaria del mondo.

Prima di Seattle, erano tuttavia nate nell’Unione europea alcune iniziative di coordinamento della società civile legate alle nuove politiche dell’Unione europea di cui la più importante fu la rete di organizzazioni riunite dall’autunno 1995 nel Forum Permanente della Società Civile che elaborò e adottò nel marzo 1997 in Campidoglio a Roma una sua Carta dei diritti della cittadinanza europea e ottenne dal governo tedesco l’impegno a convocare la convenzione che portò alla Carta dei diritti dell’Unione europea ispirata dal progetto di Trattato sull’Unione europea approvato dal Parlamento europeo il 14 febbraio 1984[1].

Il fenomeno moderno o contemporaneo della globalizzazione (o mondializzazione) è iniziato alla fine degli anni settanta ma la società civile o le società civili sul pianeta hanno intrapreso con fatica la strada tortuosa del coordinamento e del tentativo di agire insieme solo vent’anni dopo cercando di creare sinergie fra coloro che si erano già impegnati a livello nazionale o regionale sui temi centrali della giustizia sociale: la pace, l’acqua, l’alimentazione, l’ambiente, la povertà, i diritti fondamentali, la parità di genere, più recentemente le non discriminazioni sessuali e ora il diritto alla salute, l’accoglienza e le politiche migratorie.

Nonostante la mobilitazione, i passi in avanti nella difesa e nello sviluppo di una vera giustizia sociale sono stati in tutti questi anni più che modesti nella conquista di quei beni comuni – collettivi più che individuali – che abbiamo indicato più sopra, sapendo

  • che nel mondo 785 milioni di persone non hanno accesso all’acqua potabile e a strutture igienico-sanitarie,
  • che un decimo della popolazione mondiale soffre di fame, che i rischi globali planetari sono principalmente riconducibili ai disastri ambientali e alla distruzione dell’ecosistema,
  • che novecento milioni di persone vivono in uno stato di povertà assoluta,
  • che trecento milioni di persone sono state costrette a migrare per ragioni economiche, belliche, sociali, ambientali e politiche,
  • che dall’8 maggio 1945 ad oggi decine sono stati i conflitti nel mondo come appare dalla mappa interattiva[2]
  • e che appare evidente il rapporto fra sviluppo e democrazia se seguiamo le riflessioni di Amartya Sen nel suo recente “Lo sviluppo è libertà. Perché non c’è crescita senza democrazia” (Mondadori 2020).

Le numerose convenzioni adottate dalle Nazioni Unite nel corso degli anni sono rimaste sostanzialmente disapplicate su tutti i temi che abbiamo citato perché si sono scontrate con il sistema di governance onusiano che affida ai governi il potere assoluto di decidere o di non decidere e al Consiglio di sicurezza il compito di intervenire nelle materie di sua competenza solo se non c’è il veto di uno dei  suoi membri permanenti escludendo qualunque capacità di empowerment da parte delle molte organizzazioni non governative che tuttavia sono riconosciute dalle stesse Nazioni Unite.

Gli unici successi della società civile nel corso di questi anni sono avvenuti per via giudiziaria, non esistendo ancora e non potendo prevedersi che possa esistere a lungo una assemblea parlamentare delle Nazioni Unite dotata di un minimo di legittimità democratica.

Il risultato maggiore – pur nei limiti legati ai crimini di cui è competente, al fatto che essa agisce in modo complementare rispetto alla competenza degli Stati e al fatto che essa non sia stata riconosciuta ad esempio dagli Stati Uniti, dalla Russia e da Israele – è lo statuto della Corte Penale Internazionale stipulato a Roma il 17 luglio 1998 ed entrato in vigore il 1° luglio 2002.

Per via giudiziaria si ottengono risultati significativi a livello regionale come avviene con la Corte Europea dei diritti fondamentali legata al Consiglio d’Europa e alla sua Convenzione firmata a Roma nel 1950 o davanti alla Corte di Giustizia dell’Unione europea che difende il primato del diritto europeo e il carattere vincolante della Carta dei diritti adottata a Nizza nel 2000 ed entrata nel sistema giuridico dell’Unione nel 2009.

Sui temi ambientali, la società civile è riuscita a ottenere la condanna dei governi in Francia, Italia, Irlanda, Belgio, Paesi Bassi e Germania per mancato rispetto degli impegni nella lotta al cambiamento climatico così come la Commissione europea è stata condannata dalla Corte di Giustizia dell’UE per mancata applicazione della Convenzione di Aarhus che obbliga a consultare i cittadini su materie ambientali.

Questo tema si porrà certamente se, su sollecitazione di alcuni governi, la Commissione vorrà riaprire il dossier della politica nucleare di tipo civile.

Nulla è stato potuto fare a livello internazionale perché non esiste una Corte Penale Internazionale sui crimini ambientali anche nello statuto della Corte istituita a Roma è stato iscritto l’art. 8 su questi crimini legati tuttavia e per ora ad azioni di guerra, né esiste un’autorità sovranazionale che abbia il potere di monitorare – da una COP all’altra – l’attuazione degli impegni presi dai governi e sanzionare il loro mancato rispetto.

La prova dei modesti passi in avanti è data dal costante monitoraggio della realizzazione dei diciassette obiettivi dello sviluppo sostenibile approvati dalla Assemblea delle Nazioni Unite il 25 settembre 2015 che rientrano nella Agenda 2030 per la trasformazione del mondo che dovrebbe dunque avvenire fra poco più di otto anni.

Se vogliamo gettare le basi di un mondo fondato sulla giustizia sociale – ispirandosi alla lettera che Martin Luther King scrisse dal carcere ai  vescovi statunitensi dicendo “l’ingiustizia che si verifica in un luogo minaccia la giustizia ovunque” dobbiamo cambiare il sistema della governance nel mondo partendo dalle forme più avanzate di integrazione regionale come quella che è stata avviata agli inizi degli anni cinquanta in Europa occidentale per giungere alla riforma delle regole di funzionamento delle Nazioni Unite.

L’idea della democrazia partecipativa, nata a Porto Alegre nel 2001, non ha prodotto nessun cambiamento sostanziale nella governance del mondo e anche nei sistemi democratici più evoluti il principio scolpito nelle nostre costituzioni secondo cui “la sovranità appartiene al popolo” trova inadeguate applicazioni pratiche con uno scarso coinvolgimento dei corpi intermedi nel governo della cosa pubblica (respublica).

Negli ultimi venti anni delle forme di democrazia partecipativa o meglio di spazi pubblici secondo la concezione di Juergen Habermas dove si apre un dialogo fra cittadini e istituzioni si sono fatte strada in Islanda, in Irlanda, in Belgio, nei Paesi Bassi e parzialmente in Francia ma anche in Canada legate alla convinzione che fosse utile coinvolgere la cittadinanza su temi di natura costituzionale andando al di là della democrazia rappresentativa.

L’idea – forse non espressa in maniera compiuta – da coloro che hanno immaginato la creazione di questi spazi pubblici di natura costituzionale era legata all’obiettivo di rafforzare la consapevolezza delle cittadine e  dei cittadini nel controllo delle proprie decisioni e azioni nell’ambito della vita economica e sociale della propria comunità a livello locale, regionale o nazionale, una consapevolezza che si traduce efficacemente in inglese nell’espressione empowerment forse intraducibile in una parola nelle altre lingue.

A valle del dialogo all’interno di questi spazi pubblici ci sono stari sempre dei momenti deliberativi che hanno trasformato la consapevolezza in scelte responsabili.

Ci rendiamo perfettamente conto che sarebbe stato difficile tradurre simili forme di democrazia partecipativa a livello di un’Unione europea di ventisette stati, ventiquattro lingue e quattrocento cinquanta milioni di abitanti il dibattito che si sarebbe aperto nella Conferenza sul futuro dell’Europa, allo scopo di sollecitare le cittadine e i cittadini europei alla consapevolezza del loro essere europei oltre che appartenenti al loro stato, alla loro regione e alla loro città.

Avevamo tuttavia sollecitato come Movimento europeo[3] più volte le istituzioni europee a studiare quel che era avvenuto in quegli spazi pubblici per esaminare in che misura fosse stato possibile tradurre quegli esperimenti in scelte di democrazia partecipativa realmente innovative a livello europeo.

La Conferenza è stata invece avviata e si sta sviluppando secondo un percorso che costringe la partecipazione di un numero limitato dì cittadine e di cittadini in uno ristretto spazio di consultazione, non prevede adeguate azioni di comunicazione, informazione e formazione pubblica (che Stefano Rolando ha chiamato teatro civile) per creare le condizioni di quella consapevolezza che si traduce nello empowerment, esclude la possibilità di un momento deliberativo collettivo lasciando ad un nucleo ristretto di rappresentanti delle istituzioni europee il potere di deliberare a nome di tutti – ma senza accountability – sul futuro dell’Europa.

Sarebbe necessario e urgente un atto di “ribellione” democratica del Parlamento europeo da una parte e delle reti europee della società civile dall’altra per denunciare questa forma di falsa democrazia partecipativa salvando non solo la Conferenza ma anche il dibattito sul futuro dellEuropa e creando le condizioni per aprire di nuovo il cantiere della riforma dell’Unione europea quattordici anni dopo la firma affrettata del Trattato di Lisbona.

 coccodrillo

 

[1] (https://halshs.archives-ouvertes.fr/halshs-00186441/documenthttps://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k33361841)

[2] www.acleddata.com

[3] https://movimentoeuropeo.it/images/Documenti/Apriamo_subito_i_cancelli_del_cantiere_europeo_25.05.2021.pdf

 

 


ATTUALITA'

Monitoraggio Istituzioni Nazionali - Alcuni atti di possibile interesse per il Terzo Settore - EMERGENZA CORONAVIRUS (a cura del Forum Nazionale Terzo Settore). 22/11/2021 – 26/11/2021

 


IN EVIDENZA

VI SEGNALIAMO

  • 24 novembre 2021, ore 17:00-19:00, Convegno Donne per l’Europa - Femmes pour l'Europe « Donne per l’Europa? Il futuro di un’iniziativa” incontro nell’occasione dell’edizione cartacea degli Atti delle Giornate in onore di Ursula Hirschmann, 2007-2017, promosso dal Centro Interdisciplinare di Ricerche e Studi delle Donne e di Genere – CIRSDe. PROGRAMMA e indicazioni di partecipazione.
  • 25 novembre 2021, ore 10:00-12:00, VOICES FROM THE ALPINE REGION (EUSALP) AND BEYOND nell’ambito del progetto finanziato dalla Commissione europea “Shadow Report”, una iniziativa delle organizzazioni della società civile di Austria, Germania, Danimarca, Ungheria, Italia, Polonia, Romania, Slovenia e Slovacchia per preparare una relazione di attuazione sulle politiche macroregionali dell'UE dal punto di vista dei cittadini. Si prega di registrarsi all'evento QUI. Il link zoom all'evento verrà inviato ai partecipanti registrati il ​​24 novembre. PROGRAMMA.
  • 26 novembre 2021, ore 14:30-18:00, avvio di #HackCultura2022, l'hackathon delle studentesse e degli studenti finalizzato allo sviluppo di progetti digitali per favorire la conoscenza e la “presa in carico” del patrimonio culturale in attuazione della Convenzione di Faro. Promosso dall’Associazione internazionale #DiCultHer. Per partecipare è necessario iscriversi, seguendo le istruzioni QUI dove sarà possibile anche consultare il programma dell’incontro.
  • 26 novembre 2021, ore 17:00-17:30, riunione 4° panel dei cittadini nel contesto della Conferenza sul futuro dell’Europa, in presenza e streaming. MAGGIORI INFORMAZIONI, PROGRAMMA e LINK PER SEGUIRE LA DIRETTA.
  • 26-27 novembre 2021, Convegno di Studi online “Europeismo e antifascismo tra le due guerre” promosso dalla Fondazione di Studi Storici “Filippo Turati” Onlus e Dipartimento Storia Società Studi sull’Uomo dell’Università del Salento con la collaborazione dell’Associazione Italiana Storici Dottrine Politiche e il Dipartimento di Scienze Politiche - Università “Aldo Moro” di Bari. PROGRAMMA e indicazioni di partecipazione.
  • 26-27 novembre 2021, IX CONGRESSO ANNUALE 2021 Associazione ‘Gli Onconauti’ "La vita dopo il cancro: il confine tra sopravvivenza e guarigione". LOCANDINA. Iscrizione obbligatoria per prenotazioni. PROGRAMMA COMPLETO.
  • 29 novembre 2021, ore 11:00-12:00, Corso di Diritto pubblico, dell’informazione e della comunicazione del Prof. Giuseppe Allegri, docente di Diritto costituzionale italiano e istituzioni UE de La Sapienza, Università di Roma: Incontro da remoto con Pier Virgilio Dastoli, Presidente del Movimento Europeo-Italia. "Dal Manifesto di Ventotene alla Conferenza sul futuro dell’Europa. Quale spazio pubblico per l’unificazione europea?". Il corso si terrà presso l'Aula Blu 1 della Sapienza Università di Roma (Piazzale A. Moro, 5). LOCANDINA.
  • 29 novembre 2021, ore 16:00, Convegno “LA MEMORIA E IL FUTURO EUROPEO. Dagli ottanta anni del Manifesto di Ventotene alla Conferenza sul futuro dell'Europa” promosso dal Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università La Sapienza, da Movimento europeo Italia e Università di Roma Tre – Jean Monnet Project EU2. Piattaforma Meet. LOCANDINA.
  • 29 novembre 2021, ore 20:45, incontro online "PORDENONE CHIAMA EUROPA. FUTUREU. L'Europa tra passato e futuro", promosso dal Partito Democratico Federazione di Pordenone. Ne discuteranno: Elisabetta Gualmini, Europarlamentare, Pier Virgilio Dastoli, Presidente del Movimento europeo Italia e Stefano Sotgiu, facilitatore della Conferenza sul Futuro dell'Europa. LOCANDINA. Sarà possibile seguire l'evento sulla pagina Facebook del PD Federazione PN
  • 2 dicembre 2021, ore 9:00-18:00, Rome Investment Forum 2021 “Investire nei Beni Pubblici Europei e Globali: Strategie Pubbliche e Private” edizione virtuale. Promosso da FeBAF - Federazione delle Banche, delle Assicurazioni e della Finanza. PROGRAMMA e REGISTRAZIONE.

 

ARTICOLI E TESTI DELLA SETTIMANA

 

 


ATTIRIAMO LA VOSTRA ATTENZIONE

Dai trattati di Aquisgrana e del Quirinale al Patto di Ventotene

Il 25 novembre sarà firmato a Palazzo Chigi il “Trattato del Quirinale” fra la Francia e l’Italia, che fu concepito nel Vertice di Lione da Emmanuel Macron e Paolo Gentiloni nel 2017.

In questi quattro anni molta acqua è scorsa sotto i ponti del Rodano e del Tevere: l’Unione europea ha dato prova di essere capace di affrontare le conseguenze economiche e sociali della pandemia creando un provvisorio debito pubblico europeo con il Next Generation EU ma il sistema europeo è ancora bloccato nelle strettoie delle decisioni affidate all’accordo unanime dei governi e non è in grado di offrire alle sue cittadine e ai suoi cittadini beni comuni che gli Stati – ciascuno per sé – non sono in grado di garantire.

Gli accordi bilaterali fra i governi come quello dell’Eliseo e poi di Aquisgrana fra la Francia e la Germania e ora quello del Quirinale fra la Francia e l’Italia sono utili per facilitare il dialogo fra singoli governi e far convergere interessi nazionali verso interessi comuni e queste convergenze aiutano il processo di integrazione europea perché possono semplificare le decisioni nel Consiglio europeo e nel Consiglio.

Questi accordi non contribuiscono tuttavia a sbloccare il sistema europeo e farlo uscire dalle strettoie in cui è costretto dalla prevalenza del ruolo dei governi che difendono apparenti interessi nazionali in un mondo globalizzato che esige un’Unione sempre più stretta e più sovranità condivisa, meno Stati-nazione e meno sovranità assolute.

Nella crisi della civiltà europea che sembrava dovesse essere sopraffatta dai totalitarismi e dall’assenza di libertà, il superamento della divisione del continente in Stati-nazione e la condivisione della sovranità nei settori in cui la dimensione nazionale era diventata “polvere senza sostanza” - come scrisse Luigi Einaudi – fu la rivoluzionaria intuizione dei confinati antifascisti a Ventotene.

Essa si tradusse nel “progetto di un manifesto per un’Europa libera e unita” scritto da Altiero Spinelli e Ernesto Rossi nell’inverno del 1941 sull’isola di Ventotene come frutto di una riflessione collettiva insieme a Eugenio Colorni, Ursula Hirschmann e Ada Rossi, testo fondamentale della resistenza europea e base politica e intellettuale del Congresso di Parigi del 1944 promosso da Albert Camus e George Orwell. La rivoluzionaria intuizione fu immaginata anche nella Germania nazista dai giovani della Rosa Bianca guidati dai fratelli Scholl che pagarono con la vita la loro ricerca della libertà.

Noi riteniamo che gli accordi bilaterali fra Francia e Germania da una parte e Francia e Italia dall’altra debbano contribuire ad avviare rapidamente un dialogo che unisca Roma, Parigi e Berlino non solo a livello  dei governi ma coinvolgendo gli studenti delle scuole italiane, francesi e tedesche che esistono nelle tre capitali il cui obiettivo sia quello di proporre ai governi e ai parlamenti che lo vorranno la sottoscrizione di un “patto” per la trasformazione dell’Unione europea in una Comunità federale: democratica, libera e solidale.

Noi proponiamo che i leader di Francia, Germania e Italia con le delegazioni delle studentesse e degli studenti delle scuole francesi, italiane e tedesche si incontrino a Ventotene per sottoscrivere un “Progetto di Patto di Ventotene” da proporre agli Stati e ai popoli liberi e democratici d’Europa.

Superando l’orizzonte del vecchio continente – fu scritto nel Manifesto di Ventotene – si abbraccino in una visione di insieme tutti i popoli che costituiscono l’umanità…in attesa di un lontano avvenire in cui sia possibile l’unità politica dell’intero globo”.

PIER VIRGILIO DASTOLI, PRESIDENTE MOVIMENTO EUROPEO

GERARDO SANTOMAURO, SINDACO DI VENTOTENE

 

Roma-Ventotene, 22 novembre 2021

 

 


   AGENDA EUROPEA

22-28 November 2021

Monday 22 November

Tuesday 23 November

Wednesday 24 November

Thursday 25 November

Friday 26 November

Sunday 28 november

 

 


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