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Newsletter 8 Maggio/2023 - L'EDITORIALE

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DAL LIBERUM VETUM CONFEDERALE ALL’EUROPA FEDERALE

Il ministero degli esteri tedesco ha annunciato che nove governi europei hanno deciso di costituire un gruppo informale degli “amici del voto a maggioranza qualificata in politica estera e della sicurezza” allo scopo di facilitare l’applicazione della cosiddetta “clausola della passerella” che consentirebbe al Consiglio europeo - all’unanimità – di autorizzare il Consiglio a adottare delle decisioni a maggioranza qualificata dove il Trattato prevede che le decisioni siano invece adottate all’unanimità.

Come sappiamo, uno dei settori del funzionamento o del mancato funzionamento dell’Unione europea in cui i governi hanno deciso, al tempo della firma del Trattato di Lisbona nel 2007, di far prevalere il metodo confederale – e cioè il liberum vetum - e i poteri nelle mani delle diplomazie nazionali è quello della politica estera e della sicurezza ivi compresa la difesa comune.

Si ritiene, a torto o a ragione, che la mancata evoluzione del ruolo dell’Unione europea nel mondo e più recentemente le difficoltà ad essere un attore influente nella guerra provocata dalla Russia contro l’Ucraina sia la permanenza del voto all’unanimità e dunque del potere di veto di uno o più governi come è apparso con evidenza nelle procedure tortuose per l’applicazione delle sanzioni contro l’autocrazia putiniana.

Sappiamo anche che le decisioni in materia di politica estera e della sicurezza ivi compresa la dimensione della difesa comune non sono l’unico ostacolo sulla via del funzionamento o del mancato funzionamento dell’Unione europea perché – per rimanere nella dimensione internazionale  - la Francia che fa parte del gruppo degli “amici del voto a maggioranza nella politica estera e della sicurezza” non ha mai manifestato la volontà di aprire la strada ad un seggio unico dell’Unione europea nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite né ha manifestato la propria disponibilità ad una riforma dell’ONU in cui il Consiglio di sicurezza si apra alle organizzazioni regionali invece che a singoli Stati in cui USA, Russia, Cina, Francia e Regno Unito hanno un potere di veto.

Al di là della posizione francese, legata principalmente al fatto che il Presidente della Repubblica ha praticamente i pieni poteri in materia di politica estera, il funzionamento o il mancato funzionamento dell’Unione europea per la prevalenza del metodo confederale, da cui discende - ma non solo - il potere di veto, si estende ad esempio al bilancio pluriennale e alle risorse proprie, alla politica fiscale e a tutte le decisioni legate alla politica fiscale come l’ambiente, all’organizzazione della democrazia rappresentativa che si fonda sui meccanismi elettorali del Parlamento europeo, alla composizione della Commissione europea e cioè del governo embrionale dell’Unione europea, alla politica migratoria con la revisione del regolamento di Dublino e, last but not least, alla riforma dei trattati in cui i governi hanno scritto nero su bianco che essi sono “the owners of the treaties”.

Quello degli “amici del voto a maggioranza qualificata nella politica estera e della sicurezza” - promosso dalla Germania e a cui hanno aderito la Francia, la Spagna, il Belgio, i Paesi Bassi, il Lussemburgo ma anche l’Italia, la Finlandia e la Slovenia – potrebbe essere solo un bel gesto che rischierebbe di rimanere simbolico perché nasconde in primo luogo una differenza non marginale fra la Germania che vorrebbe pragmaticamente tentare di applicare la clausola della passerella su questioni/decisioni precise e la Francia, a cui si sono associati anche il Belgio e l’Italia, che vorrebbe applicarla a tutta la PESC e, in assenza dell’abbandono del metodo confederale con una revisione in senso federale del sistema politico dell’Unione europea, sarà condizionato alla buona o cattiva volontà degli altri diciotto governi di decidere nel Consiglio europeo di applicare all’unanimità la cosiddetta clausola della passerella prevista dall’art. 48.7 del Trattato sull’Unione europea.

Poiché la Germania è stata capace di comporre un gruppo di nove “amici della maggioranza qualificata” la prima strada da intraprendere potrebbe essere quella di individuare delle politiche dell’Unione europea - di cui l’attuazione è stata resa impossibile per mancanza di accordo fra tutti gli Stati membri ivi comprese azioni o posizioni comuni nella PESC con l’esclusione delle questioni aventi implicazioni militari o nel settore della difesa dove può essere applicato il metodo della cooperazione strutturata permanente – in cui introdurre il metodo delle cooperazioni rafforzate.

Sappiamo tuttavia che la strada delle cooperazioni rafforzate è impervia perché, da quando esse sono state introdotte con il Trattato di Amsterdam e poi ampliate e semplificate a Nizza e a Lisbona, sono state applicate solo in materia di divorzio nel 2010, di regime patrimoniale dei coniugi nel 2016, di brevetto europeo nel 2013 e della Procura Europea nel 2017 mentre la cooperazione strutturata permanente in ambito militare è stata attivata nel 2017 fra venticinque Stati membri con esiti sostanzialmente irrilevanti dal punto di vista della evoluzione di una vera difesa comune.

Alcuni attribuiscono all’euro e alla cosiddetta “area Schengen” lo sviluppo delle cooperazioni rafforzate ma si tratta evidentemente di due casi che non hanno nulla a che fare con questo metodo perché essi riguardano competenze essenziali o addirittura esclusive dell’Unione europea come la politica monetaria e la libera circolazione delle persone che fanno parte della sua ragion d’essere.

Piuttosto che il gesto simbolico di annunciare la volontà di rompere la logica dell’unanimità nella politica estera e della sicurezza sapendo che questa volontà si scontrerà con la volontà degli altri Stati nel Consiglio europeo, sarebbe politicamente più efficace indicare la volontà di superare la logica del metodo confederale che prevalse nel Trattato di Lisbona ad iniziativa di Angela Merkel e Tony Blair esprimendosi invece a favore di una riforma costituzionalmente rilevante e federale del sistema politico dell’Unione europea che venga avviata dopo le elezioni europee del 2024 così come si era espresso lo stesso governo tedesco nel programma della coalizione SPD/Verdi/Liberali (il “semaforo tedesco”) che si formò intorno a Olaf Scholz l’8 dicembre 2021.

Attendiamo per ora di conoscere la via che sarà indicata dal Parlamento europeo con il rapporto della commissione affari costituzionali, che dovrebbe essere discusso dalla assemblea a settembre 2023 in concomitanza con l’ultimo discorso di questa legislatura sullo “stato dell’Unione” di Ursula von der Leyen, come eredità politica di questo Parlamento europeo per il Parlamento europeo che sarà eletto nel maggio 2024.

Genova, 6 maggio 2023

coccodrillo

 

 

 

 

 

 

 

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