Resistenza umana e civile al decreto Salvini. La rivolta dei sindaci, da Palermo a Parma, da Pescara a Napoli

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L’associazione nazionale dei sindaci lo aveva già annunciato a novembre: il cosiddetto “decreto sicurezza”, voluto dal Ministro dell’interno @Salvini, avrebbe creato insostenibili problemi giuridici e sociali alle amministrazioni comunali provocando l’effetto contrario a quello per cui ne è stata invocata l’urgenza: l’abolizione della protezione umanitaria, il prolungamento del periodo di detenzione dei richiedenti asilo, la chiusura degli SPRAR, il rifiuto dell’iscrizione anagrafica dei residenti legali non incidono sui diritti degli italiani, aumentano il numero degli immigrati irregolari e illegali e accrescono gli spazi di intervento della piccola e grande criminalità con maggiore e non minore insicurezza.

La prima questione che coinvolge direttamente i sindaci riguarda le procedure per la concessione della residenza anagrafica agli stranieri provenienti da paesi al di fuori dell’UE o con i quali l’Italia o l’UE hanno sottoscritto accordi di associazione. Con correttezza costituzionale, il sindaco di Palermo Leoluca Orlando richiama gli articoli 2, 14, 16 e 32 della nostra Carta e le sentenze della Corte Costituzionale del 1997, 2001, 2005, 2006 e 2008 che affermano concordemente che “lo straniero è anche titolare di tutti i diritti fondamentali che la Costituzione riconosce spettanti alla persona… In particolare, per quanto qui interessa, ciò comporta il rispetto, da parte del legislatore, del canone della ragionevolezza, espressione del principio di eguaglianza che, in linea generale, informa il godimento di tutte le posizioni soggettive”.

Per quanto riguarda le procedure di concessione della residenza anagrafica da parte dei servizi comunali ai cittadini, la richiesta dei sindaci di sospendere l’applicazione della Legge 132/2018 (il cosiddetto “decreto sicurezza”) richiede da parte dell’autorità giudiziaria – nel caso di eventuali denunce o ricorsi preannunciati dal Ministro dell’interno – l’obbligo di sollevare in via incidentale davanti alla Consulta il dubbio di costituzionalità della Legge e la sua conformità con le norme europee e internazionali. In questo caso non ci troveremmo di fronte ad uno o più casi di disobbedienza civile ma ad un conflitto istituzionale fra lo Stato ed i Comuni che può essere risolto solo dalla valutazione delle Corte Costituzionale. Per quanto poi riguarda le norme europee, l’autorità giudiziaria nazionale può investire la Corte di Giustizia dell’Unione europea sulla base dell’art. 267 del Trattato di Lisbona.

Nel caso in cui i sindaci ritengano che la Legge viola diritti umani essenziali sanciti dalla nostra Carta o norme europee e/o internazionali per quanto riguarda la protezione umanitaria ci troveremmo di fronte a casi di Civil Disobedience che consente a qualunque autorità di ribellarsi ad una legge ritenuta ingiusta e non conforme alla Carta dei Diritti fondamentali e alle Convenzioni di Ginevra e di Amburgo.

Vale la pena di ricordare (come sta facendo il Movimento europeo pubblicando la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea www.movimentoeuropeo.it) che gli articoli 1 (dignità umana), 3 (integrità della persona), 4 (proibizione di trattamenti degradanti), 6 (libertà e sicurezza). 7 (rispetto della vita privata e familiare), 10 (libertà di pensiero e religione), 11 (libertà di espressione), 12 (libertà di riunione e associazione), 14 (diritto all’istruzione), 15 (diritto di lavorare), 18 (diritto di asilo), 19 (protezione in caso di allontanamento e di espulsione), 20 (uguaglianza), 21 (non discriminazione), 24 (diritti del minore), 25 (diritti degli anziani), 26 (diritto delle persone con disabilità), 29 (diritto di accesso ai servizi di collocamento), 30 (tutela in caso di licenziamento ingiustificato), 31 (diritto a condizioni di lavoro giuste e eque), 32 (divieto del lavoro minorile), 34 (sicurezza sociale), 35 (protezione della salute), 45 (libertà di circolazione e di soggiorno per i cittadini dei paesi terzi che risiedono legalmente nel territorio di uno Stato membro), 47 (diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale) riguardano tutte le persone che stanno all’interno dell’Unione senza distinzione fra cittadini europei e cittadini di paesi terzi.

Pier Virgilio Dastoli
3 gennaio 2019