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GENOVA, 23 MAGGIO 2012

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Credo che il caso abbia voluto che questa nostra conversazione avvenisse nella data in cui l'Italia ricorda l'orrenda strage di Capaci nella quale furono massacrati il giudice Falcone, la moglie e tre uomini della sua scorta, l'Italia colpita al cuore cinque giorni fa dall'atto criminale di Brindisi e ancora due giorni fa dal terremoto che ha sconvolto migliaia di persone al confine fra le province di Modena e Ferrara.


Metterò in luce più avanti l'inadeguatezza del sistema europeo nella lotta alla criminalità organizzata sia di stampo mafioso che al servizio della strategia del terrore così come l'insufficienza delle politiche europee per garantire un'effettiva solidarietà di fronte alle catastrofi provocate dalla natura o dagli uomini.

Ci uniamo tutti allo sgomento ed esprimiamo la nostra solidarietà di cittadini attivi, ciascuno di noi al proprio livello di responsabilità per costruire una società in cui la solidarietà non sia utopia ma espressione delle politiche pubbliche e dei comportamenti privati.

Venti sei anni fa scompariva a Roma Altiero Spinelli, un uomo politico europeo che ha rappresentato anche fisicamente e per tutta la sua vita il sogno di trasformare l'utopia di un'Europa libera ed unità in realtà.

Solo post-mortem, Spinelli è stato accettato nel Pantheon dei "padri dell'Europa" accanto a Jean Monnet e Robert Schuman che furono - l'uno ispiratore, l'altro esecutore - alle origini della Comunità europea ma anche a tre leader nazionali della "piccola Europa": Adenauer, De Gasperi e Spaak, in un'astratta coalizione che unisce ai cattolici Schuman, De Gasperi e Adenauer il socialista Spaak, il laico Monnet e l'ex-comunista Spinelli.

Fra i sei "Padri", solo Monnet e Spinelli hanno arricchito - quando le armate naziste di Hitler occupavano quasi tutto il continente - le riflessioni sull'ordine europeo post-bellico con l'utopia di una nuova forma di condivisione delle sovranità nazionali molto vicina a quella realizzata poco più di centocinquanta anni prima dalle ex-colonie britanniche nell'America del Nord.

Spinelli nel quadro dell'organicità culturale e politica del Manifesto di Ventotene e Monnet nel contesto di riflessioni dedicate principalmente al futuro della Francia in Europa erano arrivati alla conclusione - già nel 1941 Spinelli e nel 1943 Monnet - che la democrazia avrebbe prevalso sui totalitarismi ma che la solidità della pace sul continente sarebbe stata indissolubilmente legata alla costruzione di un'Europa federata.

Spinelli era giunto a Ventotene dopo aver trascorso dieci anni in varie carceri avendo subito nel 1927 una pesante condanna dal Tribunale Speciale per le sue attività di giovane dirigente comunista ed un breve periodo di confino a Ponza dove si era compiuta la rottura con il PCI a causa della sua opposizione ai processi illiberali di Mosca.

Le motivazioni dell'espulsione erano state elaborate da Giorgio Amendola che aveva giudicato "pericolosissima" la posizione di Spinelli che così ricorda quel momento: "il giorno stesso in cui l'espulsione fu decisa e comunicata a tutti attraverso la rete capillare dell'organizzazione, accadde una cosa stupefacente. Di colpo, quasi tutti non solo mi tolsero il saluto, ma riuscivano anche a comportarsi come se nemmeno mi vedessero, come se al mio posto ci fosse solo l'aria".

E' a Ventotene che Spinelli incontra tre personaggi decisivi per la sua "vera vita": Eugenio Colorni ed Ernesto Rossi, ai quali sarà legato da profonda amicizia, ed Ursula Hirschmann Colorni che, alla morte di Eugenio per mano dei fascisti, diventerà sua moglie.

"Quegli anni in quell'isola – ha scritto più tardi Spinelli – sono ancora oggi presenti in me con la pienezza che hanno solo i momenti ed i luoghi nei quali si compie quelle misteriosa cosa che i cristiani chiamano l'elezione..la mia debolezza si convertì in forza; sentii che una nuova consonanza straordinaria si andava formando fra quel che accadeva nel mondo e quel che accadeva in me….che in quel luogo nacqui una seconda volta, che il mio destino fu allora segnato…e che la mia vera vita, quella che sto ora portando a termine, cominciò".

A Rossi, Spinelli propose nell'inverno fra il 1940 ed il 1941 di scrivere insieme un "manifesto per un'Europa libera ed unita" e di immetterlo nei canali della clandestinità antifascista sul continente. "Sei  mesi dopo – ricorda Spinelli – mentre gli eserciti hitleriani si riversavano sulle terre russe passando ancora di vittoria in vittoria il Manifesto era pronto". Praticamente nessun confinato politico – né i comunisti, né i socialisti, né gli stessi giellisti – accettarono di aderire al Manifesto che trovò invece importanti adesioni in continente, prima in Italia ma poi anche in Svizzera ed in Francia, soprattutto per l'azione di Ursula Hirschmann (che lo aveva portato sulla terraferma nascosto dentro delle scatole di fiammiferi) e di Ada Rossi fino a che anche Ada non venne arrestata e mandata al confino a Melfi dove, alla fine del 1941 saranno trasferiti anche Eugenio Colorni e sua moglie Ursula.

Crollato il nazismo ed il fascismo, l'organizzazione dell'ordine europeo è tornata invece rapidamente nelle mani degli Stati nazionali all'interno dei quali i partiti di ispirazione cristiana avevano già rinunciato all'universalismo, quelli di ispirazione liberale al cosmopolitismo e quelli di ispirazione socialcomunista all'internazionalismo nell'illusione che problemi di dimensione continentale o mondiale potessero essere risolti con gli strumenti delle vecchie democrazie statuali.

La tragica illusione dei partiti nazionali, che ha consegnato per un lungo periodo di tempo il continente nelle mani dell'egemonia americana e dell'imperialismo sovietico, ha avuto rapidamente ragione anche dell'illusione fondamentale del Manifesto di Ventotene secondo cui dalle macerie politiche ed istituzionali della guerra sarebbe nata l'Europa federata.

Quando al Congresso dell'Aia del maggio 1948 si incontrarono le diverse anime dell'europeismo, l'utopia federalista spinelliana era già uscita sconfitta dalla ricostruzione dei vecchi Stati nazionali con la sola eccezione della Germania occidentale il cui modello costituzionale di tipo federale fu di fatto dettato dalle potenze vincitrici.

Rimase in piedi la sola illusione di Monnet secondo il quale "alla lunga la burocrazia sarebbe stata più forte della politica e dall'amministrazione di determinati interessi concreti sarebbe emersa un giorno, in qualche modo, la sovrastruttura politica europea".

Di fatto però, Monnet aveva già rinunziato alla prospettiva dell'Europa federata immaginata nel 1943 e richiamata nella dichiarazione di Schuman del 9 maggio 1950, scegliendo la via sui generis del metodo comunitario, che Jacques Delors ha poi felicemente sintetizzato nell'immagine dell'ingranaggio.

Suo malgrado - perché Monnet aveva creduto allo spill-over dell'energia nucleare dal carbone e dall'acciaio e non aveva compreso l'influenza straordinaria del mercato comune europeo - il metodo dell'ingranaggio ha funzionato pur tra mille difficoltà con efficacia per quasi trenta anni, fino agli inizi degli anni '80, quando la dimensione dei problemi europei ha reso pressoché inutilizzabile l'ingranaggio originario.

Spinelli, invece, non ha mai rinunziato all'obiettivo dell'Europa libera ed unita nonostante la sconfitta subita prima con la ricostruzione delle vecchie democrazie statuali e poi al Congresso dell'Aia.

Ma Spinelli non era un ideologo del federalismo ed ha da allora lavorato con tenacia, spesso da solo, per introdurre nel nuovo ordine concepito dai governi nazionali elementi del "suo" sistema federale.

L'utopista concreto di Ventotene è entrato nelle istituzioni europee prima nella Commissione europea grazie alla coalizione personale dei politici italiani che ne erano stati compagni nel Partito d'Azione e poi alla Camera dei Deputati ed al Parlamento europeo come indipendente del Partito Comunista Italiano.

Uomo politico tenace, visionario nel senso francese di quest'espressione e non nel senso dispregiativo che evoca questa parola in italiano e dotato di una straordinaria capacità di motivare coloro che lavoravano al suo fianco, Spinelli commissario è stato il più efficace interprete di quell'Europa dei risultati che stenta ad affermarsi oggi di fronte all'impotenza degli Stati nazionali. Coniugando la visione di Willy Brandt di una politica della società europea al di là del mercato comune e la sua convinzione di una Commissione con funzioni e capacità di governo, Spinelli commissario ha avviato le prime azioni comuni nei settori dell'ambiente, della ricerca, dell'industria e della cultura dando concretezza all'avventura europea [è il titolo del libro scritto a più mani per spiegare le ragioni ed il contenuto di queste azioni].

Le ragioni degli interessi concreti che giustificavano le azioni in materia di ambiente, industria, ricerca e cultura non dovevano far dimenticare - secondo Spinelli - l'etica della libertà e della democrazia come valori fondanti della costruzione europea.

Valga per tutti un episodio poco noto ma significativo di Spinelli commissario che ci ricorda i nostri doveri di solidarietà verso la Grecia.

La Grecia aveva sottoscritto agli inizi degli anni '60 un accordo di associazione con la Comunità [simile a quello sottoscritto con la Turchia] che preludeva ad una futura domanda di adesione. Il colpo di stato fascista organizzato dai colonnelli aveva aperto in Commissione e fra i governi europei la questione di un eventuale congelamento dell'accordo fino a quando in Grecia non fosse stato ripristinato lo stato di diritto. Il dossier era stato attribuito per competenza al liberale tedesco Ralf Dahrendorf che aveva sostenuto con sottili argomentazioni giuridiche la necessità di rispettare il principio pacta sunt servanda mantenendo dunque inalterati gli impegni di associazione con i colonnelli fascisti. Aiutato dal giurista antifascista greco Siotis esiliato a Ginevra, Spinelli smontò impietosamente la sottile opinione giuridica di Dahrendorf trascinando dalla sua parte gli altri commissari [che avevano assistito inizialmente silenti alle disquisizioni del loro collega tedesco] e costringendo la Commissione e quindi i governi a congelare radicalmente le relazioni con il fascismo greco. Quando tornò la democrazia ad Atene e Spinelli visitò la Grecia da deputato europeo, la stampa ed il mondo politico greco tributarono commosse accoglienze all'amico Altiero.

Nel Parlamento europeo, Spinelli ha dato certamente la prova migliore del lungo percorso della sua vita di uomo dedicato ad una sola causa.  

Il progetto di trattato che istituisce l'Unione europea rappresenta ancora oggi il punto più avanzato di riflessione e di proposta di un nuovo ordine costituzionale europeo coniugando insieme aspetti essenziali di metodo e di contenuto.

Spinelli riteneva che quello era il momento di imporre alla Comunità una svolta radicale in termini di sistema istituzionale e di trasferimento di compiti dal livello nazionale al livello europeo e si attendeva che - oltre al Parlamento europeo - la maggioranza delle forze politiche avrebbero compreso la novità rivoluzionaria di un compromesso raggiunto con metodo democratico.

Così non è stato perché il Parlamento europeo ha accettato che il proprio lavoro fosse considerato alla stregua di un documento elaborato da un ufficio studi e le forze politiche sono state colpite dalla schizofrenia [che non le ha mai abbandonate] che separa i sentimenti espressi a livello europeo dagli atti adottati a livello nazionale.

L'Europa dopo l'utopia, dunque !

Intanto l'utopia nelle parole scelte per spiegare l'Europa ai suoi cittadini: la pace, innanzitutto, e poi il mercato nel senso nobile del termine e cioè – come dice il preambolo dei trattati di Roma “l'eliminazione degli ostacoli esistenti (attraverso) un'azione concertata intesa a garantire la stabilità nell'espansione, l'equilibrio negli scambi e la lealtà nella concorrenza”, quindi il “progetto” deloriano sulla crescita e la coesione e poi la moneta “unica” e non solo comune come avrebbero voluto oltre Manica come simbolo di una sovranità condivisa ed infine la società della conoscenza.

Ora l'Europa evoca un'altra parola che non è utopia ma che è maledettamente negativa: “paura”, paura della crisi apparentemente inarrestabile, della recessione, della rottura della solidarietà, del ritorno agli egoismi nazionali.

Fu utopia non solo l'Europa libera e unita di Altiero Spinelli ma l'unione sempre più stretta fra i popoli europei posta a fondamento dei trattati di Roma con gli obiettivi del progresso economico e sociale, il miglioramento costante delle condizioni di vita e di occupazione che – come specificava significativamente l'articolo 117 del trattato CEE doveva consentire “la loro parificazione nel progresso”, lo sviluppo armonioso riducendo la disparità fra le regioni ed il ritardo di quelle meno favorite ed insieme lo sviluppo della prosperità dei paesi d'oltremare conformemente alla Carta delle Nazioni Unite, le difese della pace e della libertà facendo appello agli altri popoli d'Europa perché si associno allo stesso progetto ?

Fu utopia l'idea di un'Unione fondata sui valori: del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti della persona umana ivi compresi di quelle appartenenti a delle minoranze in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dall'uguaglianza fra donne e uomini come è scritto nell'articolo 2 del trattato di Lisbona ?

Ha detto in une recente intervista Amartja Sen “Ci sono diversi aspetti delle politiche economiche attuate in questo periodo che mi preoccupano, soprattutto in Europa. Il primo di questi è il fallimento democratico nell’economia. Una politica economica deve essere qualche cosa che i cittadini comprendono, apprezzano e supportano. Questo è il fulcro della democrazia” “... il punto di vista degli elettori è molto meno importante di quello delle banche, delle agenzie di rating o delle istituzioni finanziarie. Uno dei risultati dell’integrazione monetaria europea, senza, però, un’integrazione politica, è che la popolazione di diversi paesi non ha nessuna voce in merito. L’economia è slegata dalla base della politica. Tutto questo va completamente contro il grande movimento europeista nato negli anni quaranta e sostenitore di un’Europa democratica e unita”.
Nei prossimi mesi o nei prossimi anni, una grave crisi politica e sociale travolgerà tuttavia i paesi che hanno adottato l'Euro se essi non decideranno di rafforzare la loro integrazione.  La crisi attuale della zona Euro, in effetti, non è iniziata con la crisi greca ma è scoppiata molto prima quando è stata creata un'unione monetaria senza unione economica e fiscale nel contesto di un settore finanziario smisurato ma insufficientemente capitalizzato, drogato dai debiti e dalla speculazione. Certo, i debiti pubblici sono esplosi in questi ultimi trent'anni essendo il loro livello eccessivo una concausa della crisi. Ma l'origine dei nostri problemi non è questa. Sono gli squilibri fra i paesi della zona Euro che sono all'origine della situazione attuale.

L'esplosione della crisi greca ha messo in luce questi difetti strutturali, creando una crisi di fiducia nella sostenibilità dei debiti pubblici: i creditori hanno così scoperto la natura insostenibile degli squilibri nella zona Euro. Se lo scenario attuale si perpetuerà nel tempo, l'Euro non potrà più disporre dei mezzi per resistere alle tendenze centrifughe ed alla crescita dei populismi.

La fine dell'Euro sarà allora solo questione di tempo. L'Unione europea nel suo insieme non potrà uscire da questa crisi senza un cambio di paradigma.

Un'altra via di uscita è possibile. Essa consiste nel correggere gli squilibri del progetto iniziale dell'Unione economica e monetaria e nel completare, adattare ed aggiornare il Trattato di Lisbona superando le sue insufficienze per andare al di là del puro e semplice coordinamento fra Stati membri (il metodo intergovernativo), inefficace ed inadeguato. Essa consiste nel denunciare, ridurre e progressivamente annullare i costi della non-Europa.

Nell'appello del Movimento europeo per una convenzione costituente pubblicato il 10 marzo e poi in quello successivo del 9 maggio scorso abbiamo indicato sei settori principali nei quali si identificano i costi della non-Europa: la politica energetica, la politica industriale, la politica di immigrazione, la cooperazione giudiziaria in materia penale. La dimensione sociale con particolare riferimento alla lotta alla disoccupazione e la politica estera e della sicurezza comune anche nella dimensione della difesa.

L'Euro non potrà tuttavia sopravvivere senza un progresso politico radicale. Il federalismo è la sola via per evitare una crisi drammatica che sacrificherebbe un'intera generazione.

Nelle relazioni politiche fra le comunità c'è una sola risposta possibile alla seguente domanda: “come affrontare problemi comuni che esigono una soluzione comune, complessa e ormai permanente ?”

La risposta è semplice: bisogna affidare il compito di affrontare il problema comune ad un potere comune. Questo potere può nascere dal fatto che qualcuno si impone agli altri perché è il più forte. E' la risposta imperiale o egemonica. Ma questo potere può nascere dal libero consenso fra partner che decidono di creare un potere comune, parallelo al proprio potere, dotato di procedure proprie per la formazione del consenso e delle politiche da sviluppare, alle quali talune competenze limitate vengono trasferite. Questa è la risposta federale.

Apparentemente esiste un'altra risposta che consiste nel rendersi conto dell'esistenza di compiti comuni ma nel decidere che essi saranno affrontati attraverso il consenso che i partner si impegnano a far nascere ogni volta che appare la necessità di una risposta comune senza tuttavia trasferire nulla ad un potere comune.

Quando l'obiettivo da raggiungere è complesso e la sua realizzazione esige delle procedure complesse di elaborazione, di formazione del consenso, di esecuzione e quando l'obiettivo non è raggiunto una volta per tutte ma la sua realizzazione si sviluppa nel tempo ed esige un'azione comune durevole, questa risposta non è razionale ed il risultato non può che essere negativo.

Prendendo in prestito l’incipit del Manifesto di Marx, Altiero Spinelli soleva dire che l’idea della federazione era uno spettro che si aggirava per l’Europa, ma aggiungeva che quest’obiettivo doveva essere perseguito non da una imprecisata generazione futura ma dalle classi politiche che si erano assunte la responsabilità di ricostruire le democrazie europee distrutte da due guerre mondiali.

Quando Altiero Spinelli, fondando nel 1980 il Club del Coccodrillo, ottenne dal Parlamento europeo l’impegno a scrivere un nuovo progetto di trattato per trasformare le Comunità economiche in una Unione politica fu molto attento a non rendere la sua azione più complicata da scelte ideologiche, e non solo semantiche, sulle parole “Costituzione” e “federazione”.

Cosicché il progetto del 1984 nel suo contenuto ha un evidente valore costituzionale e avvicina sensibilmente l’unificazione europea alla sua finalità federale, ma nella sua forma è un trattato internazionale destinato a entrare in vigore solo dopo le ratifiche nazionali.

Il Trattato del 1984 non è stato divorato come il marlin di Santiago ma – pezzo dopo pezzo – è stato innestato nei Trattati di Roma dai diplomatici nazionali in occasione delle sei conferenze intergovernative che si sono succedute con ritmo accelerato, da quella per l’Atto unico del 1985 fino a quella del 2004 che ha licenziato la Costituzione europea e quella del 2007 che ha adottato il «modesto» (l’espressione è di Giorgio Napolitano) Trattato di Lisbona.

La grande maggioranza delle innovazioni introdotte dalla Costituzione europea è ora entrata in vigore con il Trattato di Lisbona, che tuttavia è apparso rapidamente inadeguato di fronte alle sfide di questo nuovo secolo riaprendo la questione del salto di qualità verso una Costituzione di tipo federale.

La crisi finanziaria e poi economica ha spinto i governi nazionali a condividere progressivamente ma tardivamente, disordinatamente e parzialmente decisioni allo scopo di evitare che l'asimmetria di un paese provocasse danni irreparabili all'Eurozona e che questi danni mettessero in discussione l'intero progetto di integrazione europea.

I governi hanno così rafforzato la dimensione europea del controllo delle economie nazionali limitatamente agli aspetti fiscali e di bilancio ed anzi si apprestano ad introdurre – con procedure al di fuori dei trattati comunitari – misure, vincoli e sanzioni per combattere la piaga dei disavanzi finanziari e dei debiti pubblici.

Procedendo in questa direzione, stanno commettendo almeno due giganteschi errori. Il primo di natura economica perché essi si sono piegati all'ideologia conservatrice di chi crede che dalla stabilità finanziaria possano emergere la crescita e lo sviluppo ed il secondo di natura politica ed istituzionale perché, come ha scritto Tommaso Padoa Schioppa, si è creato e si perpetua un sistema all'interno del quale esiste una sempre più integrata European economic constituency e ventisette national political constituencies. Sono purtroppo convinto che nel menu della cena che sarà servita stasera a Bruxelles ai capi di Stato e di governo dell'Unione europea non ci sarà nessuna proposta per riparare ai due giganteschi errori commessi fino ad ora.  

E' dunque evidente che, se non sarà trovata una soluzione costituzionale europea a questa asimmetria, non ci sarà né un vero governo dell'economia né vera democrazia europea.

La storia costituzionale moderna in Europa inizia con l’Assemblea costituente francese del 1789 e si sviluppa attraverso l’elezione a suffragio universale e diretto o di organi parlamentari con il solo mandato popolare di elaborare l’atto di fondazione dello Stato democratico – come è avvenuto in Italia, Germania, Irlanda, Lituania ed Estonia – o con l’attribuzione di tale mandato al Parlamento eletto come è avvenuto in Belgio, Lussemburgo, Finlandia, Portogallo, Spagna, Grecia, a Malta e in tutti i paesi dell’Europa centrale e orientale, a eccezione dell’Estonia e della Lituania, dopo l’avvento della democrazia.

In Europa non si tratta di gettare né le basi di un sistema democratico ab initio né quelle di un nuovo Stato europeo, ma di consentire ai cittadini di fare uso della sovranità che appartiene solo a loro consegnandola provvisoriamente nelle mani dei loro rappresentanti.

La via più naturale sarebbe quella di attribuire questo mandato al Parlamento europeo, che il deputato europeo Willy Brandt qualificò nel 1979 come una «Assemblea costituente permanente» e che svolse questo ruolo su ispirazione di Altiero Spinelli dal 1982 al 1984 nell'elaborazione del progetto che vi ho ricordato più sopra, ma ben difficilmente l’insieme dei governi nazionali accetterà di seguire questa strada che sarebbe sbarrata dal principio non democratico del diritto di veto.

In mancanza di questo accordo o di questa indicazione inequivoca, l’elezione di un’Assemblea ad hoc con un mandato limitato nel contenuto e nel tempo avrebbe il vantaggio di impegnare partiti, governi e società civile a dialogare con i cittadini sull’avvenire dell’Europa, svolgendo essa lo stesso ruolo della Convenzione europea, ma agendo dopo un vero dibattito pubblico ed essendo dotata di una legittimità democratica diretta.

Si tratterebbe in sostanza di una modalità di applicazione dell’articolo 48 del Trattato di Lisbona prevedendo una diversa designazione e una diversa composizione della Convenzione.

Tale Assemblea potrebbe essere composta da un numero drasticamente inferiore a quello dei membri del Parlamento europeo ed essere eventualmente integrata – come avvenne per l’Assemblea ad hoc del 1952 – da un numero limitato di deputati designati dai Parlamenti nazionali e dal Parlamento europeo.

Nel caso in cui una minoranza di paesi fosse contraria alla convocazione dell’Assemblea, la decisione potrebbe essere presa da una maggioranza di Stati che rappresentino una percentuale significativa della popolazione globale dell’Unione europea, ispirandosi a quanto era previsto dall’articolo 82 del “progetto” Spinelli o dal documento Penelope di Romano Prodi del 2003 o all’articolo 48 del Trattato di Lisbona.

Per giungere a questo risultato rivoluzionario dovremmo creare in Europa una alleanza di innovatori che contrasti vigorosamente l'ostruzionismo culturale e politico degli immobilisti. Io ho deciso quarantadue anni fa di stare dalla parte degli innovatori.

Dopo aver ascoltato pazientemente quel che avevo da dirvi, mi piacerebbe sapere da che parte state voi.

Grazie !


Genova, 23 maggio 2012 - Palazzo Ducale

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