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Roma, 7 dicembre 2011

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Dal settembre 2008, quando Lehman Brothers chiese di avvalersi del Capitolo 11 del Codice Statunitense della Bancarotta, i vertici dell'Unione europea si sono riuniti 21 volte.

Nonostante questa girandola di incontri, i capi di Stato e di governo dell'UE non sono stati capaci di far uscire l'UE dal buco nero della crisi ed anzi cresce il numero di coloro che ne attribuisce la causa all'Euro e che ne fonda la soluzione o nel ritorno al sogno britannico di lasciar cadere la moneta unica (single currency) per sostituirla con una moneta parallela alle monete nazionali (common currency) o nella divisione dell'Eurozona in due aree con un Euro forte e un Euro debole o in un salto all'indietro verso la frammentazione in 27 aree monetarie distinte. Ogni vertice è stato presentato dai media come l'ultima spiaggia ma, una spiaggia dopo l'altra, la maggioranza dei capi di Stato e di governo è rimasta a galla lasciando affondare almeno sei governi, quattro di sinistra (Portogallo, Spagna, Grecia e Slovenia) e due di destra (Italia e Irlanda). Fra due giorni si incontrano a Bruxelles i capi di Stato e di governo dei 27 ma gli elementi di dissenso appaiono maggiori di quelli di consenso sia per le misure urgenti a trattato costante che per la riforma della governance dell'Unione al di là del trattato al fine di garantire ai paesi virtuosi di essere protetti dal contagio e di sottoporre i paesi asimmetrici (i PIIGS: Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna) a rigide regole di austerità imposte – si direbbe in tedesco – dal Bund (UE) ai Laender (Stati membri) con vincoli inimmaginabili in un sistema federale. La coppia franco-tedesca tenta di presentarsi coesa all'appuntamento di Bruxelles annunciando un accordo per un futuro imprevedibile nei tempi e nei contenuti ed un disaccordo sulle misure a trattato costante. Su di esse è calata la nebbia nonostante i mercati che non placano la loro sete speculativa. Così nessun accordo appare all'orizzonte per la tassa sulle transazioni finanziarie, nessuno parla della tassa CO2 sulle emissioni gassose, l'opposizione tedesca a Project-bonds (prestiti per investimenti a dimensione europea) o Eurobonds (la mutualizzazione dei debiti sovrani) è stata rafforzata dall'inopinato appoggio di Sarkozy che ha ottenuto in cambio solo una generica disponibilità a rafforzare i  poteri della BCE, l'idea di aumentare il capitale del “Fondo Salva-stati” non sembra più all'ordine del giorno e, di fronte a queste incertezze, la possibilità di un default della Grecia nonostante i sacrifici già accettati dai suoi cittadini non appare più remota considerandola un primo passo verso il default di tutto il progetto europeo. Non sappiamo ancora qual'è la posizione ufficiale del governo italiano anche se le dichiarazioni di Monti vanno tutte nella direzione della difesa del metodo comunitario contro le sirene intergovernative di Berlino e Parigi. Su questa questione e su altri punti come quello relativo al bilancio europeo dove il governo Berlusconi si era improvvisamente schierato contro gli interessi italiani con il “club” dei rigoristi, non ci sono stati ancora chiarimenti e sembra escluso che il governo si appresti ad informare le Camere alla vigilia del Consiglio europeo del 9 dicembre. Appare in questo quadro condivisbile l'appello di Guliano Amato e Romano Prodi per un doppio binario: decisioni immediate a trattato costante ivi compreso il governo dell'Euro ed avvio parallelo del negoziato per la riforma di Lisbona voluto dalla Germania ma a condizioni precise di contenuto (stabilità e solidarietà) e di metodo (un compromesso democratico all'interno di una convenzione a 27 che decida a maggioranza al posto del negoziato fra i soli governi voluto da Berlino e Parigi). Sul contenuto di quest'appello potrebbe convergere domani a Bruxelles il Gruppo Spinelli a conclusione del suo Consiglio europeo ombra.

 

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