Patrizio Bianchi
Alderman, European Development Poilcies, Emilia Romagna Region
Sono nato a Copparo nel 1952, vivo a Ferrara insieme a mia moglie e ai miei due figli.
Nella mia vita professionale ho avuto l’opportunità, e direi anche la fortuna, di avere molte esperienze, certo diversificate, ma in fondo coerenti fra loro. Innanzitutto ho studiato economia e ne ho approfondito i classici, constatando quanto essenziali siano le idee fondanti di una disciplina che vuole avere responsabilità sociali. Ho scelto poi di approfondire l’economia e politica industriale, forse la più concreta delle economie applicate.
Fin dai primi anni dopo la laurea ho ritenuto di dovermi misurare con la realtà, mettendomi a disposizione delle istituzioni. Prima in Inghilterra alla Price Commission (1978-79), poi in Italia nella Commissione che doveva far fronte alla crisi dell’industria dell’automobile (1980-82). Dal 1984, e a più riprese, mi sono confrontato con i problemi dello sviluppo, in America Latina, poi in Cina e in Africa del Nord. In Europa ho svolto attività di ricerca per la Commissione europea sulla natura degli intangibles assets e politiche industriali. In Italia ho assunto incarichi che mi hanno portato a misurarmi con i problemi connessi alla privatizzazione, all’IRI dal 1997 al 2000, e quelli dell’occupazione nel Mezzogiorno (Sviluppo Italia, 1998-2000).
Per tutta la vita, tuttavia, sono rimasto uomo di università, prima come professore a Bologna nella mia Alma Mater, poi a Ferrara, dove sono stato preside di una facoltà che ho avuto l’onore di fondare e dove dal 2004 sono stato rettore. Nel 2011 mi è stata offerta l’opportunità di occuparmi di scuola, formazione, ricerca e di lavoro per la mia regione, l’Emilia-Romagna. Ruolo che, con impegno e orgoglio, ancora svolgo.
Nella mia attività di economista e nelle diverse esperienze istituzionali maturate nel tempo ho imparato una semplice lezione. Ho via via consolidato la certezza che l’unica vera forza in grado di muovere un’economia e di garantire lo sviluppo sono le persone. Non i singoli, non le persone sole, ma la collettività quando dimostra di essere in grado di riconoscersi in valori quali il rispetto reciproco e l’autonomia individuale e di darsi regole per competere e cooperare, condividendo obiettivi di prosperità. Oggi chiamiamo questa ricchezza “capitale umano” e sappiamo che quella buona economia, che in Europa definiamo intelligente, sostenibile ed inclusiva, deve saper coniugare la crescita con la coesione, costruendo capitale sociale, quell’insieme di conoscenze condivise, non appropriabili singolarmente e fruibili collettivamente che rappresentano le fondamenta di una comunità.