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Newsletter n.28/2020 - L’Europa alla prova del futuro

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Il discorso sullo stato dell’Unione e i “moniti all’Europa”

Se ci chiedessero di suggerire alla Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, delle letture per preparare il suo discorso sullo “stato dell’Unione” del prossimo 16 settembre, le diremmo di accantonare tutta l’abbondante documentazione prodotta dalle istituzioni europee dall’inizio della pandemia e di rileggere gli “avertissement à l’Europescritti da Thomas Mann e pubblicati in Francia nel 1937 da André Gide e un anno dopo a Stoccolma dalla casa editrice Bermann Fischer con il titolo “Achtung Europa”.

Alle nostre lettrici e ai nostri lettori italiani suggeriamo poi la più recente edizione di Achtung Europa del 2017  in Oscar Mondadori con prefazione di Giorgio Napolitano aggiungendo anche la lettura di una raccolta di discorsi e scritti di Piero Calamandrei pubblicata quest’anno da People Idee a cura di Enzo Di Salvatore: Questa nostra Europa. Fra i discorsi di Calamandrei attiriamo la vostra attenzione su “La Convocazione dell’assemblea costituente europea” al II Congresso dell’UEF a Roma dal 7 all’11 novembre 1948.

L’Unione europea, le sue cittadini e i suoi cittadini insieme alle istituzioni che li rappresentano ai vari livelli non hanno bisogno di una elencazione autocelebrativa di tutti i provvedimenti finanziari proposti, adottati o in un buona parte ancora sub judice (essendo i giudici di ultima istanza i parlamenti nazionali e, in minima parte, il Parlamento europeo) legati alla post-pandemia.

Quest’elenco può essere scaricato facilmente dai siti della Commissione, del Consiglio e del Parlamento europeo e, seppure con molte confusioni e imprecisioni, è stato più volte pubblicato dai media e dalla stampa mentre l’opinione pubblica si è in parte familiarizzata con gli acronimi nati dalla fervida immaginazione europea: Sure, MES, NGEU, REACT EU, INVEST EU, RESCUE, MFF…

Si tratta di un fiume di denaro (oltre 1800 miliardi di Euro) che si unisce a quelli messi a disposizione dagli Stati membri e che, globalmente, è superiore a quello deciso dal governo federale USA - o, per chi ama i paragoni storici, dal Piano Marshall - allo scopo di dare all’Unione europea i mezzi finanziari per affrontare l’emergenza economica provocata dalla pandemia del COVID-19.

Non intendiamo certo sottovalutare gli effetti economici di queste misure ma suggeriamo alla Presidente Ursula von der Leyen di lanciare piuttosto un “monito agli Europei sullo stato dell’Unione oggi, in un mondo scosso da problemi immensi di fronte ai quali le organizzazioni internazionali  e i loro leader si sono mostrati fino ad ora incapaci di proporre e adottare soluzioni a lungo termine.

Le une e gli altri sono rimasti sordi al grido di tutti coloro che chiedono giustizia, da Lesbo a Minsk, da Hong Kong a Santiago del Cile, da Beirut a Varsavia e in molte città degli Stati Uniti al monito Black Lives Matter, da Sofia ad Algeri, in Sudan e in Thailandia per non parlare della mobilitazione dei giovani richiamati da Greta Thunberg nelle rete internazionale Friday for future.

Questa mobilitazione fu anticipata nel settembre 2015 dalle Nazioni Unite con l’Agenda 2030 per i diciassette obiettivi dello sviluppo sostenibile e sintetizzata nella promessa  no-one left behind.

Mancano dieci anni al 2030 ma la maggioranza di quegli obiettivi è ben lontana dalla loro realizzazione.

E l’Unione europea?

Essa è silente in tutti i teatri internazionali anche laddove questi teatri sono alle sue frontiere preferendo usare la carota delle promesse al bastone delle sanzioni o all’esigenza del rispetto del diritto internazionale.

In questo quadro e a venticinque anni dall’avvio del processo di Barcellona nella Conferenza del 27 e 28 novembre 1995 il partenariato euromediterraneo è inesistente nonostante gli interessi strategici dell’Unione europea nella regione.

Con quale posizione comune si presenterà l’Unione europea al vertice G20 di Riyadh il prossimo 20 e 21 novembre?

Essa è incapace di affrontare collettivamente il governo dei flussi migratori di chi attraversa i suoi confini fuggendo dalla fame, dalle guerre, dai disastri ambientali e dalla espropriazione delle terre.

Essa ha assistito impotente allo scomparire dell’obiettivo di un mondo fondato sul multilateralismo essendo incapace di definire una posizione comune sulla riforma delle Nazioni Unite e piegandosi al ricatto delle sovranità assolute che condizionano l’agenda internazionale e che comandano a Washington, a Mosca, a Pechino, ad Ankara, a Brasilia, al Cairo e a Pyongyang.

La politica estera e di sicurezza dell’Unione europea dovrebbe essere fondata sul metodo delle decisioni a maggioranza e su due principi irrinunciabili: il ripudio della guerra e dunque di soluzioni militari per dirimere le controversie internazionali insieme al rispetto dei diritti fondamentali e delle convenzioni che li hanno resi vincolanti.  

Al suo interno, il Pilastro Sociale di Göteborg è ancora al livello di una dichiarazione solenne, l’obiettivo del completamento dell’Unione economica e monetaria con l’eliminazione della sua zoppia (come la chiamava Carlo Azeglio Ciampi) è stato accantonato da tempo mentre proseguono interminabili i negoziati sull’unione bancaria, la dimensione delle realtà territoriali (aree interne e città) è ignorata, la dipendenza energetica e tecnologica è crescente e il divario generazionale si è fatto più profondo.

L’agenda digitale è di là da venire anche se una svolta potrebbe venire dal “piano di azione per la democrazia” e dal pacchetto legislativo “Digital Service Act” per riscrivere le regole europee sulle piattaforme online in preparazione nei servizi della Commissione europea.

Serve con urgenza un atto di coraggio prima culturale e poi politico ma questo atto potrà essere compiuto dalle istituzioni solo se esse sentiranno che hanno il sostegno della maggioranza delle cittadine e dei cittadini europei.

Per questo i moniti devono rivolgersi a tutta l’Europa come essi furono rivolti a tutti gli Europei da Thomas Mann dal 1922 al 1945.

Speriamo che dal Palazzo del Parlamento europeo a Bruxelles Ursula von der Leyen sappia richiamarsi all’Europa dei valori e non a quella del valore del denaro indicando la via per l’unità politica europea.

coccodrillo

 

 


 

Le attività del Movimento europeo

Si entra nel vivo della ripresa dei lavori, questa settimana, con due momenti di fondamentale importanza quali la prossima sessione plenaria del Parlamento europeo, dal 14 al 17 settembre, e il discorso sullo Stato dell’Unione della Presidente Von der Leyen, il prossimo 16 settembre. Per approfondire questi avvenimenti e poter disporre di una visione d’insieme, vi rimandiamo alla sezione “Documenti chiave”, in cui potrete entrare nei dettagli di tutto ciò che è all’ordine del giorno e troverete anche una serie di informazioni attinenti al Consiglio europeo e all’Eurogruppo, diffuse al termine di importanti incontri svoltisi sul Recovery plan e sugli accordi per il prossimo bilancio. 

Riportiamo poi il link ad alcune iniziative alle quali il Movimento europeo prenderà parte attiva:

 


 


 

Testi della settimana

 


 

 Carta dei diritti fondamentali

La Carta dei diritti fondamentali si sofferma sul tema del lavoro in numerosi articoli. Ma ce n’è uno, l’articolo 15, che sintetizza quali siano i principi alla base del diritto al lavoro e alla libera circolazione dei lavoratori nello spazio Schengen. Come già si è visto, il perimetro di applicazione di tali diritti è alquanto esteso, perché si rivolge ad ogni individuo, includendo perciò sia ogni cittadino dell’Unione, come recita il comma 2, sia i cittadini dei paesi terzi autorizzati a lavorare nel territorio degli Stati membri, comma 3. Ma partiamo dall’inizio: l’articolo 15 inizia con l’affermare che “ogni individuo ha il diritto di lavorare e di esercitare una professione liberamente scelta o accettata”. Questo è già di per sé un comma che afferma non solo il diritto al lavoro, quando quello a scegliere liberamente la propria attività, opponendosi quindi al lavoro forzato e a tutte le possibili forme di costrizione e condizionamento di cui ancora oggi purtroppo le cronache quotidiane confermano l’esistenza. Inoltre, non facendo riferimento al territorio dell’Unione, che pure è quello di applicazione della Carta, sembra voler affermare un principio universale che dovrebbe poter valere ovunque nel mondo.

Lo spazio europeo viene menzionato invece nei commi 2 e 3, quando si afferma che la libertà, più che il diritto, di “cercare un lavoro, di lavorare, di stabilirsi o di prestare servizi in qualunque Stato membro” è garantita per tutti i cittadini europei. Non solo. Come si è detto, il comma 3 è dedicato ai cittadini dei paesi terzi,  i quali, se “autorizzati a lavorare nel territorio degli Stati membri, hanno diritto a condizioni di lavoro equivalenti a quelle di cui godono i cittadini dell’Unione”. In poche righe vengono sintetizzati una serie di principi che, se applicati, possono da un lato contribuire a sviluppare un concetto di lavoro dignitoso, dall’altro generare benessere per la collettività: i cittadini dovrebbero essere infatti ulteriormente rassicurati dal fatto di sapere che i loro acquisti avvengono al termine di un ciclo produttivo sano e rispettoso dei diritti dei lavoratori.

 


 

La giurisprudenza europea

La disinformazione: questa settimana vi proponiamo un caso affrontato negli anni scorsi dalla Corte di Giustizia dell’Ue, interessante per una serie di motivi. Le parti interessate sono il Consiglio dell’UE e un cittadino russo. È da premettere che “Il 17 marzo 2014, il Consiglio dell’Unione europea ha adottato, sulla base dell’articolo 29 TUE, la decisione 2014/145/PESC, concernente misure restrittive relative ad azioni che compromettono o minacciano l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina (GU 2014, L 78, pag.16). Nella stessa data, il Consiglio ha adottato, sulla base dell’articolo 215, paragrafo 2, TFUE, il regolamento (UE) n. 269/2014, concernente misure restrittive relative ad azioni che compromettono o minaccino l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina (GU 2014, L 78, pag. 6).

Con decisione di esecuzione 2014/151/PESC del Consiglio, del 21 marzo 2014, che attua la decisione 2014/145 (GU 2014, L 86, pag. 30), e con regolamento di esecuzione (UE) n. 284/2014 del Consiglio, del 21 marzo 2014, che attua il regolamento n. 269/2014 (GU 2014, L 86, pag. 27), il nome del ricorrente, sig. Dmitrii Konstantinovich Kiselev, è stato iscritto negli elenchi delle persone interessate alle misure restrittive previste da detti regolamento e decisione (in prosieguo: gli «elenchi in questione») con la seguente motivazione:

«Nominato, con decreto presidenziale del 9 dicembre 2013, capo dell’agenzia di stampa “Rossiya Segodnya” dello Stato federale russo. Figura centrale della propaganda governativa a sostegno dello schieramento delle forze russe in Ucraina»”.

La principale misura restrittiva in questi casi è quella del congelamento dei fondi e delle risorse economiche “appartenenti a, o posseduti, detenuti o controllati da […] persone fisiche responsabili di azioni o politiche, o che sostengono attivamente o realizzano dette azioni o politiche, che compromettono o minacciano l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina, o la stabilità o la sicurezza in Ucraina, o che ostacolano l’operato delle organizzazioni internazionali in Ucraina, e persone fisiche o giuridiche, entità o organismi ad esse associati”.

Questo caso è di particolare interesse. Anzitutto, perché riguarda i rapporti tra le decisioni del Consiglio dell’Ue e quelle di un cittadino di uno Stato terzo che pure, nonostante la sua affermazione del diritto alla libertà di espressione, era già stato destinatario di un provvedimento da parte del Collegio pubblico russo che decide sulle denunce per fatti di stampa. Infatti, tale collegio, come si può apprendere leggendo la sentenza, “ha adottato una risoluzione contro il ricorrente a seguito di una denuncia concernente la trasmissione «Vesti Nedeli» («Novità della settimana»), da lui animata. In tale occasione il collegio russo ha considerato che le dichiarazioni del ricorrente nel corso della trasmissione Vesti Nedeli dell’8 dicembre 2013 costituissero propaganda che presentava i fatti accaduti il 30 novembre e il 1o dicembre 2013 in piazza dell’Indipendenza a Kiev (Ucraina) in modo non del tutto attendibile e anzi confliggente con i principi di responsabilità sociale, di innocuità, di verità, di imparzialità e di giustizia che si imponevano ai giornalisti, e ciò al fine di manipolare l’opinione pubblica russa con tecniche di disinformazione”.

Tuttavia, il 22 maggio 2015, Dmitrii Konstantinovich Kiselev ha presentato ricorso contro le misure restrittive stabilite nei suoi confronti da parte del Consiglio dell’Ue, aprendo un contenzioso poi risoltosi con sentenza della Corte del 15 giugno 2017. Ben sei i motivi del suo ricorso: “il primo, un errore manifesto di valutazione riguardo all’applicazione al suo caso del criterio di designazione enunciato agli articoli 1, paragrafo 1, lettera a), e 2, paragrafo 1, lettera a), della decisione 2014/145 modificata nonché all’articolo 3, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 269/2014 modificato, il secondo, la violazione del diritto alla libertà di espressione, il terzo, la violazione dei diritti della difesa e del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva, il quarto, la violazione dell’obbligo di motivazione, il quinto, dedotto in subordine, il fatto che il predetto criterio sarebbe incompatibile con il diritto alla libertà di espressione, e per questo illegittimo, se permettesse l’adozione di misure restrittive nei confronti di giornalisti nell’esercizio di tale diritto e, il sesto, la violazione dell’accordo di partenariato e di cooperazione che istituisce un partenariato tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e la Federazione russa, dall’altra”. La sentenza della Corte ha rigettato però il ricorso su tutti i punti e condannato il ricorrente al pagamento delle spese. Per approfondire, clicca qui.

 


 

Consigli di lettura

Edito pochi mesi prima dello scoppio della crisi del coronavirus, il testo “Stabilità finanziaria, unione bancaria e costituzione” di Fiammetta Salmoni, professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico presso l’Università degli Studi Guglielmo Marconi, presenta elementi di interesse perché, partendo dalla crisi finanziaria del 2007, pone l’attenzione sul ruolo delle istituzioni internazionali in risposta ad essa. In particolare, analizza tre misure di cui gli Stati devono tener conto nel promuovere le proprie politiche: il principio del pareggio di bilancio, la sottoscrizione del trattato MES e l’istituzione dell’Unione bancaria europea. La docente, in particolare, pone l’attenzione sui profili di costituzionalità di tali strumenti, in base alla teoria dei controlimiti; c’è infatti da valutare il rapporto tra interventi di tale portata transnazionale e i principi costituzionali vigenti in ciascuno Stato membro. Dopo gli accordi del Recovery plan in risposta all’emergenza che sta caratterizzando questi tempi, il testo può essere tenuto in considerazione per rileggere le sfide di allora attraverso le lenti di oggi, dopo la decisione di un consistente intervento delle istituzioni europee in risposta alla crisi pandemica globale. 

 


 

 Agenda della settimana

 

Monday 14 September

Tuesday 15 September

Wednesday 16 September

Thursday 17 September

Friday 18 September

Sunday 20 September

 

 

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