Via Angelo Brunetti, 60   06.36001705  06.87755731  segreteriacime@tin.it  segreteria@movimentoeuropeo.it

Newsletter n.6/2021

Stella inattivaStella inattivaStella inattivaStella inattivaStella inattiva
 

La maratona europea verso il Recovery Plan

La maratona europea verso il Recovery Plan o Next Generation EU è di fatto iniziata con l’entrata in vigore e la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea del Regolamento relativo allo strumento europeo per la ripresa e la resilienza (European Recovery and Resilience Facility) che ne costituisce la parte finanziaria principale.

Cerchiamo di fare chiarezza sulle tappe di una lunga maratona che durerà fino al 2058, data ultima per il rimborso del debito di 750 miliardi di Euro che sarà contratto sui mercati dei capitali dalla Commissione europea, anche per sgombrare il campo da imprecise ricostruzioni che abbiamo letto su autorevoli quotidiani finanziari.

Come sappiamo e come abbiamo detto più volte l’espressione giornalistica Recovery Fund è inesatta perché, dopo la proposta franco-tedesca di un unico fondo dotato di 500 miliardi di Euro, la Commissione europea ha proposto un piano per la ripresa legato a precise regole di governance  europea (criteri di valutazione dei piani nazionali, modalità di attribuzione di prestiti e sovvenzioni, controllo della conformità delle spese con le regole del piano europeo….) dotato di 750 miliardi di Euro e articolati in diversi fondi che vanno dal rafforzamento della coesione economica, sociale e territoriale, ad interventi europei a sostegno della salute, delle imprese, della ricerca, del mondo agricolo, della protezione civile, dei paesi candidati all’adesione e della cooperazione allo sviluppo.

Per poter spendere entro il 2026 (data di scadenza del Recovery Plan) l’intero ammontare dei 750 miliardi di Euro, la Commissione ha chiesto di aumentare il livello delle risorse proprie che finanziano il bilancio europeo pluriennale portandole dall’1.2 (ma di fatto dall’1) al 2% in modo tale da avere una base finanziaria totale di oltre 1800 miliardi di Euro per i sette anni dal 2021 al 2027 di cui faranno parte le risorse del Recovery Plan e i crediti del bilancio europeo vero e proprio e di far sì che le risorse europee siano poste a garanzia del debito che intende contrarre sui mercati dei capitali.

Secondo le disposizioni del Trattato (art. 311 TFUE), l’aumento del massimale deve essere deciso all’unanimità dal Consiglio (“dopo aver consultato il Parlamento europeo”) e poi approvato dagli Stati membri “conformemente alle loro regole costituzionali rispettive” e cioè attraverso delle ratifiche parlamentari. Soltanto dopo le ventisette approvazioni nazionali la Commissione potrà ricorrere ai mercati dei capitali contraendo debito pubblico europeo.

Allo stato attuale la ratifica parlamentare è avvenuta in Francia, Portogallo, Bulgaria, Cipro, Slovenia e Croazia e si attende la ratifica dell’Italia in cui il governo Conte ha inserito il provvedimento nel decreto “mille proroghe”.2021 che deve essere ancora convertito in legge dalle Camere. Nel resto dell’Unione europea le procedure di ratifica sono molto lente sia per la complessità delle regole parlamentari sia perché in alcuni paesi – come in Finlandia, Estonia, Lettonia, Lituania e soprattutto Paesi Bassi – il tema dell’aumento del massimale delle risorse proprie suscita polemiche e opposizioni dei “frugali” o dei “sovranisti”.

Per superare la lentezza delle ratifiche parlamentari avevamo proposto al Parlamento europeo – che, come abbiamo detto, ha un potere soltanto consultivo – e alle presidenze tedesca e portoghese di promuovere la convocazione di assise interparlamentari”, come quelle che si svolsero a Roma nel novembre 1990 alla vigilia delle conferenze intergovernative che elaborarono il Trattato di Maastricht, in modo tale da rendere europeo e non solo nazionale il dibattito sulle risorse proprie. Questa proposta non è stata ancora presa in considerazione nel Parlamento europeo nonostante l’evidente interesse della assemblea europea di influire sui dibattiti nazionali. Se sorgessero nuovi ostacoli sulla strada delle ratifiche, suggeriamo al Parlamento europeo di sollevare la proposta delle assise nella riunione della Conferenza degli organi specializzati negli affari comunitari (COSAC) che avrà luogo a Lisbona il 30 e 31 maggio legandola al dibattito più ampio delle nuove risorse proprie (v. più avanti).

Parallelamente alle procedure di ratifica dell’aumento del massimale delle risorse proprie, gli Stati membri dovrebbero (il condizionale è d’obbligo) presentare i loro Recovery Plans alla Commissione europea entro il 30 aprile 2021 sapendo che l’avvio delle prime quote dei prestiti e delle sovvenzioni avverrà separatamente paese per paese quando sarà conclusa la procedura di esame dei singoli Recovery Plans.

Le quote maggiori saranno legate al Recovery and Resilience Facility ma anche gli altri fondi per la salute, la ricerca, l’industria, l’agricoltura, la protezione civile sono importanti e ciascuno di loro richiede un regolamento di attuazione come, ad esempio, Orizzonte Europa che deve essere ancora approvato dal Parlamento europeo e dal Consiglio.

Contrariamente a quel  che hanno scritto alcuni autorevoli quotidiani finanziari la procedura di aumento del massimale delle risorse proprie fino al 2% del Reddito Globale dell’Unione europea non ha nulla a che fare con l’introduzione di nuove risorse proprie o imposte europee di cui solo quella sulla plastic tax è stata proposta dalla Commissione europea (e entrerà in vigore il 1° luglio 2021) mentre le altre devono ancora essere proposte agli Stati membri essendo in parte legate a accordi internazionali (come la web tax) o ad armonizzazioni nazionali (come la tassa sulle transazioni finanziarie che è stata oggetto dell’avvio di una cooperazione rafforzata fra un numero limitato di paesi membri o un’aliquota delle imposte sulle società per combattere le elusioni fiscali e eliminare i paradisi fiscali) con l’eccezione di un meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere europee (border carbon adjustement) giuridicamente di più semplice applicazione essendo di fatto un dazio doganale.

Poiché l’approvazione di nuove risorse richiede in base all’art. 311 TFUE una decisione unanime del Consiglio e tutte le ratifiche nazionali, il commissario Paolo Gentiloni – che ha la responsabilità della politica fiscale – sta lavorando sull’ipotesi di proporre al Parlamento europeo e al Consiglio di applicare l’art. 116 TFUE che riguarda l’eliminazione delle disparità legislative, regolamentari e amministrative (e dunque anche fiscali) fra gli Stati membri e che possono falsare le condizioni della concorrenza nel mercato interno con una procedura legislativa ordinaria basata su direttive adottate dal Consiglio a maggioranza qualificata in codecisione con il Parlamento europeo.

Questa strada innovativa è fortemente sostenuta in Germania da SPD e Verdi che hanno sollecitato l’accordo dei loro rispettivi partiti europei aprendo la prospettiva di una disponibilità del governo tedesco dopo le elezioni federali del prossimo 23 settembre.

A queste proposte si è aggiunta l’idea di perennizzare il Next Generation EU o almeno di prolungarlo oltre la scadenza del 2030, sapendo che gli investimenti per l’economia verde e la digitalizzazione non sono legati solo all’emergenza della pandemia, e di rendere perpetui o irredimibili i titoli del debito pubblico europeo creando un “azionariato pubblico” come fu proposto negli anni ’90 dal premio Nobel dell’economia Robert Shiller e come è stato riproposto in Europa dal governo spagnolo, dai Verdi tedeschi e in Italia dal Movimento Europeo insieme al Centro Studi sul Federalismi e dagli economisti Giovanni Tria e Pasquale Lucio Scandizzo.

La maratona europea verso il Recovery Plan è appena iniziata, il percorso è ancora lungo e rischia di diventare una corsa ad ostacoli.

 

 coccodrillo

 

 


 

Terza lezione ciclo Accademia Federalista

 

Videolezione Jef Italia

Jef Italia -Terza lezione del ciclo Accademia Federalista con Pier Virgilio Dastoli,

presidente del Movimento Europeo Italia

 


 

Attiriamo la vostra attenzione

Il nuovo governo italiano a guida del prof. Mario Draghi, nel definirsi europeista, ha su di sé anche la responsabilità di indirizzare l'Italia in tale direzione e questa newsletter è dedicata a fare il punto della situazione secondo l'impostazione che qui vi riportiamo e che, non da oggi, è quella del Movimento europeo:

Il 14 febbraio 1984 veniva approvato a Strasburgo a larga maggioranza il Progetto di Trattato che istituisce l’Unione europea (Progetto Spinelli).

L’Unione Europea è stata istituita con il Trattato di Maastricht del 1992 (entrato in vigore nel 1993) ma, nonostante le successive modifiche di Amsterdam (1999), Nizza (2003) e Lisbona (2009) con una cadenza di sei anni fra un trattato e l’altro, è ancora largamente imperfetta.

Per perfezionarla è necessario trasformarla in una Comunità federale attribuendole competenze a dimensione transnazionale, darle una capacità fiscale autonoma, completarne la dimensione democratica, creare un sistema  federale con un governo dotato di poteri limitati ma reali, superare il metodo confederale con l’eliminazione del voto all’unanimità e darle gli strumenti per essere un attore internazionale.

Per far questo ci vuole un nuovo trattato globale e coerente di natura costituzionale che sostituisca il trattato di Lisbona dopo undici anni dalla sua entrata vigore.
L’unica istituzione che ha la legittimità sostanziale e la capacità politica per elaborarlo e adottarlo è il Parlamento europeo che deve agire affinché il nuovo trattato diventi il tema centrale delle elezioni europee nel maggio 2024 come occasione di democrazia partecipativa per promuovere un referendum paneuropeo.

 

 


 

Perché sostenere il Movimento europeo in Italia

 

Video Antonio Apng

Antonio Argenziano, segretario generale GFE:
“Perché sostenere il Movimento europeo in Italia”

 


 

Vi segnaliamo

 


 

Documenti chiave


 


 

Testi della settimana

 


 

Economia

 di Anna Maria Villa

La rivoluzione verde sembra concretamente avviata

 

Ormai da anni, l’ambiente è considerato ‘il malato’ del mondo, ma i sintomi della sua malattia, gravi e profondi, sembrano ignorati. Eventi climatici catastrofici stanno cercando di attirare l’attenzione di chi può e deve intervenire immediatamente a livello non solo locale, ma anche trovare le migliori soluzioni condivise nelle varie sedi multilaterali ed internazionali. Difronte a questa improrogabile urgenza, l’Europa ha iniziato seriamente a porsi il problema di un cambio di strategia e di metodi per andare in soccorso ad un bene così prezioso per tutta l’umanità. La Commissione europea, presieduta da Ursula von der Leyen, con il suo insediamento ha infatti lanciato un programma d’azione ambizioso, che vede tra gli obiettivi strategici alla base della ripresa economica dell’Europa, la trasformazione ecologica e digitale. Due obiettivi essenziali, finalizzati a creare un ambiente favorevole alle persone ed alle imprese per realizzare investimenti di crescita sostenibile, ma anche per garantire uno stile di vita europeo attraverso il rispetto della carta dei diritti fondamentali, tra i quali primo fra tutti il diritto alla salute e alla dignità umana. Una grande trasformazione digitale e organizzativa della società, che coinvolge sia il settore pubblico che quello privato, con faro di riferimento la tutela dell’ambiente.

Al centro delle iniziative, il Green Deal, un programma che detta la rotta per trasformare il vecchio continente, con i suoi 500 milioni di persone, in un’area ad impatto climatico zero entro il 2050, principalmente attraverso la decarbonizzazione del settore energetico, un ripensamento della mobilità e dei trasporti, un importante risparmio energetico nel settore dell’edilizia, oltre ad una maggior attenzione all’Economia circolare, grazie al supporto di un pacchetto di aiuti in 10 anni, erogati da diversi fondi e programmi, primo tra tutti INVESTEU. Il Consiglio europeo dello scorso 17 dicembre, nel confermare l’obiettivo di neutralità di emissioni nocive al 2050, ne ha scandito le tappe intermedie, stabilendo una riduzione di almeno il 55% dei gas ad effetto serra entro il 2030 e riaffermando la volontà dell’Unione di diventare un leader mondiale in ambito ambientale.

A ciò sempre, lo scorso dicembre, il Consiglio europeo ha approvato il nuovo quadro finanziario pluriennale (QFP) e un consistente pacchetto di aiuti finanziari per la ripresa e resilienza dell’economia europea (Next generation EU), i quali – grazie anche al sostegno del Parlamento europeo, hanno stanziato rispettivamente il 30% ed il 37% delle loro risorse a iniziative ambientali.

Il NGUE detta infatti le priorità ed i criteri per la presentazione di progetti al finanziamento, secondo un’ottica e criteri in linea con la trasformazione digitale ed ecologica dell’Unione. Tali risorse debbono sostenere un’industria sempre più ’verde’ innovativa, digitalizzata ed un uso delle risorse (in particolare il suolo e l’aria) sempre più sostenibile creando lavoro e quindi benessere sociale. Vivendo in un mondo globalizzato e trattando di un bene che non conosce frontiere come l’ambiente, occorre confrontarsi anche con i dati per capire la portata dell’efficacia dell’azione europea. La percentuale di emissioni europee, ad esempio, è circa l’8% di quella mondiale. Pertanto, i successi delle decisioni prese a livello europeo, dipendono anche – forse soprattutto - dall’accordo che si può raggiungere tra partner importanti. La mancanza di impegno comune, infatti, può minare la buona riuscita della strategia europea, e addirittura favorire - se non creare - crisi geopolitiche di portata notevole (guerre, migrazioni ecc). Con la nuova amministrazione Biden, un partner fondamentale come gli Stati Uniti è fortunatamente rientrato in campo, ma rimangono ancora grosse incognite circa l’Africa, l’India e la Cina, per i quali la sostenibilità potrebbe avere un significato e degli strumenti assolutamente diversi dai nostri.  È quindi importante la posizione dell’Europa nei due prossimi incontri internazionali di quest’anno: il forum internazionale dei leaders, dei ministri delle finanze e dei governatori delle banche centrali (G20) dei paesi industrializzati che rappresentano i 2/3 del commercio mondiale e della popolazione mondiale e oltre all’80% del Pil mondiale, e la Conferenza delle Nazioni Unite sul Clima (Cop26), che si terrà a Glasgow il prossimo novembre, entrambi per concordare regole ed impegni condivisi. I due incontri saranno, rispettivamente, presieduto dall’Italia e co-presieduto da Italia e Regno Unito.

A livello UE, inoltre, si sono schierati in campo anche i due istituti finanziari europei determinanti nella riuscita dei programmi europei e nazionali, la Banca Centrale europea (BCE), che continua a sostenere il Quantitative easing avviato dal Presidente Draghi durante la crisi finanziaria, garantendo quindi liquidità nel sistema e stabilità dei prezzi, e la Banca europea degli investimenti (BEI) che accelera anch’essa su investimenti in un’ottica ambientale, prevedendo, oltre ad una propria ristrutturazione interna per un maggior coordinamento degli investimenti ambientali, anche una maggiore trasparenza e criteri  di sostenibilità ambientale più stringenti per l’approvazione dei finanziamenti.

Gli investimenti da realizzare sono ingenti. Pertanto, oltre alle risorse messe a disposizione dall’UE e dagli Stati membri nei loro bilanci nazionali, c’è bisogno di far scendere in campo anche il risparmio privato. I cittadini europei (soprattutto, italiani) non investono per mancanza di fiducia nel sistema, mancanza che si basa su diversi fattori, primo tra tutti la trasparenza. Proprio per creare fiducia nel mercato e far arrivare alle imprese le risorse necessarie, sta prendendo piede una nuova forma obbligazionaria, i Green Bond, che prevedono una sorta di analisi ex ante ed ex post del progetto di investimento in un’ottica ambientale, con relativa valutazione del presunto e realizzato impatto dell’iniziativa sull’ambiente, la tracciabilità delle risorse dedicate allo stesso nei bilanci dell’utilizzatore e una attenta reportistica per l’investitore.

A livello europeo, dunque, sembra esserci un concreto cambio di rotta. Ma anche in Italia stiamo assistendo ad una sorta di rivoluzione in senso ambientale. Il Presidente Draghi ha infatti posto le basi di questo cambio di passo, proponendo nella sua squadra di governo due ministri considerati strategici: il ministro della digitalizzazione ma soprattutto il ministro per la transizione ecologica, ampliando per quest’ultimo le competenze istituzionali. A questi due ministri verranno assegnati rispettivamente il 20% ed il 40% circa delle risorse del Recovery Plan che dovranno essere utilizzate per garantire quell’innovazione necessaria al rilancio del paese. Ambiente e digitalizzazione saranno dunque il collante della ripresa economica del paese, evidenziato anche dal fatto il ‘Comitato interministeriale per il coordinamento delle attività concernenti la transizione ecologica’ sarà presieduto dal Ministro per la transizione ecologica, che dovrà nelle decisioni confrontarsi con i titolari degli altri dicasteri.

Da questo, oltre alla considerazione che l’ambiente è strategico e come appena detto, il collante alla base di ogni decisione di politica economica, emerge anche un'altra considerazione: le politiche europee non sono ‘altro’ dalle politiche settoriali nazionali, ma coincidono con queste. A livello europeo si danno gli indirizzi, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza – votato dal Parlamento - definisce il percorso a livello nazionale e ciascun ministro per la sua realizzazione dovrà sempre aver presente le indicazioni europee. Oltre a mettere in sicurezza il nostro territorio, lavoreremo nell’ottica di ‘EUROPA=NOI’, un’azione di comunicazione e formazione di successo, rivolta agli insegnanti di tutte le scuole di ogni ordine e grado, lanciato e realizzato dalla Commissione europea e dal  governo italiano in collaborazione Parlamento europeo, nel 2009,  per far capire ai giovani, attraverso il supporto degli insegnanti, di essere cittadini europei e soprattutto che parlare di Europa significa parlare di Italia.

 

 


 

 Carta dei diritti fondamentali

L'articolo 30 della Carta dei diritti fondamentali è dedicato alla tutela in caso di licenziamento ingiustificato. In sintonia con l'articolo 29, sul diritto di accesso ai servizi di collocamento, trattato la settimana scorsa, si colloca nella sezione dedicata alla solidarietà, un ambito strettamente connesso, come si può notare, a quello dei diritti dei lavoratori. Afferma l'articolo 30 che “Ogni lavoratore ha il diritto alla tutela contro ogni licenziamento ingiustificato, conformemente al diritto comunitario e alle legislazioni e prassi nazionali”. Pur nel rispetto delle differenziazioni in base al contesto di ciascuno Stato membro o anche di quelle su base regionale, questo tipo di tutela deve essere operante conformemente anche al diritto dell'Unione europea: è così che si apre uno spazio di riflessione rispetto all'azione che potrà essere operata in sede europea con gli assunti di una nuova politica che sembra si stia delineando e che si basa su alcuni obiettivi da realizzare.

Rispetto ad un mondo del lavoro ricco di incognite, a causa della complessità del capitalismo contemporaneo che è dematerializzato, sempre più legato agli umori dei mercati finanziari, in cui si compete con sistemi quali quello cinese, russo, di Paesi cioè che basano le proprie scelte politiche su presupposti assai differenti da quelli dell'economia di mercato occidentale, l'Unione si è posta l'obiettivo di garantire tutele sociali basate sulla legge, nel caso di perdita del lavoro, e ricorrendo all'azione della contrattazione sindacale. Oggi, queste tutele possono e devono essere riaffermate a livello europeo realizzando nuove conquiste del lavoro, quali quella di un reddito minimo in tutti gli Stati membri, e affermando i principi del pilastro europeo dei diritti sociali, molto concentrato sulle tutele nel mondo del lavoro ma ancora non tradotto in una nuova legislazione sociale e del lavoro che possa colmare le lacune esistenti. Continueremo ad occuparcene anche nelle prossime newsletter.

 

 


 

La giurisprudenza europea

Vi proponiamo, questa settimana, una sentenza interessante perché entra nel merito delle modalità di applicazione del mandato d'arresto europeo, uno degli istituti che rappresentano un caposaldo per l'affermazione della cooperazione giudiziaria. La Grande Sezione della Corte, il 17 dicembre 2020, ha infatti emesso una sentenza che fornisce alcuni chiarimenti rispetto a tale questione: è possibile eseguire un mandato d'arresto europeo quando la richiesta provenga da un Paese – nel caso specifico, la Polonia – in cui c'è ragione di ritenere che la situazione interna relativa allo stato di diritto sia tale da non garantire l'indipendenza del potere giudiziario? Già in altri casi ci siamo occupati del rispetto dello stato di diritto nei nuovi Stati membri, là dove effettivamente esistono criticità non di poco conto.

In questo caso, si è trattato di arrivare a dei chiarimenti rispetto ad una richiesta di mandato d'arresto europeo partita dalla Polonia nei confronti di due cittadini di questo Stato che si trovavano in Olanda. A supporto dei dubbi del giudice che ha rinviato la questione alla Corte, nel testo della sentenza si rinvengono le motivazioni alla base di tali perplessità e, per opportuna conoscenza, le riportiamo qui di seguito. Si tratta dei seguenti punti:

la sentenza del Sąd Najwyższy (Izba Pracy i Ubezpieczeń Społecznych) (Corte suprema, sezione per il lavoro e la previdenza sociale), del 5 dicembre 2019, nella quale detto organo giurisdizionale, pronunciandosi nella controversia che ha dato luogo alla domanda di pronuncia pregiudiziale nella causa C‑585/18, ha dichiarato che il Krajowa Rada Sądownictwa (Consiglio nazionale della magistratura, Polonia) non era, nella sua attuale composizione, un organo imparziale e indipendente dai poteri legislativo ed esecutivo;

il ricorso per inadempimento proposto dalla Commissione europea nei confronti della Repubblica di Polonia (causa C‑791/19) e l’ordinanza della Corte dell’8 aprile 2020, Commissione/Polonia (C‑791/19 R, EU:C:2020:277);

l’adozione, il 20 dicembre 2019, da parte della Repubblica di Polonia, di una nuova legge relativa al sistema giudiziario, entrata in vigore il 14 febbraio 2020, che ha indotto la Commissione ad avviare, il 29 aprile successivo, una procedura di infrazione inviando a tale Stato membro una lettera di diffida riguardante detta nuova legge, e

lo svolgimento di un’udienza, il 9 giugno 2020, dinanzi al Sąd Najwyższy (Izba Dyscyplinarna) (Corte suprema, sezione disciplinare), riguardante la revoca dell’immunità penale di un giudice polacco e la pronuncia di una sentenza nella stessa data”.

Secondo la Corte, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione chiamata a decidere sulla consegna di una persona oggetto di un mandato d’arresto europeo verso un Paese in cui si ritenga che vi siano carenze nell'indipendenza della magistratura “non può negare la qualità di «autorità giudiziaria emittente» [...] senza effettuare una verifica concreta e precisa che tenga conto, in particolare, della situazione individuale di detta persona, della natura del reato di cui trattasi e del contesto fattuale nel quale si inserisce detta emissione, ivi comprese le dichiarazioni di autorità pubbliche che possano interferire nel trattamento da riservare a un caso individuale”. Ciò implica quindi che spetti alle autorità olandesi effettuare le opportune verifiche previste nella sentenza, anche se, come si può notare sfogliando il testo della stessa, qualche forma di verifica era stata tentata senza ottenere risposta da parte della Corte suprema polacca. Si apprende infatti, leggendo la sentenza, che “il pubblico ministero ha [...] posto un quesito riguardante il Sąd Najwyższy (Corte suprema) all’autorità giudiziaria di emissione del mandato d’arresto europeo in questione nonché, per il tramite di Eurojust, allo stesso Sąd Najwyższy (Corte suprema), senza tuttavia ottenere risposta”.

Ciò testimonia che ci si trovi di fronte ad un caso di particolare interesse rispetto alle modalità concrete attraverso cui applicare la sentenza della Corte di Giustizia europea: c'è ragione di ritenere che la suddetta attività di verifica sia di particolare complessità.

Per approfondire, clicca qui.                                                       

 

 


 

Consigli di lettura

Vi presentiamo questa settimana un testo del noto studioso Federico Fabbrini, docente di Diritto dell'Unione europea presso la School of Law & Government della Dublin City University: “Brexit, tra Diritto e Politica”. Il volume è il risultato di un'analisi che inizia già da prima dell'evento dell'uscita del Regno Unito dalla Ue, ragionando sulle cause e sui fattori che hanno determinato l'esito referendario del 23 giugno 2016. Lo stile adottato dall'autore consente di rivolgersi sia ad esperti e addetti ai lavori che al pubblico in generale. Attraverso una documentazione ampia che indaga sui rapporti tra Ue e Regno Unito, Fabbrini ricostruisce le fasi del processo Brexit unendo più piani di indagine, poiché la questione ha riguardato sia la sfera della comunicazione sui media, sia quella del complesso intreccio di aspetti giuridici su cui si sono fondate le relazioni tra Ue e Regno Unito, basandosi sui Trattati e sul diritto europeo.

 

 

 


 

 Agenda della settimana

 

15-22 February 2021

 

Monday 15 February

Tuesday 16 February

Wednesday 17 February

Thursday 18 February

Friday 19 February

 

  


Campagna di informazione sull’Europa

 

MDraghi

 

 

Registrati per ricevere le nostre newsletter.
 

Sostieni le iniziative del Movimento Europeo con una piccola donazione


© Movimento Europeo - Via Angelo Brunetti, 60  ||  Realizzato da logoims

Search