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Newsletter n.6/2021 - La maratona europea verso il Recovery Plan

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La maratona europea verso il Recovery Plan o Next Generation EU è di fatto iniziata con l’entrata in vigore e la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea del Regolamento relativo allo strumento europeo per la ripresa e la resilienza (European Recovery and Resilience Facility) che ne costituisce la parte finanziaria principale.

Cerchiamo di fare chiarezza sulle tappe di una lunga maratona che durerà fino al 2058, data ultima per il rimborso del debito di 750 miliardi di Euro che sarà contratto sui mercati dei capitali dalla Commissione europea, anche per sgombrare il campo da imprecise ricostruzioni che abbiamo letto su autorevoli quotidiani finanziari.

Come sappiamo e come abbiamo detto più volte l’espressione giornalistica Recovery Fund è inesatta perché, dopo la proposta franco-tedesca di un unico fondo dotato di 500 miliardi di Euro, la Commissione europea ha proposto un piano per la ripresa legato a precise regole di governance  europea (criteri di valutazione dei piani nazionali, modalità di attribuzione di prestiti e sovvenzioni, controllo della conformità delle spese con le regole del piano europeo….) dotato di 750 miliardi di Euro e articolati in diversi fondi che vanno dal rafforzamento della coesione economica, sociale e territoriale, ad interventi europei a sostegno della salute, delle imprese, della ricerca, del mondo agricolo, della protezione civile, dei paesi candidati all’adesione e della cooperazione allo sviluppo.

Per poter spendere entro il 2026 (data di scadenza del Recovery Plan) l’intero ammontare dei 750 miliardi di Euro, la Commissione ha chiesto di aumentare il livello delle risorse proprie che finanziano il bilancio europeo pluriennale portandole dall’1.2 (ma di fatto dall’1) al 2% in modo tale da avere una base finanziaria totale di oltre 1800 miliardi di Euro per i sette anni dal 2021 al 2027 di cui faranno parte le risorse del Recovery Plan e i crediti del bilancio europeo vero e proprio e di far sì che le risorse europee siano poste a garanzia del debito che intende contrarre sui mercati dei capitali.

Secondo le disposizioni del Trattato (art. 311 TFUE), l’aumento del massimale deve essere deciso all’unanimità dal Consiglio (“dopo aver consultato il Parlamento europeo”) e poi approvato dagli Stati membri “conformemente alle loro regole costituzionali rispettive” e cioè attraverso delle ratifiche parlamentari. Soltanto dopo le ventisette approvazioni nazionali la Commissione potrà ricorrere ai mercati dei capitali contraendo debito pubblico europeo.

Allo stato attuale la ratifica parlamentare è avvenuta in Francia, Portogallo, Bulgaria, Cipro, Slovenia e Croazia e si attende la ratifica dell’Italia in cui il governo Conte ha inserito il provvedimento nel decreto “mille proroghe”.2021 che deve essere ancora convertito in legge dalle Camere. Nel resto dell’Unione europea le procedure di ratifica sono molto lente sia per la complessità delle regole parlamentari sia perché in alcuni paesi – come in Finlandia, Estonia, Lettonia, Lituania e soprattutto Paesi Bassi – il tema dell’aumento del massimale delle risorse proprie suscita polemiche e opposizioni dei “frugali” o dei “sovranisti”.

Per superare la lentezza delle ratifiche parlamentari avevamo proposto al Parlamento europeo – che, come abbiamo detto, ha un potere soltanto consultivo – e alle presidenze tedesca e portoghese di promuovere la convocazione di assise interparlamentari”, come quelle che si svolsero a Roma nel novembre 1990 alla vigilia delle conferenze intergovernative che elaborarono il Trattato di Maastricht, in modo tale da rendere europeo e non solo nazionale il dibattito sulle risorse proprie. Questa proposta non è stata ancora presa in considerazione nel Parlamento europeo nonostante l’evidente interesse della assemblea europea di influire sui dibattiti nazionali. Se sorgessero nuovi ostacoli sulla strada delle ratifiche, suggeriamo al Parlamento europeo di sollevare la proposta delle assise nella riunione della Conferenza degli organi specializzati negli affari comunitari (COSAC) che avrà luogo a Lisbona il 30 e 31 maggio legandola al dibattito più ampio delle nuove risorse proprie (v. più avanti).

Parallelamente alle procedure di ratifica dell’aumento del massimale delle risorse proprie, gli Stati membri dovrebbero (il condizionale è d’obbligo) presentare i loro Recovery Plans alla Commissione europea entro il 30 aprile 2021 sapendo che l’avvio delle prime quote dei prestiti e delle sovvenzioni avverrà separatamente paese per paese quando sarà conclusa la procedura di esame dei singoli Recovery Plans.

Le quote maggiori saranno legate al Recovery and Resilience Facility ma anche gli altri fondi per la salute, la ricerca, l’industria, l’agricoltura, la protezione civile sono importanti e ciascuno di loro richiede un regolamento di attuazione come, ad esempio, Orizzonte Europa che deve essere ancora approvato dal Parlamento europeo e dal Consiglio.

Contrariamente a quel  che hanno scritto alcuni autorevoli quotidiani finanziari la procedura di aumento del massimale delle risorse proprie fino al 2% del Reddito Globale dell’Unione europea non ha nulla a che fare con l’introduzione di nuove risorse proprie o imposte europee di cui solo quella sulla plastic tax è stata proposta dalla Commissione europea (e entrerà in vigore il 1° luglio 2021) mentre le altre devono ancora essere proposte agli Stati membri essendo in parte legate a accordi internazionali (come la web tax) o ad armonizzazioni nazionali (come la tassa sulle transazioni finanziarie che è stata oggetto dell’avvio di una cooperazione rafforzata fra un numero limitato di paesi membri o un’aliquota delle imposte sulle società per combattere le elusioni fiscali e eliminare i paradisi fiscali) con l’eccezione di un meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere europee (border carbon adjustement) giuridicamente di più semplice applicazione essendo di fatto un dazio doganale.

Poiché l’approvazione di nuove risorse richiede in base all’art. 311 TFUE una decisione unanime del Consiglio e tutte le ratifiche nazionali, il commissario Paolo Gentiloni – che ha la responsabilità della politica fiscale – sta lavorando sull’ipotesi di proporre al Parlamento europeo e al Consiglio di applicare l’art. 116 TFUE che riguarda l’eliminazione delle disparità legislative, regolamentari e amministrative (e dunque anche fiscali) fra gli Stati membri e che possono falsare le condizioni della concorrenza nel mercato interno con una procedura legislativa ordinaria basata su direttive adottate dal Consiglio a maggioranza qualificata in codecisione con il Parlamento europeo.

Questa strada innovativa è fortemente sostenuta in Germania da SPD e Verdi che hanno sollecitato l’accordo dei loro rispettivi partiti europei aprendo la prospettiva di una disponibilità del governo tedesco dopo le elezioni federali del prossimo 23 settembre.

A queste proposte si è aggiunta l’idea di perennizzare il Next Generation EU o almeno di prolungarlo oltre la scadenza del 2030, sapendo che gli investimenti per l’economia verde e la digitalizzazione non sono legati solo all’emergenza della pandemia, e di rendere perpetui o irredimibili i titoli del debito pubblico europeo creando un “azionariato pubblico” come fu proposto negli anni ’90 dal premio Nobel dell’economia Robert Shiller e come è stato riproposto in Europa dal governo spagnolo, dai Verdi tedeschi e in Italia dal Movimento Europeo insieme al Centro Studi sul Federalismi e dagli economisti Giovanni Tria e Pasquale Lucio Scandizzo.

La maratona europea verso il Recovery Plan è appena iniziata, il percorso è ancora lungo e rischia di diventare una corsa ad ostacoli.

 

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