Newsletter 10 Gennaio/2022

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CARE LETTRICI E CARI LETTORI

La nostra newsletter settimanale Noi e il futuro dell'Europa è stata concepita per contribuire ad una corretta informazione sull’Unione europea e partecipare al dibattito sulla riforma dell’Unione a partire dalla Conferenza sul futuro dell’Europa.

Come sapete, la Conferenza è stata avviata il 9 maggio 2021 a Strasburgo e dovrebbe concludersi nella prossima primavera.

Ecco l’indice della nostra newsletter

- Editoriale, che esprime l’opinione del Movimento europeo su un tema di attualità

- Rubrica “Pillole d’Europa

- Testi in evidenza

- Attiriamo la vostra attenzione

- Agenda della settimana a cura del Movimento Europeo Internazionale

- Next Generation EU a cura di Euractiv

Siamo come sempre a vostra disposizione per migliorare il nostro servizio di comunicazione e di informazione e per aggiungere vostri eventi di interesse europeo nella speranza di poter contare su un vostro volontario contributo finanziario.

 


 L'EDITORIALE

Il futuro dell’Europa e il ruolo della Francia

Con l’avvio del semestre di presidenza francese del Consiglio dell’Unione europea il 1° gennaio 2022 fino al 30 giugno 2022, le istituzioni europee e quelle nazionali si apprestano ad affrontare alcune questioni essenziali per il proseguimento dello sviluppo dell’integrazione europea.

La soluzione di queste questioni sarà affidata in parte al potere di iniziativa - quasi esclusivo - della Commissione europea, in parte all’accordo fra il Parlamento europeo e  il Consiglio dell’Unione europea nel cui seno la capacità di mediazione è affidata all’abilità diplomatica di chi gestisce la presidenza più che all’autorevolezza del governo che ne ha la responsabilità (nella storia delle presidenze semestrali i maggiori risultati sono stati spesso raggiunti da governi di  paesi medio-piccoli piuttosto che dai grandi paesi, n.d.r.), in parte agli orientamenti che emergeranno nel Consiglio europeo - che condivide o meglio compete con la Commissione nel settore delle relazioni internazionali - la cui presidenza non spetta alla Francia ma al belga Charles Michel e in parte agli incontri collaterali di politica internazionale come i vertici della NATO e dell’OSCE o all’azione degli altri attori mondiali (USA, Russia e Cina in primo luogo) o ad eventi inattesi come sono stati negli ultimi due anni lo scoppio della pandemia o la fuga precipitosa dell’Occidente da Kabul o l’aggravarsi delle tensioni ai confini orientali dell’Unione europea.

Nella vita economica e finanziaria dell’Unione europea avrà infine una certa influenza la politica della BCE anche come risposta alla crescita dell’inflazione nel quadro dell’attività delle organizzazioni internazionali o delle altre banche centrali come la Federal Reserve.

Per chi conosce dall’interno il funzionamento delle istituzioni europee, la consistente riduzione del ruolo della presidenza semestrale del Consiglio dell’Unione europea a vantaggio del Consiglio europeo, la preminenza degli Stati nelle relazioni internazionali e nelle politica estera e della sicurezza ivi compresa la difesa, la competenza esclusiva della Commissione nella politica commerciale e nella concorrenza e della BCE nella politica monetaria, il rilievo mantenuto nel Trattato di Lisbona alle competenze cosiddette di sostegno nella politica industriale e della cultura in cui i poteri di azione sono rimasti intergovernativi per non parlare della dimensione democratica e del rispetto dello stato di diritto, appare stupefacente il gap fra il desiderio di grandeur che traspare dal programma della presidenza francese e la parte assolutamente marginale che svolgerà Parigi durante i sei mesi di presidenza.

Nonostante il volontarismo del Presidente Macron - preannunciato nella Conferenza stampa di dicembre, reiterato nell’incontro dell’Epifania con la Commissione europea al Palazzo dell’Eliseo e certamente più marcato quando parlerà davanti al Parlamento europeo il 18 gennaio – sarà difficile immaginare che in sei mesi potranno essere raggiunti risultati concreti e definitivi sui dossier più sensibili in cui le posizioni dei paesi membri sono più distanti come la riforma del Patto di Stabilità (e crescita) che – in assenza di una sua modifica – tornerà operativo il 1° gennaio 2023, l’introduzione di nuove risorse proprie sulla base delle proposte presentate dalla Commissione europea il 22 dicembre 2021, il completamento dell’Unione bancaria e del mercato dei capitali, la definizione concreta dell’autonomia strategica dell’Unione europea nella sua dimensione geopolitica.

Se si scorre la lista degli avvenimenti che avranno luogo durante il semestre di presidenza francese, lo spazio maggiore sarà dato alle riunioni informali interministeriali o a Forum di dibattito, certo importanti per il coinvolgimento della società civile e dei portatori di interesse ma con scarso rilievo per i momenti istituzionali e deliberativi (v. in allegato il programma completo della presidenza).

Le elezioni presidenziali del 10 e del 24 aprile e poi le elezioni legislative del 12 e del 19 giugno, che coinvolgeranno una parte importante del governo e della classe politica francese, potrebbero pesare negativamente sulla gestione della presidenza semestrale del Consiglio dell’Unione europea se si tiene conto del fatto che – su richiesta di Parigi – è stato fatto slittare di almeno sei mesi il negoziato sul Migration Compact per sottrarre alla destra un tema conflittuale o del grottesco episodio della bandiera europea a dodici stelle esibita per qualche ora sotto l’Arco di Trionfo al posto del tricolore e frettolosamente fatta sparire dopo le polemiche della destra nazionalista.

E’ improbabile che si potranno raggiungere risultati concreti sull’idea francese di un grande piano europeo di investimenti industriali che richiederebbero risorse finanziarie europee che per ora non ci sono e che non sono prevedibili a breve-medio termine e, soprattutto, se questo piano fosse legato al tema controverso della tassonomia e della politica energetica su cui è stato gettato nello stagno dalla Commissione europea il sasso del gas naturale e del nucleare con una frettolosa consultazione che scade il 12 giugno e il macigno del commissario Thierry Breton che ritiene necessari 50 miliardi di investimenti entro il 2030 e 500 miliardi entro il 2050 per il nucleare.

Si potrebbero forse raggiungere risultati sulla proposta di direttiva legata al salario minimo solo se saranno superate, con un compromesso fondato su un modello di integrazione differenziata, le resistenze dei paesi dell’Europa del Nord e i dissensi all’interno della Confederazione europea dei sindacati e potrebbero essere fatti passi in avanti sulla riforma del funzionamento delle regole di Schengen con il rischio di rafforzare la protezione alle frontiere esterne dell’Unione europea senza migliorare tutti gli aspetti della mobilità fra i paesi membri e dunque rafforzare la cittadinanza europea.

Come sappiamo, al centro dell’attenzione e dell’interesse di Emmanuel Macron ci sarà invece la conclusione della Conferenza sul futuro dell’Europa se la data del 9 maggio 2022 sarà mantenuta dalle istituzioni europee e dai governi nazionali dopo i panel dei cittadini, le sessioni plenarie, i gruppi di lavoro e gli orientamenti emersi dalla piattaforma digitale e dagli eventi promossi a livello nazionale o transnazionale.

Se Emmanuel Macron vorrà lasciare il segno nelle storia dell’integrazione europea, in coerenza con quello che affermò nel  discorso alla Sorbona nel settembre 2018, poi nella lettera alle cittadine e ai cittadini europei il 4 marzo 2019 ed infine nella sua convinzione della necessità di una “Europa sovrana” al di là dunque e al di sopra delle sovranità nazionali, dagli orientamenti della Conferenza dovranno emergere gli elementi essenziali del progetto di unità europea immaginata per fare del continente un  modello dì democrazia, di giustizia e di cooperazione pacifica nel mondo, di un metodo inclusivo per realizzarlo e di un’agenda al passo con le sfide del ventunesimo secolo.

Il rafforzamento di una vera democrazia europea, in questo spirito, dovrà passare attraverso gli elementi essenziali della partecipazione e della rappresentatività all’interno di un cantiere del futuro dell’Europa in cui le esigenze espresse nella Conferenza si traducano in un modello costituzionale multilivello dove il governo della res-publica venga assicurato secondo il principio dinamico della sussidiarietà che è al centro di ogni sistema federale.

Per giungere a questo risultato, la via da percorrere non può passare attraverso un negoziato in cui prevalga la difesa di apparenti interessi nazionali ma in cui si raggiunga un compromesso fra le culture politiche che sono al centro delle nostre democrazie: il popolarismo cristiano nella sua dimensione universalista, il socialismo nella sua dimensione internazionalista, il liberalismo nella sua dimensione cosmopolita a cui si è aggiunta dalla fine degli anni ottanta la cultura ambientalista.

Il solo spazio pubblico in cui agiscono e si incontrano queste culture è il Parlamento europeo che dovrà preparare il terreno per un dibattito ampio e trasparente in vista delle elezioni europee nel maggio 2024 a cui dovrà seguire la fase costituente per completare il processo di integrazione europea.

Così facendo la Francia sarà stata determinante per il futuro dell’Europa.

 

coccodrillo

 

 

 


PILLOLE D'EUROPA

1) FAISONS CHANGER DE CAP À L’EUROPE
Si nous voulons aller vers un monde de paix, de solidarité et de justice, il faut commencer par avoir plus de paix, de solidarité et de justice en Europe. Pourtant, il est possible que l'Union européenne se désagrège à cause des graves erreurs politiques et économiques commises, de l’inadaptation de ses institutions et d’un exercice insuffisant de la démocratie. Les égoïsmes nationaux servent aujourd’hui de briques pour construire des murs et pour étouffer l’idée de la libre circulation des personnes en Europe. La maison européenne commune que décrit le « Manifeste de Ventotene », qui relie la perspective d’un État fédéral à la démocratie européenne, à la paix et à la lutte contre les inégalités, risque aujourd’hui la désintégration, effaçant ainsi les espoirs de millions d’Européens.
Au cours des dix dernières années, les politiques d’austérité ont freiné les investissements dans l’économie réelle, exacerbé les inégalités, provoqué la précarité et déstructuré le modèle social européen.
L’Europe doit être une terre de droits, de bien-être, de culture, d’innovation. Des meilleurs moments de son histoire, comme des tragédies qu’elle a vécues, elle devrait pourtant avoir retenu la valeur inestimable de l'accueil, de la paix, de l'égalité et du vivre ensemble.
L’Union européenne doit affronter les grands défis de notre époque en ré-insufflant de l’espoir dans l’idée d’Europe, celui d’un bien-être accessible à la collectivité toute entière, de droits solides et de la solidarité. Il est indispensable et urgent de redonner du sens à la politique pour éliminer les inégalités en mettant fin aux politiques d'austérité et aux instruments qui ont permis de les mettre en œuvre. Il est indispensable et urgent de recréer de la cohésion sociale et territoriale, de donner la priorité à l’environnement comme levier et moteur du développement en luttant contre les changements climatiques. Il est indispensable et urgent de réduire le fossé intergénérationnel et inter-genres, de favoriser la participation active des citoyens et d’introduire un socle européen de protection sociale. Il faut rejeter la guerre, respecter l’état de droit, garantir l’accueil des réfugiés et la liberté de migrer, s’engager à résoudre les problèmes mondiaux qui sont la cause des migrations.
Il faut une démocratie européenne, où la responsabilité appartiendra aux femmes et aux hommes qui éliront un gouvernement fédéral responsable devant le Parlement européen.
C’est pourquoi nous entendons agir pour que s'ouvre le 25 mars 2017 une phase constituante qui dépasse le principe de l'unanimité, impliquant les communautés locales, les acteurs économiques et sociaux, les mouvements de la société civile avec les représentants des citoyens, aux niveaux régional, national et européen, et qui s’épanouira lors des élections européennes du printemps 2019. C’est pourquoi nous avons décidé de tout mettre en œuvre pour provoquer une forte participation populaire le 25 mars 2017 à Rome et de susciter des initiatives analogues dans d’autres villes européennes.
L'Europe démocratique ne pourra s'imposer que si ses citoyens lui font changer de cap.
Pier Virgilio Dastoli
12/12/2016

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2) Il tema del primato del diritto europeo è ora al centro delle relazioni fra l’Unione europea e gli Stati membri.
Anche se la dichiarazione comune delle tre istituzioni europee relativa alla Conferenza sul futuro dell’Europa non ha previsto - con una decisione che i movimenti europei hanno ritenuto assurda e incomprensibile - la partecipazione alle sessioni plenarie e ai gruppi di lavoro dei membri della Corte di Giustizia, noi insistiamo sulla proposta di invitare il presidente della Corte ai lavori della Conferenza e ad esprimersi il 21 e 22 gennaio sul tema del primato del diritto dell’Unione europea.

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3) La destra nazionalista si è sentita “oltraggiata” per l’esposizione della bandiera europea sotto l’Arco di Trionfo al posto della bandiera francese.
Clément Beaune si è affrettato a precisare che questa sostituzione avrà effetto “solo per qualche giorno” e che “la bandiera francese tornerà al suo posto senza la bandiera europea”.
Sarebbe stato meglio decidere fin dall’inizio che la bandiera europea si sarebbe affiancata a quella francese durante i sei mesi della presidenza del Consiglio dell’Unione ricordando - nella giornata internazionale della pace - che, grazie alla costruzione europea, i soldati francesi non hanno più dovuto, non devono e non dovranno dare il loro sangue alla patria in conflitti fratricidi contro altri eserciti europei.
Nella futura costituzione europea dovrebbe apparire un articolo ispirato all’art. 11 della costituzione italiana in cui si affermi che “l’Unione europea ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo per la soluzione delle controversie internazionali”.

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4) Sono passati venti anni da quando l’euro è diventata la moneta unica per trecento milioni di cittadine e cittadini di dodici paesi membri dell’Unione europea.

Da allora i paesi dell’euro sono diventati diciannove e ad essi si aggiungeranno presto anche la Croazia, la Bulgaria e la Romania.

Mancheranno all’appello la Danimarca che ha ottenuto une clausola di opting out, la Svezia che - violando il Trattato di adesione - ha affidato a un referendum la decisione di entrare nell’euro con un esito negativo, la Repubblica Ceca che potrebbe decidere di avviare le procedure di ingresso dopo il cambio di governo, la Polonia e l’Ungheria la cui adesione dipenderà dall’esito delle prossime elezioni legislative.

Ci sono infine paesi extra-UE che usano l’euro o sulla base di una decisione unilaterale (Kossovo e Montenegro) o sulla base di un accordo con l’UE (Andorra, Principato di Monaco, Repubblica di San Marino e Stato della Città del Vaticano).

Fu un passo in avanti sulla via di una maggiore integrazione europea che ha comportato certamente degli innegabili vantaggi per le nostre economie.

Quel che è avvenuto in venti anni ha tuttavia confermato che l’integrazione monetaria non basta, che l’obiettivo della realizzazione dell’unione economica è ancora lontano dall’essere raggiunto e che i passi in avanti che sono stati indicati dai ministri dell’eurogruppo “per i prossimi venti anni” (nella convinzione che i tempi del loro completamento siano più rapidi) potranno essere compiuti solo se saranno accompagnati da una vera unione politica.

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5) C’è un cittadino svedese, ricercatore presso l’Università di Novara, Ahmadreza Djalali, che è stato rinchiuso in un carcere Iraniano sotto accuse inesistenti e con la minaccia della pena di morte.
Il parlamento europeo ha chiesto la sua liberazione senza condizioni.
Il Consiglio, la Commissione e l’Alto Rappresentante devono agire perché questo cittadino europeo possa rapidamente ritornare nell’Unione europea per riprendere i suoi studi e le sue ricerche riabbracciando la sua famiglia.
Sosteniamo la campagna di Amnesty International.

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6) Secondo un sondaggio pubblicato da The Observer a un anno dalla Brexit la percentuale di chi è soddisfatto dell’uscita del Regno Unito dall’Unione europea è pari al 17% dei brexiters.
È opinione sempre più diffusa che fra una decina di anni gli inglesi e cioè la Gran Bretagna, se nel frattempo almeno la Scozia deciderà di separarsi dal Regno non più unito, potrebbe presentare domanda di adesione all’Unione europea che gli europeisti dovrebbero accogliere con scarso entusiasmo.
Nigel Farage si era illuso che la Brexit avrebbe provocato la dissoluzione dell’Unione europea ed invece è più probabile che la Brexit potrebbe provocare la dissoluzione del Regno Unito.

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7) I giornali italiani non hanno messo in risalto la cacofonia di giudizi nell’estrema destra italiana sulle recenti proposte della Commissione europea che aprono la strada a vere risorse proprie europee e che, se approvate dal Consiglio con l’accordo del Parlamento europeo, avranno l’effetto di ridurre i contributi nazionali e dunque il carico fiscale sulle cittadine e sui cittadini europei.
Secondo Giorgia Meloni, che ignora il fatto che da molti anni la politica commerciale è una competenza esclusiva europea come conseguenza del mercato unico, le proposte della Commissione europea danno - seppure tardivamente - ragione ai sovranisti/nazionalisti che, a suo dire, le reclamavano da tempo. Secondo Giorgia Meloni se ne avvantaggerebbe la bilancia commerciale italiana.
Secondo Raffaele Fitto, che copresiede insieme al suo collega polacco il gruppo dei conservatori e riformisti europei, le proposte della Commissione europea danneggeranno le imprese e dunque i consumatori italiani.
Poiché le decisioni del Consiglio in materia di risorse proprie devono essere prese alla unanimità dei governi vedremo se i “patrioti” voteranno a favore di uno strumento federale che avvantaggia i loro elettori o se opporranno il loro veto dimostrando con loro cecità che chi si schiera contro gli interessi europei danneggia anche gli interessi nazionali.

 

 


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