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Von der Leyen eletta a fatica. Ora serve una svolta europeista

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La fretta è in ogni caso una cattiva consigliera e la fretta nell’elezione del Presidente della Commissione europea, due settimane dopo la proposta adottata dal Consiglio europeo, ha condotto alla maggioranza di nove voti ottenuta nell’aula di Strasburgo da Ursula von der Leyen.

Inutilmente erano giunti ai capi dei gruppi politici ed alla candidata-presidente appelli affinché l’elezione fosse rinviata a settembre per costruire un accordo di programma fra una maggioranza parlamentare coesa e la nuova Presidente gettando così le basi di un rapporto di fiducia politico e non solo numerico.

Vediamo di trarre alcune valutazioni complessive dal risultato del voto parlamentare.

1. Il metodo degli Spitzenkandidaten, inventato da Martin Schulz nel 2013 nell’illusione di conquistare la poltrona di presidente della Commissione togliendola ai popolari in maggioranza nel Consiglio europeo, è apparso inconsistente alla prova di un quadro politicamente più frammentato dopo le elezioni del 26 maggio. E’ inesatto sostenere che l’elezione di Jean-Claude Juncker fu la vittoria della democrazia parlamentare contro il potere dei governi perché Juncker fu imposto al congresso PPE di Dublino da Angela Merkel per contrastare la candidatura di Michel Barnier e perché dopo le elezioni europee del maggio 2014 ci fu un accordo di potere fra PPE e PSE (che avevano ancora la maggioranza assoluta in Europa) per portare Juncker alla presidenza della Commissione e confermare Martin Schulz alla presidenza del PE.

2. Durante tutta la legislatura 2014-2019 nessuna delle tre istituzioni politiche (Consiglio, Parlamento, Commissione) si è attivata responsabilmente per proporre ed adottare – in applicazione del Trattato – delle modalità di cooperazione interistituzionale necessarie per definire di comune accordo il profilo del candidato alla presidenza della Commissione.

3. Il Parlamento europeo avrebbe potuto rivendicare, dopo il 26 maggio, il rispetto del metodo degli Spitzenkandidaten se una maggioranza politica parlamentare si fosse espressa a favore di uno dei candidati (sulla base del principio secondo cui il sistema elettorale europeo è proporzionale e – in mancanza di un partito con una maggioranza assoluta – di coalizione e non maggioritario e che deve essere eletto il candidato che raccoglie intorno a sé il consenso della maggioranza assoluta dei membri del PE) “imponendolo” al Consiglio europeo. Le riunioni dei capi-gruppo si sono invece concluse senza accordo.

4. Il nome di Ursula von der Leyen è stato il frutto di un compromesso franco-tedesco dopo il fallimento dell’accordo di Osaka raggiunto da Macron, Merkel, Sanchez, Rutte e Conte sul pacchetto Timmermans-Michel-Lagarde-Weber-Georgieva.

5. Incapaci di trovare un accordo su uno Spitzenkandidat, i gruppi politici nel Parlamento europeo sono stati tanto più incapaci di definire – di comune accordo – un’agenda strategica 2019-2024 intorno a cui costruire una maggioranza europeista e un rapporto di fiducia con la nuova Commissione. Lo dimostra il fatto che socialisti e liberali hanno inviato alla candidata-presidente due lettere sulle rispettive priorità politiche senza nemmeno consultarsi.

6. Al di fuori del Parlamento europeo i “partiti europei” hanno dato un’ennesima prova della loro inconsistenza: qualcuno ha detto che è più facile immaginare di trovare tracce di vita su Marte che nei partiti politici europei.

7. La maggioranza di solo nove voti che ha consentito l’elezione di Ursula von der Leyen non è dovuta al voto contrario dei due gruppi nazionalisti (ID e ECR) – perché il loro voto non è stato mai cercato ed anzi è stato da lei dichiarato non gradito – ma al fatto che sono mancati alla candidata settantacinque voti nella “sua” maggioranza e che non è riuscita a dare un vero segnale di cambiamento portando nella maggioranza anche i Verdi (che avevano invece formato con liberali e socialisti il cosiddetto “cordone sanitario” per impedire l’elezione di candidati sovranisti nelle presidenze delle commissioni parlamentari).

8. La neo-presidente dovrà ora attivarsi politicamente, già prima del negoziato per la scelta dei commissari, per recuperare il dissenso che si è manifestato nei gruppi che l’hanno votata e per tentare la difficile carta di allargare la maggioranza verso i verdi evitando che prevalgano nel PPE i tentativi di sostituire ad un accordo di “centro-sinistra” un accordo di “centro-destra” che è stato in parte tentato da Manfred Weber sollecitando il voto dei deputati della Lega.

9. Nel Parlamento europeo si dovrà costituire invece un vero accordo su un’agenda strategica 2019-2024 – un percorso non facile se si tiene conto che nel 2014 i gruppi politici non furono in grado di concordare una posizione comune sul programma legislativo della Commissione Juncker – che sia alla base del voto di fiducia alla Commissione.

10. Insieme al programma, la maggioranza politica dovrà indicare con chiarezza alla presidente della Commissione che non accetterà commissari espressi dalle forze politiche nazionaliste che hanno votato contro l’elezione di Ursula von der Leyen usando il potere di veto che il Parlamento europeo ha nei confronti dei singoli commissari.

17 luglio 2019

Pier Virgilio Dastoli

 

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