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Bruxelles scende in campo. Mille miliardi per la lotta al riscaldamento globale

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E’ mutato il clima politico a Bruxelles e sono state poste le basi per piani più ambiziosi dell’UE per cambiare il clima ambientale ed economico anche in vista della Conferenza europea sul futuro dell’Europa su cui si stanno mobilitando molte reti della società civile (“Empower citizens for the future of Europe”).

Cinque anni dopo l’avvio del piano quinquennale cinese per ambiente e clima, Parlamento europeo e Commissione hanno condiviso il Piano Verde per l’Europa (European Green Deal) che dovrebbe rendere l’UE entro il 2050 la prima area del mondo libera dalle emissioni gassose e permetterle di raggiungere entro il 2030 gli obiettivi dello sviluppo sostenibili adottati dalle Nazioni Unite nel 2015 entro il 2030.

La Commissione presieduta da Ursula von der Leyen aveva presentato una prima comunicazione l’11 dicembre su cui il Consiglio europeo del 13 e 14 dicembre non era stato in grado di raggiungere un accordo di principio unanime per l’opposizione dei paesi dell’Europa centrale (Polonia in testa) e ha poi presentato proposte più articolate davanti al Parlamento europeo il 15 gennaio.

Investimenti massicci

Il piano prevede misure di carattere legislativo, economico e finanziario che dovranno essere adottate nei prossimi mesi dal Consiglio, nella maggior parte dei casi a maggioranza qualificata con alcune rilevanti eccezioni, e dal Parlamento europeo.

Gli aspetti più rilevanti riguardano il piano di investimenti finanziari, che dovrebbero raggiungere globalmente (bilancio UE, BEI, Stati membri e fondi privati) mille miliardi di Euro nei prossimi dieci anni, gli atti legislativi da tradurre poi in leggi nazionali per conseguire l’obiettivo zero carbon entro il 2050 con una tappa intermedia entro il 2030 e decisioni di natura fiscale come la tassa sul CO2 da applicare soprattutto alle frontiere UE per i prodotti provenienti da paesi terzi.

Fra le misure più rilevanti, che danno l’idea di come il clima politico sia cambiato a Bruxelles, vi è quella – annunciata da Paolo Gentiloni – di una modifica del tradizionale e rigido approccio dell’UE sugli aiuti di Stato per permettere o addirittura sollecitare investimenti pubblici nazionali coerenti con il Piano Verde e scorporare questi investimenti dal Patto di Stabilità.

Il clima politico è cambiato a Bruxelles (fra Commissione e PE) ma il cambiamento richiede decisioni dei governi nazionali dell’UE e una rivoluzione copernicana nelle posizioni dei paesi al di fuori dall’UE a cominciare dagli USA in occasione delle prossime scadenze internazionali come la COP26 (“Conferenza delle parti della Convenzione ONU sul climate change”) a Glasgow nel prossimo novembre dopo il sostanziale fallimento della COP25 a Madrid nello scorso dicembre e le celebrazioni per i trenta anni dalla Conferenza di Rio su ambiente e sviluppo nel giugno 1992 che avviò una nuova fase del diritto internazionale in materia ambientale.

Problemi ancora da affrontare

Vediamo in sintesi i problemi irrisolti che potrebbero incidere negativamente sul nuovo clima politico a Bruxelles.

1. Il Bilancio UE. Come sappiamo (“Sul bilancio dell’UE diamo la parola ai cittadini europei” 28.12.2019) la madre di tutte le battaglie si concentrerà sul cosiddetto “quadro finanziario multi annuale” che, a partire dal 2021, dovrebbe sostituire quello adottato nel 2014. Il Piano Verde prevede di dedicare almeno il 25% delle risorse del bilancio europeo agli investimenti sostenibili (Invest EU) ma ciò richiederà un accordo unanime del Consiglio sia sugli equilibri fra le varie voci del bilancio pluriennale sia sul suo ammontare totale. E’ evidente che, se fosse accettato il negociation box presentato dalla Presidenza finlandese che vorrebbe ridurre drasticamente le già modeste proposte presentate dalla Commissione Juncker nel maggio 2018, mancherebbero al piano europeo risorse finanziarie essenziali per mobilitare investimenti pubblici e privati nazionali e l’obiettivo minimo di mille miliardi entro il 2030 si allontanerebbe drammaticamente. Affinché il bilancio europeo sia coerente con il Piano Verde e per riprendere i negoziati fra PE e Consiglio che l’Assemblea di Strasburgo ha giustamente congelato, la Commissione Von der Leyen dovrebbe mettere sul tavolo delle istituzioni una proposta che sostituisca quella del maggio 2018 sia dal punto di vista della quantità e della qualità delle entrate aprendo la via ad una capacità fiscale autonoma dell’UE che delle spese indicando come obiettivo minimo entro il 2030 un bilancio “pre-federale” del 2.5% del PIL globale dell’UE. A queste proposte si deve accompagnare la richiesta di una programmazione quinquennale del bilancio UE (5+5) in coerenza con la proposta del PE e con l’obiettivo decennale di mille miliardi di Euro entro il 2030
2. La coerenza fra il Piano Verde e le politiche comuni. Con l’inizio della nuova legislatura dovranno essere portate a compimento delle riforme in cantieri – come la PAC e l’economia circolare – già aperti nella scorsa legislatura o dovranno essere nuovamente aperti come la questione della competitività dell’apparato produttivo europeo e dunque di un nuovo approccio sulla politica industriale UE con particolare riferimento alle PMI e all’agenda digitale. E’ questo un tema che dovrebbe essere messo anche sul tavolo della Conferenza europea sul futuro dell’Europa e che non è finora apparso nelle priorità della Commissione. Nell’adottare il Piano Verde, il PE ha sollecitato la Commissione ad essere più ambiziosa nella coerenza fra Piano e politiche comuni.
3. La sostenibilità sociale del Piano Verde. E’ noto che, fra i diciassette obiettivi dello sviluppo sostenibile, segnano il passo o addirittura sono regrediti quelli relativi alla lotta alle diseguaglianze e alla povertà (come è stato evidenziato dal rapporto ASVIS 2019 con particolare riferimento all’Italia) insieme a quelli della pace e del rispetto dello stato di diritto. Il Pilastro sociale è stato adottato a Göteborg il 17 novembre 2017 ma la sua implementazione politica, economica e giuridica è ben lontana dall’essere realizzata nel quadro di una democrazia economica che è stata finora dimenticata dalle istituzioni europee con l’eccezione del decennio di Jacques Delors (1985-1995).
4. Last but not least vi è il tema della dimensione internazionale del Piano Verde perché l’obiettivo di un continente europeo zero carbon entro il 2050 con la tappa intermedia nel 2030 potrà essere raggiunto alla triplice condizione che i paesi dell’UE ritrovino l’unità di proposte e di azione che l’aveva caratterizzata nei primi anni della lotta al cambiamento climatico facilitando così l’intesa nel quadro delle COP, che gli altri paesi del continente al di fuori dell’UE agiscano in coerenza con il Piano Verde e che gli altri attori internazionali accettino di far propria la battaglia per il pianeta sostenibile di cui sono diventati protagonisti i giovani di Fridaysforfuture che si sono impadroniti ed hanno moltiplicato la mobilitazione della società civile in occasione dei grandi vertici mondiali da Rio in poi passando per Porto Alegre, Seattle e per i Forum Mondiali.

Pier Virgilio Dastoli

16 gennaio 2020

 

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