La pandemia da COVID-19 durerà ancora a lungo e sarà superata, come è avvenuto per altre epidemie meno virulente e più circoscritte, grazie alla scoperta di un vaccino ma anche perché nell’equilibrio fra le proprietà patogene del virus e le capacità difensive dell’ “ospite” prevalgono nel tempo, normalmente e tendenzialmente, le seconde.
Dureranno invece ancora più a lungo gli effetti sociali del virus sapendo che la simmetria patogena evolverà verso una asimmetria sociale che richiederà interventi pubblici ai vari livelli di responsabilità locale, regionale, nazionale ed europeo anche se la recessione economica sarà simmetrica se si considerano i dati sulla riduzione del PIL nei diversi paesi europei.
Le conseguenze della recessione saranno tuttavia diversamente affrontate dai paesi in cui la gestione della spesa pubblica è virtuosa e dai paesi in cui essa è viziata da logiche di breve periodo (= elettorali), dai paesi con maggiore o minore efficienza burocratica, dai paesi in cui ci sono maggiori o minori difficoltà a coordinare in un disegno unitario la pubblica amministrazione, le imprese pubbliche e il sistema produttivo, dai paesi in cui è maggiore o minore la qualità dell’investimento in tecnologie ed infrastrutture.
Al di là di queste differenze pur rilevanti, l’Unione europea dovrà farsi carico nel suo insieme del nuovo modello di sviluppo che sarà necessario avviare per rispondere alle lezioni che ci ha insegnato la crisi: la nostra sicurezza dipende dalla sicurezza altrui, siamo tutti vulnerabili e i nostri destini sono interconnessi, la democrazia è l’antivirus di cui abbiamo bisogno, il sistema di mercato globale deve essere messo in discussione, siamo i custodi della Terra e non i suoi padroni, il tempo deve rallentare.
Mentre i primi strumenti a livello europeo - già decisi e operativi o condivisi ma non ancora operativi (Banca Centrale Europea con il Pandemic Emergency Purchase Programme, Banca Europea degli Investimenti, Support to mitigate Unemployment Risks in an Emergency - SURE, Meccanismo Europeo di Stabilità) - hanno lo scopo di far fronte alla crisi di liquidità di cui soffrono tutti i paesi europei, la ricostruzione nella doppia dimensione del Fondo proposto dalla Francia di Emmanuel Macron e rilanciato dalla Spagna di Pedro Sanchez (RECOVERY FUND) e del Piano (inopportunamente chiamato Marshall) proposto dalla Commissione europea (che noi proponiamo di chiamare PROSPERITY PLAN) deve essere collegata a un programma e cioè ad un insieme di politiche comuni in parte rinnovate rispetto a quelle esistenti (PAC, coesione territoriale, ricerca e sviluppo tecnologico, ambiente) e in parte totalmente nuove (European Green Deal, politica industriale ivi compresa la ricapitalizzazione e l’intervento dell’Unione europea nella governance delle grandi imprese, organizzazione della mobilità e redistribuzione del tempo, sviluppo delle comunicazioni e agenda digitale, riorganizzazione dello spazio, lavoro a distanza…).
Le decisioni sul Fondo, sulla base delle proposte che farà la Commissione europea, avranno un’importanza rilevante per l’Italia e richiederanno un ri-orientamento o meglio la definizione di una chiara politica europea del governo che è apparsa per sedici mesi (CONTE-I: giugno 2018-agosto 2019) determinata da pulsioni sovraniste ed autarchiche e per otto mesi (CONTE-II: settembre 2019-aprile 2020) prigioniera della confusa dialettica fra gli alleati del governo “giallo-rosso” e del protagonismo inconcludente del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte.
Sintetizziamo i quattro punti ancora controversi su cui si sta dibattendo la Commissione europea, su cui si dovrà pronunciare politicamente il Consiglio europeo agli inizi di giugno e successivamente il Consiglio dell’Unione europea se la base giuridica sarà l’art. 122 TFUE (“qualora uno Stato membro si trovi in difficoltà o sia seriamente minacciato di gravi difficoltà naturali o di circostanze eccezionali che sfuggono al suo controllo, il Consiglio, su proposta della Commissione, può concedere a determinate condizioni un’assistenza finanziaria dell’Unione allo Stato membro interessato. Il Presidente del Consiglio informa il Parlamento europeo in merito alla decisione presa”) con il difetto non irrilevante che l’art. 122 riguarda interventi per singoli paesi e non per circostanze eccezionali che riguardano l’intera Unione europea:
- L’assistenza (“dell’Unione” e non dunque del MES, che è uno strumento intergovernativo al di fuori dell’Unione e che dovrebbe tuttavia essere comunitarizzato trasformandolo o in un Fondo Monetario Europeo o in una Cassa Depositi e Prestiti Europea) può prendere la forma di una sovvenzione (grants) o/o di un prestito (loans). Nel primo caso la sovvenzione potrebbe avvenire direttamente sia dal Fondo finanziato dagli Stati membri che attraverso il bilancio europeo per essere o rimborsata dagli Stati membri sulla base dei loro contributi alla fine della periodicità pluriennale o da risorse proprie addizionali. Nel secondo caso il prestito prenderebbe la forma di un credito a condizioni agevolate che potrebbe essere garantito o dal fondo stesso che emetterebbe sia obbligazioni irredimibili (per le quali si assicurerebbe ai creditori solo il pagamento degli interessi) che obbligazioni a lunga scadenza (trent’anni o più) con restituzione del capitale o dal bilancio europeo con l’iscrizione di una linea di bilancio dotata di un p.m. (per memoria) nel caso ipotetico in cui il prestito non venga restituito dallo Stato beneficiario.
- Per il governo italiano così come per gli altri governi che hanno bisogno di assistenza finanziaria non emergenziale ma legata a un piano di ricostruzione dal 2021 in poi la via migliore è quella di privilegiare le sovvenzioni sapendo che esse non creano debito pubblico nazionale e che la condizionalità non sarà legata alla capacità di restituzione del prestito ma alle modalità con cui sarà spesa la sovvenzione. In questo quadro il governo italiano dovrebbe battersi affinché il Fondo sia l’embrione o la leva di un programma federale che attribuisca all’Unione europea e dunque alla Commissione europea sotto il controllo del Parlamento europeo il potere di sviluppare attraverso il Fondo rinnovate o nuove politiche comuni e affinché l’uso delle sovvenzioni sia rigorosamente coerente con queste politiche;
- Insieme alle sovvenzioni è necessario risolvere il problema di un ponte (bridge) dalla decisione sul Fondo alla sua operatività a medio termine legata al bilancio pluriennale che partirà il 1° gennaio 2021. La soluzione per l’anno di transizione 2020 potrebbe essere data da obbligazioni irredimibili, emesse immediatamente sia per finanziare il recovery plan europeo, come già suggerito dalla Spagna, che per finanziare i recovery plans Italiano e degli altri paesi dell'eurozona allo scopo di fronteggiare le spese e gli investimenti connessi al corona virus. Le obbligazioni irredimibili dovrebbero essere incluse nel quantitative easing (QE) della BCE con collocazione dei titoli nazionali nei bilanci delle banche centrali nazionali partecipanti al sistema europeo delle banche centrali.
- Affinché il Fondo sia parte dell’impegno dell’Unione europea per un nuovo modello di sviluppo, esso deve essere agganciato al Quadro Finanziario Pluriennale e in particolare al Patto Verde Europeo annunciato da Ursula Von der Leyen come LA priorità della sua legislatura e che ora dovrà essere adattato alla crisi sociale che verrà dopo la pandemia (European Geeen and Social Deal). Si deve evitare da una parte il rischio che il Fondo si trasformi in un secondo “Piano Juncker” - attraverso cui si era creata una base finanziaria di 21 miliardi che, con un effetto leva (1/15), avrebbe prodotto in cinque anni investimenti pubblici e privati (EU) per 315 miliardi di EURO poi elevati a 410 miliardi - senza condizionalità legate alle coerenza con le priorità europee e d’altra parte il ruolo marginale della Commissione europea che non ha gestito il Piano Juncker ma è stata il “partner strategico” della BEI. Secondo gli orientamenti della Commissione Von der Leyen, il Fondo dovrebbe essere dotato di una base finanziaria di 320 miliardi di EURO con un effetto leva che porterebbe in sette anni a 1500 miliardi di investimenti pubblici e privati (RECOVERY.EU). Se il Fondo non fosse finanziato dagli Stati membri come creditori ma da debito pubblico europeo garantito dal bilancio europeo l’effetto-leva sarebbe molto maggiore, la condizionalità degli investimenti sarebbe legata alle priorità dell’Unione europea e il disegno unitario sarebbe garantito dalla Commissione europea in un ruolo di coordinamento delle amministrazioni nazionali. In questo quadro il governo italiano dovrebbe battersi per un bilancio europeo a scadenza quinquennale (2021-2025) e non settennale (2021-2027) con un livello di spese pari ad almeno duemila miliardi di euro finanziato progressivamente da risorse proprie e non da contributi nazionali.
PIER VIRGILIO DASTOLI
Presidente del Movimento Europeo – Italia
04/05/2020