Via Angelo Brunetti, 60   06.36001705  06.87755731  segreteriacime@tin.it  segreteria@movimentoeuropeo.it

Newsletter 6 Maggio/2024 - STATI UNITI D’EUROPA / L’UNIONE EUROPEA DA’ I NUMERI?

Stella inattivaStella inattivaStella inattivaStella inattivaStella inattiva
 

 

STATI UNITI D’EUROPA / L’UNIONE EUROPEA DA’ I NUMERI?

SI’, PROVIAMO A ELENCARLI

«Dimmi, senza un programma, dimmi, come ci si sente?». La domanda (presa dalla canzone di De Andrè «Verranno a chiederti del nostro amore») andrebbe certamente elusa, in quanto incongrua, dalla «Lista di scopo» per gli Stati Uniti d’Europa presentata in Italia in vista della decima elezione del Parlamento europeo a suffragio universale diretto. Occorre ovviamente non solo un programma ma un programma ben articolato. Infatti già lo «scopo» ambiziosissimo cui la lista mira (gli Stati Uniti d’Europa) è oggetto in sé di critica da parte di chi, come l’economista Michele Boldrin, lo giudica «fuorviante» e «radicalmente sbagliato». Per non parlare di chi (Matteo Salvini) rilancia stentoreo e apodittico lo slogan «più Italia meno Europa» …  magari pensando (oppure no?) al milione e più di giovani italiani fra i 20 e i 34 anni che in un decennio ha deciso di andare «a cercar fortuna» (così Goffredo Buccini sul Corriere della Sera) in un altro Paese del Continente!

Proviamo a precisare i contenuti concreti di uno scopo così rivoluzionario, costituente, riecheggiante antiche utopie: «Bisogna volere l’impossibile perché l’impossibile accada» (Eraclito).

Diamo i numeri? La trasformazione dell’attuale Unione europea non può che passare da modifiche ai trattati internazionali che la regolano? Modifiche faticose, complicate, realizzabili tramite procedure lunghe, perigliose, comportanti prima o poi il consenso unanime di tutti gli attuali Stati membri per entrare in vigore. E intanto «I tempi si sono fatti stretti» (San Paolo, prima lettera ai Corinti, 7.29), fra la Russia che invade l’Ucraina e pian piano a suon di morti avanza; palestinesi e israeliani che si combattono senza quartiere e dimenticando il diritto internazionale; iraniani alle prese con la ricerca dell’arma nucleare; Cina all’inseguimento pressante degli USA per il predominio mondiale (col Segretario di Stato USA - Anthony Blinken - che avvisa il Presidente Xi: «Basta aiutare Putin oppure agiremo!»); e così via.

Diamo i numeri nell’immaginare quegli Stati Uniti d’Europa che non siano una visione del tipo criticato dall’ex cancelliere tedesco federale Helmut Schmidt, secondo il quale «Chi ha grandi visioni dovrebbe andare dal medico» per farsi curare? Diamo i numeri nella convinzione che nemmeno siano un sogno, bensì una costruzione politica capace di non sprecare l’uovo oggi e così non perder pure la gallina (e le sue uova) domani, come sottolinea Angelo Panebianco ancora sul Corriere della Sera?

Proviamoci allora, coi numeri! Numeri che indichino puntuali articoli dei trattati disciplinanti l’attuale Unione europea e capaci di fondare una precisa politica dell’Unione che sia significativa nel senso del progresso verso un’unità federale, o almeno maggiormente solidale, fra Stati continentali senza modificare i trattati stessi (i quattro trattati: TUE, Trattato sull’Unione Europea; TFUE, Trattato sul funzionamento dell’Unione europea; CDFE, Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea; CEEA o Euratom, Trattato istitutivo della Comunità europea dell’energia atomica). Senza cioè nemmeno la necessità di passare per una «convenzione» di revisione, come quella proposta il 22 novembre 2023 dal Parlamento europeo con la propria risoluzione appunto «sui progetti intesi a modificare i trattati», seguendo il percorso articolato predisposto dall’art. 48 TUE. Percorso che tocca tantissime materie, quali le riforme istituzionali; le competenze dell’UE; la sussidiarietà; lo Stato di diritto; la politica estera, di sicurezza e di difesa; il mercato unico, l’economia e il bilancio; l’istruzione; gli scambi commerciali e gli investimenti; la non discriminazione; il clima e l’ambiente; la politica energetica; lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia; le migrazioni; la sanità, la scienza e la tecnologia: poca roba, vero?

I numeri, dunque.

Penso in particolare ad articoli del TFUE: 116, 122, 175, 295; ma anche ad articoli del TUE: 42, 43.

Anzitutto: il Parlamento europeo ha significativi poteri: di codecisione legislativa assieme al Consiglio dei governi degli Stati membri; di esprimere fiducia nonché, eventualmente, censura nei confronti della Commissione europea; di adozione del bilancio dell’Unione; ecc. Ma non possiede formali poteri di iniziativa legislativa come invece accade per le istituzioni parlamentari nazionali, tipiche di una democrazia rappresentativa. Ora, l’art.295 TFUE dispone che «Il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione…, nel rispetto dei trattati, possono concludere accordi interistituzionali che possono assumere carattere vincolante». Un accordo del genere è perfettamente in grado di riconoscere al Parlamento europeo il potere di iniziativa legislativa.

Senza modifica dei trattati.

Inoltre: l’art. 122 TFUE dispone che «il Consiglio, su proposta della Commissione, può decidere, in uno spirito di solidarietà tra Stati membri, le misure adeguate alla situazione economica, in particolare qualora sorgano gravi difficoltà nell'approvvigionamento di determinati prodotti, in particolare nel settore dell'energia», e che, «Qualora uno Stato membro si trovi in difficoltà o sia seriamente minacciato da gravi difficoltà a causa di calamità naturali o di circostanze eccezionali che sfuggono al suo controllo, il Consiglio, su proposta della Commissione, può concedere a determinate condizioni un'assistenza finanziaria dell'Unione allo Stato membro interessato». Si tratta di norme prese a fondamento dell’innovativo «strumento dell’Unione europea per la ripresa, a sostegno della ripresa dell’economia dopo la crisi COVID-19» (regolamento n. 2094 del 2020 che istituisce il cosiddetto Next Generation EU-NGEU). Ben potrebbe esser presa, questa norma, a fondamento di altre azioni di politica economica dell’Unione fondate, come l’attuale NGEU, anche sul debito comune a carico - solidalmente e in ottica di convergenza reciproca - del complesso degli Stati membri, dunque delle persone sotto la loro giurisdizione. In particolare l’art. 175 TFUE, dove si stabilisce tra l'altro che gli Stati membri devono coordinare le proprie politiche economiche al fine di raggiungere gli obiettivi di coesione economica, sociale e territoriale, dispone al comma 3 che in materia di politica economica «azioni specifiche che si rivelassero necessarie … possono essere adottate dal Parlamento europeo e dal Consiglio, che deliberano secondo la procedura legislativa ordinaria e previa consultazione del Comitato economico e sociale e del Comitato delle regioni» (il che è servito come base giuridica dei PNRR nazionali disciplinati, nell’ambito del NGEU, dal regolamento n. 241 del 2021). E precedentemente sempre l’art. 122 TUE ha costituito la base giuridica del regolamento n. 672 del 2020, istitutivo di «uno strumento temporaneo per attenuare i rischi di disoccupazione nello stato di emergenza (SURE) a seguito dell’epidemia di Covid‐19».

Si può far molto, moltissimo, sulla base dei trattati attuali.

Quanto all’art. 116 TFUE ne va sottolineato l’ampio dispositivo, secondo cui «Qualora la Commissione constati che una disparità esistente nelle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative degli Stati membri falsa le condizioni di concorrenza sul mercato interno e provoca, per tal motivo, una distorsione che deve essere eliminata, essa provvede a consultarsi con gli Stati membri interessati. Se attraverso tale consultazione non si raggiunge un accordo che elimini la distorsione in questione, il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, stabiliscono le direttive all'uopo necessarie…». Le distorsioni da eliminare in funzione di non falsare la concorrenza nel mercato interno europeo potrebbero così, ad esempio e dunque non solo, ben essere oggetto di un intervento finalmente introduttivo di un’effettiva ed efficace unione fiscale europea «in considerazione dell’evidente pregiudizio alla concorrenza che discende dall’adozione di regimi fiscali disomogenei» (così M. Baruffi e R. Càfari Panico). E quante altre «distorsioni della concorrenza» potrebbero essere elencate? Viene in materia fra l’altro in mente proprio l’atteggiamento della Cina di accusa all’Unione europea addirittura di protezionismo e di esser contro i propri stessi impegni per un mercato aperto e la concorrenza leale. Questo perché l’UE sta contrastando, sulla base di un proprio «strumento per gli appalti internazionali» (regolamento n.1031 del 2022), pratiche cinesi che non consentono ad aziende europee parità di accesso in Cina rispetto ad aziende nazionali in specie in tema di vendita di dispositivi medici. Così come l’UE sta impiegando il proprio regolamento n. 2560 del 2022, «relativo alle sovvenzioni estere distorsive del mercato interno», per contrastare sussidi concessi a società cinesi che partecipano a gare per la fornitura di turbine eoliche, di treni elettrici, di pannelli solari.  E in materia di competitività aspettiamo, dopo le elezioni del Parlamento europeo, il rapporto commissionato a Mario Draghi e da lui anticipato in sintesi nel discorso tenuto a La Hulpe il 16 aprile parlando di necessità di «cambiamento radicale». Mentre riguardo alla disciplina del mercato interno europeo già abbiamo una forte base di ragionamento nel rapporto da poco redatto in materia da Enrico Letta.

Agli artt. 42 e 43 del TUE, collocati nel contesto delle «disposizioni sulla politica di sicurezza e di difesa comune», si potrebbe in particolare ricorrere per l’approfondimento appunto di una politica comune europea della difesa, assicurando all’Unione «capacità operativa» e la «graduale definizione di una politica» in materia. Si continua prevedendo che un’«Agenzia nel settore dello sviluppo delle capacità di difesa, della ricerca, dell'acquisizione e degli armamenti (…denominata "Agenzia europea per la difesa") individua le esigenze operative, promuove misure per rispondere a queste, contribuisce a individuare e, se del caso, mettere in atto qualsiasi misura utile a rafforzare la base industriale e tecnologica del settore della difesa, partecipa alla definizione di una politica europea delle capacità e degli armamenti, e assiste il Consiglio nella valutazione del miglioramento delle capacità militari».

Poi, spesso pure dal versante europeista, chi è affezionato agli slogan (però non a quello che dice «conoscere per deliberare» di Luigi Einaudi) butta sul piatto le criticità determinate nel processo decisionale dell’UE dal voto dei governi degli Stati membri all’unanimità, e a questo si limita senza almeno precisare che certo  non è l’unica modalità di approvazione delle norme e che, oltretutto, ci sono possibilità sempre previste dai trattati dell’Unione di procedere, fra un numero ristretto di Stati membri, nel senso di una maggiore integrazione in determinate materie (che già non siano di competenza esclusiva UE) e lasciando altri Paesi non in minoranza ma piuttosto in posizione arretrata da essi stessi scelta. Alludo agli strumenti di cooperazione rafforzata di cui all’art. 20 TUE e agli artt. 316 e seguenti TFUE. Sono strumenti evocati anche da Mario Draghi nell’occasione già ricordata: facendo l’esempio della necessità di mobilitazione comunitaria degli investimenti sottolineava che, «in casi specifici, dovremmo essere pronti a considerare di procedere con un sottoinsieme di Stati membri», appunto tramite «una cooperazione rafforzata». Già casi significativi di applicazione di questa modalità, che prevede il consenso di almeno nove Paesi, esistono in materia fra l’altro di disciplina dei brevetti, di attività della Procura europea a protezione degli interessi finanziari dell’UE, di legge applicabile alla separazione e ai divorzi. Pure alla politica estera e di difesa comune, nel contesto del Trattato sull’Unione europea, potrebbero essere applicate le regole della cooperazione rafforzata, per attivare anche in tale materia azioni tra chi “ci voglia stare” circa un’azione più integrata pur senza disturbare chi non intenda esser coinvolto. Qui l’art. 20 TUE però non è stato mai utilizzato, preferendo modalità di cooperazione non fra tutti i Paesi membri diversamente fondate, qual è la cooperazione strutturata permanente a 26 - nel campo della difesa - cosiddetta PESCO (decisioni del Consiglio in ambito PESC n. 2315 del 2017 e n. 340 del 2018), su cui il Consiglio stesso ha avviato lo scorso novembre una «revisione strategica», oppure la missione navale Eunafor-Aspides di sicurezza marittima nel Mar Rosso, con partecipazione di unità militari di sei Stati membri, Italia compresa, istituita nel febbraio scorso dal Consiglio UE. 

Concludendo, la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni auspica - correggendo (o forse no) Salvini - «più Italia in Europa», e addirittura esclama: «l’Italia cambia l’Europa». Infatti diversamente dal Segretario leghista si candida, da italiana, come capolista alle elezioni del Parlamento europeo. E siccome la legge elettorale del nostro Paese (n. 18 del 1979) dispone fra l’altro che il mandato europeo è incompatibile con l'ufficio di deputato e di senatore, con la carica di componente del governo nazionale e con l’incarico di Presidente di Regione o di assessore regionale, sono certo che una volta eletta opterà per la carica di parlamentare europea, abbandonando la Camera dei Deputati e la Presidenza del Consiglio. Altrimenti perché presentarsi alle elezioni europee? Non certo per truffare i propri elettori! Ma qui la compagnia è folta, sia pur di livello (istituzionale) via via minore: Tajani, Schlein, Calenda, ecc. Ma non va compreso nell’eccetera Matteo Renzi - avendo dichiarato che in caso d’elezione sceglierebbe il Parlamento europeo rispetto al Senato della Repubblica - collocatosi ultimo in lista (tanto contano le preferenze!) in quella (lista) denominata Stati Uniti Europa (vilipesa dall’ex parlamentare Maurizio Turco come esponenziale della “partitocrazia” perché a parer suo, ma non del Ministero dell’interno, scippatrice di uguale denominazione contenuta nel simbolo presentato dalla lista Pannella per le elezioni europee del 2019). Dalla folta compagine si estrania pure Salvini, che per esser coerente con il proprio slogan “più Italia meno Europa” deve forzatamente starsene a casa, con la copertura militare del generale Vannacci e il suo 9° Reggimento d’assalto paracadutisti Col Moschin. A proposito infine del generale giova sottolinearne la dichiarazione: «la mia battaglia in Europa sarà di riconoscermi in alcuni valori: la patria, i confini, la sicurezza, l’identità, la sovranità nazionale». Vai a spiegargli che la sovranità nazionale è asfittica, illusoria, e ben migliore sarebbe una sovranità continentale condivisa fra pari (del resto l’art. 11 della Costituzione italiana dispone a tal fine «limitazioni di sovranità»). Vai a spiegargli che confini e sicurezza per esser efficaci ed efficienti non possono che essere europei. Vai a spiegargli che la stessa UE attuale «rispetta l'uguaglianza degli Stati membri davanti ai trattati e la loro identità nazionale insita nella loro struttura fondamentale, politica e costituzionale, compreso il sistema delle autonomie locali e regionali. Rispetta le funzioni essenziali dello Stato, in particolare le funzioni di salvaguardia dell'integrità territoriale, di mantenimento dell'ordine pubblico e di tutela della sicurezza nazionale» (art. 4.2 TUE). Vai a raccontargli della «Patria europea» …

A proposito, il Parlamento europeo andrebbe eletto - a norma dei trattati UE - sulla base di una procedura elettorale uniforme. L’art. 223.1 TFUE prevede infatti che «Il Parlamento europeo elabora un progetto volto a stabilire le disposizioni necessarie per permettere l'elezione dei suoi membri a suffragio universale diretto, secondo una procedura uniforme in tutti gli Stati membri o secondo princìpi comuni a tutti gli Stati membri. Il Consiglio, deliberando all'unanimità secondo una procedura legislativa speciale e previa approvazione del Parlamento europeo che si pronuncia alla maggioranza dei membri che lo compongono, stabilisce le disposizioni necessarie. Tali disposizioni entrano in vigore previa approvazione degli Stati membri conformemente alle rispettive norme costituzionali».

Anche questa innovazione potrebbe ben essere introdotta - e fin qui la cosa non è avvenuta - senza modifica dei trattati.

A meno che il nuovo Parlamento europeo, con una condotta insurrezionale pacifica (si legga l’editoriale di P. Dastoli nella Newsletter del Movimento europeo Italia del 22 aprile scorso), non opti per la soluzione rivoluzionaria di ergersi in Assemblea costituente e produrre lui stesso una vera e propria Costituzione federale europea da sottoporre non al giudizio dei governi degli attuali Stati membri dell’Unione europea, o dei loro organi parlamentari nazionali, ma direttamente a referendum popolare europeo, cioè ai popoli dei Paesi del Continente, non necessariamente dei soli Paesi oggi membri dell’Unione.

Non si può?

«Bisogna volere l’impossibile perché l’impossibile accada»!!

 

Dino G. Rinoldi

(Membro del Consiglio accademico del Movimento Europeo Italia, Professore di Organizzazione internazionale nell’Università Cattolica S.C.)

 

 

 

 

 

 centricoo

altiero

ImmagineLIBRO VERDE xsito

 BannerPROCESSO UE

bileurozona

rescue

casaeuropa

agorabanner

coccodrillo

banner fake


Le Nostre Reti

eumov

eucivfor

logo asvis

Comitato Eeinaudi desktop 1 1

ride logoretepace

routecharlemagne


Partner e Sostenitori

parleuitarapprita

banner12

banner11


 ed logo

Gioiosa Jonica  -  Modena  -  Nuoro  - Capo d’Orlando


 

Registrati per ricevere le nostre newsletter.
 

Sostieni le iniziative del Movimento Europeo con una piccola donazione


© Movimento Europeo - Via Angelo Brunetti, 60  ||  Realizzato da logoims

Search