Newsletter n.25/2020 - La giurisprudenza europea

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Questa settimana portiamo alla vostra attenzione una controversia tra Commissione europea e Repubblica Ceca (sostenuta dal Regno dei Paesi bassi), recentemente conclusasi – il 9 luglio scorso – attinente alla gestione delle risorse proprie dell’Ue.

I fatti ebbero origine il 20 maggio 2008, quando l’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF) ha adottato una relazione finale attinente a un’indagine riguardante verifiche relative all’importazione di accendini tascabili a pietra focaia provenienti dal Laos, nel corso del periodo compreso tra il 2004 e il 2007. In detta relazione si affermava che «gli elementi di prova dell’origine cinese accertati nel corso della missione ispettiva basta[va]no a far sì che gli Stati membri avvi[assero] un procedimento amministrativo di accertamento fiscale».

Secondo la relazione, era necessario «che gli Stati membri attu[assero] verifiche a posteriori e, se del caso, indagini sugli importatori interessati e che essi avvi[assero], con urgenza, un procedimento di recupero, ove ciò non fosse già avvenuto».

Le conclusioni della stessa relazione riguardavano 28 casi di importazioni di merci nella Repubblica ceca. Gli uffici doganali cechi competenti hanno adottato misure per procedere alla rettifica e al recupero fiscale in questi casi. 

Non è stato tuttavia possibile, per nessuno dei casi summenzionati, effettuare la rettifica entro un termine di tre mesi dalla data di notifica della versione ceca della relazione dell’OLAF. Tra il novembre 2013 e il novembre 2014, la Repubblica Ceca, conformemente alla normativa applicabile, ha iscritto nel sistema di informazione WOMIS (Write‑Off Management and Information System) i casi di impossibilità di recupero dell’importo delle risorse proprie dell’Unione. 

Nel luglio e nel dicembre 2014 la Repubblica Ceca ha fornito alla Commissione europea, su richiesta di quest’ultima, ulteriori informazioni. [...] Il Direttore della direzione «Risorse proprie e programmazione finanziaria» della direzione generale del bilancio della Commissione europea ha informato [con una lettera, ndr] le autorità ceche che le condizioni per la dispensa dall’obbligo di mettere a disposizione dell’Unione le risorse proprie, previste all’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento n. 1150/2000, non ricorrevano in nessuno dei casi suddetti. Egli ha invitato le autorità ceche ad adottare le misure necessarie affinché fosse accreditato sul conto della Commissione europea l’importo di 53 976 340 corone ceche (CZK) (circa EUR 2 112 708) (in prosieguo: l’«importo in questione»), entro il primo giorno feriale successivo al diciannovesimo giorno del secondo mese successivo al mese in cui detta lettera è stata inviata. Egli ha aggiunto che ogni ritardo avrebbe dato luogo al pagamento di interessi in applicazione dell’articolo 11 del regolamento n. 1150/2000”.

A seguito di tale provvedimento, il 30 marzo 2015 la Repubblica Ceca “ha proposto un ricorso diretto all’annullamento della decisione asseritamente contenuta nella lettera controversa. Con atto separato depositato presso la cancelleria del Tribunale [dell’Ue, n.d.r.] l’11 giugno 2015, la Commissione europea ha sollevato un’eccezione di irricevibilità del ricorso, per il motivo che la lettera controversa non configurava una decisione impugnabile con ricorso di annullamento. La Repubblica ceca ha presentato le sue osservazioni su tale eccezione.

Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 20 luglio 2015, la Repubblica Slovacca ha chiesto di intervenire a sostegno delle conclusioni della Repubblica Ceca. […]

Con l’ordinanza impugnata, il Tribunale ha accolto l’eccezione di irricevibilità sollevata dalla Commissione europea e, pertanto, ha respinto il ricorso della Repubblica Ceca in quanto irricevibile, dal momento che era diretto contro un atto non impugnabile con ricorso di annullamento, senza statuire sulla domanda di intervento della Repubblica Slovacca".

Da qui il ricorso alla CGUE, da parte della Repubblica Ceca, del 13 settembre 2018, volta a:

“–      annullare l’ordinanza impugnata;

–       respingere l’eccezione di irricevibilità sollevata dalla Commissione;

–       rinviare la causa dinanzi al Tribunale affinché statuisca sulla fondatezza del ricorso, e

–       condannare la Commissione alle spese”.

L’esito della controversia è stato sfavorevole alla Repubblica Ceca, che il 9 luglio scorso si è vista respingere il ricorso e condannare al pagamento delle spese proprie e di quelle sostenute dalla Commissione europea. Tra le motivazioni della Corte, si riporta il fatto che “la Repubblica ceca ha erroneamente assimilato gli interessi di mora di cui uno Stato membro può essere debitore nell’ambito del sistema di risorse proprie dell’Unione a spese legali che, a suo avviso, possono ostacolare l’accesso alla giustizia”.

Suggeriamo comunque di leggere il testo intero della sentenza, cliccando qui.