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Newsletter 17 Giugno/2024 - ATTIRIAMO LA VOSTRA ATTENZIONE

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IL “CASO UNGHERIA” nell’Unione europea: ora si pone la questione della Presidenza del Consiglio

I. La decima elezione del Parlamento europeo a suffragio universale diretto mette in moto in tempi ravvicinati, non solo mesi ma piuttosto settimane e addirittura giorni, un processo di ampio rinnovo istituzionale nell’Unione. Si tratta, fra l’altro, di nominare nuovi “vertici” (Presidente della Commissione, componenti di quest’ultima, Presidente del Consiglio europeo, Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune) e di riorganizzare i gruppi politici entro il Parlamento stesso

Il 24 maggio scorso quattro Consigli nazionali del Movimento Europeo Internazionale (quello italiano - che ha preso l’iniziativa - accompagnato da quelli di Spagna, Polonia e Francia) hanno scritto una lettera in cui si chiede di valutare seriamente se l’Ungheria, come previsto nell’ordine semestrale delle Presidenze, sia in grado di assumere credibilmente la Presidenza del Consiglio dell’Unione a partire dal 1° luglio prossimo, visto che questo Stato membro «sfida giornalmente il buon funzionamento dell’Unione europea e ricorre al diritto di veto per bloccare decisioni all’unanimità» (come è avvenuto, esemplificativamente e da ultimo, in occasione della necessità di approvare il 14° pacchetto di aiuti all’Ucraina, il 27 maggio scorso), contribuendo così «a far perdere alle istituzioni europee quel che rimane della loro credibilità» e a non rafforzare «nei cittadini [anche] ungheresi la convinzione che l’appartenenza alla famiglia europea è davvero fondata sul principio della democrazia rappresentativa (…) e sullo Stato di diritto (…)».

La lettera è indirizzata ai Presidenti di alcune delle istituzioni europee (Roberta Metsola, PE; Charles Michel, Consiglio europeo; Ursula von der Leyen, Commissione europea; Koen Lenaerts, Corte di giustizia), oltre che al Primo Ministro belga Alexander de Croo (in quanto il Belgio - attualmente Presidente del Consiglio UE -  contribuisce a preparare le conclusioni del Consiglio europeo). La Presidente della Commissione europea ha encomiabilmente e incisivamente risposto nell’arco di pochissimi giorni (31 maggio 2024) sostenendo che «We have taken note of the content of your letter with attention and have shared it with the competent Members of the College and services here at the European Commission»; ha conseguentemente affidato la gestione della questione al Vice-Presidente per le relazioni interistituzionali.

La lettera dei Movimenti Europei dei quattro Paesi membri è stata anche ripresa da Emma Bonino (la Repubblica, 5 giugno), che si è rivolta in Italia alla Presidente del Consiglio Giorgia Meloni e al Ministro degli Esteri Antonio Tajani, ricordando – in aggiunta alle argomentazioni dei Movimenti Europei – che, seppure molte delle decisioni del Consiglio europeo vengano prese per consensus, quella che riguarda l’ordine di successione dei Paesi membri alla Presidenza del Consiglio dell’Unione deve essere presa a maggioranza qualificata. Aggiunge di comprendere che la questione da tecnico-giuridica diventa politica … e dunque invita il Governo italiano a promuoverla in tempi rapidi.

In modo che risulta incongruo il nostro Ministro degli Esteri ha ribattuto “a caldo”: «Bisogna distinguere tra politica e istituzioni»; «Non tocca a noi interferire. Io non sono d'accordo con tante scelte di Orban ma lui è eletto primo ministro dell'Ungheria, non possiamo privare l'Ungheria della guida»; «sarebbe una violazione» dei Trattati UE (https:// www.prealpina.it/pages/tajani-rinviare-semestre-orban-sarebbe-violazione-342671.html).

Nel frattempo il 10 giugno scorso è stato diffuso tramite il Legal Scholarship Network del Social Science Research Network (LSN SSRN) un paper di Virgilio Dastoli ed Emilio De Capitani che approfondisce la questione (Why an EU Country under surveillance procedure (Article 7.1 TEU) should not chair the Council Presidency) e che ha già trovato l’adesione di non pochi studiosi, esperti e cittadini.

II. Possiamo dare al Ministro degli Esteri senz’altro la buona fede, e anche l’attenuante della complessità politico-normativa che nell’ordinamento dell’Unione europea regge la questione affrontata dalla lettera dei Movimenti Europei.

Mettiamo, dunque, sul piatto l’evidenza di dove nell’ordinamento dell’Unione è regolata l’attribuzione della Presidenza semestrale del suo Consiglio:

  1. quanto al diritto primario (i Trattati di Unione): l’art. 16.9 del Trattato sull’Unione europea (TUE) stabilisce che «La Presidenza della formazione del Consiglio (…) è esercitata dal rappresentante degli Stati membri nel Consiglio secondo un sistema di rotazione paritaria, alle condizioni stabilite conformemente all’articolo 236 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea» e con l’eccezione dei Consigli “Affari esteri” e “Difesa” (la cui Presidenza è ricoperta dall’Alto Rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza: artt. 16.9 e 18.3 TUE) e dell’Eurogruppo. E l’art. 236 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) affida al Consiglio europeo la responsabilità di adottare a maggioranza qualificata (come definita dall’art. 238 TFUE per le delibere del Consiglio) decisioni che riguardino la presidenza delle varie formazioni del Consiglio Queste disposizioni trovano un complemento nella Dichiarazione n. 9 allegata ai Trattati di Unione, la quale stabilisce a grandi linee le modalità di esercizio della Presidenza del Consiglio europeo;
  2. quanto al diritto secondario (ovvero le decisioni del Consiglio europeo e del Consiglio in materia): il 1° dicembre 2009 (giorno dell’entrata in vigore dei Trattati di Unione come modificati dal Trattato di Lisbona del 2007) il Consiglio europeo ha adottato la decisione 2009/88/UE, che riprende testualmente il contenuto della Dichiarazione n. 9; nello stesso giorno il Consiglio ha adottato una propria decisione (2009/908/UE) che specifica gli snodi procedurali relativi all’applicazione di quest’ultima. I due atti normativi sono precisati ulteriormente dal regolamento di procedura del Consiglio (decisione del Consiglio 2009/937/UE). Dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, il Consiglio europeo ha modificato l’ordine delle Presidenze semestrali nell’occasione dell’ingresso della Croazia nell’Unione e dell’uscita del Regno Unito da essa (decisione 26 luglio 2016, 2016/1316);
  3. quanto a documenti di soft law: a nuovamente meglio spiegare il funzionamento della Presidenza del Consiglio - se si vuole a conferma della delicatezza della questione, che come si comprende attiene al rispetto della uguale sovranità di ciascuno Stato membro entro l’Unione (art. 4.2 TUE) – sono intervenuti un Commentario dedicato dal Consiglio europeo alle singole norme del regolamento di procedura (file:///C:/Users/dino.rinoldi/Downloads/commento%20del%20regolamento%20 interno%20del%20consiglio-QC0221838ITN.pdf); e un Manuale (in lingua inglese) elaborato dal Consiglio specificamente sulle disposizioni dedicate alla Presidenza (https://www.asktheeu.org/en/request/5942/response/19142/attach/4/PRESIDENCY % 20HANDBOOK.pdf?cookie_passthrough=1).

Il sopraddetto complesso  normativo ha introdotto un sistema di presidenza «”collegiale” per gruppi predeterminati di tre Stati che se ne ripartiscono l’esercizio per 18 mesi» (R. Adam, Art. 236 TFUE, in A. Tizzano (a cura di),  Trattati dell’Unione europea, Milano, 2014, p. 1899)

III. Se l’indomito lettore è riuscito a seguire fin qui il discorso proviamo ad articolare il ragionamento nella sostanza.

III.1. La prima questione attiene all’importanza del tema.

La responsabilità della Presidenza del Consiglio dell’Unione è questione cruciale. Si consideri anzitutto  il ruolo che ha il Consiglio: molto semplificando e riassumendo, esso è co-legislatore con il Parlamento europeo (ma talora legislatore in via esclusiva, secondo un procedimento legislativo speciale e all’unanimità, per esempio nella materia assai delicata relativa al sistema delle risorse proprie: art. 311.3 TFUE); esercita funzioni di definizione delle politiche comuni e di coordinamento (art. 16.1 TUE); governa il buon funzionamento dell’unione economica e monetaria (art. 136 TFUE); definisce e attua, congiuntamente al Consiglio europeo, la politica estera e di sicurezza comune (art. 24 TUE),   ricoprendo tra le altre cose anche responsabilità nei rapporti con enti e istituzioni fuori dall’Unione.

Il Presidente del Consiglio, per i sei mesi in cui è in carica, deve assicurare la continuità, l’ordine, l’efficacia dell’attività del Consiglio stesso, ponendosi in una posizione di neutralità rispetto alle differenti posizioni ivi emergenti (e rispetto agli interessi espressi dai singoli componenti del Consiglio) in funzione di assicurare il conseguimento del risultato comune. Come qualche commentatore ha sottolineato, non è un caso che il sito web della Presidenza Consiglio riporti questa espressione: «The Presidency is like “someone hosting a dinner, making sure their guest all gather in harmony”»; «It is to do as an “honest broker” » (Meijers Committee, Comment on the exercise and order of the Presidency of the Council of the EU, May 2023, p. 1, citando il sito web (www.consilium.europa.eu/en/presidency-council-eu/#group-section-Keys-to-success- rbxWe5qDLK e il Manuale sopra richiamato).

Non solo: il Presidente del Consiglio fa parte di quel “trio” di cui si è detto appena sopra (ma v. anche www.eur-lex.europa.it.eu/It/legal-content/glossary/trio.html), ovvero di una successione semestrale di tre diverse Presidenze stabilita dalla decisione del Consiglio europeo del 1° dicembre 2009, poi modificata con decisione del 2016 (v. il suo Allegato I, «Progetto di tabella delle presidenze del Consiglio» fino al dicembre 2030). Le tre Presidenze hanno assunto la responsabilità nei confronti degli altri Stati membri dell’Unione di governare quest’ultima in coordinamento reciproco, cosicché necessita una robusta unità di intenti per portare a termine il periodo previsto (su ruolo e funzioni del Consiglio e della sua Presidenza si rinvia al solo A. Tizzano (a cura di), op., cit., commenti ai pertinenti articoli dei Trattati).

III.2. Occorre poi considerare la posizione di quegli Stati che si trovassero implicati in situazioni che mettono in discussione il rispetto dei valori sui quali si fonda l’Unione. I valori propugnati come inaggirabili sono le pietre angolari su cui poggia e opera la macchina dell’Unione, e ciò non per un’ “invenzione” stravagante, ma perché questi «valori sono comuni agli Stati membri» (art. 2 TUE).

Sono valori che militano nella direzione di quell’ «unione sempre più stretta tra i popoli dell’Europa» (art. 1.2 TUE) che è creata dai Trattati, ma, ben prima, dalla volontà politica di ciascuno degli Stati membri di darvi vita tramite l’attuazione progressiva dei Trattati stessi.

Sono valori che caratterizzano l’Unione come un’organizzazione internazionale governativa diversa da tutte le altre (Nazioni Unite, FAO, UNESCO, OCSE, Consiglio d’Europa, …) e la orientano in quella direzione di soprannazionalità che, essa sola, è capace di determinare secondo le «limitazioni di sovranità» consentite dall’art. 11 della Carta costituzionale italiana. A questo proposito risulta assai significativo l’intervento del Capo dello Stato Sergio Mattarella: parlando al Corpo diplomatico accreditato in Italia, in occasione della Festa della Repubblica del 2 giugno, egli ha osservato come la partecipazione all’Unione europea sia in grado di potenziare la sovranità nazionale.

Vi è, dunque, la questione generale ed astratta che sembra necessario chiarire: può uno Stato membro che stia violando i valori sui quali si fonda l’Unione presiedere il Consiglio dell’Unione, con quel carico di poteri, doveri e responsabilità che questa funzione comporta? E’ compatibile la sua condizione con il prestigio di cui deve godere il Consiglio tanto entro l’Unione quanto verso l’esterno?  E se sì, è possibile ugualmente proteggere l’integrità del Consiglio e dell’Unione nel suo complesso di fronte a una Presidenza ricoperta da uno Stato che si trovi in siffatta condizione?

A tutte e tre le domande a noi pare di dover rispondere negativamente, anche se in astratto sono state individuate (dal ricordato Meijers Committee) due vie ipotetiche per comporre questa situazione conflittuale conservando l’ordine prestabilito delle Presidenze.

La prima di esse si dovrebbe esaurire con arrangements politici entro il “trio”: i tre Stati membri che lo compongono si dovrebbero accordare per far sì che, quando vengono in rilievo questioni che in qualche modo si ricollegano al rispetto dei valori dell’Unione, fra i quali primeggia quello del rispetto dello Stato di diritto, il Presidente in carica si astenga dall’esercitare le proprie funzioni a vantaggio degli altri due. In verità sembra poco probabile che chi non vuole accogliere i valori fondanti l’Unione accetti di essere estromesso da una funzione così cruciale come quella di ricoprire la Presidenza del Consiglio. E poi occorre considerare che molte altre sono le questioni che, prescindendo dal rilievo dei valori, rivestono importanza per l’Unione, per esempio quelle che riguardano il bilancio, l’allargamento a nuovi Stati membri, la pace e la guerra, l’immigrazione, …. L’elenco sarebbe lunghissimo e qui ce ne asteniamo!

La seconda soluzione consisterebbe nell’investire (da parte dei due Stati membri del “trio”) tutti gli altri Paesi membri del problema determinato dalla partecipazione al “trio” stesso di uno Stato che si trova in condizione di (anche solo rischiare di) violare i principi dello Stato di diritto, mettendo in luce la propria difficoltà politica e giuridica: su quei due Stati ricadrebbe dunque la responsabilità di trovare una soluzione … Ma intanto che la soluzione venga rinvenuta passano i mesi della Presidenza mentre si producono danni gravi nel funzionamento dell’Unione!

Quello stesso Committee individua una terza soluzione, che a noi sembra invece percorribile sul piano giuridico. Essa si traduce nell’adozione da parte del Consiglio europeo di una decisione di modifica di quella ora vigente (2016/1316) relativa alla rotazione delle Presidenze nel tempo. Si tratta di un atto tipico dell’Unione, dunque modificabile secondo le procedure stabilite dai Trattati, ovvero tramite una nuova decisione da adottarsi – ancora una volta come già detto – a maggioranza qualificata dei componenti del Consiglio europeo stesso.

Ci sembra che la modifica dovrebbe consistere nell’introdurre nel testo vigente una condizionalità di portata appunto generale, secondo la quale non può ricoprire le funzioni di Presidente del Consiglio (e comunque far parte del “trio”) lo Stato coinvolto in una delle procedure volte all’accertamento di un rischio grave di violazione dei valori di cui all’art. 2 TUE (art. 7.1 TUE) o di una violazione grave e persistente di questi valori già in essere (art. 7.2 TUE), ovvero coinvolto nella procedura prevista dall’esigenza di proteggere il bilancio dell’Unione a fronte di violazioni che «compromettono o rischiano seriamente di compromettere in modo sufficientemente diretto la sana gestione finanziaria del bilancio dell’Unione o la tutela degli interessi finanziari dell’Unione» in uno Stato membro (art. 4 regolamento UE 2020/2092). Lo Stato implicato in esse verrebbe sospeso dalle funzioni di Presidente per esservi reintegrato quando si chiudano positivamente; e l’ordine di “ingresso” degli Stati nel “trio” dovrebbe essere alterato, richiamando in quest’ultimo il primo Paese membro del “trio” successivo.

III.3. Veniamo all’attualità e all’urgenza di fronte alla quale ci hanno messo i quattro Consigli nazionali del Movimento Europeo Internazionale, la lettera di Emma Bonino, il paper di Virgilio Dastoli ed Emilio De Capitani e ben due risoluzioni del Parlamento europeo (quelle del 18 gennaio e del 24 aprile 2024, rispettivamente punti 8 e 1, 4 e 5).

La prima di queste risoluzioni si interroga (pleonasticamente?) sul «se l’Ungheria sarà in grado di adempiere in modo credibile a tale compito (…) [quello della Presidenza] in considerazione della sua inosservanza del diritto dell’UE, dei valori sanciti dall’articolo 2 TUE e del principio di leale cooperazione (…)».

La seconda risoluzione del Parlamento europeo «esprime sgomento per la violazione persistente, sistematica e deliberata della democrazia, dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali in Ungheria, di cui il governo ungherese è responsabile»; «sottolinea che il Consiglio condivide la responsabilità di tutelare i valori sanciti dall'articolo 2 TUE e che la mancata protezione di tali valori avrebbe conseguenze durature e potenzialmente dannose»; « evidenzia l'importante ruolo della Presidenza del Consiglio nel portare avanti i lavori del Consiglio sulla legislazione dell'UE, garantendo la continuità dell'agenda dell'UE e rappresentando il Consiglio nelle relazioni con le altre istituzioni dell'UE; ribadisce la propria preoccupazione circa il fatto che il governo ungherese non sarà in grado di adempiere in modo credibile a tale compito nel 2024, in considerazione della sua inosservanza del diritto dell'UE, dei valori sanciti dall'articolo 2 TUE e del principio di leale cooperazione; deplora il fatto che il Consiglio non abbia ancora trovato una soluzione a tale problema e che i rappresentanti del governo ungherese presiederanno le riunioni del Consiglio in materia di democrazia, Stato di diritto e diritti fondamentali, comprese le riunioni relative alla tutela degli interessi finanziari e del bilancio dell'UE; sottolinea che tale sfida giunge nel momento cruciale delle elezioni europee e della formazione della Commissione; si rammarica per l'incapacità di trovare una soluzione e ribadisce la propria disponibilità ad adottare le misure necessarie per difendere la credibilità dell'Unione rispetto ai valori sanciti dall'articolo 2 TUE per quanto riguarda la cooperazione con il Consiglio». Abbiamo voluto riprodurre l’intero lungo pezzo della risoluzione perché ciascun punto sembra rilevante ai fini del ragionamento che si va svolgendo.

La questione concreta e attuale da considerare è, dunque, quella della condizione dell’Ungheria a fronte dei ripetuti accertamenti di violazione dei valori di cui all’art. 2 TUE.

Perché certamente di questo si tratta, come ci raccontano le tante valutazioni giuridiche intervenute nei confronti questo Stato membro: ci si riferisce ai Reports 2022 e 2023 della Commissione sullo Stato di diritto; alle menzionate risoluzioni del Parlamento europeo; alle prese di posizione del Consiglio (anche in materia di erogazione di risorse finanziarie europee), che si accodano all’apertura di una procedura di cui all’art. 7 TUE (avviata a seguito della proposta del PE con risoluzione 12 settembre 2018); alla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea che, direttamente o indirettamente, ha confermato problemi ungheresi sul fronte dei rispetto dei valori dell’Unione (16 novembre 2012, C-821/19; 17 dicembre 2020,  C-808/18;  3 giugno 2021, C-650/18; 16 febbraio 2022, C- 156/21; da ultimo si veda la sentenza 13 giugno 2024, C- 123/22, che ha accertato il non adempimento della propria sentenza in casa C-808/18 e ha  condannato l’Ungheria a corrispondere all’Unione una somma forfettaria di duecento milioni di euro e una penalità di 1 milione per ogni giorno di ritardo nell’adempiere alle norme violate in materia di asilo).

All’Ungheria si contestano principalmente gravi carenze del sistema giudiziario, dell’azione di contrasto alla corruzione, della disciplina in materia di conflitti di interesse; ripetute violazioni della libertà di espressione dei media; la compressione delle libertà che dovrebbero essere riconosciute alla società civile; i rischi cui sono soggetti gli interessi finanziari dell’Unione; il mancato rispetto dei principi del mercato interno.

A chi scrive sembra, dunque, che non sia possibile all’Ungheria farsi carico, a partire dal 1° luglio di quest’anno, della Presidenza dell’Unione, e che questo Paese membro non possa nemmeno continuare a far parte del “trio” delle Presidenze: ciò fino a quando la situazione di violazione dei valori dell’Unione permanga, con una prassi e con normative che continuano a pretermetterli per privilegiare scelte ed esigenze orientate da propri interessi nazionali, oltretutto dichiarando di voler continuare ad essere una «democrazia illiberale» (https://www.eunews.it/ 2014/07/30/orban-in-ungheria-costruiro-uno-stato-illiberale-e-leuropa-non-ha-niente-da-dire/; https://www.limesonline.com/rubriche/il-mondo-oggi/democrazia-cristiana-e-illiberale-il-piano-di-orban-per-l-europa-14684252/; https://www.repubblica.it/politica/2023/09/15/news/_modello_orban_democrazia_ illiberale_ giustizia_media-414526218/).

IV. Dunque: che fare?

Occorre che le istituzioni europee massimamente implicate nella questione “battano un colpo”; per così dire ben forte e molto presto.

Anzitutto il Parlamento europeo, ancorché la Legislatura sia terminata, dovrebbe confermare attraverso la propria attuale Presidenza l’importanza delle questioni poste dalle due risoluzioni di quest’anno. Potrebbe addirittura decidere di riunirsi in sessione straordinaria mettendo questo tema all’ordine del giorno.

In seconda battuta dovrebbe essere il Consiglio europeo, in quanto titolare della potestà decisionale in materia di Presidenza del Consiglio, a porre il problema a se stesso e alle altre istituzioni. Non è per questo significativa dal data del 17 giugno, stabilita per l’incontro dei suoi componenti in sede di cosiddetta “riunione informale” dei Capi di Stato e di Governo dei Paesi membri. Come Consiglio europeo propriamente detto essi si rivedranno soltanto il 27-28 giugno … a due-tre giorni dalla presa in carico da parte dell’Ungheria delle funzioni di Presidente del Consiglio!

Prima – il 18 giugno – cade la riunione del Consiglio “Affari generali” che, ai sensi dell’art. 16.6, 2° comma, TUE, «prepara le riunioni del Consiglio europeo» contribuendo anche a redigere l’ordine del giorno dei suoi lavori. Se questa istituzione si esprimesse, proponendo la questione come oggetto di trattazione da parte del Consiglio europeo di fine giugno, sarebbe forse ancora possibile che i componenti di quest’ultima istituzione – magari spinti da una pressione forte dell’opinione pubblica che ad oggi si è piuttosto disinteressata al tema – avvertano l’urgenza di affrontare questo nodo, che non è di natura procedurale (come lo sono state le altre modifiche apportate dal Consiglio europeo nel 2016) bensì squisitamente politica, e si autoconvocasse appunto in urgenza. Spetterebbe alla Presidenza belga l’iniziativa, ma vi potrebbero concorrere Spagna, Polonia e Francia, i cui Governi al momento sembrano abbastanza sensibili alle esigenze di una maggiore integrazione europea e i cui Consigli nazionali del Movimento Europeo si sono mobilitati per la sospensione dell’Ungheria dalle funzioni di Presidente del Consiglio.

Certo, se il Consiglio europeo si determinasse ad adottare siffatta decisione, occorrerebbe anche richiamare la Polonia nel “trio” attualmente in corso: una diversa soluzione – come quella di far duplicare all’attuale Presidenza belga il proprio mandato – non sembra rigorosa alla luce dell’esigenza che sia rispettata la eguale sovranità di ciascuno degli Stati membri (art. 4.2 TUE), dato l’alto ruolo politico della Presidenza stessa.

Ancora una volta il diritto offre una soluzione chiara, lineare e percorribile.

E’ la volontà politica degli Stati - almeno di quelli che avvertono i pericoli per il processo di integrazione europea insiti nell’attuale situazione tanto internazionale che interna all’Unione – che dovrebbe farsi carico di mettere sul tappeto una situazione e giungere a un chiarimento: vogliamo prendere sul serio i valori sui quali si fonda l’Unione, o crediamo che essi possano essere trattati al pari di un intervento cosmetico?

di Nicoletta Parisi e Dino G. Rinoldi

 

 

 

 

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