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Newsletter n.37/2020 - La disperazione e la speranza Che fare dopo la morte di Yusuf Alì Kanneh

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La disperazione – aveva scritto Giacomo Leopardi ne Lo Zibaldonenon sussisterebbe senza la speranza e l’uomo non dispererebbe se non sperasse”.

Quelle migliaia di uomini ma soprattutto donne e bambini che, dalla fine degli anni ottanta, partono dalle coste del Mediterraneo meridionale per sbarcare in Europa sono spinti dalla disperazione provocata dalla fame, dalle guerre come quelle in Iraq, Siria e in Afghanistan, dai conflitti tribali, dall’espropriazione delle terre (land grabbing), dai crescenti disastri ambientali, dalle persistenti epidemie, dalla assoluta mancanza di ogni forma di beni che rendano la vita degna di essere vissuta.

Questa disperazione è anche l’effetto delle politiche dei paesi sviluppati nell’Africa sub-sahariana e delle non-politiche in particolare dell’Unione europea che non ha esercitato il ruolo che le è stato assegnato dal Trattato di Lisbona quando afferma (art. 2 TUE) che essa “contribuisce alla pace, alla sicurezza, allo sviluppo sostenibile del pianeta, alla solidarietà e al rispetto reciproco fra i popoli, al commercio libero ed equo, all’eliminazione della povertà e alla protezione dei diritti dell’uomo, IN PARTICOLARE QUELLI DELL’INFANZIA, così come allo stretto rispetto e allo sviluppo del diritto internazionale e in particolare al rispetto della Carta delle Nazioni Unite”.

Nell’Africa sub-sahariana la stagione dello sviluppo di sistemi democratici che avrebbe dovuto caratterizzare i paesi che avevano ottenuto l’indipendenza alla fine degli anni ’60 si è fermata di fronte alla perennizzazione dei regimi ed è ripresa poi molto debolmente negli anni ‘90 con la fine della Guerra Fredda e in limitatissimi casi da spinte interne poiché la cosiddetta primavera araba non ha varcato il Sahara verso Sud.

Sul piano formale si valuta che il 40% dei paesi dell’Africa sub-sahariana hanno introdotto standard minimi di democrazia con elezioni multipartitiche ma l’alternanza al potere è cosa rarissima, il rischio di colpi di Stato è sempre presente così come l’esplosione di sanguinosi conflitti interni anche in regimi che apparivano avviati verso una pacificazione duratura (l’Etiopia e il Corno d’Africa).

Da questa disperazione assoluta nasce la speranza di poter essere nutriti, di sfuggire alle persecuzioni, di ritrovare delle terre da coltivare, di vivere in un ambiente sano e di usufruire di un’abitazione dignitosa offrendo ai figli delle prospettive di educazione e di formazione che mancano nei paesi di origine.

Dalla fine degli anni ottanta il fenomeno dei flussi migratori per mare di chi fugge dalla disperazione è aumentato parallelamente alla progressiva chiusura delle frontiere europee, talvolta per l’adozione di leggi nazionali che hanno ridotto drasticamente la possibilità di ottenere dei visti di ingresso ma più spesso per l’adozione di misure repressive di polizia e militari in piena violazione delle convenzioni internazionali.

Come sappiamo e come è confermato dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, i flussi migratori che hanno raggiuto via mare in questi trenta anni soprattutto Malta, la Spagna, la Grecia e l’Italia, e solo in piccola parte la Francia e Cipro, in quanto paesi di primo approdo sono composti nello stesso tempo da richiedenti asilo e dai cosiddetti migranti economici che sono poi coloro che fuggono dalla fame, dall’espropriazione delle terre e dai disastri ambientali.

Ad essi si erano aggiunti coloro che si erano incamminati lungo le rotte balcaniche prima che l’Unione europea sottoscrivesse, su richiesta tedesca, un accordo-capestro con la Turchia di Erdogan.

Secondo le analisi convergenti delle agenzie delle Nazioni Unite e delle organizzazioni non governative questi flussi migratori rappresentano la minima parte di chi entra in Europa (o più in generale nei paesi più sviluppati nel mondo) provenendo dai paesi sottosviluppati o in via di lentissimo sviluppo mentre la maggioranza appartengono ai cosiddetti overstayers che entrano con un permesso di lavoro temporaneo o un visto turistico o per un periodo di studio unendosi poi al vasto mondo degli immigrati irregolari, da non confondere con i clandestini o gli illegali, che in mancanza di politiche di inclusione adeguate cadono spesso preda della criminalità organizzata.

E’ praticamente impossibile valutare quanti uomini, donne e bambini abbiano perso la vita nel Mediterraneo dalla fine degli anni ’80 ad oggi, vittime della mafia che gestisce la tratta degli esseri umani e della violazione di quel principio fondamentale del diritto di soccorso che è stato recentemente ricordato da Luigi Ferrajoli e Luigi Manconi e su cui è stato creato un comitato italiano composto da Vittorio Alessandro, Francesca De Vittor, Paola Gaeta, Federica Resta, Armando Spataro, Sandro Veronesi, Vladimiro Zagrebelsky oltre che da Ferrajoli e Manconi su iniziativa di Sea Watch, Open Arms, Medici Senza Frontiere, Mediterranea, SOS Méditerranée, Emergency e Rest chiamato a svolgere una funzione di “tutela morale” delle attività di salvataggio e difesa giuridica delle buone ragioni.

Anche partendo dalla proposta di petizione al Parlamento europeo promossa dal Movimento europeo – coordinamento Puglia e da varie organizzazioni non governative che invitiamo a sottoscrivere inviando le adesioni a Alberto Maritati, noi proponiamo

  • di europeizzare il Comitato italiano per il diritto al soccorso chiedendo di inserire il principio, giuridicamente vincolante, nel Migration Pact proposto dalla Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio dell’Unione a fine settembre nella riforma del regolamento di Dublino, prevedendo nello stesso tempo la comunitarizzazione dei corridoi umanitari a cui ha fatto riferimento la presidente von der Leyen nel discorso sullo stato dell’Unione del 16 settembre 2020
  • di modificare e ampliare le competenze dell’agenzia Frontex affidandole i compiti che erano stati attribuiti dal Governo Letta all’operazione Mare Nostrum dopo la strage di Lampedusa del 3 ottobre 2013 e usando le possibilità offerte dalla Agenzia per la Difesa, dai progetti collaborativi all’interno della PESCO e dai gruppi tattici dell’UE laddove essi possono essere messi a disposizione dell’Agenzia Frontex con la missione di offrire soccorso in mare sulla base della Convenzioni internazionali (Ginevra e Amburgo) ed europee (Carta dei diritti dell’UE) insieme alla Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza
  • di porre all’ordine del giorno del Vertice sociale di Porto sotto presidenza portoghese (maggio 2021) la questione dell’accoglienza e dell’inclusione dei cosiddetti migranti economici
  • di iscrivere nell’agenda della Conferenza sul futuro dell’Europa la ripartizione delle competenze fra Stati membri, poteri locali e regionali da una parte e Unione europea dall’altra sul tema delle politiche migratorie sottraendole al Titolo V relativo allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia e collocandole in un titolo ad esse specificamente dedicato nella quinta parte del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea dedicata all’azione esterna dell’Unione all’interno della quale prevedere di affidare alle delegazioni dell’Unione europea presso i paesi terzi il compito di esaminare le domande dei richiedenti asilo.

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