LE SFIDE DI DRAGHI E L’ORGANIZZAZIONE DELLA NUOVA COMMISSIONE EUROPEA
Nel nostro editoriale del 2 settembre abbiamo fatto riferimento alla procedura che viene applicata per giungere alla formazione della nuova Commissione europea e cioè di quell’organo ibrido a metà strada fra un’alta amministrazione e un governo politico, attirando l’attenzione delle lettrici e dei lettori sul ruolo cruciale della “legge di bilancio” europea per il futuro dell’Europa e delle sue politiche.
Questo ruolo è ora accentuato dalle proposte contenute nel “Rapporto Draghi” sulla competitività europea – su cui torneremo in dettaglio nei prossimi giorni – in cui l’ex presidente della BCE rilancia l’idea di una massiccia dose di investimenti nell’economia europea che vengono calcolati in 900 miliardi di euro fra risorse pubbliche e private e cioè quasi il doppio dell’ipotesi di 500 miliardi fatta circolare dalla Banca d’Italia.
Le reazioni delle capitali alle indiscrezioni sul Rapporto Draghi sono state perlomeno tiepide e molti si sono chiesti per quale ragione il Rapporto giunga sul tavolo delle istituzioni europee e in particolare di Ursula von der Leyen quando gli ingredienti del menu europeo sono già stati resi pubblici con l’agenda strategica 2024-2029 del Consiglio europeo e con gli orientamenti che hanno accompagnato il discorso di investitura della presidente della Commissione europea.
Ursula von der Leyen presenterà l’11 settembre al Parlamento europeo non solo la composizione della sua squadra ma il modello su cui si baserà il suo lavoro nei prossimi cinque anni che differirà probabilmente da quello adottato da Jean Claude Juncker nel 2014, con i cosiddetti cluster e i commissari-coordinatori che avevano sostituito l’anarchico “modello Barroso” in cui ogni commissario agiva per conto proprio o, meglio, talvolta agli ordini dei loro governi e con proposte duplicative e contraddittorie.
Esso differirà anche dal modello proposto dalla stessa Ursula von der Leyen nel 2019 con l’invenzione dei vicepresidenti-coordinatori e dei vicepresidenti esecutivi.
Nelle ultime settimane i “suggerimenti” dei governi sui nomi dei commissari sono stati accompagnati dai desideri, più o meno legittimi e più o meno coerenti con il funzionamento della funzione pubblica europea, dell’attribuzione dei cosiddetti portafogli in un puzzle che sarà difficile trasformare in un coerente mosaico dato che molti di questi desideri si concentrano sulle competenze economiche.
I governi hanno fatto i conti ignorando il ruolo del Parlamento europeo: esso si è ulteriormente ritagliato una funzione di controllo politico sul “governo europeo” con un modello inedito se si fa riferimento ai rapporti fra governi e parlamenti nazionali.
Il nuovo regolamento dell’assemblea prevede infatti che le audizioni dei singoli commissari avvengano per valutare se essi sono idonei a far parte della Commissione ma anche se lo siano per svolgere i compiti che la presidente della Commissione vuole assegnare; e aggiunge che tale doppia idoneità deve ricevere il consenso di almeno i due terzi dell’organo parlamentare chiamato a valutarli.
Poiché le audizioni inizieranno non prima di metà ottobre, noi riteniamo che il Parlamento europeo, attraverso un lavoro congiunto della Conferenza dei presidenti dei gruppi politici e dei presidenti delle commissioni e delle delegazioni parlamentari, debba stabilire dei criteri generali delle audizioni che tengano conto della coerenza con gli orientamenti politici espressi dalla presidente, ma anche dell’interconnessione fra singole politiche (giustizia e sicurezza, ambiente e clima, politica mediterranea e migrazioni, bilancio e nuovi fondi insieme alla politica fiscale, industria e difesa, infosfera e autonomia strategica, cittadinanza e democrazia, allargamento e politica di prossimità), nonché delle questioni orizzontali, che tra l’altro comprendono anche l’equilibrio di genere (a proposito di cui la nuova Commissione potrebbe tornare indietro al livello della Commissione Juncker).
In questo quadro varrà la pena di valutare approfonditamente le sfide di policies alle quali il Rapporto Draghi chiama l’Unione europea affinché la ripartizione delle competenze risponda a criteri di efficienza, di trasparenza, di coerenza e di gestione dell’organizzazione interna della Commissione attraverso le sue direzioni generali e le agenzie diffuse sul territorio dell’Unione europea.
Roma, 9 settembre 2024