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Newsletter 14 Giugno/2021 - SPECIALE PNRR

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La richiesta di efficienza all’Italia (e non solo)

La velocità nell’esecuzione dei progetti contenuti nel Piano Nazionale (italiano) di Ripresa e Resilienza è certamente di portata vitale per accedere alle risorse potenzialmente rese disponibili per l’Italia dall’Unione europea.

Ma essa può essere resa possibile soltanto in presenza di un’amministrazione pubblica italiana competente.

In via generale la «ricerca della qualità» delle stazioni appaltanti è un imperativo categorico alla luce delle direttive europee in materia di contratti pubblici: esse mirano ad accrescere i livelli di efficienza delle pubbliche amministrazioni nazionali, in funzione dell’esigenza di promuovere una crescita economica intelligente, sostenibile e inclusiva, attenta alle implicazioni sociali e ambientali.

Nella contingenza attuale è necessario (anzi vitale) avere un “compratore” pubblico professionale, cioè capace e competente, attrezzato ad affrontare la sfida posta dall’esecuzione del PNRR, garantendo l’efficienza per assicurare la ripresa economica e la sostenibilità sociale “a valle” del periodo di pandemia. Il sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti prefigurato nel Codice dei contratti pubblici avrebbe potuto essere una soluzione che avrebbe trovato il sistema-Paese Italia preparato alla sfida attuale.

Poiché così non è stato, ora si tratta di attrezzare l’ordinamento in fretta, in situazione di emergenza, poiché l’Unione europea richiede ai propri Stati membri di eseguire il PNRR nazionale con efficienza e pone questo requisito come parametro di valutazione per il conferimento delle risorse del NextGenerationEU.

L’articolato sistema di erogazione dei fondi è sottoposto a un meccanismo di condizionalità che ha una funzione eminentemente preventiva: mira cioè a far sì che le risorse impegnate dall’Unione europea siano utilizzate sul piano nazionale in modo virtuoso, alla luce, fra gli altri, del criterio dell’efficienza.

Viceversa, è nota la scarsa capacità dimostrata dall’Italia nel corso degli anni nell’utilizzare al meglio le risorse dei fondi strutturali dell’Unione europea: questa caratteristica si è manifestata nell’uso non di rado affrettato di esse, nella predisposizione di progetti non sempre qualificanti, nella difficoltà di corretta loro rendicontazione, nonché, infine, nella ricorrenza di frodi, corruzione.

A mero titolo di esempio si ricorda al riguardo la pronuncia del giudice europeo, il quale ha riscontrato come sia «innegabile» che gli errori commessi dall’amministrazione italiana sono «errori sistemici, imputabili a insufficienze nei sistemi di gestione e controllo (…), che si sono manifestati nel corso di diversi esercizi finanziari» (sentenza 25 gennaio 2018, causa T-91/16, p.to 125; corsivo aggiunto).

Sebbene le ultime evidenze sull’uso dei fondi europei registri un certo miglioramento nel raggiungere gli obiettivi di spesa, è indubbio che l’entità delle risorse a disposizione per fronteggiare la pandemia, da una parte costituisca un’opportunità unica per il nostro Paese per uscire dalla situazione di recessione e di precipizio dentro l’abisso del debito pubblico; da un’altra parte rappresenti un rischio da più prospettive, anche solo da quella di non riuscire a proporre progetti efficaci. Più chiaramente: non è escluso il rischio di investire in progetti inutili per il Paese. Alcuni diffusi episodi verificatisi, per restare a tempi recenti, nel periodo marzo-giugno 2020, danno conto al proposito di prospettive inquietanti (ANAC, Indagine conoscitiva sugli affidamenti in regime emergenziale di forniture e di servizi sanitari connessi al trattamento ed al contenimento dell’epidemia da COVID 19 – Report di seconda fase, 4 agosto 2020).

Si consideri che il sistema di controllo finanziario che l’Unione ha da poco disposto nel regolamento (UE) 2021/241 – accompagnato dalle linee guida adottate dalla Commissione europea il 17 settembre 2020 e aggiornate il 22 gennaio 2021 - comporterà una sorta di “freno” nell’erogazione delle risorse europee: per garantire l’esecuzione del singolo progetto nazionale su di un orizzonte temporale rapido, chiaro e definito ex ante, l’erogazione delle risorse sarà vincolata allo stato di avanzamento del progetto, a una verifica dell’efficacia dell’azione finanziata, con ipotesi concrete di sospensione dell’erogazione delle risorse, ovvero di loro restituzione se già erogate e non corresponsione di quante ancora si attendono a chiusura dell’azione.

I rischi di un’errata, non efficiente o anche solo mancata possibilità di utilizzo delle risorse europee sono dunque attuali.

L’Italia dovrebbe dunque anzitutto dotarsi di un presidio suo proprio per garantire il buon utilizzo di queste risorse, prima ancora che intervenga il sistema dei controlli dell’Unione europea: perché a quel punto un danno sarebbe compiuto e sarebbero non rimediabili conseguenze come quelle di perdita di reputazione “comunitaria” nonché internazionale del Paese (senza pensare al danno reale ai cittadini, alle imprese, al sistema socioeconomico nazionale in generale).

Occorre insomma un sistema di controlli che sia interno al nostro Paese e che corredi il Piano accompagnando la sua “governance” pubblica.

L’Unione ha dunque predisposto severi criteri di utilizzo delle proprie risorse finanziarie: Il regolamento sopra ricordato si affianca agli obiettivi strategici inseriti in un “Programma strategico per il 2021” e in un “Piano per la ripresa”.

Sugli obiettivi ivi contemplati gli Stati non hanno alcun margine di manovra: a ciascuno di essi spetta esclusivamente programmare come intenda raggiungerli con i propri progetti.

Lo Stato membro deve pure tener conto delle raccomandazioni indirizzategli nell’ambito degli esercizi denominati “Semestre europeo” per il 2019 e per il 2020. Le indicazioni per l’Italia sono sintetizzabili in questi obiettivi: perseguire economie di bilancio prudenti, per garantire la sostenibilità del debito pubblico, incrementando gli investimenti; attenuare gli effetti della crisi sull’occupazione; valorizzare la liquidità delle imprese; realizzare investimenti pubblici con particolare riguardo alla transizione digitale e verde; migliorare il funzionamento della pubblica amministrazione e del sistema giudiziario.

Si aggiunge che le sopra menzionate linee guida della Commissione europea individuano un impianto piuttosto rigido di descrizione dei progetti contenuti nel PNRR: ciascuno di essi deve essere presentato sulla base di una “scheda progetto” che richiede di definire gli obiettivi, le riforme, gli investimenti, il monitoraggio, le tempistiche, le azioni correttive.

Il Piano nazionale (che contiene tutti questi progetti) deve essere accompagnato da un Executive Summary (suddiviso in sezioni che devono indicare dati statistici, valutazioni di impatto, l’effetto atteso dal singolo progetto, gli aspetti di criticità e le corrispondenti misure per farvi fronte, tempi certi di realizzazione, ecc.).

I progetti nazionali devono inoltre rispettare la ripartizione dell’allocazione delle risorse entro tre pilastri di intervento, come definiti dal Consiglio europeo il 21 luglio 2020:

  • nel primo pilastro ricadono le azioni nazionali indirizzate a recuperare il terreno perduto in campo economico-sociale a motivo della pandemia; sono implicati i seguenti programmi europei: Recovery and Resilience Facility (RRF- 672,5 miliardi di cui 312,5 sussidi e 360 prestiti); REACT-EU, che dispone di 47,5 miliardi; Rural Development, che dispone di 7,5 miliardi; Just Transition Fund, che dispone di 10 miliardi;
  • nel secondo pilastro possono essere imputate le azioni indirizzate all’economia nazionale e a sostenere gli investimenti privati; è implicato il programma InvestEU rafforzato (5,6 miliardi);
  • nel terzo pilastro insistono gli interventi funzionali a contrastare l’insorgenza e la gestione delle crisi sanitarie; i programmi UE implicati sono: RescEU rafforzato (1,9 miliardi) e Horizon Europe (5 miliardi).

Il ricordato regolamento (UE) 2021/241 contiene, poi, una serie di misure e di indicatori che dovrebbero proprio servire a valutare e monitorare i progetti italiani, come quelli di tutti gli altri Paesi.

Più nello specifico, il regolamento ricorda i “sei pilastri” in cui devono ricadere i progetti nazionali, vale a dire: transizione verde; trasformazione digitale; crescita intelligente, sostenibile e inclusiva; coesione sociale e territoriale; salute e resilienza economica, sociale e istituzionale; politiche per la prossima generazione, l'infanzia e i giovani.

Inoltre, la Commissione europea monitorerà l'attuazione dei Piani nazionali e misurerà il raggiungimento degli obiettivi previsti in modo mirato e proporzionato alla luce di quattro indicatori, fra i quali l’efficienza occupa una posizione prevalente. E il regolamento chiarisce che la Commissione europea valuterà pertinenza, l'efficacia, l'efficienza e la coerenza dei PNRR nazionali, sulla base dell'elenco di criteri stabiliti nel regolamento stesso (art. 19.3 e Allegato V),

La richiesta di efficienza emerge, per esempio, sotto il profilo dei costi, là dove si richiede allo Stato di giustificare l’importo dei costi totali stimati del PNRR in modo ragionevole e plausibile, in linea con il principio appunto di efficienza, in misura commisurata all’impatto atteso sull’economia nazionale e sul livello occupazionale.

La richiesta di efficienza è implicita nei tempi pretesi per l’esecuzione dei singoli progetti contenuti nel PNRR, che come noto devono essere contenuti entro il 2026.

A questo proposito varrebbe la pena di finalmente acconciarsi a valorizzare l’approccio collaborativo espresso dalle direttive europee, per esempio quando suggeriscono agli Stati la valorizzazione dell’accordo quadro, la centralizzazione degli acquisti pubblici, l’appalto congiunto occasionale.

La situazione di crisi in cui versa indubitabilmente il modello italiano della contrattualistica pubblicache investe soprattutto la fase di esecuzione – deve essere fronteggiato nell’emergenza attuale individuando modalità e procedure che conseguano un grado maggiore di affidabilità nelle prestazioni contrattualizzate, anche grazie ad un maggior grado di loro adattabilità.

Occorre, si crede, lavorare intorno a strumenti di accompagnamento della fase esecutiva ispirati alla massima trasparenza dei flussi e degli avanzamenti.

Occorre creare inoltre un contesto flessibile, facilmente adattabile e sinergico su tutta la filiera dei soggetti, pubblici e privati, che saranno coinvolti nell’esecuzione dei singoli progetti contenuti nel PNRR. In questo senso la Commissione che il Ministro Giovannini ha preannunciato potrebbe rivelarsi utile.

In relazione all’esigenza di rendere effettivo il processo di esecuzione di un contratto pubblico, uno strumento appropriato, perché consente una misurazione dell’impatto degli interventi finanziati, sembra essere l’accordo collaborativo.

Esistono già dei modelli di accordo collaborativo, di matrice anglosassone, che sono stati sperimentati anche in Italia, concepiti proprio per fornire un controllo della fase esecutiva a fronte della condivisione di target, di carattere sociale, ambientale o economico.

I target condivisi sono un parametro di misurazione dell’attività dell’intera filiera delle imprese e dei soggetti coinvolti nel portare a termine con successo una determinata iniziativa e vengono enunciati all’interno di una disciplina giuridica collaborativa che consente di avere il controllo sui risultati attesi, durante l’intera fase esecutiva. Gli accordi di collaborazione inoltre introducono elementi di flessibilità capaci di controbilanciare le rigidità delle contrattazioni bilaterali, e inseriscono in una matrice multi-parte l’impegno a migliorarsi reciprocamente e a portare innovazione a beneficio del gruppo. Un loro impiego come sentinelle del controllo sui fondi del PNRR sarebbe proficuo.  

Nicoletta Parisi e Dino Rinoldi

 

 

 

 

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