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Newsletter 21 Ottobre/2024 - EUROPA DEI DIRITTI

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Alcune osservazioni a “ prima lettura” sul  Disegno di legge 1146

Giuseppe Bronzini

Presidente emerito sezione lavoro Corte di cassazione

Testo audizione avanti la X Commissione del Senato della Repubblica

         1.L’interprete giuridico e quello giudiziario si trovano oggi di fronte a delicatissimi snodi ermeneutici per il dilagare di interventi legislativi o di indirizzo di matrice europea (più di dieci in pochi anni) che si dovrebbero risolvere andando all’ispirazione stessa dell’ondata regolativa:  una cornice complessiva ed un insieme di meta- principi comuni  che può guidare il processo epocale di codificazione europea del mondo digitale ed ora dell’AI.

 Una visione prospettica, olistica, filosoficamente impostata, con la quale il fenomeno dell’AI, del digitale e del lavoro su piattaforme è stata affrontato nel vecchio continente con l’adozione di una strategia complessiva (digital compact- parte di Europa 20-30) ed un insieme di provvedimenti prevalentemente di natura legislativa che hanno la pretese di indirizzare lo sviluppo delle tecnologia verso scopi e mete emancipative e liberatorie in tutti i campi portando l’UE a dotarsi di una sovranità nel settore capace di generare quello che è stato chiamato il “Bruxelles effect”. Come dice il Regolamento AI act l’obiettivo è  “promuovere la diffusione di un'intelligenza artificiale (IA) antropocentrica e affidabile, garantendo nel contempo un livello elevato di protezione della salute, della sicurezza e dei diritti fondamentali sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (la "Carta"), compresi la democrazia, lo Stato di diritto e la protezione dell'ambiente, contro gli effetti nocivi dei sistemi di IA nell'Unione nonché promuovere l'innovazione” (art. 1 nonché considerando n. 1)  o, per  la Declaration of principles and rights for the digital decade (che dovrebbe rappresentare una cornice costituzionale generale) del Dicembre 2022,  “mettere le persone al centro della trasformazione digitale”,  riaffermare il ruolo strumentale  della tecnologia  “al servizio ed a beneficio di coloro che vivono nell’UE” e  precisare che   “la visione dell’UE per la trasformazione digitale mette al centro le persone, conferisce loro maggiore autonomia e responsabilità”. Brillantemente le premesse del ddl che oggi discutiamo indica come fine ultimo di questa ondata quello di sviluppare l’autodeterminazione delle persone.

        2.  La preoccupazione da molti condivisa  riguarda non solo  le incertezze normative, che la Corte di giustizia cercherà di risolvere, anche se ancora la sua giurisprudenza  sta chiarificando in questi mesi  aspetti cruciali del GDPR che è la base del processo di codificazione del mondo digitale ed ora anche dell’AI,  ma anche la complessità ed i gravosi obblighi a carico delle imprese che potrebbero, si teme, bloccare il processo innovativo, sfavorendo alla fine proprio il vecchio continente e confermando l’oligopolio oggi egemone delle imprese  USA  top six  a livello globale come suggerito nello stesso Rapporto Draghi con quale battuta allusiva. Occorre quindi valutare attentamente se sia strettamente necessario aggiungere al quadro sovranazionale ulteriori provvedimenti normativi interni non strettamente necessari ad implementare il primo, a carattere per giunta regolamentare anche se di “ nuova generazione” che addirittura contempla un ruolo di vera e propria legislazione delegata per la Commissione.     

         3. Giova, quindi, intervenire sul lavoro? E’ importante notare come sia lo stesso Regolamento ad autorizzare   interventi nazionali ed a chiamare in gioco addirittura la contrattazione collettiva  in campo lavorativo (che opererebbe così in modo piuttosto originale come fonte integrativa di un provvedimento Ue regolamentare) . Non era scontato, anche alla luce del diritto dell’Unione primario, perché le basi giuridiche del regolamento sono gli artt.  114 e 16 del  TFUE che, quindi, non ha alcuna base nel capitolo sociale dell’Unione nonostante gli sforzi del PE. Tuttavia l’art. 2.11 perentoriamente  afferma  “ Il presente regolamento non osta a che l'Unione o gli Stati membri mantengano o introducano disposizioni legislative, regolamentari o amministrative più favorevoli ai lavoratori in termini di tutela dei loro diritti in relazione all'uso dei sistemi di IA da parte dei datori di lavoro, o incoraggino o consentano l'applicazione di contratti collettivi più favorevoli ai lavoratori”.  A ciò si aggiunge il considerando n. 9 veramente molto determinato nello stabilire l’immunità delle disposizioni a carattere sociale di matrice sovranazionale da ogni limitazione per effetto del regolamento che altrimenti potrebbe avere una portata  di liberalizzazione: “inoltre, nel contesto dell'occupazione e della protezione dei lavoratori, il presente regolamento non dovrebbe pertanto incidere sul diritto dell'Unione in materia di politica sociale né sul diritto del lavoro nazionale, in conformità del diritto dell'Unione, per quanto riguarda le condizioni di impiego e le condizioni di lavoro, comprese la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro, e il rapporto tra datori di lavoro e lavoratori. Il presente regolamento non dovrebbe inoltre pregiudicare l'esercizio dei diritti fondamentali riconosciuti dagli Stati membri e a livello di Unione, compresi il diritto o la libertà di sciopero o il diritto o la libertà di intraprendere altre azioni contemplate dalla disciplina delle relazioni industriali negli Stati membri nonché il diritto di negoziare, concludere ed eseguire accordi collettivi, o di intraprendere azioni collettive in conformità del diritto nazionale. Il presente regolamento dovrebbe lasciare impregiudicate le disposizioni volte a migliorare le condizioni di lavoro nel lavoro mediante piattaforme digitali di cui alla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al miglioramento delle condizioni di lavoro nel lavoro mediante piattaforme digitali….”

        4. Questo rinvio salva l’art. 1 bis d.lgs. n. 152 poiché l’entrata in vigore del regolamento senza l’art. 2 lo avrebbe reso problematico ponendo obblighi informativi non solo per le piattaforme lavorative ma anche per alcuni trattamenti di profilazione mediante Ai (l’AI act considera il lavoro come settore ad alto rischio ma non pone tutti gli obblighi di cui all’art. 1 bis per i deployer, cioè i datori di lavoro) .  Una questione per le integrazioni normative  nazionali  è se queste possano riguardare anche i lavoratori autonomi : quando gli atti dell’Unione parlano di lavoratori lo fanno in senso stretto o  si riferiscono ai cosidetti “ falsi autonomi” ; forse si potrebbe intendere in senso estensivo ed evolutivo  il termine “ lavoratori” utilizzato nell’art. 2 AI act.  Non solo il considerando n. 9 accenna alla salvaguardia delle tutele previste per le condizioni di lavoro mediante piattaforme che riguardano anche gli autonomi ma  l’UE sembra ( cfr. l’ispirazione dell’European  social pillar) volere un accesso universalistico alle tutele  di base e la Commissione ha nel 2022 ritenuto legittimi i contratti degli autonomi (almeno quelli che versano in condizioni di debolezza economica), superando l’orientamento della Corte di giustizia che considera gli autonomi come imprenditori ed assimila  i loro contratti collettivi ai “cartelli” proibiti dall’art. 101 TFUE. Ricordo che l’1 bis. già menzionato  contempla anche gli  autonomi coordinati e continuativi ed eterorganizzati.

         5. Quindi, tornando all’intervento nazionale, non solo questo è possibile secondo il principio del trattamento più favorevole  ma appare opportuno nel rispetto dei fine ultimo della regolazione UE che è quello della logica antropocentrica, che pretende che, anche nel campo  lavorativo,  le macchine intelligenti siano impiegate a fini di utilità collettiva. Il che, mi pare, dovrebbe svilupparsi in due direzioni :da un lato di “libertà negativa” o “libertà da”  (di conferma del capitolo sociale dell’Unione e dei limiti stabiliti dal GDPR in poi di rispetto della privacy e della dignità dei lavoratori, secondo una logica protettiva o rimediale) dall’altro di libertà positiva “liberta di” , emancipatrice dal lavoro ripetitivo e poco qualificato ed anche da modalità troppo gerarchiche ed asfissianti di attività  che certamente l’Ai oggi consente.

         6. Esaminando la proposta governativa ritengo di condividere i primi commenti della dottrina (Biasi) che evidenziano la scarsa rilevanza dell’apporto nazionale rispetto al, forse già troppo affollato ed a rischio di entropia, quadro sovranazionale. Cominciamo dal primo comma dell’art. 10: “l’intelligenza artificiale è impiegata per migliorare le condizioni di lavoro, tutelare l’integrità psico-fisica dei lavoratori, accrescere la qualità delle prestazioni lavorative e la produttività delle persone in conformità al diritto dell’Unione europea”. E’- come sembrerebbe- una disposizione di principio o  si voleva introdurre una norma self-executing giustiziabile?  La mancanza di sanzioni sembrerebbe escludere la seconda ipotesi. Si vogliono indicare causali tassative per l’uso dell’AI? Processi di mera automazione produttiva mediante Ai diventerebbero impossibili? Non sarebbe quest’ultima ipotesi contraria frontalmente all’impostazione stessa del Regolamento che  autorizza trattamenti di miglior favore per i lavoratori ma non l’impossibilità  di scelte tecnologiche del datore di lavoro labour saving che sarebbe non bilanciata con il diritto d’impresa e non proporzionale. Inoltre la genericità della formulazione creerebbe un caos interpretativo posto che è quasi impossibile individuare queste causali in modo univoco ( Dagnino); si bloccherebbe l’evoluzione tecnologica, per giunta “ in un paese solo”. Sarebbe quindi opportuno spostare l’affermazione nella parte delle premesse ma solo dopo aver chiarito che l‘uso dell’AI “con effetti sui rapporti di lavoro in corso” può essere finalizzata solo per etc. etc.

        7. Analogo discorso deve farsi sul terzo comma sul divieto di discriminazione (“l’intelligenza artificiale nell’organizzazione e nella gestione del rapporto di lavoro garantisce l’osservanza dei diritti inviolabili del lavoratore senza discriminazioni in funzione del sesso, dell’età, delle origini etniche, del credo religioso, dell’orientamento sessuale, delle opinioni politiche e delle condizioni personali, sociali ed economiche), in conformità con il diritto dell’Unione europea”.  A me sembra pletorico essendo la materia già coperta efficacemente  dal diritto europeo; l’art. 21 della Carta dei diritti è peraltro immediatamente efficace.  E’ vero che le condizioni personali, sociali ed economiche non rientrano tra i fattori di rischio menzionate all’art. 21 della Carta ma la stessa elencazione ha un mero  carattere esemplificativo e questi fattori ben possono essere ricompresi alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia che utilizza unitariamente l’art. 21 e l’art. 20 sulla parità di trattamento. Questo tipo di discriminazione è menzionata peraltro già nel Regolamento.  In ogni caso la norma, dopo l’elenco dei fattori di rischio, aggiunge “in conformità”.. cioè un rinvio al diritto UE:  una sorta di confessione di inutilità della prescrizione.

        8. Sulle discriminazioni vanno richiamate alcune osservazioni dottrinali  che nascono anche  dall’esame dell’applicazione dell’art. 1 bis nelle controversie italiane sui riders ( Ciucciovino, Finocchiaro, contributi di Magistrati del lavoro, sentenze di Torino e Palermo) . Per gli algoritmi capaci di deep learning nessuno sa davvero come questi operano in progress; i consulenti nominati dai giudici non sono in grado di verificare la fondatezza delle accuse di discriminazione. Si chiede in dottrina che il focus delle misure protettive  sia spostato dai doveri preventivi alle verifiche dei risultati, agli output decisionali delle piattaforme (anche se spostare i doveri informativi previsti dalla fonti europee è chiaramente allo stato impossibile); alcuni giudici hanno richiamato il principio della vicinanza alla prova per cui il datore di lavoro dovrebbe provare la non discriminazione perché è l’unico a possedere i dati pertinenti, se questi non consentono una verifica imputet sibi,  si tratta però di  una soluzione controversa per cui un chiarimento normativo sembrerebbe opportuno. Si potrebbe pensare a qualche semplificazione o inversione probatoria per i lavoratori in presenza di gravi indizi anche di ordine  statistico?  Sul punto il monitoraggio successivo  che l’Ai non prevede (ma che prevede la direttiva lavoro su piattaforma) potrebbe essere delegato dalla legge ai CCNL con meccanismi bilaterali di controllo con assistenza tecnica di organi super-partes

       9. Più interessante sembra Il secondo comma dell’art. 10 che conferma le disposizioni del decreto trasparenza sulle informazioni preventive. “L’utilizzo dell’intelligenza artificiale in ambito lavorativo deve essere sicuro, trasparente e non può svolgersi in contrasto con la dignità umana né violare la riservatezza dei dati personali. Il datore di lavoro o il committente è tenuto a informare il lavoratore dell’utilizzo dell’intelligenza artificiale nei casi e con le modalità di cui all’articolo 1-bis del decreto legislativo 26 maggio 1997, n. 152”(che certamente è una norma di miglior favore ex art. 2 Regolamento). Ora quest’ultima norma si applica per l’utilizzazione di  sistemi decisionali di monitoraggio “integralmente” automatizzati deputati a fornire indicazioni rilevanti ai fini dell’assunzione e del conferimento dell’incarico, della gestione o della cessazione del rapporto di lavoro, dell’assegnazione di compiti e mansioni nonché indicazioni rilevanti nella sorveglianza, la valutazione, le prestazioni e l’adempimento delle obbligazioni contrattuali dei lavoratori”  e può riguardare anche il lavoro autonomo  coordinato e continuativo ed eterorganizzato ; la sfera di applicazione del Ai act sembra ancora più ampio  “ sistemi di IA destinati ad essere utilizzati riguardanti le condizioni dei rapporti di lavoro, la promozione o cessazione dei rapporti contrattuali di lavoro, per assegnare compiti sulla base del comportamento individuale o dei tratti di caratteristiche personali o per monitorare e valutare le prestazioni e il comportamento delle persone nell’ambito del rapporto di lavoro”; mancano nel AI  Act i due termini “ integralmente” e “rilevanti”, ma l’Ai Act non prevede norme per il lavoratore autonomo ma obbliga anche il fornitore (che non è obbligato dall’art. 1 bis). Ancora gli obblighi informativi della direttiva piattaforme operano “ per tutti i  tipi di decisione sostenute o prese da sistemi decisionali automatizzati anche quando questi sistemi sostengono o prendono decisioni che non incidono in modo significativo sulle persone che svolgono un lavoro” qui non c’è “ integralmente” ed è sufficiente che le decisioni siano “sostenute” da sistemi automatizzati.  Se si vuole mantenere una norma unitaria sarebbe opportuno coordinare l’Ai act con l’art. 1 bis ed anche con la direttiva piattaforme. Siccome il secondo comma chiama in gioco anche il principio di  trasparenza questo potrebbe essere rafforzato ; nella direttiva sulle piattaforme come nel AI Act il lavoratore (nella direttiva  anche autonomo) può chiedere di conoscere le ragioni della decisione automatizzata e adottata sulla base dell’Ai e le sue ragioni , ma nell’AI Act non può chiedere la revisione umana. L’art. 1 bis non contempla rimedi di sorta. Forse si potrebbe inserire  in quest’ultima norma,  per le decisioni su base dell’uso dell’ Ai e per quelle automatizzate delle piattaforme, il diritto a conoscere le ragioni del provvedimento e di chiederne la revisione umana (che l’Ai act contempla solo imponendo ai fornitori di sistemi ad alto rischio di consentirla tecnicamente per i deployer) affidandolo a specifiche procedure di conciliazione sindacali previste dalla contrattazione collettiva, dimensione ignorata nel progetto governativo.

       10. La dottrina (Biasi, Ciucciovino)  ha anche sottolineato  diversi ambiti di applicazione degli obblighi informativi nel D. lgs. n. 152, nel Regolamento ed, ora, anche nella direttiva sul lavoro su piattaforma. Sarebbe opportuno  realizzare questo coordinamento  tra le tre fonti diverse tenuto conto che la cruciale direttiva sulle piattaforme (che ha una base giuridica sociale)  ha una disciplina piuttosto complessa salvaguardando il diritto alle informazioni anche per i collaboratori delle piattaforme (estensione solo parzialmente recepita dall’art. 1 bis che copre solo  i  collaboratori continuativi e eterorganizzati) . In chiave innovativa penso sarebbe opportuna, vista le difficoltà di riforma dei nostri sistemi di rappresentanza sindacale, creare figure di delegati sulla trasparenza algoritmica di azienda  diversi tra lavoratori autonomi e lavoratori dipendenti ed eletti dalla comunità  d’impresa recependo la direttiva piattaforme che contempla una duplicità di canali tra dipendenti e lavoratori autonomi.

Il  legislatore sovranazionale ha guardato con sfavore le piattaforme di lavoro  ma appare paradossale e forse discriminatorio che obblighi molto più incisivi sia informativi sia rimediali   siano offerti ai collaboratori  delle piattaforme rispetto a dipendenti pleno iure di imprese che utilizzano sistemi di Ai.

        11. Segnalo che parte della  dottrina osserva che  la norma sul “segreto industriale” opponibile (che per  la dottrina rende alla fine poco efficace l’art. 1 bis) agli obblighi informativi di cui all’art. 1 bis non risulterebbe coerente né con l’Ai Act, né con la direttiva piattaforme che non consentono un  limite di ordine generale non sottoposto ad un  controllo di proporzionalità: un caso classico di bilanciamento tra diritti in conflitto  ex art. 52 della Carta dei diritti, che chiama in gioco il principio di proporzionalità . 

       12. Tornando all’art. 2.11 dell’Ai Act per come è formulato la sua clausola permissiva in favore della contrattazione collettiva ” il presente regolamento non osta a che gli Stati membri incoraggino o consentano l'applicazione di contratti collettivi più favorevoli ai lavoratori“ sembra voler richiedere una esplicita  disposizione legislativa interna (incoraggino o consentano) essendo questo ruolo integrativo di un regolamento che sarà fra due anni di applicazione immediata. Su questo compito (sul quale insiste moltissimo la nostra dottrina) non si dice nulla nel ddl. Non si offre una norma di selezione tra sindacati ( né l’individuazione di un livello pertinente), né si capisce se potrebbero essere legittimati anche i contratti degli autonomi (nell’Ai sembrerebbero contratti dei lavoratori pleno iure, nella direttiva piattaforme entrambi) né viene prevista un’attività meramente promozionale a livello istituzionale interna ( l’Osservatorio istituto all’art. 11 non si occupa del problema della contrattazione). Sarebbe opportuno attribuire questo compito integrativo del Regolamento  alle sole OOSS più rappresentative sul piano nazionale e conferire al Cnel un’attività di discussione e confronto tra parti sociali sul tema (rientrerebbe perfettamente tra i suoi ambiti istituzionali). La figura di rappresentanti dei lavoratori e dei collaboratori aziendali per la sicurezza digitale ed algoritmica aiuterebbe il quadro d’insieme (Ciucciovino, Aimo), potendo poi  questi far parte di qualche struttura comune sulla base di una rappresentatività dimostrata.  La legge potrebbe promuovere la contrattazione collettiva per i formatori digitali, gli esperti sindacali, ed i responsabili delle strutture per il controllo di una corretta implementazione del diritto UE? La direttiva piattaforme prevede un diritto anche delle OOSS al riesame della decisione algoritmica.  Si è anche proposta anche  una sorta di azione collettiva ( e di azione individuale esercitabile anche tramite OOSS) contro l’abuso di sistemi decisionali automatici o di indebita utilizzazione dell’AI . Ancora si discute se all’informazione vada collegato il correlato diritto alla consultazione (anche periodica)  per i sindacati affiancati da esperti . Insomma  ci sarebbe moltissimo da aggiungere sul tema del ruolo del dialogo sociale che il ddl ignora in toto.    

       13. Infine: andrebbe, credo, riconosciuta nell’Autorità Garante l’Autorità di tutela dei diritti fondamentali ai sensi dell’art. 77 AI Act, in modo tale che possa vigilare sui sistemi di IA ad alto rischio usati in ambito lavoristico. Tale designazione conferirebbe al Garante poteri di richiesta e accesso documentale, nonché la possibilità  di richiedere d’ufficio  lo svolgimento di una prova del sistema di Ai che si ritiene possa compromettere i diritti fondamentali dei lavoratori. Sino ad oggi il Garante è stato molto attivo nella protezione della privacy dei lavoratori e sarebbe un peccato perdere questa expertise.

    14 . In conclusione  Solo qualche spunto ipersintetico sulle misure esterne alle condizioni di lavoro sull’ autodeterminazione nel lavoro e la protezione dignità delle persone lavoratrici.

     a)Tutela della disoccupazione da nuove  tecnologie. Interventi sul Fondo nuove competenze semplificandolo e correlandolo più strettamente alla disoccupazione da impatto AI.

     b) Riordino del  sistema complessivo delle competenze produttive e conoscitive (da collegare all’ obiettivo dell’ 80% di competenze digitali di base) come suggerito in una delle dieci proposte organiche di Draghi;  un riordino professionale dei formatori? E delle professionalità tecniche di vigilanza sul digitale e sull’AI’?

     c) Rendere la protezione dei bisogni vitali ( a matrice sovranazionale di cui all’art. 34.3 della Carta dei diritti) più rispondente alla transizione digitale ed algoritmica senza dispersione di energie in occupazioni già sostituibili dall’Ai. Reddito di inclusione e supporto inadeguati, troppo condizionati ad un lavoro  troppo breve e non di qualità. ( di questo forse si potrebbe occupare anche l’Osservatorio).  Servirebbe un webfare (Ferraris) capace di restituire alle vittime del progresso tecnologico almeno una  parte della ricchezza prodotta dal  patrimonio in dati (costruito dalla cooperazione sociale) ma utilizzato privatamente  a fini produttivi.  

    d) L’Ai favorisce forme di attività produttiva lontane dagli schemi della subordinazione: il lavoro autonomo di terza generazione è ancora sotto-tutelato.  Occorrerebbe recepire la direttiva piattaforme sul punto della presunzione di subordinazione attraverso l’art. 2 del decreto 81 sull’eterorganizzazione: non occorre costringere le persone a diventare lavoratori  dipendenti quando non hanno orario, luogo di lavoro e possono rifiutare la prestazione. Sono sufficienti le tutele essenziali lavoristiche e welfaristiche  compatibili con il tipo di attività prestata  che sono garantite dall’art. 2, nella direzione dell’elaborazione di uno statuto delle garanzie di base per ogni  personal worker  (cioè di un soggetto che eroga un’attività produttiva per terzi prevalentemente di tipo personale)- oltre la vetusta distinzione tra subordinati ed autonomi- di cui oggi i diritti di informazione e di contrattazione algoritmica costituiscono la prima ossatura.   

        

 

 

 

 

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