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Newsletter 6 Febbraio/2023 - L'EDITORIALE

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VERSO LE ELEZIONI EUROPEEE NEL 2024

RIFLESSIONI E PROPOSTE SUI BENI PUBBLICI EUROPEI

La garanzia di beni pubblici europei, che abbiamo posto all’attenzione delle istituzioni europee nell’editoriale del 30 gennaio, pone alcune importanti questioni di sostanza e di metodo su cui vorremmo qui proseguire una riflessione che avevamo già avviato in vista delle elezioni europee nel 2019.

In base al Trattato di Lisbona sul funzionamento dell’Unione europea, i beni pubblici a dimensione europea possono essere garantiti nella maggior parte dei casi all’interno di quella “zona grigia” costituita dalle competenze condivise o concorrenti e che in alcuni casi appartengono invece alla sfera delle competenze di sostegno come l’industria, la cultura e l’educazione.

Il bene pubblico della salute, che abbiamo collocato in cima agli obiettivi dell’Unione europea, è “equamente” condiviso fra le competenze condivise o concorrenti dove l’Unione europea può agire per mettere in opera delle misure di sicurezza e le competenze di sostegno per coordinare o completare l’azione degli Stati membri nella protezione e nel miglioramento della salute.

L’elenco dei beni pubblici in cui l’Unione europea potrebbe agire almeno fin dall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona nel 2009 dà la misura di quanto la dimensione europea sarebbe in grado di far fronte alla inadeguatezza delle dimensioni nazionali.

Esaminiamo a titolo esemplare la politica dell’energia, che abbiamo indicato come il secondo bene pubblico europeo, per sottolineare come l’Unione europea avrebbe potuto e dovuto agire in questi tredici anni per “garantire la sicurezza dell’approvvigionamento energetico”,la promozione dell’efficacia energetica, le economie di energia e lo sviluppo delle energie rinnovabili e alternative” sapendo che quest’azione non c’è stata o non è stata sufficiente per completare l’inadeguatezza delle dimensioni nazionali.

Lo stesso discorso vale per altri beni pubblici europei, che fanno parte del nostro appello ad agire, su cui l’Unione europea non ha potuto o voluto intervenire laddove alle cittadine e ai cittadini europei non era garantita la prosperità condivisa e cioè i diritti all’uguaglianza e alla solidarietà insieme agli obiettivi di una tendenziale “piena occupazione” e del “progresso sociale” fissati dall’art. 3 del Trattato sull’Unione europea, la sicurezza interna ed esterna, lo sviluppo sostenibile anche nella biodiversità ed ancora la nostra autonomia strategica nell’intelligenza artificiale insieme allo sviluppo della scienza e della ricerca riconosciute dalle Nazioni Unite nel 2020 come “diritto umano” e strettamente collegate al diritto alla salute.

Last but not least nella esemplificazione dei beni pubblici abbiamo indicato l’Europa “che accoglie ed include” e cioè il governo dei flussi migratori legato da una parte al diritto di asilo sancito dall’art. 18 della Carta dei diritti fondamentali insieme alla protezione in caso di allontanamento, espulsione e estradizione (art. 19) e dall’altra l’accoglienza e l’inclusione di chi fugge dalla fame, dai disastri ambientali e dall’espropriazione delle terre e che è qualificato come “migrante economico”.

Si tratta di quelle competenze condivise o concorrenti che sono state qualificate come una “zona grigia” e su cui il Trattato di Lisbona, la definizione del principio di sussidiarietà e le procedure di decisione sono stati volutamente scritti in modo spesso confuso e talvolta contraddittorio per lasciare agli Stati membri il controllo dell’azione dell’Unione europea, su cui il Consiglio europeo è più volte intervenuto per decidere di non decidere e su cui è prevalso nel Consiglio il principio del consenso anche quando il Trattato di Lisbona prevede il voto a maggioranza qualificata rendendo illusoria la campagna di chi ritiene che l’abolizione del diritto di veto renderebbe più efficace il sistema europeo di decisione.

Vale la pena di ricordare che, mentre il Trattato di Lisbona prevede che gli Stati membri non potrebbero più intervenire in uno specifico settore di una competenza condivisa dove ha legiferato l’Unione europea, il progetto di Trattato approvato dal Parlamento europeo il 14 febbraio 1984 chiariva invece che l’intervento dell’Unione europea in una competenza concorrente l’avrebbe resa esclusiva a condizione che la decisione fosse adottata attraverso una “legge organica” e che non era prevista nessuna procedura legislativa speciale che escludesse il potere di codecisione del Parlamento europeo.

La garanzia di beni pubblici europei è ancora più difficile se non impossibile nelle aree sottomesse alle competenze di sostegno che noi abbiamo sintetizzato nelle unioni “industriale e dell’innovazione tecnologica”, della “cultura”, delle “nuove generazioni” e cioè l’educazione, la formazione professionale, la gioventù e lo sport non tralasciando la salute che è a metà strada fra le competenze di sostegno e le competenze condivise e collocando in una sua area specifica intergovernativa o confederale tutta la politica estera, della sicurezza e della difesa.

Per garantire beni pubblici europei occorrerà dunque mettere mano alla riforma di tutta quella parte del Trattato di Lisbona in cui i governi che lo hanno negoziato, imponendo prima le loro condizioni limitative nella Convenzione presieduta da Valéry Giscard d’Estaing in particolare nelle dimensioni sociale, della governance economica e della politica estera – il che dovrebbe aprire gli occhi e le orecchie a chi sostiene l’efficacia del metodo della Convenzione – e poi nella Conferenza diplomatica voluta da Angela Merkel e da Tony Blair, hanno fatto bene attenzione a salvaguardare i loro apparenti interessi nazionali.

In attesa della riforma del Trattato - su cui il Movimento europeo ha già presentato le sue proposte dettagliate - bisogna affrontare con urgenza e prima delle elezioni europee nel 2024 un altro aspetto essenziale della garanzia dei beni pubblici europei legata ad investimenti nel bilancio dell’Unione europea su cui si aprirà il dibattito con la revisione del quadro finanziario pluriennale 2021-2027 nella prospettiva di una sua dimensione pre-federale e di una sua periodicità collegata alla durata quinquennale di una legislatura europea.

Vale la pena di attirare l’attenzione sul fatto che l’introduzione nel bilancio europeo di strumenti finanziari per garantire beni pubblici a dimensione europea potrebbe e dovrà comportare in alcuni rilevanti casi la corrispondente diminuzione di spese nazionali come dovrebbe avvenire nella interconnessione delle reti energetiche, nel controllo delle frontiere esterne con l’attivazione di una missione europea per il salvataggio in mare insieme alla creazione di corridoi umanitari e al rafforzamento delle nostre delegazioni nei paesi terzi, nella intelligenza artificiale e nella cybersicurezza, nella creazione di una intelligence europea che affianchi la Procura Europea, Eurojust e Europol, nella difesa europea, nella cooperazione allo sviluppo immaginando una sorta di “piano europeo Mattei per il Mediterraneo e l’Africa, nella scienza e nella ricerca, negli investimenti di lunga durata di carattere industriale e sociale, nella promozione della salute per la prevenzione delle malattie, la lotta alle pandemie e alle malattie rare.

Per raggiungere questi risultati, il bilancio pluriennale europeo dovrebbe prevedere uno strumento simile al Next Generation EU introdotto nel 2020 per affrontare le conseguenze economicamente e socialmente asimmetriche della pandemia con piani prioritari di investimenti europei e non più con allocazioni di sovvenzioni (grants) e prestiti (loans) ai governi come sta avvenendo con i ventisette PNRR nazionali e che venga già in parte attivato nel secondo semestre del 2024 per dare un forte segnale del valore aggiunto dell’Unione europea alla vigilia delle prossime elezioni europee.

L’introduzione di beni pubblici europei finanziati dal bilancio comune pone evidentemente la questione delle risorse necessarie per garantire investimenti che dovranno essere progressivamente consistenti e assicurare a termine la capacità fiscale dell’Unione europea autonoma dagli Stati membri.

Il piano denominato Next Generation EU è stato finanziato da debito pubblico europeo attraverso sottoscrizioni di titoli europei – in quantità spesso superiori a quelle necessarie per sostenerlo – a cui la Commissione europea era stata autorizzata a farne ricorso ma nella prospettiva di un suo rimborso da parte degli Stati membri secondo una chiave di ripartizione dei contributi nazionali rapportata al livello del Reddito Nazionale Lordo se non saranno introdotte a partire dal 2026 vere imposte europee.

Per finanziare i futuri beni pubblici europei possono essere percorse strade diverse ma non necessariamente alternative o incompatibili:

  • nuovo debito pubblico europeo secondo il modello utilizzato prima con lo strumento SURE di sostegno temporaneo per attenuare i rischi di disoccupazione in un’emergenza e poi con il Next Generation EU
  • imposte europee derivanti dal meccanismo europeo di adeguamento al carbonio alle frontiere esterne (CBAM) che spetterebbero direttamente all’Unione europea come avviene per i dazi doganali, dall’armonizzazione delle imposte sulle società di capitali con una quota che verrebbe versata al bilancio dell’Unione europea come avviene per l’IVA e le accise ma che porrebbe il problema di un probabile squilibrio nei contributi nazionali, un’imposta sulle società multinazionali del web (webtax), una quota al bilancio europeo della tassa sulle transazioni finanziarie
  • imposte su “mali” europei per finanziare “beni” con una percentuale degli introiti statali sul gioco d’azzardo o sul tabacco come è stato proposto dal Movimento europeo ("PROPOSTE DEL MOVIMENTO EUROPEO SU CAPACITÀ FISCALE E GOVERNANCE ECONOMICA", di Giampiero Auletta Armenise in collaborazione con Pier Virgilio Dastoli, Alberto Majocchi, Paolo Ponzano e con il contributo di Susanna Florio; Research paper Movimento Europeo Italia e Centro Studi sul Federalismo “UNA PROSPERITY AND SECURITY UNION EUROPEA: CAPACITÀ FISCALE E BENI PUBBLICI”, Olimpia Fontana e Luca Gasbarro;  Rapporto "PER COMPLETARE L’UEM E GARANTIRE LA PROSPERITA’: PARTIAMO DAL BILANCIO DELL’EUROZONA - ANALISI E STIME DEGLI EFFETTI", Mario Baldassarri)
  • titoli perpetui o a lunghissima durata destinati a creare una forma innovativa di azionariato europeo seguendo un’idea ispirata dal premio Nobel dell’economia Robert Shiller e sostenuta fra gli altri dal governo spagnolo, da George Soros, dai Verdi tedeschi, da Joseph Stiglitz, in Italia da Giovanni Tria e Renato Brunetta con una formula di bond perpetui Tier I di Intesa San Paolo del settembre 2022 che ha preso in considerazione le nuove norme di Basilea III
  • bond o eurobond rimborsabili europei emessi dalla Commissione europea o dalla Banca Europea degli Investimenti per alcuni beni pubblici europei
  • la trasformazione del Meccanismo Europeo di Stabilità (ESM) in un’agenzia europea del debito pubblico o meglio in un fondo europeo di stabilità.

Non sarà facile scardinare le resistenze di alcuni Stati membri per far accettare un piano che consentirebbe all’Unione europea di programmare il proprio futuro e, affinché questo avvenga, sarà necessario mobilitare le organizzazioni rappresentative della società civile, del mondo della produzione e del lavoro insieme a tutti coloro che potranno trarre valore aggiunto dai beni pubblici europei ma prevedere anche un confronto fra le forze politiche in un dialogo interparlamentare che potrebbe aver luogo in una sessione straordinaria di “assise” della democrazia rappresentativa europea durante il semestre spagnolo (luglio-dicembre 2023) o belga (gennaio-giugno 2024) di turno della presidenza dell’Unione europea in tempo utile prima delle elezioni europee a maggio 2024.

Una soluzione sostenibile ai problemi che abbiamo qui analizzato potrà venire soltanto da una fase costituente per far cambiare rotta all’Unione europea che dovrà essere preparata in questa legislatura ed avviata immediatamente dopo le elezioni europee.

Bologna, 4 febbraio 2023

 

 coccodrillo

 

 

 

 

 

 

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