FRA ORDINE E CAOS:
IL PROBLEMA DEL DIRITTO IN ITALIA, IN EUROPA, NEL MONDO
(UN PERCORSO ESEMPLIFICATIVO DI VITA E DI MORTE)
- Inferno, Paradiso, Purgatorio
Ius = Ious = Iovis (Giove): le radici della parola ius ci rinviano alla sacralità cui l’uomo ha da tempo amato rifarsi per giustificare l’adozione di norme regolatrici di rapporti sociali, da sottrarre all’idea dell’imposizione umana e per presentarne invece origine ultraterrena.
Più laicamente, ma nondimeno: diritto = directum = guidare dritto, dirigere.
E infatti, ad esempio: «Solo il diritto potrà limitare l’enorme potere di Musk» (v. Informazione.it, 14/11/2024).
Ma si può approfondire il ragionamento e produrre qualche elemento di conoscenza?
I «valori di una società sufficientemente giusta si rifletteranno in un diritto sufficientemente giusto. Tanto migliore sarà la società tanto minor diritto vi sarà. In Paradiso non vi sarà diritto e il leone starà accanto all’agnello. I valori di una società ingiusta si rifletteranno in un diritto ingiusto. Tanto peggiore sarà la società tanto più diritto vi sarà. Nell’Inferno non vi sarà altro che diritto e le garanzie processuali verranno osservate meticolosamente». È mia la traduzione da da J. HOLMES, The Common Law, Boston, 1881, testo poi ripreso e contenuto in The proving Years, 1963, p. 38.
Intanto siamo al Purgatorio qui in Italia, dove il diritto è scontro fra poteri dello Stato (ad esempio: legislativo contro giudiziario in tema di migranti e Paesi - di loro provenienza - più o meno sicuri); in Europa, soprattutto dove la Russia fa strame dell’art. 2.3 dello Statuto delle Nazioni Unite (gli Stati «membri devono risolvere le loro controversie internazionali con mezzi pacifici, in maniera che la pace e la sicurezza internazionale, e la giustizia, non siano messe in pericolo»); nel Mondo, dove le pur non eccellenti regole della cooperazione internazionale lasciano sempre maggiore spazio al caotico giustapporsi di interessi (v. l’editoriale di P. V. Dastoli nella Newsletter del 30/IX/2024, L’unione europea e il futuro della governance mondiale).
«Prendimi, caos, nelle tue braccia» potremmo rassegnarsi a esclamare col poeta Adonis, che apre una riflessione sull'avvenire dell'uomo e sul mito del diluvio.
O magari potremmo constatare che quando il diritto si fa gioco di prestigio (così G. BALLADORE PALLIERI, Scienza giuridica, diritto positivo e diritto internazionale, in Diritto internazionale, 1959, pp. 4 e 7) ne è preconizzabile l’exitus (infausto), con conseguente discesa agli inferi (v. I. CACCIAVILLANI, Il diritto morente, Milano, 2004).
Così l’inverno del nostro scontento – una lunga stagione di malcontento – non manifesta certo la capacità di volgersi in annuncio di sfolgorante estate (come invece accade nell’incipit del Riccardo III shakespeariano), sotto questo cielo che a quanto pare non è più lo stesso, stellato, che nella sua Critica della ragion pratica occupava positivamente la riflessione del filosofo di Königsberg, Immanuel Kant, accompagnandosi al suo apprezzamento per la legge morale dentro di sé.
E al proposito giova ricordare che la città di Königsberg, fra Polonia e Lituania, oggi si chiama Kalinigrad ed è possedimento della Federazione russa, enclave in pieno territorio dell’Unione europea. Appunto: «Prendimi, caos, nelle tue braccia», cosicché con rassegnazione possiamo guardare anche noi al cielo come il conte Andrej Bolkonskij in Guerra e pace di Tolstoj: «Che silenzio, che calma, che solennità! Com'è tutto diverso da quando correvo - pensò il principe Andrej -; com'è diverso da quando noi correvamo, gridavamo e ci battevamo;(…) Come sono diverse queste nuvole che corrono nel cielo alto e sconfinato. Come mai prima non lo vedevo questo cielo sublime? E come sono felice di averlo finalmente conosciuto. Sì! Tutto è vano, tutto è inganno al di fuori di questo cielo infinito».
- Evoluzione della Costituzione
Del resto l’ordinamento giuridico positivo (l’ordinamento giuridico concretamente posto e applicato) è in perenne adeguamento all’evoluzione della società. Fra sintomi di malattia e anelito di vita la Costituzione dello Stato ha una connotazione «materiale», di sua applicazione appunto concreta e non teorica («Costituzione materiale» è ben nota espressione coniata da Costantino Mortati). Essa può volgersi in cerca di riforma (quella italiana ancor oggi la si vuol mettere in cerca di riforma: si pensi al cosiddetto “premierato” o alla separazione delle carriere giudiziarie fra magistratura requirente e giudicante, che per esser introdotti hanno bisogno di una legge di modifica costituzionale).
Invece per taluno è piuttosto la fissità della morte lo status ideale di una Costituzione. Si può leggere al riguardo G. ROSSI, La Corte suprema USA e la buona Costituzione, in Il Sole 24 Ore del 13 marzo 2016, sull’importanza di tale Corte nell’ermeneutica della Carta fondamentale statunitense a fronte delle teorie concernenti, da una parte, l’individuazione dell’unico significato stabile del testo – quello letterale assegnatogli dai “Padri fondatori” – o, d’altra parte, la ricerca della Costituzione viva, che l’interprete adegua secondo l’evoluzione storico-sociale. A parere del giudice A. Scalia «la sola buona Costituzione è una Costituzione morta» (Death Constitution).
Ma i principi fondamentali di ciascun ordinamento interno, nazionale, dai quali traggono ispirazione i parametri costituzionali, trovano articolazione nelle puntuali «regole fondamentali poste dalla Costituzione», come pure «dalle leggi poste a base degli istituti giuridici in cui si articola l’ordinamento positivo nel suo perenne adeguarsi all’evoluzione della società» (v. Corte cost., sentenza 187/1982, par. 5 della parte in diritto). È stato ad esempio questo il caso – nel nostro Paese – della legge 898 del 1970 sul divorzio. Si vedano anche, in particolare, le pronunce di Corte cost. 71 e 477/1987 nonché 254/2006 sull’illegittimità costituzionale parziale rispettivamente degli artt. 18, 20 e 19 delle disposizioni preliminari al Codice civile, quanto all’impiego del criterio di soluzione dei conflitti di legge in materia di rapporti personali tra coniugi, di rapporti fra genitori e figli, di rapporti patrimoniali tra coniugi, riconducibile, ancora rispettivamente, alla legge del marito, a quella del padre e nuovamente a quella del marito. In questi casi tuttavia si può dire che si trattava, più che di evoluzione della Costituzione vivente, di adeguamento dell’ordinamento a quella che potrebbe definirsi davvero Costituzione morta in quanto espressione di non ancora attuati principi di eguaglianza ovvero di non discriminazione fra coniugi (artt. 3 e 29 Cost.). Quanto alla better law capace di applicarsi ai rapporti fra genitori e figli può viceversa parlarsi di evoluzione dell’ordinamento in termini di diritto vivente (v. poi in questo scritto) allorché si abbia presente che il criterio adeguato alla risoluzione dei conflitti in materia è oramai quello del «prevalente interesse del minore» (v. E. LAMARQUE, Prima i bambini. Il principio dei best interests of the child nella prospettiva costituzionale, Milano, 2016).
Quegli stessi principi costituiscono il perno sul quale ruota la cooperazione internazionale dell’Italia, obbligata dall’art. 11 Cost. a promuovere e favorire le organizzazioni internazionali rivolte a fini di pace e di giustizia fra le Nazioni, con le possibili «limitazioni di sovranità necessarie» a tale obiettivo, limitazioni ammesse («a condizione di parità con gli altri Stati») dalla sovranità stessa, benché ex art. 1 Cost. si consideri che la sovranità «appartiene al popolo», il quale la «esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione» (v. N. RONZITTI, a cura di, L’articolo 11 della Costituzione. Baluardo della vocazione internazionale dell’Italia, Napoli, 2013). Alla revisione di quest’art. 11, nonché dell’art. 117, co. 1 della Costituzione (di cui subito oltre si dirà), si è dedicata pochi giorni or sono la Lega, tentando in questa XIX legislatura repubblicana un emendamento proprio al disegno di legge costituzionale sulla separazione delle carriere sopra accennato con l’intento di sancire la prevalenza della Costituzione italiana rispetto al diritto dell'Unione europea. L’emendamento è stato ritenuto inammissibile per materia (v. Camera dei Deputati, Bollettino delle giunte e delle commissioni parlamentari, Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e Interni, Comunicato n. 398, 7 novembre 2024).
E quando si parla di «Costituzione europea», con riferimento all’esperienza delle tre Comunità europee (CECA, CEE e CEEA o Euratom) istituite appena dopo la prima metà del secolo scorso o dell’Unione europea/UE fondata a fine sempre del secolo scorso, non si può propriamente far altro che riferirsi a diritti ed obblighi di natura pattizia internazionale arrivati oggi a concernere 27 Stati membri nell’Unione. Non siamo certo di fronte a una Costituzione statuale; tuttavia la Corte di giustizia stessa dell’UE ha a suo tempo sottolineato che «il Trattato CEE, benché sia stato concluso in forma d’accordo internazionale, costituisce la carta costituzionale di una comunità di diritto» (così parere 1/91 del 14 dicembre 1991; v. sulla Corte del Lussemburgo, nella Newsletter del 7/X/2024, G. Bronzini, La Corte di giustizia riafferma il principio del primato del diritto dell’Unione e l’obbligo del giudice comune di garantirlo anche disattendendo l’interpretazione di una corte costituzionale nazionale). Conseguentemente si può estendere tale apprezzamento agli altri trattati che nel processo di integrazione comunitaria si sono susseguiti fino al Trattato di Lisbona, regolatore dell’attuale UE e vigente dal 1° dicembre 2009. Ma è noto, e qui non mi dilungo, che l’Organizzazione istituzionale “comunitaria”, l’Unione europea, è ente sovrannazionale, non più riconducibile a un’organizzazione intergovernativa tradizionale ma non ancora assimilabile a un soggetto internazionale unitario per quanto, eventualmente e auspicabilmente, di natura federale.
3. Principi supremi interni e cooperazione internazionale
Resta fermo che «La Costituzione italiana contiene alcuni principi supremi che non possono essere sovvertiti o modificati nel loro contenuto essenziale neppure da leggi di revisione costituzionale o altre leggi costituzionali. Tali sono tanto i principi che la stessa Costituzione espressamente prevede come limiti assoluti al potere di revisione costituzionale, quale la forma repubblicana (art. 139 Cost.), quanto i principi che, pur non essendo esplicitamente menzionati fra quelli assoggettabili al procedimento di revisione costituzionale, appartengono all’essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana» (Corte cost. 1146/1988, par. 2.1 della parte in diritto).
Si evidenzia conseguentemente come «i principi supremi dell’ordinamento costituzionale abbiano una valenza superiore rispetto alle altre norme o leggi di rango costituzionale». Il che è stato sottolineato dalla stessa Corte costituzionale, nella sentenza qui citata, «sia quando ha ritenuto che anche le disposizioni del Concordato, le quali godono della particolare “copertura costituzionale” fornita dall’art. 7, comma secondo, Cost., non si sottraggono all’accertamento della loro conformità ai “principi supremi dell’ordinamento costituzionale” (v. sentt. nn. 30 del 1971, 12 del 1972, 175 del 1973, 1 del 1977, 18 del 1982), sia quando ha affermato che la legge di esecuzione del Trattato della CEE [ora UE] può essere assoggettata al sindacato di questa Corte “in riferimento ai principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale e ai diritti inalienabili della persona umana” (v. sentt. nn. 183 del 1973, 170 del 1984)». Ed oggi possiamo aggiungere, ad illustrare ulteriormente quanto appena affermato in tema di “controlimiti” ai limiti dettati dalla prevalenza di norme internazionali sul diritto interno (v. artt. 11 e 117, co. 1, Cost.), le sentenze di Corte costituzionale 115/2018, 132/1985, 223/1996, 240/2014, quest’ultima pure con riferimento a norme di diritto internazionale generale consuetudinario cui si chiude l’ingresso nel nostro ordinamento giuridico altrimenti dovuto in forza dell’art. 10, co. 1, Cost.
I Trattati che regolano l’Unione europea (TUE e TFUE, col Trattato CEEA) oggi si accompagnano alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, «che ha lo stesso valore giuridico dei trattati» anzidetti (v. art. 6.1 Trattato sull’UE). La Carta precisa che, ove essa «contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali [CEDU], il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta Convenzione» (v. art. 52.3 della Carta). Ugualmente, nessuna disposizione della «Carta deve essere interpretata come limitativa o lesiva dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali riconosciuti, nel rispettivo ambito di applicazione, dal diritto dell’Unione, dal diritto internazionale, dalle convenzioni internazionali delle quali l’Unione o tutti gli Stati membri sono parti, in particolare dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, e dalle costituzioni degli Stati membri» (v. art. 53 della Carta).
- Il «diritto vivente»
Proprio riguardo alla Convenzione di salvaguardia, a prescindere dalla prescritta, futura adesione ad essa da parte dell’Unione europea (art. 6.2), è possibile manifestare alcune considerazioni in termini di «strumento vivente» in relazione a un tema di peculiare delicatezza: la vita privata, e in particolare familiare, compresa quella matrimoniale. Tralascio quindi il problema della rilevanza interna, nel nostro ordinamento, della Convenzione di salvaguardia assestatosi – certo non definitivamente – con le pronunce della Corte costituzionale prima nn. 348 e 349 del 2007 (cosiddette “sentenze gemelle”) e poi n. 49 del 2015, ricomprendendo pure la sottoscrizione (l’11 dicembre 2015) di un Protocollo d’intesa sul reciproco dialogo fra la Corte Suprema di Cassazione e la Corte europea dei diritti dell’uomo (v. il testo nel sito della Corte di cassazione: www. cortedicassazione.it/corte-dicassazione/it/documenti_della_ corte.page). Sul tema ricordo ad es. G. CALAFIORE, L’attuazione dello schema delle sentenze gemelle si aggrava con la sentenza n. 49 della Corte costituzionale del 26 marzo 2015, in Ordine internazionale e diritti umani, Osservatorio l’Italia e la CEDU, n. 2/2015, par. 6. Si aggiunga, a quelle citate., la sentenza di Corte costituzionale 264/2012, che ad avviso di B. CONFORTI, La Corte costituzionale applica la teoria dei controlimiti, in Rivista di diritto internazionale, 2013, 527 s., è un’applicazione della teoria (appunto cosiddetta dei «controlimiti») per cui in un dato caso concreto può determinarsi un bilanciamento fra Convenzione di salvaguardia (come interpretata dalla Corte europea di Strasburgo) e contrastante disposizione interna da risolversi a vantaggio di quest’ultima, e non secondo la prescrizione di cui all’art. 117, co. 1, Cost., per il quale «la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario [ora da intendersi: dell’Unione europea] e dagli obblighi internazionali», fra i quali ultimi è ricompresa la Convenzione in questione. V. in argomento C. PADULA, La Corte costituzionale ed i “controlimiti” alle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo: riflessioni sul bilanciamento dell’art. 117, co. 1, Cost., in federalismi.it (10 dicembre 2014). Sugli effetti in Italia della Convenzione di salvaguardia e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea non si può infine ignorare la sentenza di Corte costituzionale n. 80 del 7 marzo 2011.
Ma rammento piuttosto gli artt. 8 (vita privata e familiare) e 12 (diritto al matrimonio) della Convenzione di salvaguardia, che hanno fondato evidenti sviluppi di quest’ultima in termini di diritto vivente. Infatti, anche alla luce di mutamenti negli ordinamenti di vari Stati contraenti e in considerazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (che all’art. 9 esplicita «Il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia (…) secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio»), la Corte di Strasburgo dichiara che «ne considère plus que le droit de se marier consacré par l’article 12 (…) doive en toute circonstances se limiter au mariage entre deux personnes de sexe opposé» (sentenza 24 giugno 2010, n. 30141/04, Shalk et Kopf c. Autriche, par. 61). Il che invece risultava da una lettura dell’articolo in questione – secondo cui «l’uomo e la donna hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia» – alla luce delle concezioni dominanti delle società nazionali europee tanto negli anni di entrata in vigore della Convenzione quanto di un certo periodo successivo. E comunque la Corte «ne dois pas se hater de substituer sa propre appreciation à celle des autorités nationales, qui sont les mieux placées pour apprécier les besoins de la société et y repondre» (sent. ult. cit., par. 62). Tuttavia è l’articolo 8 della Convenzione ad assumere un rilievo tutto particolare, sempre in riferimento alla considerazione di questa come «instrument vivant à interpréter à la lumière des conditions d’aujord’hui» (sent. ult. cit., par. 57), quando la Corte europea, in un caso proprio concernente l’Italia (sent. 21 luglio 2015, 18766/11 e 36030711, Oliari e altri c. Italia), ne afferma la capacità anche di «porre in capo allo Stato alcuni obblighi positivi al fine di garantire l’effettivo rispetto dei diritti tutelati» da esso, obblighi che «possono comportare l’adozione di misure destinate a garantire il rispetto della vita privata o familiare anche nella sfera dei rapporti interpersonali» (sent. ult. cit., par. 159). Così la sentenza può concludere nel senso che il Governo italiano «non ha ottemperato all’obbligo positivo di garantire che i ricorrenti disponessero di uno specifico quadro giuridico che prevedesse il riconoscimento e la tutela delle loro unioni omosessuali» (sent. ult. cit., par. 185), anche al di fuori di un rapporto matrimoniale. Il che già la nostra Corte costituzionale aveva sollecitato nel 2010 (sentenza n. 138 del 14 aprile 2010), trovando solo nel 2016 soddisfazione tramite l’adozione, su proposta del Governo, della legge 76, concernente Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze. Si può citare la decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo (sentenza 9 giugno 2016, 40183/07, Chapin et Charpentier c. France) in cui, ricordando la propria precedente decisione del 2010 (sent. Schalk e Kopf già cit.) ove constatava che «l’institution du mariage avait été profondément bouleversée par l’evolution de la société depuis l’adoption de la Convention», conferma l’assenza di un «consensus européen sur la question du mariage homosexuel» (sent. ult. cit., par. 36). Non se ne può quindi a tutt’oggi imporre l’istituzione ex art. 12 della Convenzione agli Stati contraenti, il cui margine di discrezionalità in materia deve sempre essere rispettato (sent. ult. cit., par. 37). E ciò a prescindere da altri diritti (come quelli di cui all’art. 8) che viceversa la Convenzione possa imporre agli Stati di riconoscere, specie in casi come quello del diritto italiano in cui quest’ultimo «ne prévoyait aucun mode de reconnaissance juridique des couples de même sexe» (sent. ult. cit., par. 50) prima della novella del 2016. Si tratta di conclusioni che restano ferme «malgré l’évolution graduelle des États en la matière, … [plusieurs] États membres du Conseil de l’Europe autorisant désormais le mariage entre personnes de même sexe» (sent. ult. cit., par. 38).
Rispetto a proprie precedenti decisioni (Oliari, già cit., e Hämäläinen c. Finlande, 37359/09, sent. 16 luglio 2014) la Corte «ne voit aucune raison d’arriver à une conclusion différente dans la présente affaire, vu le bref laps de temps éculé depuis les arrêts qu’elle a rendu dans les affaires» (sent. Chapin ecc., già cit., par. 39) accennati.
Dunque il trascorrer del tempo potrebbe determinare, nel pensiero della Corte europea, un’evoluzione: il diritto vivente … è in agguato! Non dimenticando l’estensione anche alla Carta dei diritti fondamentali dell’UE della nozione di diritto vivente (v. L. BOJARSCHI – J.A. HOFBAUER – N. MILESZYK, La Carta dei diritti fondamentali: uno strumento vivente. Linee guida per la società civile, Roma – Varsavia – Vienna, 2014).
E magari l’agguato si sostanzia nella sentenza di Corte costituzionale (131/2022) che fra l’altro, anche richiamando l’art. 117, co. 1, Cost. con riferimento agli artt. 8 e 14 (divieto di discriminazioni) CEDU, «dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 262, primo comma, del codice civile, nella parte in cui prevede, con riguardo all’ipotesi del riconoscimento effettuato contemporaneamente da entrambi i genitori, che il figlio assume il cognome del padre, anziché prevedere che il figlio assume i cognomi dei genitori, nell’ordine dai medesimi concordato, fatto salvo l’accordo, al momento del riconoscimento, per attribuire il cognome di uno di loro soltanto». Ciò sulla scorta anche di precedente giurisprudenza della Corte di Strasburgo (Cusan e Fazzo c. Italia, 7 gennaio 2014, 77/07) dove in ordine al diritto italiano appunto si ravvisava «violazione dell’articolo 14 in combinato disposto con l’articolo 8 della Convenzione».
Dino G. Rinoldi