DOCUMENTO POLITICO-PROGRAMMATICO
DEL MOVIMENTO EUROPEO IN ITALIA
TRIENNIO 2019-2021
Per un’Europa unita, democratica e solidale
INTRODUZIONE
Il Movimento europeo in Italia si è riunito in Assemblea con funzioni elettive il 16 novembre 2018, sei mesi e mezzo prima delle elezioni europee del 26 maggio 2019, per rinnovare la sua struttura interna al fine di renderlo più capace di realizzare i fini indicati dal nuovo statuto adottato nell’aprile 2018 e per definire le sue priorità politiche nel triennio che sarà marcato da un profondo cambiamento del sistema europeo e internazionale e dalla presenza di nuovi soggetti nella vita politica e della società civile.
In questi anni il Movimento Europeo, in Italia e in Europa, come spazio pubblico fisico e virtuale è diventato l’interlocutore privilegiato delle istituzioni a tutti i livelli – locale, regionale, nazionale ed europeo – ed il maggiore portavoce e facilitatore dell’azione della società civile organizzata.
Per la prima volta nella sua storia si è posta la questione del carattere reversibile del processo di integrazione europea con un ritorno all’Europa fondata sul ruolo preponderante delle sovranità assolute nazionali, con i rischi di un distacco dell’Italia dal nucleo dei paesi più impegnati nella costruzione di un’Europa unita, solidale e democratica e con la progressiva evaporazione dei principi del multilateralismo a livello internazionale nonostante la crescente interdipendenza economica, finanziaria e sociale a livello planetario.
Sulla base di quest’analisi il Movimento europeo in Italia ha adottato le sue priorità politico-programmatiche per il triennio 2019-2021 iscrivendole nel quadro più ampio dell’azione della vasta rete del Movimento europeo internazionale.
IL DECALOGO DEL MOVIMENTO EUROPEO IN ITALIA
E’ innanzitutto necessario e urgente assicurare alle cittadine e ai cittadini europei beni comuni per garantire pari opportunità e diritti, benessere e sicurezza, rispetto delle diversità e inclusione sviluppando un modello di democrazia europea coerente con i suoi valori ed esigendo che tale modello sia rispettato dai paesi membri oltre che dai paesi candidati.
Ciò deve essere applicando i principi fondamentali dello stato di diritto e sanzionando senza ambiguità chi li viola, salvaguardando le diversità culturali, garantendo il diritto alla sicurezza, assicurando una prosperità condivisa, mettendo adeguate risorse finanziarie al servizio dei cittadini, riducendo le diseguaglianze e gettando le basi di un welfare europeo, accogliendo chi ha subito l’estremo affronto del disprezzo della sua dignità umana e perseguendo gli obiettivi di uno sviluppo sostenibile.
Siamo tuttavia convinti che senza la prospettiva di una riforma profonda del sistema europeo “si rischia una paralisi fatale impossibile da sostenere”come affermò il Presidente Mattarella celebrando i sessanta anni dei Trattati di Roma. Spinti da questa convinzione, intendiamo lavorare nel prossimo triennio sul metodo e sull’agenda per passare dall’Unione a una Comunità federale tornando al progetto di chi aveva proposto, nella notte della democrazia, l’alternativa al conflitto fra nazionalismi e Stati sovrani.
L’intero pianeta è interessato da processi che, in maniera sempre più interdipendente e con velocità crescente, ne mettono in discussione l’assetto geopolitico e ne accrescono gli squilibri sociali: da quelli concernenti la finanza e le monete alla loro ricaduta sull’economia e sull’assetto sociale, dalla crescita della popolazione mondiale alla disperata migrazione delle parti più deboli di essa, dal consumo eccessivo delle risorse naturali non rinnovabili alla compromissione irreversibile dell’ambiente, dal miglioramento delle condizioni di benessere di una parte della popolazione del pianeta al precipitare in condizioni di crescente povertà, fame e malattia di un’altra parte notevole della stessa popolazione.
Questi processi interdipendenti, se non governati da autorità sopranazionali, provocheranno devastazioni degli assetti istituzionali anche nelle democrazie più progredite del pianeta. Le conquiste di civiltà, in particolare quelle che caratterizzano l’Europa, conseguenti a contraddittorie e controverse secolari azioni di dominio mondiale, rischiano di essere messe in discussione.
L’illusione degli Stati europei che ritengono di attraversare, immuni, gli sconvolgimenti planetari ai quali assistiamo rinchiudendosi nell’ottocentesca dimensione nazionalista sarà spazzata via, non solo dai flussi migratori africani e asiatici, ma anche dal progredire di grandi Stati continentali.
I processi migratori in atto, legati a un’insoluta situazione drammatica nei paesi di origine sono una clamorosa testimonianza della mancanza di condizioni di pace, sicurezza e sviluppo sostenibile nelle aree di fuga dalle guerre, dalla fame e dai disastri ambientali che le politiche europee non sono state in grado di affrontare adeguatamente.
I rapporti con i Paesi mediterranei dell’Africa e con quelli medio orientali devono essere impostati e sviluppati dall’Unione europea sulla base di strategie autenticamente sopranazionali e di una politica mediterranea volte al perseguimento di un’integrazione euro-araba-africana che superi i retaggi neo-coloniali che hanno caratterizzato detti rapporti.
Alle problematiche sopra accennate si aggiungono, tra le altre, quelle dell’energia e dell’ambiente che continuano a essere affrontate dagli Stati nazionali, singolarmente e nelle sedi internazionali, con scarse possibilità di successo in assenza di soggetti di governo e di politiche che consentano di fronteggiare e governare i processi interdipendenti che le caratterizzano.
Per rispondere al neo-protezionismo USA, al nazionalismo russo, alla trasformazione nella rete dei poteri globali e all’espansionismo economico cinese, occorre dotare l’UE dei poteri e degli strumenti necessari a svolgere un ruolo autonomo di attore a livello planetario per contribuire ad avviare un nuovo ciclo nel governo dell’interdipendenza segnato da uno sviluppo equilibrato e sostenibile, dalla distensione e dal rispetto della dignità umana.
E’ certo urgente realizzare gli obiettivi fissati dai Trattati ma occorre tener conto che l’inadeguata ripartizione delle competenze fra l’UE e gli Stati membri non conferisce al livello europeo gli strumenti necessari per agire.
Bisogna dunque osare e riuscire a precisare meglio gli elementi essenziali del progetto europeo, del metodo e dell’agenda, con l’apertura ai “non addetti ai lavori” del cantiere europeo affinché diventi uno spazio pubblico dove si dilati la conoscenza pubblica dell’Europa e si completi la democrazia sopranazionale.
E’ questo il nostro scenario sul futuro dell’Unione europea.
Abbiamo deciso di concentrare innanzitutto le nostre proposte su dimensioni a nostro avviso prioritarie: la realizzazione di un welfare europeo per ridurre le diseguaglianze garantendo nello stesso tempo una prosperità diffusa, l’ambiente come motore dello sviluppo attraverso un’economia verde, una politica industriale comune, gli investimenti in cultura e educazione, le politiche di accoglienza e di inclusione, la sicurezza interna ed esterna. Last but not least, proponiamo un’azione popolare per il rispetto dello stato di diritto da parte dell’UE e dei suoi Stati membri.
Siamo peraltro convinti che sia necessario dare priorità alla ricerca di una comune identità europea nel rispetto delle diversità in particolar modo attraverso la dimensione culturale come elemento essenziale della cittadinanza europea fondata su valori e principi comuni. A questo scopo occorre dotare l’UE degli strumenti necessari garantendole la capacità di agire con efficacia nelle politiche a dimensione europea laddove queste sono necessarie e consentendo agli Stati e ai poteri locali e regionali di intervenire laddove è invece più opportuna la diversità.
1.1 Per garantire il rispetto dello “stato di diritto”
Fra i valori che devono essere non solo protetti ma promossi negli Stati membri dell’UE vi è il rispetto del principio dello stato di diritto. Questo, insieme ai valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza, e dei diritti umani, è il presupposto indispensabile (anche se non sufficiente) dell’esercizio delle funzioni statali nella realizzazione degli obiettivi derivanti dalla partecipazione all’UE.
A tutela del rispetto di questi valori da parte degli Stati membri il Trattato di Lisbona prevede all’art.7 sia un sistema di allerta nel caso si presenti il rischio di una violazione grave di questi valori da parte di uno Stato membro sia la possibilità di sospensione del diritto di voto dello Stato in questione nel caso in cui la violazione abbia luogo e sia grave e persistente.
Il problema del meccanismo dell’art.7 è che la sua attivazione è quasi impossibile, vuoi per le maggioranze piuttosto elevate che esso prevede al Parlamento europeo e in Consiglio e per l’unanimità prevista al Consiglio europeo, vuoi perché i valori cui si fa riferimento sono formulati in termini tanto generali che gli Stati membri potenziali oggetto di queste procedure, possono invocare il principio del rispetto dell’identità costituzionale nazionale che è pure tutelata dall’art. 4 TUE.
L’importanza di un approccio sovranazionale alla realizzazione di uno “spazio” di libertà, sicurezza e giustizia è stata confermata dal Trattato di Lisbona e dalla Carta dei diritti fondamentali nel cui preambolo è chiaramente indicato che ‘..l'Unione si fonda sui valori indivisibili e universali della dignità umana, della libertà, dell'uguaglianza e della solidarietà; essa si basa sul principio della democrazia e sul principio dello Stato di diritto. Pone la persona al centro della sua azione istituendo la cittadinanza dell'Unione e creando uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia. L'Unione contribuisce alla salvaguardia e allo sviluppo di questi valori comuni nel rispetto della diversità delle culture e delle tradizioni dei popoli d'Europa, nonché dell'identità nazionale degli Stati membri e dell'ordinamento dei loro pubblici poteri a livello nazionale, regionale e locale..”.
Nel corso degli anni la Corte di Giustizia ha contribuito alla definizione della portata dell’obiettivo della trasformazione dell’Unione in spazio di libertà, sicurezza e giustizia chiarendo che la sua realizzazione è anche la condizione indispensabile per l’instaurazione della fiducia reciproca e il mutuo riconoscimento delle decisioni prese in questo campo da uno stato membro da parte degli altri stati membri.
Il principio della fiducia reciproca non è tuttavia assoluto e la presunzione del rispetto dei diritti fondamentali (nella concezione che di questi è propria del diritto dell’UE) non è assoluta. Questa giurisprudenza ha certamente un notevole impatto per la soluzione del caso specifico ma ha il difetto di sottoporre i giudici nazionali a una missione impossibile e può portare a risultati aleatori il che è altamente pregiudizievole per politiche che incidono sui diritti dei cittadini. Diventa quindi indispensabile prevedere meccanismi di portata generale e di carattere permanente che permettano di individuare per tempo l’insorgere di possibili crisi e portino all’adozione di misure di emergenza in grado di limitare il rischio o circoscrivere il problema sulla falsariga di quanto previsto a livello molto più generale dall’art.7 TUE.
Per questa ragione, noi proponiamo di attivare un’Iniziativa di Cittadini Europei e di rivolgersi con una petizione al PE al fine di creare uno strumento giuridico permanente e complementare rispetto all’art. 7 TUE per garantire il rispetto dello Stato di diritto nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia. In questo quadro si pone la necessità di un rafforzamento del ruolo e delle competenze dell’Agenzia europea per i diritti fondamentali.
1.2. Per ridurre le diseguaglianze e creare un welfare europeo
Noi siamo convinti che la garanzia di una prosperità diffusa sia la condizione indispensabile per ridurre le diseguaglianze. Siamo nello stesso tempo convinti che il welfare europeo con un pilastro comune di diritti sociali – considerato come un insieme che unisce, secondo il principio di sussidiarietà, le responsabilità locali, regionali, macro-regionali, nazionali ed europee – deve contribuire a un mercato integrato europeo del lavoro. In questo quadro si inserisce la necessità di un dialogo sociale rinnovato e rafforzato come elemento caratterizzante della democrazia economica europea.
Esso deve comprendere misure che assicurino beni comuni come il diritto all’apprendimento permanente durante tutto il corso dell’attività lavorativa e alla fine di quest’attività, nel rispetto dell’art. 25 della Carta dei diritti che garantisce alle persone anziane la partecipazione attiva alla vita sociale e culturale, la parità di genere e l’equilibrio fra vita professionale e vita familiare, la sicurezza sui luoghi di lavoro, il dialogo sociale e la partecipazione dei lavoratori, la piena portabilità dei diritti e delle prestazioni sociali in tutti gli Stati per garantire il diritto a un’equa mobilità dei lavoratori.
Esso deve prevedere un reddito minimo adeguato - sulla base dell’art. 34 par. 3 della Carta dei diritti fondamentali e della Joint Declaration del 13 novembre 2017 - per chi non dispone di risorse necessarie combinando prestazioni monetarie, aiuti con forme di tariffazione sociale per le prestazioni essenziali e con la possibilità di accedere a servizi di formazione e partecipazione a programmi di inclusione sociale escludendo forme di coercizione al lavoro invasive e non rispettose della dignità delle persone che la misura vuole salvaguardare, la garanzia del diritto della non-regressione e del principio giuridico di “condizioni più favorevoli”, l’accesso ai servizi pubblici per le persone con disabilità eliminando le barriere multidimensionali, l’universalità dei servizi a tutte le persone che risiedono sul territorio dell’Unione con un modello finanziato da un equo sistema fiscale.
Il welfare europeo deve garantire forme di assicurazione contro la disoccupazione e di ammortizzatori sociali, eque condizioni di lavoro ed equilibrio adeguato e stabile fra diritti e obblighi dei lavoratori e dei datori di lavoro come pure tra flessibilità e sicurezza per agevolare la creazione di posti di lavoro, le assunzioni e l’adattabilità delle imprese.
È essenziale e urgente una politica di lotta alla povertà assoluta (di cui soffre più di un decimo della popolazione europea) e relativa (che coinvolge un quarto degli europei) che utilizzi a fondo le clausole sociali e gli strumenti di soft law affinché tutti gli Stati membri raggiungano gli obiettivi sottoscritti in “Europa 2020” (venti milioni di poveri in meno entro il 2020).
La lotta alla disoccupazione giovanile merita particolare attenzione con la piena realizzazione della “Garanzia Giovani Europea” mediante un serio ripensamento degli strumenti per la sua attuazione nel nostro paese, corsi di formazione, tirocini e apprendistato, misure per accrescere la fiducia nelle istituzioni e per potenziare la capacità istituzionale alla fornitura di servizi insieme a misure europee per ridurre il divario generazionale e fondi specifici a questo dedicati (questione abitativa e credito)
Si inseriscono in questo quadro il rafforzamento dei programmi di mobilità studentesca e di praticantato all'estero come il Volontariato europeo affinché diventi un Servizio Civile Europeo o il programma ERASMUS.
L’UE deve valorizzare il ruolo delle forme di economia partecipativa e cooperativa nonché delle imprese dell’economia sociale, destinate a produrre al tempo stesso valori economici e sociali e a contribuire alla formazione di capitali umani senza i quali l’Europa diventerà un deserto di regole e terreno su cui agiscono i populisti.
Ben al di là della dichiarazione interistituzionale sul “pilastro sociale” adottato al Vertice di Goteborg, il welfare europeo deve essere caratterizzato da strumenti vincolanti - di tipo normativo con nuove direttive o con il rafforzamento di quelle esistenti, decisionale e finanziario - sia per gli Stati membri che per le istituzioni europee con diritti che si applichino alle cittadine e ai cittadini dell’Unione europea e ai residenti dei paesi terzi con una clausola che sancisca il divieto di discriminazione tra lavoratori distaccati e lavoratori occupati nel paese di distacco.
Laddove non fosse possibile procedere con accordi fra tutti i 27 paesi membri occorrerà usare lo strumento delle cooperazioni rafforzate o agire attraverso strumenti innovativi come l’elaborazione di un social compact seguendo l’esempio degli accordi di Schengen che coinvolsero inizialmente un numero più limitato di paesi o il Protocollo Sociale del Trattato di Maastricht. In questo quadro noi riteniamo che debba essere ripresa e valorizzata la differenza fra il modello sopranazionale della CECA che si faceva carico delle conseguenze sociali delle politiche sopranazionali nei settori dell’acciaio e del carbone e il modello della CEE interamente concentrato sulla realizzazione di un mercato senza frontiere e inizialmente limitato alle merci.
1.3. Per fare dell’UE un modello di sviluppo sostenibile e di transizione ecologica
Vanno rispettati tutti gli impegni giuridici e di calendario che i governi hanno liberamente sottoscritto e che possono consentire all’Unione di essere il motore di uno sviluppo sostenibile. In particolare quelli contenuti nell’Agenda 2030 e gli obiettivi per lo sviluppo sostenibile adottati da 193 paesi delle Nazioni Unite nel settembre 2015 e gli Accordi di Parigi sottoscritti da 195 Stati nel 2016 che dovranno essere tradotti in un’organizzazione mondiale per l’ambiente.
Promuovere a termine un’economia senza carbonio – a partire dall’obiettivo di azzerare entro il 2050 la dipendenza dei nostri sistemi energetici dalle fonti fossili - non è soltanto la premessa per partecipare con efficacia alla lotta ai cambiamenti climatici ma è una sfida decisiva per l’identità europea: l’Europa può salvarsi dal declino e dalla frammentazione solo se individua nella conversione ecologica – come in un welfare europeo rinnovato e rafforzato – una sua ragione sociale, la sua “politica della società” e cioè l’orizzonte più realistico in cui può costruirsi un futuro di sviluppo, di crescita del lavoro, di eccellenza tecnologica che le conservi un ruolo di protagonista nel mondo globalizzato.
In questo quadro l’UE è chiamata a sostenere con forza l’affermazione di quel nuovo modello di agire economico, già in campo nelle scelte strategiche di migliaia di imprese grandi e piccole, fondato sulla de-carbonizzazione, sull’economia circolare, sulla riduzione del consumo di materie prime, impegnandosi prioritariamente per ridurre e/o compensare le esternalità negative, non solo economiche, che pesano su ambiente e società. Questo sforzo deve coinvolgere non solo le politiche direttamente ambientali ma in generale tutte le scelte che incidono sulle direzioni dello sviluppo: dalle politiche industriali a quelle fiscali, concentrando i meccanismi di incentivazione verso le produzioni virtuose da un punto di vista ambientale e invece scoraggiando anche attraverso strumenti come una “carbon tax” quelle anti-ecologiche.
E occorre anche rivedere l’approccio agli strumenti, di per sé importanti e preziosi, di potenziamento della cooperazione economica e commerciale dell’Europa con il resto del mondo, ponendo come criteri irrinunciabili il rifiuto di ogni forma più o meno esplicita di dumping sociale e ambientale nonché dell’affidamento di funzioni arbitrali, nell’ambito degli accordi commerciali multilaterali e bilaterali, a organismi privati o comunque privi di qualunque legittimazione democratica mentre sarebbe importante rilanciare l’idea di una Corte Mondiale per i delitti ambientali e imporre un’applicazione rigorosa della Convenzione di Aarhus.
1.4. Per una politica comune industriale europea
Le profonde trasformazioni dell’economia mondiale (dispersione globale della produzione, automazione e robotizzazione, competizione con le economie emergenti, superamento della distinzione fra manifattura e servizi) impongono un cambiamento di rotta rispetto al tema della politica industriale europea. Non si tratta più di valutare l’“addizionalità” di politiche europee rispetto a quelle messe in campo dagli Stati membri dell’UE; piuttosto, è il momento di dare forma a una politica comune che parta dalla dimensione europea e che definisca, a cascata, gli spazi d’intervento per i livelli inferiori di governo.
É necessaria una politica industriale europea innovativa, pienamente coerente con gli impegni sottoscritti negli accordi di Parigi del dicembre 2016 a conclusione della COP21, che incoraggi e favorisca l’efficienza energetica, l’economia circolare, la digitalizzazione e lo sviluppo dell’automazione e dell’intelligenza artificiale compatibile con l’obiettivo della piena occupazione.
La nostra proposta è di ripensare l’idea dello “stato facilitatore” e innovatore a livello sovranazionale. È a livello europeo che i fallimenti del mercato producono costi maggiori ed è a tale livello che la necessità di un partenariato pubblico/privato capace di “creare i mercati” si fa più forte. Non si tratta principalmente di creare adeguate capabilities, com’è imprescindibile in contesti in via di sviluppo, ma di risolvere il coordination problem che nasce nel tentativo di organizzare la specializzazione produttiva e innovativa di un intero continente.
L’UE deve in primo luogo lavorare a fianco delle imprese europee e in particolare delle PMI per sostenerle nella trasformazione digitale e per costituire il corretto quadro di riferimento nonché le condizioni per promuovere l’innovazione, gli investimenti e gli strumenti finanziari e fiscali che consentano loro di crescere e di espandersi.
L’UE dovrebbe prevedere politiche di sviluppo dell’innovazione tecnologica, con una cabina di regia europea che sia in grado di indicare strategie da seguire e coordini il lavoro dei partecipanti facendo attenzione a che le ricadute industriali siano quanto più diffuse sul territorio europeo in un’ottica di aumento della quota percentuale del prodotto industriale sul PIL.
In questo quadro il processo di automazione che coinvolgerà anche l’industria manifatturiera e che richiederà misure di sostegno anche a livello europeo dovrà essere accompagnato da cambiamenti radicali nella formazione dei lavoratori ripensando programmi e metodologie didattiche e utilizzando la robotica come stimolo alle capacità cognitive e alla creazione di lavori di alta qualità.
La politica industriale europea deve essere fondata su una strategia globale che comprenda misure finanziarie, legislative e non legislative nei settori della digitalizzazione, della sostenibilità, dell’economia circolare, dell’efficienza energetica e delle imprese di economia sociale.
Essa deve poter contare su altri strumenti sovranazionali: i) un sistema federale di banche pubbliche d’investimento che ruoti attorno alla BEI e che coinvolga le State Investment Banks dei paesi membri (e internazionali). Tale sistema avrebbe la capacità di realizzare investimenti coordinati di un ordine di grandezza ben maggiore rispetto al Piano Juncker; ii) appalti pubblici europei (innovativi), capaci di mobilitare quella massa critica di domanda necessaria a garantire uno sviluppo sostenibile e accelerato di infant industries e nicchie tecnologiche; iii) imprese pubbliche europee, mission oriented e capaci di sfruttare economie di scala continentali in settori limitati in cui appare più efficace il partenariato pubblico-privato (ad es. Galileo, Ariane, Airbus) iv) un patrimonio europeo, gestito da un fondo sovrano, che permetta di rendere intergenerazionali i benefici generati dagli asset europei frutto di investimenti sovranazionali.
Tale politica industriale europea dovrebbe essere accompagnata sia a livello europeo che a livello nazionale, e in particolar modo in Italia, da un’efficace e reale semplificazione amministrativa.
1.5. Per garantire il diritto di asilo e governare i flussi migratori
Il Trattato di Lisbona ha definito le politiche relative ad asilo e immigrazione, fondandole sui valori del rispetto della dignità umana, dell’uguaglianza, della solidarietà, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani. Tuttavia, di fronte alle drammatiche ondate migratorie e di richiedenti asilo, ha dimostrato una notevole inadeguatezza nell’affrontarle.
Gli arrivi crescenti di profughi da zone devastate dalla guerra o di persone in fuga da persecuzioni e discriminazioni di ogni tipo, dall’indigenza, da disastri ambientali che potrebbero provocare nei prossimi anni nuovi flussi migratori di milioni di persone e dal “land-grabbing” hanno creato gravi problemi interni ai vari paesi, lacerato gli animi degli europei e fatto emergere ataviche paure con conseguenti e inaccettabili forme di chiusura.
Per affrontare in modo efficace questi problemi serve una vera politica europea che sia in grado di gestire in modo equilibrato il complesso fenomeno migratorio e di graduare opportune formule di accoglienza insieme alla protezione dei diritti, alla promozione dello sviluppo umano e all’inclusione.
Una politica che provveda a sostenere adeguatamente uno sviluppo economico sostenibile, equilibrato, non escludente e non discriminante dei paesi da cui partono i migranti e che intervenga per ridurre ed eliminare i conflitti anche con l’impiego di strumenti militari al fine di rendere più efficace l’azione dell’Unione in materia di interventi umanitari e per garantire la sicurezza degli operatori delle organizzazioni governative, internazionali e non governative e contribuire alla gestione delle crisi.
Una politica che individui le capacità di assorbimento e integrazione dei migranti sul territorio europeo e si faccia carico di affrontare concretamente le multiformi sfide di un corretto inserimento e dell’indispensabile inclusione.
Una politica che sappia anche spiegare alle popolazioni europee le opportunità rappresentate dal loro arrivo.
A nostro avviso una vera politica europea migratoria deve contenere misure per garantire la libertà di movimento per la ricerca del lavoro, per la parità di accesso al mercato del lavoro, pari opportunità, condizioni di lavoro eque, salute e sicurezza sul luogo di lavoro, assistenza sanitaria, condizioni e trattamento dei lavoratori stranieri che ritornano in patria prima della fine del periodo minimo per la pensione e assistenza all’infanzia.
In effetti, esistono vari modelli cui fare riferimento: dal considerare i migranti una risorsa per le aree interne, spopolate e in declino economico, dove possano diventare un elemento di sviluppo, all’individuazione di politiche a “migrazione circolare”, facilitando così l’arrivo di lavoratori e, successivamente, il loro rientro in patria con la possibilità di mantenere relazioni culturali e finanziarie con i paesi di accoglienza.
Il Movimento europeo sostiene l’apertura di vie di accesso legali attraverso corridoi umanitari per chi fugge dalle guerre e dai disastri ambientali, la tutela dei minori non accompagnati e la facilitazione dei ricongiungimenti familiari, l’accelerazione delle procedure per la concessione dei visti umanitari e di permessi di protezione temporanea, la creazione dell’Agenzia Europea d’asilo e programmi di resettlement obbligatori, un diritto del suolo europeo.
Noi condividiamo la proposta di individuare i beneficiari di protezione internazionale nei paesi africani e mediorientali dove i movimenti dei richiedenti asilo si addensano, attraverso un sistema di presidi coordinato a livello europeo preferibilmente collocati presso le delegazioni dell’Unione europea nei paesi terzi e assicurato dalle grandi organizzazioni umanitarie, che accolgano chi si rifugia in quei territori. Si dovrà garantire successivamente il trasferimento dal presidio internazionale agli Stati di destinazione, dove poter formalizzare la richiesta d’asilo fissando quote eque di accoglienza per ciascuno Stato.
In questo spirito noi ribadiamo la necessità e l’urgenza della revisione del Regolamento di Dublino che sia fondata su un approccio che consideri la politica migratoria e di asilo come una risposta a una crisi strutturale e non emergenziale, che escluda meccanismi coercitivi, che introduca i principi del percorso, dell’esperienza professionale e delle aspirazioni dei richiedenti asilo, che preveda l’interruzione dei contributi di solidarietà all’interno dell’Unione non solo nel caso di autosospensione dal sistema ma anche di mancata esecuzione delle decisioni in materia di ricollocazione.
Noi riteniamo anche che l’UE e gli Stati membri all’interno delle Nazioni Unite – e in particolare i membri permanenti e non permanenti nel Consiglio di Sicurezza – debbano porre la questione dell’aggiornamento della Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951 che limita la protezione internazionale “a chiunque…nel giustificato timore d’essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza…”
La politica di accoglienza e migratoria deve essere accompagnata da una rinnovata e rafforzata politica di cooperazione e di aiuto nel quadro di un piano europeo di investimenti che tenga conto della situazione politica e dei regimi nei paesi sottosviluppati e in via di sviluppo.
É necessaria una politica euro-mediterranea che garantisca la pace, la sicurezza e la solidarietà nella regione rilanciando l’idea di un “anello degli amici”, di Università miste con parità fra il Nord e il Sud nel quadro di un’effettiva mobilità di studenti, ricercatori e docenti e di periodiche “assise” della società civile e delle comunità locali che permettano un libero confronto e lo sviluppo di una cittadinanza attiva.
In Africa e in particolar modo nelle relazioni con l’Unione africana, l’UE può svolgere un’azione positiva che accompagni (e condizioni) gli strumenti della cooperazione finanziaria con azioni per costruire o rafforzare la governance democratica, l’evoluzione verso lo Stato di diritto o il suo consolidamento e il rispetto della dignità umana apparsi in questi anni come una leva fondamentale per una crescita economica sostenibile.
1.6. Per migliorare la sicurezza interna ed esterna
Noi siamo convinti che si otterrebbe un consistente beneficio politico e si rafforzerebbe il consenso dei cittadini se si sfruttassero a fondo le economie di scala derivanti dall’integrazione fra i sistemi di difesa nazionali per l’assunzione dell’autonomia strategica di un pilastro europeo nell’Alleanza Atlantica perché la difesa è uno dei terreni simbolici – insieme alla democrazia, ai diritti e alla moneta – su cui costruire la Comunità federale che vogliamo.
Nel nuovo sistema internazionale, la difesa europea deve essere concepita come strumento per consentire all’UE di agire efficacemente per il mantenimento (peace keeping) e la costruzione (peace building) della pace ma anche per intervenire nel quadro delle Nazioni Unite per imporre (peace enforcement) la pace. L’UE deve agire sia per attuare un controllo nella vendita degli armamenti che per la riduzione reciproca, equilibrata e controllabile a livello internazionale delle forze e delle produzioni militari.
Usando lo strumento della cooperazione strutturata permanente occorre pensare a misure comuni per reagire ad attacchi informatici, ad affidare la gestione di crisi specifiche a un gruppo di Stati membri, a una standardizzazione degli armamenti, al coordinamento delle politiche industriali nazionali con regole comuni sulla vendita delle armi al di fuori dell’Unione europea.
Occorre prevedere strumenti per rendere più efficace la definizione e il perseguimento di interessi strategici comuni come l’ampliamento dei compiti dello Stato Maggiore Europeo, per gestire operazioni militari di lunga durata affidando all’MPCC (capacità militare di pianificazione e condotta istituita dal Consiglio l’8 giugno 2017) anche missioni esecutive oltre a quelle non esecutive nella prospettiva di un vero Quartiere generale europeo sul modello dei comandi NATO e un’Accademia Militare per la preparazione degli ufficiali.
É essenziale anche procedere alla creazione del Corpo volontario europeo previsto dall’art. 214 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea sia con funzioni di aiuto umanitario che di protezione civile prevedendo un adeguato coordinamento con il Corpo Europeo di Solidarietà recentemente istituito dalla Commissione europea.
Queste due iniziative dovrebbero aprire la strada a forme di difesa civile europea – non armata e non violenta – ivi compresa la formazione e l’educazione delle popolazioni europee al fine di favorire la mediazione, la promozione dei diritti umani, la solidarietà internazionale, l’educazione alla pace, il contrasto alle situazioni di degrado sociale, culturale e ambientale.
É opportuno promuovere nell’ambito dell’ONU la creazione di una “Forza di Polizia Internazionale” (di cui la componente di polizia delle forze integrate della difesa europea potrebbe essere un nucleo) alternativa e complementare agli strumenti militari di peace keeping, peace building e peace enforcement.
La politica di sicurezza e difesa, cuore pulsante della sovranità di un popolo, si fa tuttavia sulla base di una strategia complessiva di politica estera.
Ma le decisioni strategiche in materia di politica estera, di sicurezza e di difesa in Europa sono invece ancora saldamente nelle mani dei governi nazionali all’interno del Consiglio europeo e di altri organi intergovernativi, mentre il Parlamento Europeo, al pari dei Parlamenti nazionali, è di fatto escluso dal controllo democratico di scelte che fanno parte degli interessi essenziali dei cittadini come la pace e la sicurezza.
La politica di sicurezza e difesa non può dunque che essere il frutto di scelte legittimamente e democraticamente assunte con piena responsabilità di fronte ai cittadini, e richiede quindi un’integrazione politica e meccanismi decisionali che a oggi sono ben lontani anche solo dall’essere evocati.
Senza questi elementi imprescindibili, la cooperazione strutturata permanente – sottoposta al vincolo dell’unanimità fra un numero molto elevato di paesi aderenti con posizioni fortemente diversificate in tema di difesa europea - subirà le conseguenze dell’inefficacia di qualunque accordo di cooperazione intergovernativa e non potrà rappresentare l’embrione di una vera e propria condivisione di sovranità. Vi è quindi il rischio di un modello ambiguo e inefficace che con la già debole capacità militare e di sicurezza interna dei 27 a livello nazionale produrrebbe un mostro giuridico altrettanto inefficiente e incapace di agire a livello sovranazionale se non sarà sottoposto al controllo di un governo federale che risponda al parlamento eletto democraticamente dai cittadini. Tale governo dovrà essere chiamato a rappresentare in futuro la Comunità federale nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
I timori degli europei sono concentrati maggiormente sulla sicurezza interna davanti al terrorismo internazionale che si richiama a matrici di fondamentalismo islamista.
Lo si è visto, fra l’altro, negli attentati in Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Regno Unito, Spagna e Svezia, perpetrati da cittadini e residenti europei. L’Unione ha mostrato, ancora una volta, pesanti lacune e sconcertanti limiti nella sua azione. Molto dipende dall’inadeguatezza degli attuali Trattati europei; ma si può fare di più anche sulla loro base e impostare meglio gli strumenti cooperativi nel campo giudiziario, fra le forze di polizia e i servizi d’informazione.
In particolare, la realtà di questi anni ha messo in evidenza che la Procura Europea – costituita attraverso il metodo della cooperazione rafforzata sulla base di un compromesso lontano dalla logica comunitaria - non può avere competenza soltanto nella garanzia della protezione degli interessi finanziari dell'UE (così come stabilito nel testo su cui è stato raggiunto un accordo fra venti governi, tra cui l’Italia), ma deve operare anche per l'effettiva applicazione del diritto penale difendendo le nostre libertà fondamentali e la nostra sicurezza.
Quest’ulteriore competenza deve essere essenzialmente di iniziativa, di coordinamento e di efficienza procedurale per rispondere a un’esigenza di stretta attualità nella lotta contro il terrorismo e la criminalità organizzata andando al di là dei poteri previsti dal Trattato di Lisbona e gettando le basi di una vera “procura federale” e non del solo coordinamento intergovernativo delle procure nazionali.
Nella lotta al terrorismo uno strumento importante e urgente è la creazione di un’Agenzia di intelligence federale e nella lotta alla criminalità organizzata l’inserimento del reato di associazione di stampo mafioso nei sistemi penali degli altri paesi europei com’è stato proposto dal PE.
In questo quadro l’UE – tenendo anche conto della giurisprudenza della Corte di Giustizia europea - dovrà stabilire delle regole che assicurino nello stesso tempo la sicurezza dei diritti (delle persone) e il diritto alla sicurezza (delle collettività).
1.7. Per un’identità europea e una cultural diplomacy
Il tema dell’identità europea nel quadro di un’identità multilivello è certamente una componente essenziale della più ampia dimensione della cittadinanza europea. La valorizzazione e la salvaguardia del comune patrimonio europeo e l'educazione e la formazione verso una nuova identità culturale europea devono assumere un ruolo prioritario nella definizione delle politiche e dei programmi europei del domani così come lo sviluppo di un’economia della cultura a livello dell’UE.
A trattato costante molte iniziative potrebbero essere rafforzate e completate per sostenere questo fondamentale pilastro della cittadinanza europea costruito con il cemento delle cultural and educational policies europee, rafforzando nei programmi scolastici nazionali la dimensione dell’educazione civica europea.
In questo quadro che unisce la dimensione culturale a quella educativa è importante dotare l’UE di strumenti di dialogo fra credenti e non credenti e di lotta alla radicalizzazione, com’era avvenuto durante i dieci anni della Commissione Delors con il programma “Un’anima per l’Europa” fondando questi strumenti sugli articoli 10, 17 e 19 TFUE e 10 della Carta dei Diritti Fondamentali.
La Convenzione sul Valore del patrimonio Culturale per la Società (Faro 2005) e la Convenzione dell’UNESCO sulla protezione e la promozione delle diversità delle espressioni culturali (Parigi 2005) costituiscono basi giuridiche innovative definendo la produzione culturale europea come un elemento dinamico che ruota intorno all'uomo e per garantire l’unità nella diversità.
Diritti culturali, cittadinanza attiva, partecipazione democratica ai processi culturali sono espressi nel lavoro di comunità che valorizzano e tutelano il patrimonio locale con l'obiettivo di migliorare la qualità della vita e trasmettere alle future generazioni le nostre tradizioni culturali. Esse rappresentano un utile riferimento normativo per salvaguardare le tradizioni innovando e creando nuovi prodotti culturali europei.
Non ultimo occorre sottolineare il ruolo della cultura europea (softpower) nel diffondere i valori europei fondati sulla diversità culturale come fonte di dialogo e non di conflitti partendo dall’arte come strumento di pace, la libertà di espressione, l'apertura verso il diverso e l'innovazione culturale. Si propone di conseguenza la creazione di una rete di Istituti Europei di Cultura nei paesi extraeuropei con la finalità di diffondere e gestire attività di cooperazione culturale bilaterale o multilaterale e diffondere la conoscenza dei valori europei grazie alle opere di artisti e letterati di tutta Europa. Questa proposta deve rappresentare la concreta conclusione dell’Anno Europeo del Patrimonio Culturale 2018 aggiungendo nello stesso tempo la cultura alla “Urban Agenda” perché è a livello locale che si crea la coesione oppure si fallisce.
1.8. Per completare e riformare l’UEM garantendo una prosperità condivisa
Il completamento dell’UEM per garantire la prosperità si colloca a metà strada fra il raggiungimento degli obiettivi fissati dai trattati e la riforma dell’Unione europea contenente elementi essenziali di carattere costituzionale che richiederanno inevitabilmente di scegliere la via dell’Europa a cerchi concentrici e di procedere ad una revisione o ad una integrazione dei trattati.
Non sono state pienamente utilizzate le possibilità offerte dalle politiche di coesione sociale e territoriale per la responsabilità dell’Unione europea ma anche degli Stati, politiche che hanno prodotto certamente sviluppo ma senza ridurre le asimmetrie e disuguaglianze fra Stati, fra regioni e fra classi sociali.
Fra le politiche incompiute, vanno ricordati i cantieri aperti riguardanti: il mercato unico digitale, l’unione bancaria, il mercato unico dei capitali, l’unione dell’energia e un vero e proprio mercato dei servizi rispettando l’unità nella diversità, una fiscalità europea.
É evidente che in alcuni casi (mercato unico digitale, mercato unico dei capitali, mercato dei servizi) si potrà agire a trattato costante ma in altri casi le regole decisionali (fiscalità europea) o la ripartizione delle competenze (unione dell’energia) richiederanno per la loro piena realizzazione una revisione dei trattati o nuovi strumenti tra chi ci sta.
Il sistema della governance complessiva dell’unione monetaria, concepito per gestire shock contenuti sul piano quantitativo, ha mostrato tutti i suoi limiti a fronte di crisi di ampie dimensioni.
Il modo asimmetrico con cui gli Stati dell’Eurozona hanno reagito alla crisi economica degli ultimi dieci anni; l’applicazione di regole pensate per favorire gli aggiustamenti delle singole economie rispetto a shock esterni; i vincoli di finanza pubblica che hanno riguardato in modo simile sia le spese correnti che quelle in conto capitale; le modalità e il contenuto della riforma apportata dall’Unione alla sua governance economica a fronte delle crisi finanziarie; l’assenza di compensazioni di dimensione adeguata, in grado di ridurre drasticamente l’impatto di queste ultime sull’economia reale e soprattutto sulle fasce più deboli della società, sono tutti esempi di quanta strada vada ancora fatta per una vera integrazione politica, economica e sociale in grado di portare i benefici promessi dall’unione monetaria.
Questi problemi, insieme alla separazione anacronistica (ma probabilmente strumentale a ridurre la spesa sociale) tra la politica monetaria (di competenza esclusiva dell’Unione Europea) e quelle sociali (in buona parte di competenza degli Stati), hanno determinato la mancata realizzazione degli obiettivi di uno spazio unico europeo senza frontiere e “socialmente giusto”.
Simbolicamente, le quattro libertà di circolazione (merci, servizi, capitali, persone) all’interno di uno spazio unico senza frontiere sono rimaste frammentate e, nell’applicazione del Trattato, la libera circolazione delle merci ha avuto la precedenza rispetto a quella delle persone.
Così, l’assenza di adeguati sistemi di compensazione sul fronte sociale e i rigidi vincoli introdotti dal Fiscal Compact hanno contribuito a far evaporare il consenso dei cittadini per il progetto europeo, soprattutto nei paesi che hanno risentito maggiormente della crisi.
Alla luce di queste considerazioni, la solidità del sistema europeo è a forte rischio senza interventi al tempo stesso efficaci, quantitativamente rilevanti e facilmente riconoscibili dalle cittadine e dai cittadini. Inoltre, la sfiducia reciproca tra “paesi virtuosi” e “paesi squilibrati” (definiti tali in base ad un giudizio basato esclusivamente su variabili finanziarie) ha reso estremamente difficile trovare un accordo politico per prendere decisioni che innovino profondamente la prassi e le politiche degli ultimi anni.
Una serie di decisioni deve essere adottata quanto prima per rilanciare un processo di sviluppo che renda evidenti le ragioni dello stare insieme, superi le diffidenze verso le istituzioni europee, migliori le condizioni di vita delle persone a rischio di povertà e di esclusione sociale, con particolare riguardo ai senza-lavoro, ai minori e ai giovani e al divario generazionale.
Per consentire davvero all’UE di raggiungere il fondamentale traguardo dello sviluppo sostenibile è necessario riflettere su una revisione degli strumenti della governance economica europea, alla luce di un’analisi rigorosa e complessiva dei costi in termini sociali che essi hanno comportato.
Volendo procedere più spediti e nell’attuale quadro di bilancio dell’UE, noi proponiamo di utilizzare alcuni strumenti comuni come i project-bonds (obbligazioni a progetto) e titoli pubblici europei per contribuire al finanziamento di investimenti in infrastrutture fisiche e intangibili ed anche al benessere dei risparmiatori offrendo loro un investimento sicuro e portatore di redditività.
Le risorse fiscali e le obbligazioni a progetto dovrebbero quindi focalizzarsi su investimenti pubblici e privati mirati all’energia, alle reti, ai trasporti e alle telecomunicazioni, alla promozione delle key enabling technologies (microelettronica, nano-elettronica, fotonica, nanotecnologie, biotecnologie, materiali avanzati, sistemi di fabbricazione avanzati), all’innovazione e alla ricerca, ai servizi pubblici di qualità, all’istruzione e alla formazione. In questo quadro deve essere quantitativamente e qualitativamente rafforzato il Piano Juncker per gettare le basi di un New Deal dell’economia europea come proposta prima in un’iniziativa di cittadini europei e poi in una petizione indirizzata al PE.
Questi investimenti avranno ricadute positive sulla creazione di posti di lavoro stabili, sfruttando l’ampia massa di capitali internazionali (incluse le formule di venture capital) alla continua ricerca di opportunità profittevoli.
Pur tenendo conto della complessità più politica che tecnica per dare attuazione a queste proposte occorre avviare in tempi rapidi una riflessione su una capacità fiscale e di spesa dell'Eurozona per la promozione di beni comuni e politiche economico/sociali europee, alimentate dalla progressiva introduzione di imposte federali europee.
Il sistema di imposte europee – con una pressione fiscale globale sui cittadini e sulle imprese che deve essere globalmente invariata ma più equamente distribuita secondo il principio della progressività - deve avere un’elevata valenza sociale in parallelo all’armonizzazione delle politiche di prelievo e delle imposte nazionali e a quote di imposte di competenza europea, con gestione coordinata della pressione fiscale complessiva in senso anticiclico.
Si possono citare gli esempi della tassazione sui profitti delle società che controllano l’uso del web e sul margine lordo dei giochi; la carbon tax; una sovraimposta europea sui tabacchi e sui profitti di compravendita di breve periodo-trading realizzati da imprese e società commerciali; l’imposta alla fonte sui profitti realizzati mediante compravendita di beni reali, mobili registrati e strumenti finanziari da società commerciali residenti in paradisi fiscali.
L’UE deve perseguire l’obiettivo di un maggior coordinamento tra i sistemi fiscali nazionali al fine di ridurre la concorrenza fiscale che ha l’effetto di concentrare il carico fiscale sui fattori meno mobili della produzione e prima di tutti sul lavoro.
In questo quadro l’UE deve intraprendere forti iniziative contro l’evasione, contro l’elusione soprattutto da parte di società multinazionali e contro il “turismo tributario”.
Occorre avviare all’interno dell’Eurozona un processo di stabilizzazione dei debiti pubblici, correlando le politiche di bilancio e di riduzione del debito all’andamento del PIL in termini ciclici e anticiclici.
1.9. Per completare e riformare il sistema europeo: il metodo e l’agenda
Come dimostrano le proposte fin qui avanzate, molto può essere fatto senza intervenire con modifiche dei Trattati vigenti.
Tuttavia, riteniamo che una riforma vera e profonda del sistema europeo sia ora ineludibile per passare progressivamente dal metodo comunitario al metodo federale definendo gli elementi essenziali di un’Europa unita, democratica e solidale, nonché il metodo e l’agenda per realizzarla.
Il sistema europeo, i suoi meccanismi e le sue procedure mostrano, ormai, svariate incongruenze. Non poche dipendono dalla sua impostazione originaria, mai veramente superata dalle numerose, successive modifiche dei Trattati, che induce gli europei a dubitare della piena legittimità democratica dell’UE. Altre sono diventate evidenti, negli ultimi anni, per effetto della devastante sequenza di crisi: finanziaria, economica, sociale e politica.
Incalzato dalle emergenze e nell’intento di affrontare la situazione e risolvere la crisi, il Consiglio Europeo ha progressivamente avocato a sé la maggior parte dei poteri decisionali, andando ben al di là dei compiti che gli sono attribuiti dai Trattati, ma senza essere capace di dare le risposte necessarie alle sfide attuali. In quest’UE che non ci soddisfa, si è così affermata una distribuzione dei poteri, in buona sostanza, diversa da quanto ci dice la lettera dei Trattati e, comunque, inadeguata.
Siamo convinti che sia indispensabile procedere in maniera trasparente e democratica innovando il metodo per consentire ai paesi e ai popoli che hanno democraticamente accettato di condividere parti importanti delle loro sovranità di completare il cammino verso un modello federale.
Per definire il futuro dell’UE occorrerà innanzitutto un dibattito articolato che coinvolga i cittadini, i movimenti di opinione, i corpi intermedi a livello europeo, i partner sociali e i partiti politici e che stimoli i governi degli Stati, ciascun Parlamento nazionale, le assemblee legislative regionali e il PE, inclusivo di un dialogo fra delegazioni parlamentari.
A valle, deve esserci un lavoro di tipo costituzionale, lavoro su cui va garantita la massima trasparenza e pubblicità.
Coerentemente con la nostra ispirazione federalista che si richiama al Manifesto di Ventotene e che si è consolidata negli anni sulla base delle esperienze maturate durante il processo di integrazione europea, noi intendiamo contribuire al dibattito sul metodo che deve condurre a tempi certi verso una Comunità federale.
Noi riteniamo che i parlamentari europei eletti nella primavera del 2019 nei paesi dell’Eurozona e in quelli che avranno deciso di aderirvi debbano assumere un ruolo sostanzialmente costituente, come avvenne nella prima legislatura europea su iniziativa di Altiero Spinelli.
Alla fase costituente deve seguire quella deliberativa, dove appare a nostro avviso ineludibile l’intervento della sovranità popolare attraverso un referendum paneuropeo confermativo. Del resto, lo strumento referendario è già obbligatorio in molti paesi membri ed è politicamente imprescindibile in altri con una frammentazione delle procedure di ratifica che dà maggiore spazio alle scelte e ai dibattiti nazionali mettendo in secondo piano le scelte e il dibattito europei.
Nel referendum paneuropeo le cittadine e i cittadini si esprimeranno espressamente sul nuovo assetto federale europeo, sulle sue regole costituenti e fondanti e sul superamento della dimensione degli attuali Stati nazionali. Se la fase preparatoria sarà sufficientemente coinvolgente ed efficace, sarà chiamato a esprimersi un corpo elettorale che, a quel punto, risulterà più coscientemente “europeo”.
1.10. Per una Comunità federale: il progetto
L’obiettivo non può che essere una federazione europea: non un super-Stato centralizzato, bensì una Comunità federale.
La possibile architettura può essere così sintetizzata:
- un livello federale dotato delle necessarie competenze in tutti i settori in cui l'azione dei singoli Stati risulti inadeguata;
- l’assemblea parlamentare con pieni poteri legislativi (incluso il potere di iniziativa legislativa in caso di carenza dell’esecutivo) da esercitare congiuntamente a una “Camera degli Stati”;
- forme più avanzate di democrazia partecipativa e di prossimità per rendere la comunità federale una società aperta e garantire un reale coinvolgimento delle cittadine e dei cittadini insieme alle realtà locali e regionali;
- un vero governo europeo, con un numero ristretto di ministri e dotato di poteri limitati ma reali sia in politica interna che in politica estera, legato a un vincolo democratico e fiduciario all’assemblea;
- il Consiglio dei capi di Stato e di governo vincolato al suo ruolo di eminente istanza che discute e indica gli orientamenti strategici, sede di dibattiti semestrali sulle grandi priorità politiche;
- opportune forme di coinvolgimento dei Parlamenti nazionali e delle assemblee legislative regionali degli Stati federati;
- un bilancio federale con una dimensione coerente rispetto agli obiettivi comuni, entrate fondate su tributi europei e politiche per garantire beni comuni a dimensione europea;
- la Corte di Giustizia cui sia attribuita anche la competenza di rispondere ai ricorsi specifici in materia di diritti fondamentali e di avviare la procedura di constatazione di rischi di violazione grave da parte di uno Stato membro dei valori dell’UE o di constatazione dell’esistenza di queste violazioni;
- la Banca Centrale Europea come organo costituzionale autonomo accanto all’esecutivo, al legislativo e al giudiziario, la cui azione sia coordinata con la politica governativa nel rispetto degli obiettivi della Comunità federale nella ricerca di una crescita sostenibile che punti alla piena occupazione e al progresso sociale;
- una vera e propria cittadinanza europea federale, svincolata dalle cittadinanze nazionali, dotata di un autonomo nucleo di diritti - individuali e collettivi - e rafforzata dall’adesione alla Convenzione europea dei diritti dell’Uomo e della Libertà fondamentali e alla Carta Sociale di Torino riveduta.
Approvato dall’Assemblea del 16 novembre 2018