Newsletter n.31/2020 - La corsa con i molti ostacoli per il rilancio europeo dopo la pandemia

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Il 15 ottobre il governo italiano invierà alla Commissione europea il PNRR (Piano nazionale di ripresa e resilienza) necessario per accedere ai prestiti e alle sovvenzioni previsti dal Next Generation EU, un insieme di programmi e di risorse su cui, come si sa, è stato raggiunto molto faticosamente un accordo politico e non giuridico al Consiglio europeo del 21 luglio scorso. Come abbiamo ripetuto più volte il Trattato (articolo 15 TUE) ha precisato che “il Consiglio europeo non esercita funzioni legislative”.

Il 15 ottobre è anche la data in cui i  governi dell’Eurozona devono presentare alla Commissione europea e all’Eurogruppo il DPB (Documento programmatico di Bilancio) da cui parte il giudizio di Bruxelles sulla solidità delle finanze di un paese e lo stato del disavanzo e del debito pubblico, nel quadro delle procedure fissate dopo la crisi finanziaria scoppiata nel 2007-2008, procedure tradotte in quel pacchetto di misure contenute nel fiscal compact, nel six pack, nel two pack, nel semestre europeo e nel Meccanismo Europeo di Stabilità.

Le due procedure (esame del PNRR e valutazione del DPB) sono apparentemente distinte dato che la prima è necessaria per valutare la compatibilità del piano italiano con le sei macroaree di interventi prioritari che sono state indicate dalla Commissione come condizioni per accedere alle sovvenzioni e ai prestiti del Next Generation EU (transizione ecologica, digitalizzazione, equità, salute, infrastrutture, istruzione e ricerca) mentre la seconda riguarda il controllo dei bilanci nazionali nel quadro di quegli strumenti decisi fra il 2011e il 2012 che hanno modificato il Patto di Stabilità e hanno introdotto regole più stringenti fra cui la golden rule del pareggio di bilancio.

Come si sa, il Patto di stabilità è stato provvisoriamente sospeso a seguito della pandemia mentre le norme decise fra il 2011 e il  2012 sono ancora formalmente in vigore, anche se le raccomandazioni che la Commissione europea invierà al Consiglio dovranno naturalmente tener conto degli effetti della pandemia sui bilanci nazionali e sul forte aumento delle spese pubbliche degli Stati già adottate in attesa delle sovvenzioni e dei prestiti europei.

In Italia si è fatta molta confusione sui tempi e sulle modalità per accedere a queste sovvenzioni e a questi prestiti, una confusione innanzitutto terminologica perché stampa, media ed economisti anche autorevoli continuano ad usare l’errata espressione Recovery Fund che non esiste in natura perché la Commissione ha proposto (e il Consiglio europeo ha politicamente accettato) un Piano per la ripresa (European Recovery Plan) che costituisce il primo passo sulla via di una forma limitata e provvisoria di debito pubblico europeo attraverso cui finanziare il Next Generation EU che dovrebbe durare tre anni e dunque affrontare solo l’emergenza.

Nonostante la diffusa opinione in Italia secondo cui arriveranno presto nel nostro paese 209 miliardi di Euro fra prestiti e sovvenzioni, gli ostacoli perché questo avvenga sono molti e, nella migliore delle ipotesi, solo una piccola parte del fiume di danaro che dovrebbe sorgere a Bruxelles arriverà nella primavera del prossimo anno. 

Esso sarà suddiviso in tre rami diversi e programmi in parte nuovi e in parte appartenenti al bilancio europeo (sostegno alla ripresa fra cui React-EU, sviluppo rurale, fondo per una transizione giusta; rilancio dell’economia e sostegno agli investimenti privati tra cui lo strumento di sostegno alla solvibilità, InvestEU e dispositivo per gli investimenti strategici; trarre insegnamenti dalla crisi fra cui il programma per la salute, RescEu, Orizzonte Europa, Strumento di Vicinato, sviluppo e cooperazione, aiuti umanitari), che costituiranno l’ammontare totale del Next Generation EU (750 miliardi di Euro), di cui fa parte lo European Recovery and Resilience Instrument, ma che serviranno anche a rafforzare dei programmi dell’UE nell’ambito del Quadro Finanziario Pluriennale

Una parte di queste risorse sarà preassegnata agli Stati, ma una parte servirà ad arricchire programmi comuni senza preassegnazione agli Stati e saranno ottenuti solo dai progetti migliori.

Questi sono gli ostacoli principali: 

Per consentire all’Unione di superare questi ostacoli con maggiore velocità e nel quadro di una rafforzata democrazia parlamentare a livello europeo e a livello nazionale abbiamo proposto al Parlamento europeo e al Parlamento italiano di seguire l’esempio delle “assise interparlamentari” che si svolsero nell’aula di Montecitorio a Roma nel 1990 alla vigilia delle Conferenze intergovernative che elaborarono il Trattato di Maastricht

Siamo peraltro convinti le nuove assise potrebbero aprire la strada ad un vero dibattito transnazionale sul futuro dell’Europa facilitando la ricerca di un consenso sulla riforma dei trattati, ponendo al centro di questa ricerca il ruolo di leadership del Parlamento europeo.

coccodrillo