Newsletter 11 Dicembre/2023

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CARE LETTRICI E CARI LETTORI

La nostra newsletter settimanale Noi e il futuro dell'Europa è stata concepita per contribuire ad una corretta informazione sull’Unione europea e partecipare al dibattito sulla riforma dell’Unione, così come abbiamo fatto durante la Conferenza sul futuro dell’Europa e come continueremo a fare in vista delle elezioni europee dal 6 al 9 giugno 2024.

Il Movimento europeo Italia seguirà con particolare attenzione la politica europea dell'Italia dopo le elezioni del 25 settembre 2022 anche attraverso i suoi social Facebook, Instagram, Twitter e infografiche oltre che sulla newsletter.

Ecco l’indice della nostra newsletter di oggi:

Editoriale, che esprime l’opinione del Movimento europeo su un tema di attualità

- La settimana del Movimento europeo

- Eventi principali, sull’Europa in Italia e Testi in evidenza

Siamo come sempre a vostra disposizione per migliorare il nostro servizio di comunicazione e di informazione e per aggiungere vostri eventi di interesse europeo nella speranza di poter contare su un vostro volontario contributo finanziario.

 

 


 L'EDITORIALE

UN BILANCIO CONTROVERSO DELLA LEGISLATURA E UN AVVERTIMENTO PER LA PROSSIMA

Mancano meno di 180 giorni alle elezioni europee e la nona legislatura europea volge di fatto al termine perché il Parlamento europeo interromperà le sue attività il 25 aprile, partiti e parlamentari pensano e agiscono nella logica della campagna elettorale europea, il programma legislativo della Commissione europea per il 2024 sarà ridotto all’osso ed anzi non sono previste proposte legislative consistenti e si avvicina il tempo del bilancio dei quattro anni trascorsi dall’insediamento dell’esecutivo europeo sostenuto dalla “maggioranza Ursula” a fine novembre 2019 ad oggi.

Si tratta di un bilancio perlomeno controverso con un programma d’azione iniziato all’insegna del “Patto Verde Europeo” (European Green Deal), condiviso dalle tre istituzioni europee e dell’obiettivo di dare all’Unione una dimensione geopolitica, e sconvolto dalle dirompenti sfide interne ed esterne all’insegna del COVID, dell’aumento dei flussi migratori, dell’accelerazione dell’infosfera, dell’aggressione della Russia di Putin all’Ucraina, della crescita dell’inflazione, dell’attacco terrorista di Hamas a Israele e di un multilateralismo caotico e apparentemente ingovernabile.

Nonostante queste sfide dirompenti, l’Unione europea ha in parte mostrato – attraverso gli astrusi meccanismi decisionali imposti dai governi con il Trattato di Lisbona – di essere capace di rispondere ad alcune emergenze: a quella ambientale adottando progressivamente decisioni vicine all’obiettivo iniziale di una società a neutralità climatica, a quella sanitaria con una comune azione di lotta alla pandemia, a quella della società digitale in coerenza con l’idea di comunità fondata sui valori comuni della democrazia ed infine all’aggressione contro l’Ucraina nella difesa del diritto alla inviolabilità di un paese indipendente.

Poiché queste sfide hanno avuto e avranno ancora come conseguenza degli effetti economici e sociali asimmetrici, l’Unione europea ha adottato decisioni eccezionali ed emergenziali attraverso la creazione provvisoria di debito pubblico europeo e di piani di interventi finanziari a sostegno degli Stati membri di cui quello più conosciuto è la “Prossima Generazione Europea” (Next Generation EU) o “Piano per la Ripresa” (Recovery Plan) che si è tradotto in Italia nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza o PNRR.

L’Unione europea ha tuttavia risposto solo in parte alle dirompenti sfide esterne e interne perché nella lotta al cambiamento climatico la prospettiva delle elezioni europee ha polarizzato un confitto politico apparentemente ideologico fra le lobby delle industrie che inquinano e i difensori di un ambiente a misura delle generazioni future, il controllo dei flussi migratori e le politiche di inclusione sono rimasti asimmetrici e un accordo fra i Ventisette e fra i Ventisette ed il Parlamento europeo è ancora lontano dall’essere raggiunto per andare al di là del Regolamento di Dublino, nella dimensione della infosfera l’Unione europea è ancora lontana dal conseguimento della autonomia strategica, nella guerra provocata dalla Russia di Vladimir Putin il sostegno militare e finanziario non si è tradotto né in una evidente prevalenza dell’Ucraina sull’aggressore né nella ricerca di una soluzione negoziata per interrompere il conflitto, nelle reazioni economiche e finanziare all’inflazione è mancato il coordinamento europeo delle politiche economiche  alla cui mancanza si è accompagnata la discutibile azione della BCE nella politica dei tassi, dopo l’attacco terroristico di Hamas a Israele il ruolo geopolitico dell’Unione europea è stato puramente declaratorio ed anche cacofonico.

Di fronte a questo bilancio per ora provvisorio, è forte il rischio che l’agenda sempre più carica di temi divisivi del Consiglio europeo che si riunirà a Bruxelles il 14 e 15 dicembre sospinga i capi di Stato e di governo dell’Unione europea ad adottare il tradizionale metodo del rinvio o alle prossime riunioni al Vertice o ai consigli specializzati come avveniva spesso in passato e come non dovrebbe avvenire oggi quando le emergenze delle sfide interne ed esterne impongono invece una accelerazione del processo decisionale.

Occupiamoci di due fra gli undici temi all’ordine del giorno del Consiglio europeo (Ucraina, Medio Oriente, Allargamento, Quadro Finanziario Pluriennale, Sicurezza e Difesa, Migrazione, Turchia, adesione di Bulgaria e Romania all’area di Schengen, Balcani Occidentali, COP28, Agenda Strategica 2024-2029). 

In primo luogo per l’allargamento e nei rapporti con i paesi candidati all’adesione, che riguardano i Balcani Occidentali in attesa da tempo alle porte dell’Unione europea e i paesi dell’Europa orientale quel che ci aspettiamo dal Consiglio europeo non è la fissazione di una data del loro ingresso come ha fatto maldestramente Charles Michel indicando l’obiettivo del 2030 ma un calendario preciso nei negoziati escludendo sia il metodo del big bang che provocò effetti negativi nell’allargamento a dieci paesi avvenuto nel 2004 sia il metodo della regata che produce effetti di competitività politicamente dirompente fra i candidati e fra i paesi membri ma mettendo invece l’accento su un lavoro collettivo a partire dai “criteri di Copenaghen” adottati trenta anni fa che coinvolga in una logica di proficua convergenza la democrazia rappresentativa e cioè tutti i parlamenti nazionali e la democrazia partecipativa e cioè le reti della società civile insieme ai partner sociali.

In secondo luogo sul quadro finanziario pluriennale - sapendo che, in base al Trattato (art. 312 TFUE), il potere d decisione non spetta al Consiglio europeo il cui ruolo si dovrebbe limitare ad autorizzare il Consiglio a decidere a maggioranza qualificata ma al Consiglio che decide secondo una procedura legislativa speciale dopo l’approvazione del Parlamento europeo – che nella revisione di metà percorso non deve rinchiudersi nella logica di un suo limitato aumento alle spese per l’Ucraina ma far fronte alle esigenze di nuovi investimenti nella transizione ecologica e digitale, nella politica industriale ed energetica, nella sicurezza e nella difesa, nell’unione della salute e nella ricerca, nelle politiche di inclusione aprendo la via ad un rinnovo del Piano per la Ripresa dopo la sua scadenza alla fine del 2026 insieme alla creazione di risorse proprie necessarie per garantire beni pubblici europei e rimborsare il debito pubblico contratto pet finanziare il NGEU.

Come vediamo, fra i temi all’ordine del giorno non figura o non figura esplicitamente la questione della revisione del Trattato di Lisbona che alcuni considerano una premessa indispensabile per garantire un allargamento efficace ma che i più ritengono ormai che debba essere parallela (si dice nel linguaggio diplomatico hand to hand) all’allargamento.

Per essere più precisi, non è stato messo all’ordine del giorno del Consiglio europeo il progetto di modifica del Trattato di Lisbona votato dal Parlamento europeo il 22 novembre perché la presidenza spagnola ha deciso di non iscriverlo all’ordine del giorno del Consiglio affari generali del 12 dicembre come condicio sine qua non perché se ne occupasse il Consiglio europeo ed anzi la presidenza spagnola ha inviato al Consiglio affari generali una lunga nota in cui si afferma che il 95% delle raccomandazioni della Conferenza sul futuro dell’Europa possono essere attuate (ed anzi, si dice nella nota, sono state in buona parte attuate nell’anno e mezzo trascorso dalla fine della Conferenza) a trattato costante.

Cosicché, non serve a nulla rivolgere declamatori appelli al Consiglio europeo o, peggio, al governo italiano il cui primo ministro appartiene ad un partito europeo i cui deputati a Strasburgo hanno detto “no” all’unanimità al progetto votato il 22 novembre mentre appare più ragionevole e realistica la posizione assunta dal relatore-coordinatore del Parlamento europeo, Guy Verhofstadt, che propone di avviare il processo di revisione del Trattato di Lisbona dopo le elezioni europee e dunque alla fine del 2024 quando si sarà insediata una nuova Commissione e sarà stato eletto un nuovo presidente del Consiglio europeo e che il risultato di questo processo di revisione – che noi chiediamo che assuma la forma e la sostanza costituente e non convenzionale o intergovernativa – debba essere sottoposto nel 2027 ad una nuova Conferenza sul futuro dell’Europa.

Vorremmo concludere queste riflessioni con tre notazioni o avvertimenti ai partiti – che hanno la missione di contribuire alla formazione della coscienza europea delle cittadine e dei cittadini (art. 10 TUE) e cioè degli elettori:

Così intendiamo contribuire alle riflessioni che dovranno essere al centro della campagna per il rinnovo del Parlamento europeo dal 6 al 9 giugno 2024.

Roma, 11 dicembre 2023

coccodrillo

 

 

 

 


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