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Newsletter n.27/2020 - L'Europa riparte ?

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Il futuro (incerto) dell’Unione europea

L’estate 2020 è trascorsa invano e nell’agenda delle istituzioni europee il tema della Conferenza sul futuro dell’Europa è ancora indicato con un grosso punto interrogativo.

Nonostante l’accordo fra capi di Stato e di governo dell’Unione europea su European Recovery Fund, Next Generation EU e Quadro Finanziario Pluriennale la nebbia è fitta a Bruxelles.

L’Unione europea è assente nei teatri della politica estera (Siria, Libia, Libano, relazioni israelo-palestinesi, Mar Egeo, Bielorussia per non parlare del Continente africano), balbetta da anni sulla gestione dei flussi migratori e la revisione del regolamento di Dublino, ha messo nel freezer il Pilastro sociale di Göteborg, traccheggia sull’Agenda 2030, si è piegata senza reagire al rinvio di un anno della COP26 sotto presidenza britannica, ha accantonato tutti i dossier per il completamento dell’Unione economica e monetaria, non conosce come si concluderà il tormentone sul Brexit e - last but not least - chiude gli occhi sulle violazioni interne dello Stato di diritto mentre la Corte europea dei diritti dell’Uomo di Strasburgo e il suo presidente Spanó affondano nella vergogna di fronte agli omicidi di Stato commessi dal califfo Erdogan in Turchia (ce ne occupiamo ampiamente in questo  numero della newsletter).

Per rimanere nell’ambito della politica estera, della sicurezza e delle difesa e stendendo un velo di pietoso silenzio sull’inutile “strategia globale dell’Unione europea” del giugno 2016 - ben conservata negli archivi del Consiglio dell’Unione europea - sappiamo che la cooperazione strutturata permanente in materia di difesa, nata con l’idea di creare una avant-garde, è diventata, perché estesa su richiesta tedesca a 25 paesi che devono decidere all’unanimità, una arrière-garde.

Veniamo ora alla Conferenza sul futuro dell’Europa.

I capi-gruppo del Parlamento attendono con eccesso di pazienza – ma la pazienza ha un limite e non sempre è la virtù dei forti – che il Consiglio o peggio il Consiglio europeo diano il loro accordo sul mandato della Conferenza, sulla sua governance, sulla sua organizzazione e in particolare sulle modalità del dialogo con le cittadine e i cittadini (che secondo qualcuno dovrebbero essere consultati random) e sull’esito dei suoi risultati.

Alcuni gruppi e molti deputati in buona fede europeista insistono sull’idea che i governi (l’insieme dei governi all’unanimità) mettano nero su bianco il loro accordo sul principio della revisione dei trattati.

Noi riteniamo

  • che il mandato debba essere discusso e auto-deciso dalla Conferenza
  • che è tempo perso discutere con i governi sul principio della revisione dei trattati
  • che spetta al Parlamento europeo – a nome delle cittadine e dei cittadini europei che lo hanno eletto - riaprire il cantiere dell’Unione europea.

Noi riteniamo inoltre che il Parlamento europeo debba respingere con sdegno l’idea che i risultati (“raccomandazioni” della Conferenza) siano consegnati al Consiglio europeo sapendo che esso ne farà carta straccia.

La Conferenza deve essere lo spazio pubblico in cui il Parlamento europeo verifica la volontà maggioritaria degli attori che ne saranno protagonisti di riaprire il cantiere dell’Unione europea tredici anni dopo la firma del Trattato di Lisbona.

Noi riteniamo che il Parlamento europeo debba cercare con urgenza la via di un dialogo strutturato e permanente con i parlamenti nazionali e le assemblee legislative regionali mobilitando i partiti politici europei e proponendo loro di promuovere delle “assise interparlamentari” come quelle che si svolsero a Roma nell’aula di Montecitorio nel novembre 1990 alla vigilia del Trattato di Maastricht.

Contemporaneamente il Parlamento europeo dovrebbe organizzare delle agorà tematiche e transnazionali con le organizzazioni rappresentative della società civile europea.

Così il Parlamento europeo potrebbe contribuire a far diradare la fitta nebbia che pesa su Bruxelles!

Ventotene, 7 settembre 2020 

coccodrillo

 

 

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VERSION FRANÇAISE

L’avenir périlleux de l’Union européenne

Les derniers mois sont passés inutilement et dans l’agenda européen le thème de la Conférence sur l’avenir de l’Europe est encore marqué avec un grand point d’interrogation.

Malgré l’accord entre leaders européens sur le European Recovery Fund, le Next Generation EU et le Cadre Financier Pluriannuel, le brouillard est épais à  Bruxelles.

L’Union européenne est absente dans les théâtres des relations internationales (Syrie, Libye, Liban, relations israelo-palestiniennes, Mar Egée, Biélorussie pour ne pas parler du Continent africain), balbutie depuis des années sur la gestion des flux migratoires et la révision du règlement de Dublin, a mis dans le freezer le Pilier Social de Göteborg, tergiverse sur l’Agenda 2030, s’est pliée sans réagir au renvoie d’un an du COP26 sous présidence britannique, a mis en veilleuse le parachèvement de l’UEM, ignore les conclusions du Brexit et – last but not least – a fermé les yeux sur les violations internes de l’Etat de droit alors que la Cour européenne des droits de l’Homme de Strasbourg et son Président, l’islandais Spanò, sombrent dans la honte face aux meurtres d’Etat commis par le régime du calife turc Erdogan.

Pour rester dans le cadre de la politique étrangère, de sécurité et de défense et en jetant un voile de miséricorde sur l’inutile «stratégie globale de l’Union européenne» adoptée en juin 2016, nous savons que la coopération structurée permanente en matière de défense, née avec l’idée de créer une avant-garde, est devenue sur demande allemande à 27 et avec le principe de l’unanimité une arrière-garde.

Venons maintenant à la Conférence sur l’avenir de l’Europe.

Les chefs des groupes politiques au PE attendent avec patience  - mais la patience a des limites et n’est toujours pas la vertu des personnes fortes – que le Conseil ou pire le Conseil européen donnent leur accord sur le mandat de la Conférence, sur sa gouvernance, sur son organisation et notamment sur les modalités du dialogue avec les citoyennes et le citoyens (qu’on voudrait consulter online ou random) ainsi que sur l’issue de ses résultats.

Certains groupes et nombreux députés pro-européens de bonne foi insistent sur l'idée que les gouvernements (tous les gouvernements à l'unanimité) rédigent leur accord sur le principe de la révision des traités.

Le Mouvement européen en Italie estime

  • que le mandat est de la compétence des membres de la Conférence
  • que c’est du temps perdu de discuter avec le gouvernements sur le principe de la révision des traités
  • qu’il revient au PE – au nom des citoyennes et des citoyens qu’ils l’ont élu – de rouvrir le chantier de l’Union européenne.

Le Mouvement européen en  Italie estime que le PE devrait rejeter avec indignation l’idée que les résultats («recommandations» de la Conférence) soient donnés au Conseil européen en sachant qu’ils resteraient dans les archives du Justus Lipsius.

La Conférence sera l’espace public au sein duquel le PE va vérifier la volonté majoritaire des acteurs qui y seront les protagonistes de rouvrir le chantier de l’UE treize ans après la signature du Traité de Lisbonne.

Le Mouvement Européen en Italie estime que le PE devra chercher avec urgence la voie d’un dialogue structuré et permanent avec les parlements nationaux et les assemblées législatives régionales en mobilisant les partis politiques européens et en proposant de promouvoir des «assises interparlementaires» comme celles qui eurent lieu à Rome en novembre 1990 à la veille du Traité de Maastricht.

Le PE devra organiser aussi des agorà thématiques et transnationales avec les organisations représentatives de la société civile européenne.

Ainsi le PE pourrait concontribuer a à dissoudre l’épais brouillard qui pèse sur Bruxelles!

Ventotene, le 7 septembre 2020

coccodrillo
 


 

Le attività del Movimento europeo

Ci si avvia verso la ripresa delle attività a pieno ritmo, dopo l'estate. Questa settimana, vi proponiamo una serie di eventi ai quali il Movimento europeo sarà presente con interventi del Presidente oppure ai quali partecipa in veste di promotore:

 


 

Documenti chiave

 


 

Testi della settimana

 


 

 Carta dei diritti fondamentali

L'articolo 53 della Carta dei diritti fondamentali ci sembra quello su cui aprire una riflessione non banale, questa settimana. Leggiamolo: “Nessuna disposizione della presente Carta deve essere interpretata come limitativa o lesiva dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali riconosciuti, nel rispettivo ambito di applicazione, dal diritto dell’Unione, dal diritto internazionale, dalle convenzioni internazionali delle quali l’Unione, la Comunità o tutti gli Stati membri sono parti contraenti, in particolare la convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, e dalle costituzioni degli Stati membri”. C'è da chiedersi come suonino a pochi giorni dal rilascio dell'avvocato Aytaç Ünsal, su decisione del governo turco, dopo il diniego della sua scarcerazione da parte della Corte europea dei Diritti dell’Uomo. Vero è che questo organo giurisdizionale non fa parte dell'Unione europea; tuttavia, nel deliberare, occupandosi di tutelare i diritti umani, dovrebbe tener conto anche di quanto statuito dall'articolo 53 della Carta che qui sembrano ignorati. L'articolo 53, infatti, guarda oltre la sfera di azione dell'Unione, perché fa riferimento a tutte quelle disposizioni limitative o lesive dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali riconosciuti non solo dal diritto dell'Unione, ma anche dal diritto internazionale.

Per comprendere meglio la situazione attuale, pochi giorni fa è stato pubblicato sull'Huffington Post un approfondito articolo a firma del giornalista Mariano Giustino, corrispondente di “Radio Radicale” dalla Turchia. Giustino – in un'analisi che è anche un reportage, in quanto descrive la situazione vista da vicino – concentra la sua attenzione sulla pesantissima situazione turca, con un titolo che riassume  bene la situazione: “La vergognosa debacle dei diritti umani in Turchia”. Ma non si limita a fotografare la situazione interna a questo stato, in quanto pone l'attenzione sulle contraddizioni, in questa vicenda, della Corte europea dei Diritti dell’Uomo, il cui presidente Robert Spanó, dopo il diniego di scarcerazione dell'avvocato Ünsal, si è recato il 3 settembre scorso “all’Università statale di Istanbul per ricevere una Laurea Honoris Causa in Giurisprudenza e poi tenere domani, ad Ankara, presso l’Accademia di Giustizia turca, una Lectio Magistralis […] Spanó non visiterà Aytaç Ünsal” scriveva Giustino poco prima della decisione del suo rilascio.

La conferenza di Spanó ha lanciato comunque un monito forte e chiaro sui limiti nell'esercizio del potere da parte di un governo e Giustino ne ha ripreso i contenuti in un successivo articolo del 5 settembre: “Lo stato di diritto include il principio di legalità, il principio di certezza del diritto, il principio di uguaglianza delle persone davanti alla legge, il principio che l’esecutivo non può avere un potere illimitato, il principio della possibilità di un ricorso dinanzi a un tribunale indipendente e imparziale e il diritto a un processo equo. Tutti questi principi mirano a proteggere l’individuo dall’arbitrio, soprattutto nei rapporti tra individuo e Stato”.

Mentre il presidente della Corte europea dei Diritti dell’Uomo pronunciava queste parole, giungeva dalla Corte di cassazione turca (Yargıtay), un provvedimento di scarcerazione per motivi di ordine sanitario nei confronti di  Aytaç, una misura temporanea per consentirgli “di nutrirsi e curarsi per poi riprendere il suo status di detenuto, se nel frattempo non sarà raggiunto da altri ordini di arresto per altre accuse, come non di rado capita per gli oppositori politici in Turchia. […] Parrebbe che la Magistratura turca, sul caso Aytaç Ünsal, si sia voluta mostrare più liberale della Cedu che solo tre giorni prima aveva invece ritenuto che lo stato detentivo dell’avvocato in digiuno da 213 giorni non fosse di per sé lesivo della sua vita”.

Vale la pena di riprendere il punto in cui Giustino, sull'Huffington Post, descrive le sue condizioni di detenzione: “ricoverato in una stanza per prigionieri nel grande ospedale pandemico Kanuni Sultan Süleyman della megalopoli turca. La stanza di Ünsal non ha ventilazione e le luci sono sempre accese, denuncia il parlamentare curdo del Partito democratico dei popoli (HDP) Ömer Faruk Gergerlioğlu. Aytaç Ünsal, legale dell’Associazione degli avvocati progressisti (ÇHD), 32 anni, è stato condannato in appello con sentenza del 16 ottobre 2019 a 10 anni e 6 mesi di carcere per “appartenenza ad una organizzazione terroristica e per esserne un dirigente”, dopo aver subito, secondo i suoi legali, un processo farsa. […] I parenti di Aytaç hanno lanciato l’allarme: ‘’Liberatelo! Altrimenti morirà presto’’. Nella relazione redatta dall’ospedale dove è ricoverato, si afferma che il suo sistema immunitario di Aytaç è collassato e che è dunque ancora più rischioso lasciarlo in un ospedale durante il periodo della pandemia. Nermin Ünsal, madre di Aytaç, ha detto che suo figlio non riesce più a dormire: “Il suo dolore è aumentato terribilmente. Rimane sveglio per tre ore dopo solo mezz’ora di sonno“. Aytaç è nel precipizio della morte, ha piaghe alla bocca e alla gola, non ha più sensibilità alle mani. Non può restare in piedi perché quando si alza le dita sono doloranti e anche una piccola pressione è per lui doloroso come sentire una lama di un coltello. Non sopporta la luce e nemmeno il più piccolo rumore e sta perdendo l’olfatto. Il suo volto è una maschera mortuaria. Le sue guance e il suo corpo sono macchiati di piaghe simili all’acne e alcuni organi rischiano la cancrena. “Sta andando rapidamente verso la morte – sono le parole struggenti della mamma - è necessario compiere un passo concreto se vogliamo mantenerlo in vita. Chiedo alle autorità di fermare questa morte”.

 


 

La giurisprudenza europea

Qual è il perimetro entro il quale operare per garantire la sicurezza dei cittadini? È un quesito complesso che si presta, da sempre, a un dibattito acceso. Negli ultimi decenni, in numerosi casi, ci si è trovati ad attuare misure di sicurezza che, a fronte di rischi  quale quello di attentati terroristici, se da un lato hanno ampliato i margini di intervento degli Stati per tutelare i cittadini, dall'altro rischiano di compromettere le libertà, anche quelle fondamentali. Sono i periodi di crisi quelli in cui si avverte maggiormente tale rischio e non è semplice il compito di intervenire in maniera mirata e capillare, attuando prevenzione e repressione, quando necessario. Volendoci ricollegare per un attimo al tema predominante della settimana, quello cioè relativo alla situazione turca e al contrasto attuato verso gli esponenti del Partito/Fronte di Liberazione Popolare Rivoluzionario, ritenuto un'organizzazione terroristica, è chiaro che in casi del genere i metodi attuati per tutelare la sicurezza vadano a discapito della democrazia e della libertà. Qual è inoltre una definizione univoca di “terrorismo”? È difficile fare una sintesi poiché le sue manifestazioni sono purtroppo multiformi.

Quello che però si può affermare, in linea generale, è che non si possa far ricorso in ogni momento a qualunque mezzo per la tutela della sicurezza, perché farlo contrasterebbe con il principio di proporzionalità e si porrebbe in contrasto con i principi affermati dalla Carta dei diritti fondamentali. Ce lo ricorda l’avvocato generale della Corte di Giustizia dell’Unione europea Campos Sánchez-Bordona, che, nelle conclusioni di alcune cause riguardanti il trattamento dei dati personali da parte di alcuni fornitori di servizi di comunicazione elettronica, ha sostenuto che “le limitazioni dell’obbligo di garantire la riservatezza delle comunicazioni e dei dati relativi al traffico ad esse correlati devono essere interpretate in maniera restrittiva e alla luce dei diritti fondamentali garantiti dalla Carta”. Parimenti, afferma ancora l'avvocato generale, “nulla osta a che, in situazioni eccezionali, caratterizzate da una minaccia imminente o da un rischio straordinario tali da giustificare la dichiarazione ufficiale dello stato di emergenza, la legislazione nazionale preveda, per un periodo di tempo limitato e con le adeguate garanzie giurisdizionali, la possibilità di imporre un obbligo di conservazione di dati tanto ampio e generale quanto si ritenga necessario”.

La conservazione del dato dev'essere limitata e differenziata: bisogna cioè che siano conservati i dati “assolutamente indispensabili per la prevenzione e il controllo efficaci della criminalità e per la salvaguardia della sicurezza nazionale per un periodo determinato e differenziando in funzione di ciascuna categoria”, inoltre l'accesso agli stesso va limitato, cioè “soggetto a un controllo preventivo da parte di un giudice o di un’entità amministrativa indipendente, all’informazione delle persone interessate – purché ciò non comprometta le indagini in corso –, e all’adozione di norme che evitino l’uso indebito e l’accesso illecito ai dati”.

Per conoscere più approfonditamente l'argomento, leggendo le conclusioni dell'avvocato Campos Sánchez-Bordona, clicca qui.

 


 

Consigli di lettura

Gianni Borsa è corrispondente  da Bruxelles per l'agenzia di stampa Sir, Servizio informazione religiosa. Si occupa di Unione europea sia in veste di giornalista, che di autore di libri. Uno dei suoi testi più recenti ha un titolo interessante per la nostra sezione e lo proponiamo alla vostra attenzione: “Europa. Parole per capire, ascoltare, capirsi”, pubblicato 2019. Si comprende agevolmente l'intenzione di andare in profondità e Borsa, alla domanda su come è nato questo suo lavoro, l'autore risponde:

“L'idea era quella di fornire una lettura semplice, introduttiva, ma al contempo critica rispetto al processo di integrazione europea appena prima delle elezioni del Parlamento nel 2019; ho accettato una proposta da parte della casa editrice cattolica “In dialogo”, di Milano, che proponeva un confronto forse un po' rischioso, ma piacevole, tra un brano della Bibbia e il processo di integrazione europea. Il brano in questione è “La casa fondata sulla roccia”. Il testo, perciò, è diviso in due parti, una prima di esegesi di questa pagina biblica, a cura del bravissimo biblista Isacco Pagani e quattro miei capitoli sul processo di integrazione europea. La chiave di lettura è la seguente: il processo di integrazione europea funziona – o funzionerebbe – se fosse come quello di una casa fondata sulla roccia, ovvero con le fondamenta profonde, storiche, con la possibilità di edificare una casa che ospiti una comunità che si ritrova attorno a dei punti comuni, appunto i popoli europei, e soprattutto che sia un progetto comunitario che non si fermi all'idea dei padri fondatori, ma che ogni giorno si adegua alle novità; il processo di integrazione europea, infatti, segue il corso della storia”.

Un'Europa, quindi, sempre in cammino ...

ll processo asce dopo la seconda guerra mondiale per la ricostruzione dei Paesi che aderiscono alla CEE e per costruire un'economia solidale forte, capace di condividere le ricchezze prodotte, arriva agli anni '60, '70 ' 80 con nuove sfide, rispetto alle quali inventa ogni volta risposte diverse; si pensi al processo apertosi con il 1989, alla caduta del muro di Berlino con cui si è avuto il passaggio da una piccola ad una grande Europa, che “respira con due polmoni”, dell'Est e dell'Ovest. Si pensi ai trattati che sono seguiti: Maastricht, Amsterdam, Nizza, il progetto poi fallito di Costituzione, Lisbona. Nel frattempo la casa comune passa da sei Stati fondatori a 28, poi 27 dopo la Brexit. Si sono costantemente inventate nuove forme per stare insieme. Le ultime sfide – crisi economico finanziaria del 2007, crisi migratoria del 2015, crisi della pandemia del 2020 – pongono al centro la grande questione di costruire rapporti di solidarietà, attraverso la quale creare nuove forme dello stare insieme. L'Europa è             quindi un cantiere sempre aperto, non è uno stato ma una forma di condivisione e costruzione solidale di comunità aperta al nuovo.

Il discorso della solidarietà europea spesso viene criticato perché l'Europa viene vista come un progetto concentrato solo sulla dimensione economica, delle élite della finanza; come un'unione monetaria senza un'anima. Qual è la posizione del libro in merito?

Occorre riconoscere che la costruzione europea parte dall'economia perché vi era la necessità di ricostruire dopo la guerra, di dare lavoro, di uscire dalla fame e dalla distruzione. Economia, del resto, significa produzione di benessere che può essere condiviso, ma è anche vero che oggi bisogna tener conto della dimensione politica. Le istituzioni europee sono politiche e occorrerebbe più dimensione politica. Ritengo che occorrerebbe non “più Europa”, ma “un'Europa più”: più funzionale, più efficace, più concreta, più coesa, più solida, più leggera, più aperta, più vicina ai cittadini perché possa essere apprezzata; quindi un'Europa anche più politica, là dove la politica serve a dare più diritti ai cittadini, a tutelare le libertà, i diritti, a costruire un ambiente nel quale l'economia stessa possa svilupparsi sul piano del mercato ma anche su quello dell'economia sociale.

Come conciliare le due dimensioni?

La solidarietà dev'essere uno stile e un metro della cooperazione economica, quindi anche un mezzo attraverso cui si costruisce l'Europa. C'è chi critica la costruzione europea per eccesso di solidarietà, nel senso che l'Europa tende a superare i confini nazionali. Ma se lo fa, non è per mortificare le sovranità nazionali, quanto perché si muove in uno scenario più ampio, che è quello dell'integrazione comunitaria. Oggi come oggi, i competitor dell'Europa sono la Cina, la Russia, gli Stati Uniti, il Brasile, il Sudafrica, il Giappone, il Messico: sono giganteschi e ciascun singolo paese europeo non avrebbe voce in questo mondo, ecco perché costruire una sovranità europea che dà più forza alla sovranità nazionale. I populisti e i nazionalisti, da questo punto di vista, sono nemici dell'integrazione europea, ma lo sono anche degli stessi stati nazionali, perché vorrebbero richiuderli entro gli angusti spazi della sovranità nazionale, portandoli all'irrilevanza, perché gli stati nazionali non bastano più. L'Europa può essere la risposta giusta laddove le diamo la forza per vivere il nostro tempo.

In che modo l'Europa può riuscirci?

Pongo qui una questione che mi sta a cuore; l'Europa parte dall'esigenza della cooperazione, ma fin dalla sua origine, con la dichiarazione Schuman del 1950, l'Europa ha avuto come primo obiettivo quello di costruire la pace come obiettivo superiore, come pre-condizione per la crescita e tutti gli Stati membri dell'Unione hanno vissuto da allora in pace: un sogno che è diventato realtà, si direbbe. Ebbene, oggi siamo di fronte ad una realtà che ha bisogno di un sogno e questo sogno può essere l'Europa, però è vero che i cittadini hanno bisogno di percepirlo come tale, come grande obiettivo, come casa comune e la Conferenza sul futuro dell'Europa – forse in partenza nel prossimo autunno – potrebbe delineare alcuni passi necessari. Occorre però rimettere al centro la cittadinanza europea, occorre che i giornalisti raccontino meglio l'Europa, che i politici non puntino solo ai consensi, abbiamo bisogno di simboli forti per sentire l'Europa più vicina: non bastano la bandiera, l'inno, la moneta. Il racconto di un'Europa che crea risultati concreti è fondamentale: per esempio con l'Erasmus, con il Recovery plan deciso in questi pochissimi mesi. Quando vedremo sfilare alle Olimpiadi gli atleti europei con la bandiera blu dell'Unione, avremo dato un segnale forte di costruzione europea; certo, è solo un esempio, poi gli atleti concorreranno per il proprio Stato, ma è per far intendere che i cittadini hanno bisogno di sentirsi europei e che l'Europa è lì per rispondere alle loro esigenze.

Quale posizione prende il libro sui rapporti Europa – mondo, quello dove si più manifesta l'assenza di chiarezza e coerenza dell'Europa?

Sappiamo che la questione della politica estera è una delle incompletezze di cui soffre l'Ue. È affidata ancora ad un accordo unanime in Consiglio e ciò blocca la costruzione di una vera politica estera di respiro mondiale. Rispetto alle grandi questioni estere, come la Siria, la Libia, in Bielorussia, in Ucraina, prima ancora il Kuwait, l'Europa non ha una voce comune. Manca la capacità decisionale, da prendere attraverso una maggioranza semplice o qualificata, ma mancano anche gli strumenti per una politica estera: una politica commerciale comune (su questo punto, qualcosa si sta muovendo), una politica comune di lotta al cambiamento climatico e di difesa dell'ambiente, una politica di sicurezza e militare comune. Avendo degli eserciti per la politica di peace keeping, occorrerebbe che fossero integrati: un altro grande passaggio che l'Europa prima o poi dovrà fare e spero che la Conferenza sul futuro dell'Europa metta un punto fermo sull'esigenza di cambiare la politica estera.

Una parte assai rilevante della politica estera europea ruota attorno alla questione dei rapporti con il Vicino Oriente e, questa settimana, ci siamo concentrati molto sulla Turchia, considerata la pesantissima situazione che sta attraversando al suo interno sul piano dei diritti. E la Turchia è uno stato candidato all'ingresso nell'Ue ...

La Turchia è un paese strategico per l'incontro tra Oriente e Occidente, sul piano della politica, della cultura, del dialogo interreligioso; oggi però è in mano, di fatto, a un dittatore, eletto sì, ma che governa con il pugno di ferro; è un rischio per l'area del Vicino Oriente, ma è un rischio anche per la democrazia europea, perché minaccia Stati membri come la Bulgaria, Cipro, la Greci; rappresenta una minaccia per la questione migratoria; la Turchia non riconosce i diritti e le libertà del popolo curdo, non rispetta libertà delle donne né le minoranze religiose; ha un piede pericolosamente posto in Siria, rendendo ancora più sofferente un paese già di per sé instabile. Per tutte queste ragioni, oggi la Turchia non può entrare nell'Ue. Però, sono convinto che dobbiamo sperare che la Turchia in futuro torni in cammino verso l'Europa, verso il dialogo e la democrazia, perché ne abbiamo bisogno, così come sono convinto che sia giusto aver interrotto i negoziati di adesione perché oggi chi governa la Turchia, di fatto non rispetta i valori europei.

 


 

 Agenda della settimana

 

Monday 7 September

Tuesday 8 November

Wednesday 9 September

Thursday 10 September

Friday 11 September

 

 

 

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