Newsletter n.25/2020 - Tre proposte per uscire dal conflitto interistituzionale (e salvare i beni pubblici europei)

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Andando ultra vires, il Consiglio europeo ha adottato all’alba del 21 luglio il Quadro Finanziario Pluriennale 2021-2027, sottraendo questo ruolo ai ministri del bilancio dei 27 e rischiando di vanificare il negoziato fra Consiglio, Commissione e Parlamento europeo che si dovrebbe concludere – in base all’articolo 312 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea – con l’approvazione (o la disapprovazione) del Parlamento europeo e la decisione all’unanimità del Consiglio.

Se il Parlamento europeo disapprovasse non ci sarebbe un Quadro Finanziario Pluriennale e la procedura dovrebbe ripartire da zero con l’avvio dei dodicesimi provvisori per il bilancio annuale del 2021 fino a che il Consiglio e il Parlamento europeo raggiungeranno un accordo con l’intervento ad adiuvandum della Commissione europea.

Il Trattato di Lisbona è silente su chi ha il diritto di iniziativa nella presentazione della proposta di regolamento da cui nasce il Quadro Finanziario Pluriennale ma l’iniziativa viene normalmente dalla Commissione europea che lo fece per il periodo dal 2014 al 2020 (sotto la presidenza di José Manuel Barroso), lo ha ripetuto nel maggio 2018 (sotto la presidenza di Jean-Claude Juncker) e ha rinnovato la proposta modificandola solo parzialmente il 27 maggio 2020 (sotto la presidenza di  Ursula von der Leyen).

Il silenzio del Trattato di Lisbona ha come conseguenza che se la Commissione europea fosse insoddisfatta dell’accordo raggiunto dai governi non potrebbe utilizzare l’arma del ritiro della sua proposta – come avviene nella procedura legislativa – perché il Consiglio potrebbe ignorare l’insoddisfazione della Commissione europea.

In questo caso si tratta di un’ipotesi teorica perché Consiglio e Commissione europea hanno condiviso un approccio “frugale” con una proposta di quadro Finanziario 2021-2027 al di sotto sia di quello 2014-2020 che delle priorità indicate dal Parlamento europeo.

L’Assemblea ha espresso il 23 luglio 2020 una prima opinione fortemente negativa chiedendo in particolare di rafforzare importanti politiche comuni, di cancellare i rimborsi (rebates) a cinque paesi che ritengono di essere contributori netti e di rendere giuridicamente ed esplicitamente vincolante la clausola del rispetto dello stato di diritto.

La posizione del Parlamento europeo è politicamente forte ma è istituzionalmente debole perché l’Assemblea può solo approvare o disapprovare la proposta del Consiglio (europeo) ma non può presentare emendamenti.

Inoltre il Parlamento europeo non ha alcun potere né sulle entrate (risorse proprie) né sul piano di rilancio (European Recovery Fund) né sul Next Generation EU, un potere che spetta invece di diritto e di fatto ai parlamenti nazionali a cui i governi si rivolgeranno per chiederne l’accordo.

In tempi normali, il Parlamento europeo avrebbe potuto aprire un conflitto interistituzionale con il Consiglio disapprovandone la proposta e costringendo l’Unione europea a entrare nella fase dei dodicesimi provvisori.

Poiché non viviamo in tempi normali è difficile immaginare che l’Assemblea si esprima formalmente con un voto di disapprovazione che apparirebbe all’opinione pubblica come un rigetto del piano di rilancio triennale (European Recovery Fund e cioè le nuove entrate e il debito pubblico europeo) e del Next Generation EU (e cioè le spese).

Il Parlamento europeo può invece adottare tre decisioni complementari:

 

coccodrillo