IL GATTOPARDISMO EUROPEO
“Se non ci siamo anche noi, quelli ti combinano la repubblica in quattro e quattr’otto. Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi” (Tancredi Falconieri, nipote di don Fabrizio Corbera, Principe di Salina ne “Il Gattopardo”).
Lo stato dell’Unione europea dopo le elezioni europee dal 6 al 9 giugno ricorda il romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa con le apparenti trasformazioni nella vita e nella società siciliana durante il Risorgimento, dal momento del trapasso dal Regno Borbonico alla transizione unitaria del Regno d’Italia insieme alla spedizione dei Mille di Giuseppe Garibaldi, con la decadenza della nobiltà e il prevalere della borghesia diremmo oggi capitalista assetata di potere economico e pronta a compromettersi con la Casa Sabauda.
Abbiamo assistito la scorsa settimana, dal loggione virtuale del Parlamento europeo, alle inutili ed inedite sceneggiate dello scontro in aula fra la Presidente uscente ma anche entrante della Commissione europea Ursula von der Leyen ed il “legittimo” Presidente di turno del Consiglio dell’Unione europea Viktor Orban che è in sovrappiù leader di fatto del terzo gruppo politico nell’emiciclo dei “patrioti”.
Lo è insieme al Partito della Libertà austriaco fresco vincitore delle elezioni legislative nel paese cha ha dato i natali ad Adolf Hitler e al Partito della Libertà olandese anch’esso vincitore in patria anche se meno fresco, agli indipendentisti fiamminghi anch’essi vincitori in patria, al Rassemblement National che spera di conquistare l’Eliseo nel 2027, alla Lega di Salvini ancora avvinghiata al Governo Meloni, ai neofranchisti di Vox fino a qualche mese fa hand and glove (per usare la più elegante espressione inglese di quella più volgare italiana e spagnola) con Giorgia Meloni loro temporanea musa ispiratrice e poi danesi, greci, lettoni, polacchi, portoghesi e cechi tutti con simpatie neofasciste.
Oltre a cantare Bella Ciao e ad esibire il pugno chiuso la Left, una parte minoritaria della sinistra europea, non ha fatto nulla per convincere socialisti e verdi insieme ai liberali ad esigere dal Consiglio europeo di sottrarre a Viktor Orban la sedia di Presidente di turno del Consiglio dell’Unione europea.
Del resto, socialisti e verdi insieme ai liberali si sono ben guardati di andare fino in fondo per denunciare il caos istituzionale provocato dal governo illiberale ungherese.
Con la stessa mancanza di logica, gli europeisti nell’Assemblea hanno evitato di chiedere all’ineffabile Charles Michel (quello del sofà offerto ad Ankara alla collega Ursula sotto gli occhi divertiti di Erdogan) le ragioni per cui egli ha deciso di rendere omaggio a Viktor Orban a casa sua portando nelle sontuose sale del Palazzo Sandor l’iraconda Ursula von der Leyen che non vorrà certo mancare all’appuntamento con la storia con la “s” minuscola, la Presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola e ventisei Capi di Stato e di Governo che si saranno scambiati il giorno prima inutili convenevoli con i colleghi della inutile Comunità Politica Europea il cui unico interesse mediatico sta nello stabilire la lista degli assenti.
Al di là della sceneggiata in omaggio ai parlamentari da parte dei due leader delle istituzioni europee, nulla è cambiato perché Viktor Orban continua a dirigere il proprio governo dal 2010 in spregio dei valori e delle leggi europee avendo ricevuto da Ursula von der Leyen alla fine del 2023 oltre dieci miliardi di euro (una moneta che tuttavia non circola ufficialmente a Budapest) e le farraginose regole europee dell’articolo 7 TUE hanno finora impedito di togliere al paese magiaro il diritto di voto nel Consiglio dell’Unione, nel Consiglio europeo e negli organi intergovernativi.
Nel frattempo, il PPE - e cioè il partito europeo dell’iraconda Ursula von der Leyen - stringe accordi parlamentari con i “patrioti” guidati dietro le quinte da Viktor Orban, con i conservatori dell’ECR teleguidati oggi da Giorgia Meloni ma ben presto dal polacco Morawiecki con ben ventidue partiti nazionali e con l’Europa delle Nazioni Sovrane guidata dalla tedesca AFD fresca vincitrice in Turingia e Sassonia ma con ramificazioni di estrema destra in Bulgaria, Francia, Lituania, Paesi Bassi, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria.
I quattro gruppi, solo apparentemente rivali, formano con 377 parlamentari la maggioranza assoluta e numerica nell’Assemblea e possono cercare dunque di gettare alle ortiche l’accordo della maggioranza europeista che è stato raggiunto il 18 luglio con il voto di fiducia a Ursula von der Leyen.
L’accordo apparentemente contro-natura fra i quattro gruppi di centro-destra, che in alcuni casi si sono rifiutati di governare insieme nei loro paesi ma in altri casi hanno stretto senza nessuna perplessità e coerenza alleanze regionali o nazionali per conquistare il potere prescindendo dai valori dell’europeismo e della difesa dello stato di diritto, è stato per ora sfruttato per la preparazione delle audizioni dei candidati-commissari e per difendere i “loro” candidati popolari, conservatori e patrioti sapendo che la maggioranza della futura Commissione potrebbe essere politicamente e non solo numericamente controllata dal PPE.
Lo sarà ancor di più quando si tratterà di cercare di demolire il Patto Verde Europeo, di provare a far evaporare le condizionalità sul rispetto dello stato di diritto nell’uso dei fondi europei, di tentare di annacquare gli impegni nelle politiche sociali con il segnale significativo dato nella distribuzione dei portafogli dalla sparizione della parola “occupazione” e dall’attribuzione secondaria della “unione per l’uguaglianza” alla commissaria belga Lahbib responsabile della protezione civile, di agire per gestire con rigore frugale il nuovo Patto di Stabilità creando non pochi problemi al Governo Meloni, di rinviare alle calende greche la revisione dei trattati su cui del resto i partiti della inedita alleanza fra i quattro gruppi si erano opposti il 22 novembre 2023, di “proteggere” le frontiere dagli ipotetici rischi di invasione di richiedenti asilo demolendo nello stesso tempo l’accordo di Schengen con il sostegno di governi guidati dal centro-sinistra e – last but not least – di chiudere la cultura e l’educazione nel recinto delle politiche marginali.
Vedremo quale sarà la capacità di coesione europeista fra socialisti, liberali e verdi e se essi saranno in grado di rovesciare il tavolo politico all’interno del PPE facendo appello ai partiti che si ispirano all’universalismo cristiano e all’europeismo di Adenauer, di De Gasperi e di Schuman che cozza con l’ostilità antieuropea dei patrioti, dei conservatori e dei sovranisti per non parlare delle posizioni radicalmente divergenti in politica estera.
Il destino della legislatura non è ancora definitivamente segnato in negativo e bisognerà usare fino in fondo la determinazione di alcuni futuri commissari, gli spazi delle regole parlamentari nelle procedure legislative, i poteri di iniziativa e di controllo politico del Parlamento europeo ma, soprattutto, la mobilitazione delle organizzazioni rappresentative della società civile nella difesa attiva dei valori europei sfruttando gli strumenti delle iniziative dei cittadini europei, delle petizioni, dei ricorsi alla Corte di Giustizia e all’Ombudsman, dei nuovi intergruppi e di una parte della stampa libera a Bruxelles e nei paesi membri.
Nei prossimi mesi ci saranno tre scadenze importanti su cui si verificherà se la nuova Commissione sarà coerente con la maggioranza europeista che ha dato la fiducia alla Presidente Ursula von der Leyen o se si piegherà allo sciagurato accordo fra i quattro gruppi di centro-destra: la scelta del rapporto Draghi come bussola delle politiche europee, il piano della Commissione sul futuro dell’Europa in cui Ursula von der Leyen ha preso l’impegno di coinvolgere il Parlamento europeo ma in cui il Parlamento europeo non ha chiarito in quale modo essere coinvolto ad eccezione del mantra grottesco di una ormai esigua minoranza che insiste sul metodo confederale della Convenzione, e infine, le proposte sul Quadro Finanziario Pluriennale 2028-2032 insieme alle risorse proprie e alla creazione di nuovo debito europeo per garantire il livello ambizioso degli investimenti necessari per beni pubblici europei.
Come nel 1980, quando il Parlamento europeo rispose all’immobilismo dei governi con l’iniziativa spinelliana del “Club del Coccodrillo”, l’inevitabile conflitto fra l’Assemblea e il Consiglio sul bilancio dovrà essere l’occasione per lanciare un metodo democratico costituente.
Al lavoro e alla lotta per superare lo scoglio del gattopardismo europeo.
Catania, 14 ottobre 2024