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Il futuro del modello sociale europeo tra applicazione del Social Pillar e revisione dei Trattati (*)

Introduzione rivista ed aggiornata al Webinar organizzato l’8.4.2024 dalla Labour Law Community, dal  Movimento europeo- Italia e da  Europe Direct Chieti

   1.  Dalla Conferenza sul futuro dell’Unione alla richiesta di revisione dei Trattati del Parlamento europeo. In questa introduzione mi concentrerò nella ricostruzione del Progetto del Parlamento europeo di revisione dei Trattati, che ha attivato formalmente la procedura prevista all’art. 48 TUE con la conseguente richiesta al Consiglio europeo di convocare una Convenzione, con la Risoluzione del 22.11.2023, approvata  con una risicata maggioranza di 291 voti a favore e 271 contrari ed oltre 100 tra assenti ed  astenuti (i “si” sono stati circa il 40% degli aventi diritto).

 Si può però comprendere questo “ azzardato”  voto del PE solo se lo si ricollega al tentativo di investire il  consenso e l’indubbia efficacia delle politiche promosse dalla cosidetta “maggioranza Ursula” nella prima parte della legislatura in corso  (dallo Sure al Recovery Plan , dai provvedimenti del digital compass  a quelli di  attuazione del Social Pillar)  in una riforma organica delle regole di funzionamento dell’Unione, capace di renderla una più solida e stabile costellazione politica a carattere sovranazionale rispondente più univocamente a principi di natura costituzionale  consolidati su base continentale (non voglia usare il termine “federale” perché potrebbe ingenerare qualche equivoco non essendo ancora molto chiaro quale, tra i tanti modelli di stato federale oggi conosciuti,  sia pertinente per il futuro dell’Unione).  Insomma si è pensato con la decisione di aprire ufficialmente il cantiere delle riforme costituzionali dopo ben 17 anni dalla stipula del Lisbon Treaty  e di poter  capitalizzare il cosidetto hamiltonian moment, la straordinaria capacità dimostrata dal sistema europeo di saper superare le politiche di austerity mettendo in campo strumenti di intervento solidaristici ed innovativi a protezione e nell’interesse di tutti i cittadini dell’Unione per far fronte alle sfide della crisi pandemica. Si intendeva (almeno nelle dichiarazioni ufficiali) quindi rendere più democratiche e più trasparenti le politiche decisionali dell’Unione  ed al tempo stesso rafforzare (rendendoli egemonici) gli elementi ordinamentali di natura sovranazionale rispetto a quelli di matrice intergovernativa in una direzione ispirata dal Manifesto di Ventotene ([1]) e dal migliore costituzionalismo europeo di archiviazione della “sovranità assoluta” degli stati nazionali che oggi continua ad esprimersi nella regola dell’ unanimità  in moltissime decisioni a carattere strategico.

Come si accennava ha giocato senz’altro a consigliare il tentativo  del PE di determinare una  “svolta” istituzionale pro-europe il varo di un Piano organico  di attuazione del Pilastro Sociale ed i primi spettacoli atti legislativi collegati al Pillar dalla direttiva sul salario minimo a quelle sulla trasparenza dei rapporti di lavoro e,ancor prima, la nuova direttiva sui distacchi, anche “a catena”  (che ha posto fine alla cosidetta Laval querelle sul principio di parità tra lavoratori distaccati e lavoratori del paese ospitante).

 Una prova di forza del PE per uscire dai meccanismi intergovernativi rafforzando gli organi sovranazionali insieme all’efficienza decisionale dell’Unione.  

L’occasione (o il pretesto) è stata proprio la conclusione, dopo un anno di lavori, il 9 maggio2022 della Conferenza sul futuro dell’Unione (CoFoe), voluta soprattutto dal Presidente Macron per consolidare il rilancio del progetto europeo svoltasi con una certa indolenza nel primo periodo di attività ma poi molto effervescente sul finale dei lavori anche sotto il profilo della partecipazione attraverso l’innovativa piattaforma (si stimano in circa 700.000 i momenti individuali i di collaborazione). La CoFoe concludeva i suoi lavori con 49 proposte generali ed oltre 315 misure concrete. Proposte e misure  in molti casi piuttosto atecniche e  generiche ([2]) ma che comunque alludevano univocamente ad un’Unione più forte, meno legata agli interessi nazionali, capace di decidere e di strutturare una rete di protezione e tutele efficaci e determinanti per il benessere dei cittadini europei , sulla base di un rafforzamento della democrazia partecipativa nell’Unione e di valorizzazione del ruolo e della capacità direttrice degli organi non a carattere intergovernativo, in particolare del Parlamento.

Il giorno dopo l’allora Presidente del PE David Sassoli presentava queste conclusioni come una forte richiesta implicita di modifica dei Trattati perché molte delle misure risultavano incompatibili con la loro formulazione;  alcuni leader europei come Macron e Schultz, e con qualche timidezza Draghi, accennavano a questa necessità, cosi come in alcuni discorsi la stessa Presidente  della CE (con particolare riferimento alla fine dell’unanimità come criterio di voto per il Consiglio in alcuni settori).

Si apriva quindi una sorta di polemica istituzionale: il Consiglio dichiarava che il 95% delle proposte della CoFoe potevano essere realizzate senza cambiare il Trattato di Lisbona; la Commissione opportunisticamente precisava che si poteva iniziare con il recepire quelle misure compatibili con i Trattati ma senza escludere cambiamenti costituzionali  mentre il Parlamento tirava dritto.

IL PE con due risoluzioni chiedeva di attivare la procedura ordinaria di modifica dei Trattati ex art. 48.3 TUE nominando una Convenzione; una prima risoluzione più equivoca e sintetica sembrava incentrarsi sulla fine del diritto di veto in politica estera; una seconda invece investiva un po’ tutti gli aspetti dell’architettura istituzionale UE, anche sul punto delle competenze, dando mandato alla Commissione affari costituzionali (AFCO) di articolare un progetto organico di modifiche poi da sottoporre al plenum. Quest’ultima risoluzione è rimasta nei cassetti dell’AFCO, salvo la nomina di sei relatori dei maggiori partiti europei coordinati dal liberale  Guy Verhofstadt, che non ha mai richiesto in un arco di tempo di oltre un anno pareri di giuristi o di altri attori istituzionali  dello scenario UE, almeno ufficialmente. In ogni caso a settembre 2023 veniva annunciato un accordo di 5 relatori su sei (verdi, liberali, left, socialdemocratici e popolari)  su di un progetto che escludeva il sesto partito ECR (di cui fa parte Fratelli d’Italia) che pur avevano un relatore.  Il 22.11.2023 il progetto è stato votato con emendamenti peggiorativi cui accenneremo ma l’accordo prima stipulato è sembrato traballare perché, ad esempio,  al voto del plenum, nella Left su 26 membri 20  hanno votato contro, 20  socialdemocratici hanno fatto lo stesso, così molte decine di  contrari  ed astenuti  sono emersi nelle fila del PPE. La maggioranza, vista l’importanza della decisione, appare molto risicata e non sussiste rispetto agli aventi diritto. A ciò si deve aggiungere che su aspetti qualificanti le proposte dell’AFCO non sono passate.

             2. Le proposte di modifica dei Trattati

In estrema sintesi le proposte di modifica sono numerose decine e riguardano entrambi i Trattati (TUE e TFUE)  e si possono riassumere  così:

  1. Per quanto riguarda le competenze l’UE acquisirebbe la competenza esclusiva sugli accordi internazionali sulla lotta ai cambiamenti climatici; la politica estera e di sicurezza comune diventerebbero competenze concorrenti, con salute, industria ed educazione.
  2. Per i sistemi di voto il PE diventerebbe codecisore in questioni chiave come politica estera e di difesa, la cooperazione penale ed il coordinamento delle politiche economiche e sociali degli stati membri, i negoziati internazionali e l’approvazione del  quadro finanziario pluriennale.
  3. Il Consiglio per regola generale dovrebbe esprimersi a maggioranza qualificata, in certi casi semplice o a maggioranza qualificata rafforzata. Anche se non rappresenterebbe la fine del potere di veto (che rimarrebbe su alcune decisioni) vi sarebbe un notevole indebolimento del suo ambito  di applicazione ed un’allusione vigorosa ad un modello bicamerale tra PE e Consiglio.
  4. Sulla nomina della Commissione si invertirebbe l’attuale procedura per cui il Presidente verrebbe indicato dal Parlamento e dopo il Consiglio dovrebbe votarlo a maggioranza semplice. I candidati sarebbero scelti dal Presidente e quindi eletti dal PE e successivamente ratificati in blocco dal Consiglio europeo. Il Presidente della CE (chiamato ora dell’ “Esecutivo”) guiderebbe i Consigli europei. Una modifica importantissima riguarderebbe l’attribuzione al PE del diritto di iniziativa legislativa e di poter richiedere alla Corte di giustizia di attivare la procedura di infrazione per gli stati membri che violano il diritto dell’ Unione.
  5. Circa la protezione dei valori si tornerebbe al cosidetto “ Trattato Spinelli”, votato dal PE nel 1984 delegando la Corte di giustizia alla valutazione delle violazioni dei valori di cui all’art. 2 TUE; per le sanzioni (anche di sospensione dai fondi strutturali) si potrebbe decidere a maggioranza qualificata.
  6. Sul fronte sociale, il Social Pillar e la Carta di Nizza diventerebbero rilevanti nella sorveglianza macroeconomica e sarebbero inseriti nell’art. 151 TFUE di orientamento generale del capitolo sociale dell’Unione; in tutti le ipotesi previste dall’art.  153 per l’approvazione dei minimi di trattamento si potrebbe deliberare secondo la procedura ordinaria; si aggiungerebbe  alle ipotesi di regolazione già operanti  le “giuste transizioni” e l’ “anticipazione del cambiamento” nonché il “sostegno all’ edilizia  popolare” (153) . Si precisa infine  che le misure adottate ex art. 153 non possano costituire una valida ragione per diminuire il livello di protezione dei lavoratori negli stati membri. La modifica davvero significativa è quella di un Protocollo sociale annesso all’art. 9 TFUE che determini i modi di contemperamento tra protezione dei fundamental social rights e le politiche dell’Unione di cui peraltro si era parlato nel vertice di Porto del 2022. All’art. 151 si propone che “ specifiche previsioni sulla definizione ed implementazione del progresso sociale e delle relazioni tra diritti sociali fondamentali e altre politiche dell’Unione saranno definite in un Protocollo di Progresso sociale nell’UE annesso ai Trattati”.

Tra gli emendamenti ai Trattati  dell’AFCO che il plenum non ha confermato, che mortifica e non di poco il progetto complessivo, è la revisione  dell’art. 311 TFUE che prevede l’unanimità in caso di modifica del quadro delle risorse proprie nel bilancio UE  che continuerebbe ad ostacolare l’adozione di nuovo debito comune  e soprattutto la definizione di nuove entrate stabili per il bilancio comune (premessa anche per i cosidetti eurobond), così come è sparita l’idea di referendum paneuropei. Incredibilmente si è mantenuto  il tabù per le azioni legislative sociali dell’Unione fissato al 153.5 (sciopero, retribuzioni e rappresentanza) la cui cancellazione non è stata prevista neppure dall’AFCO ([3]).

La richiesta PE è stata  comunque quella della nomina di una Convenzione scartando altre ipotesi per cambiare le regole UE previste al  comma   6  del comma 7 dell’art. 48, che potrebbero avere operatività nel settore sociale e per la governance economica ma non al di fuori di questi settori e che  non consentono l’introduzione di nuove competenze. Neppure si è considerata la possibilità che vi siano “adeguamenti “ ai Trattati in sede di allargamento a paesi terzi ex art. 49 TUE  che, però, potrebbe essere chiamata in gioco quanto l’allargamento diventerà operativo con i Trattati di adesione.

Su richiesta della Presidenza spagnola il Consiglio, come previsto dalla procedura dell’art. 48, ha trasmesso al Consiglio europeo l’insieme di modifiche suggerite e quest’ultimo dovrà deliberare se nominare o meno una Convenzione a maggioranza semplice; il Consiglio europeo  ha reso pubblica la sua intenzione di non decidere prima delle elezioni ma dopo il 9 giugno,  presumibilmente alla riunione prevista a fine Giugno ( l’art. 48 non stabilisce tempi di decisione per i quali dovrebbe valere solo il principio di leale collaborazione). Poco prima del voto del 22.11.2022  13 paesi hanno sottoscritto  un non paper nel quale concordavano sull’inopportunità di cambiare i Trattati e sulla possibilità di concretizzare le proposte CoFoe a Trattati immutati, eventualmente  attivando le “clausole passarella” per passare a sistemi di voto a maggioranza di voto ma senza dare corso ad una riforma organica. In un drammatico incontro di pochi giorni fa tra i membri dell’AFCO e la vice presidente della CE (che pur aveva caldeggiato  l’ipotesi di una riforma complessiva della trama dei Trattati ) quest’ultima  ha dichiarato che non sussistono in questa fase le condizioni di una riforma  del genere perché si stima che la maggioranza degli stati membri sia contraria ( pare 19 o 20  stati su 27). Nel documento del 20 marzo del 2024 della CE  “on the enlargement reforms and policy reviews” ([4]) si afferma espressamente che “ while the Commissione has indicated its support to treaty change “if and where it is needed” it belivies that the EU’s governance can be swiftly improbe by using to the full the potential of the current Treaties”; insomma la CE non spingerà per cambiare i Trattati e ritiene questa prospettiva oggi  piuttosto  irrealistica.   

          3. Verso una “fase” costituente? Il progetto del PE nel suo complesso manca forse nell’insieme di un’ispirazione e di una chiara visione dell’avvenire (i grandi costituzionalisti europei non sono, e questo si vede, intervenuti) ma realizzarebbe conquiste di notevole rilievo in  termini di trasparenza, efficacia e razionalità delle politiche UE, passi in avanti (soprattutto nella tutela dei valori dell’Unione e nei poteri di iniziativa del PE) nell’approfondimento (deepining) del processo di integrazione ed anche di  strutturazione ulteriore del capitolo sociale dell’Unione rafforzando nella governance macroeconomica l’attenzione ai parametri sociali ([5]). Non è detto però che si possa con questa proposta ex se superare verso una maggiore integrazione l’equilibrio tra elementi intergovernamentali e elementi sovranazionali dell’ordinamento UE sin qui raggiunto (l’”ermafrodito” di  Giuliano Amato) soprattutto perché il progetto  non disciplina il ruolo, spesso prater legem ,del Consiglio europeo di decisore nei fatti di ogni  questione di qualche rilevanza e comunque di tutte quelle a carattere di straordinarietà, nonostante i Trattati gli assegnino solo compiti di elaborazione delle grandi strategie  di lungo periodo dell’UE. Sul punto cruciale delle risorse proprie dell’Unione e della possibilità di costruire un debito pubblico paneuropeo, peraltro, la proposta nulla aggiunge allo status quo. Ma in ogni caso non vi sono opportunità concrete per procedere in avanti lungo la direzione indicata dal PE perché i governi sono a larga (forse addirittura larghissima) maggioranza contrari. Il Testo del 22.11 comunque dovrebbe rappresentare il minimo comun denominatore di ogni riforma futura, allorché ve ne siano le condizioni, soprattutto politiche. Giuridicamente  è persino incerto che il progetto non sia destinato a decadere con la legislatura come gli atti non definitivi del PE, anche si potrebbe considerare come un atto anche del Consiglio che lo ha trasmesso al Consiglio europeo come prevede l’art 48 TUE.

La proposta del Movimento Europeo-Italia ([6]) è quella del varo di una legislatura costituente (incentrata sul nominando PE) che allarghi l confronto tra Parlamento UE e Parlamenti nazionali, in un dialogo stretto con la società civile, le parti sociali, i partiti, gli enti di ricerca, il mondo degli esperti del diritto ([7] )sulle riforme da realizzare sul modello perseguito nel 1984 per definire il “progetto Spinelli” approvato dal PE nel 1984. Le ipotesi di riforma alla fine di questa complessa fase potrebbero essere convalidate da un’Assise sovranazionale che riunisca davvero la sfera pubblica continentale e consacrate da qualche forma di consultazione referendaria, in modo da non cadere da subito (prima ancora che si sia fortificato un disegno davvero riformatore) negli ingranaggi mortificanti l’innovazione istituzionale dell’art. 48 TUE che riserva comunque alla conferenza intergovernativa la parola decisiva. Ma mentre si cerca di far decollare il dibattito sulle “regole” coinvolgendo il più possibile i cittadini e le loro associazioni occorrerebbe con determinazione proseguire nelle politiche strategiche dell’Unione della transizione digitale, sostenibilità ambientale e sociale anche al di là dell’implementazione del Recovery (i cui effetti termineranno nel 2026) cercando di conferire una qualche continuità alle policies di questi anni. Il Manifesto redatto negli ambienti dell’Istituto universitario europeo alla fine del 2023 ([8]) ha generato un imponente dibattito sui beni pubblici europei , fiscalità comune e debito condiviso, che ha avuto risonanza anche nel Report per la CE di Enrico Letta sul mercato unico ([9]) ed anche nell’anticipazione che Mario Draghi ha fatto del suo Report (previsto per Luglio) il 17 aprile in Belgio sulla competitività economica dell’Unione. Si tratta di una prospettiva sulla quale attualmente c’è un rifiuto energico della Germania e dei paesi più ortodossi “ frugali” che però - dopo le elezioni- potrebbe allentarsi di fronte all’evidenza che senza investimenti massicci nell’innovazione tecnologica e nei settori connessi come educazione, formazione, inclusione sociale, che trascendono la portata dei singoli stati, per l’Europa non residua alcuna possibilità di attuare il proprio modello di sviluppo e di affrontare le sfide globali che non possono essere vinte solo con la risorsa, in cui l’Unione eccelle, della legislazione garantista e protettiva dei diritti fondamentali. Questo piano può forse essere lo spill over perché la questione delle “regole” costituzionali dei Trattati possano davvero entrare in agenda vincendo le resistenze nazionali . In tanti dibattiti, anche di questi giorni, i firmatari del Manifesto come Giuliano Amato hanno ribadito che le questioni fiscali e le risorse attribuite centralmente agli stati sono state spesso la leva delle trasformazioni federali o del rafforzamento del potere federale , come in USA con il New Deal. La dinamica di sviluppo dell’Unione sembra essere stata già spinta in una sorta di contraddizione performativa; il Recovery ha indotto tutti gli stati ad attivare quelle politiche strategiche dell’Unione (digital, green and social) che sono le condizioni per ottenere gli aiuti, ma gli stati da soli non sembrano poter portare a pieno compimento queste politiche, per giunta dopo l’entrata in vigore del nuovo Patto di stabilità, perché non vi saranno i margini economici per farlo. Si tratta di beni pubblici europei per i quali il convergente conseguimento degli obiettivi è insostituibile. Una pressione per la riforma dei Trattati proviene obiettivamente anche dal dossieur dell’allargamento: il PE con la risoluzione del 29 febbraio ([10]) e la CE con la comunicazione del 20 marzo già ricordata hanno già chiesto recentemente che deepining e enlarging vadano insieme; la CE ha prospettato che l’allargamento possa essere il catalizzatore di profonde riforme tra le quali potrebbe rientrare anche il sistema decisionale sovranazionale che certamente non può tollerare ancora il criterio dell’unanimità su 36 stati membri o una Commissione a 36 componenti.

Una legislatura costituente del nuovo Parlamento europeo si potrebbe sviluppare combinando temi costituzionali con urgenze di straordinario rilievo anche materiale per il benessere e la protezione dei cittadini del vecchio continente che difficilmente sembrano gestibili con le regole di 17 anni orsono, introdotte dopo la catastrofe referendaria del 2005.    

Giuseppe Bronzini

Segretario generale Movimento europeo

         

(*) pubblicato il 9 maggio 2024 sul sito di Labour Law Community

 

[1] Il Manifesto di Ventotene viene richiamato nelle premesse della Risoluzione del PE come se fosse una fonte di diritto o un Testo di natura istituzionale

[2] Si veda ad esempio le proposte CoFoe sui  mercati del lavoro “Proponiamo di migliorare il funzionamento dei mercati del lavoro in modo da garantire condizioni di lavoro più eque e promuovere la parità di genere e l’occupazione, ivi compreso quella dei giovani e dei gruppi vulnerabili. L’Unione, gli Stati membri e le parti sociali devono adoperarsi per porre fine alla povertà lavorativa, affrontare i diritti dei lavoratori delle piattaforme, vietare i tirocini non retribuiti e garantire una mobilità equa dei lavoratori nell’Unione. Dobbiamo promuovere il dialogo sociale e la contrattazione collettiva. Dobbiamo garantire la piena attuazione del pilastro europeo dei diritti sociali, compresi i suoi obiettivi principali pertinenti per il 2030, a livello dell’Unione e a livello nazionale, regionale e locale in materia di “pari opportunità e accesso al mercato del lavoro” e di “condizioni di lavoro eque”, nel rispetto delle competenze e dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità, nonché includere nei trattati un protocollo sul progresso sociale” al tracciamento del miglioramento del tenore di vita….” 

[3] Cfr. L. Lionello Il Parlamento europeo apre la procedura di riforma dei trattati: il significato del voto e le priorità per l’Europa, in  I quaderni federalisti, 2023; Perché abbiamo bisogno di una Convenzione per modificare i Trattati, Memorandum MFE in l’Unità europea Gennaio-febbraio 2024  

[4] COM (2024) 146 final

[5] Che oggi può contare dall’Ottobre del 2023 del Social Convergence Mechanism  che obbliga la Commissione nel quadro della valutazione dei piani di riforma nazionali nel semestre europeo a porre la sua attenzione su alcuni parametri di attuazione del Pilastro sociale come li numero dei poveri, dei disoccupati, degli abbandoni scolastici etc. da parte degli stati membri, anche se non è chiaro con quali, eventuali, poteri di intervento e di sanzione.  

[6] PV Dastoli Insieme dal 9 giugno per una costituente europea, in newsletter Movimento Europeo-Italia

[7] A cominciare dalle scuole costituzionali in gran parte oggi arroccate su posizioni agnostiche: cfr. a cura di G. Martinico, L. Piedominici Miserie del sovranismo giuridico. Il valore aggiunto del costituzionalismo europeo, Roma 2023   

[8] The European Union at the Time of the New Cold War. A Manifesto - Il Sole 24 ORE); sulla linea dei beni pubblici europei cfr. il Libro Verde del Movimento europeo-Italia Scriviamo insieme il futuro dell’Europa, Editoriale Scientifica, 2024; M. Buti, M. Messori Europa. Evitare il declino economico europeo. Glossario per un apolitica economica europea. Ed, Il sole 24ore 2024  

[9]  E. Letta, Much more than a market Much more than a market.pdf

[10]  Dal titolo “ Approfondire l’integrazione dell’UE in vista dell’allargamento” P9_TA (2024) 0120

 

 

 

 

 

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VIKTOR ORBAN NON DEVE PRESIEDERE IL CONSIGLIO DELL’UNIONE EUROPEA

Sulla base del calendario delle presidenze del Consiglio dell’Unione europea, il governo ungherese dell’autocrate Viktor Orban dovrebbe presiedere le riunioni intergovernative – con l’eccezione del Consiglio europeo, del Consiglio dei ministri degli affari esteri, del Consiglio dei ministri della difesa e dell’Eurogruppo – dal 1° luglio al 31 dicembre 2024 sulla base del programma del cosiddetto “trio” composto attualmente dai governi spagnolo, belga e ungherese.

Noi siamo convinti che il governo ungherese – che si è autodefinito una “democrazia illiberale” – non deve presiedere le strutture intergovernative dell’Unione europea, ve ne spieghiamo qui di seguito le ragioni e lanciamo un appello urgente a chi può influire e a chi ha il potere di decidere affinché questo attentato ai valori comuni europei non avvenga.

Come sappiamo, sia il governo spagnolo che quello belga non hanno svolto un ruolo attivo nell’apertura del cantiere della riforma dell’Unione europea avendo il primo deciso di scavallare il Consiglio europeo di metà dicembre nonostante il rapporto votato dal Parlamento europeo il 22 novembre sulla revisione del Trattato di Lisbona ed avendo il secondo evitato di mettere al centro delle riunioni intergovernative il tema del futuro dell’Europa pur avendo il compito di cooperare con il Presidente del Consiglio europeo al fine di assicurare la preparazione e la continuità dei lavori dei Capi di Stato e di governo attraverso il Consiglio affari generali e cioè i ministri degli affari europei.

Per quel che si sa l’Agenda strategica 2024-2029, che dovrebbe essere adottata in solitudine dal Consiglio europeo a fine giugno, non conterrà sul futuro dell’Europa nulla di più delle vaghe affermazioni adottate dai Capi di Stato e di governo a Granada nello scorso ottobre dove l’accento fu messo sulle politiche (policies) ma non sul loro governo democratico (politics) perché – secondo quel che ha preannunciato Mario Draghi nel Summit sociale di La Hulpe – “non possiamo permetterci il lusso di attendere la riforma dei trattati per proseguire il cammino dell’integrazione europea”.

Del resto, il Presidente francese Emmanuel Macron – all’origine dell’idea di una inedita Conferenza sul futuro dell’Europa che avrebbe dovuto applicare il metodo della democrazia deliberativa – non ha speso nemmeno una parola nel suo lunghissimo e recente discorso alla Sorbona sul tema della riforma dell’Unione europea.

Dal 1° luglio Viktor Orban e i suoi dodici ministri (fra cui una sola donna!) dovrebbero coordinare l’azione dei ventisette governi europei nei consigli specializzati - e cioè i Consigli Affari Generali, Ecofin ad eccezione dell’Eurogruppo; Giustizia e Affari Interni (e cioè i “ministri di polizia” che dovrebbero governare le politiche migratorie); Occupazione, Politica Sociale Salute e Consumatori;  Competitività (mercato interno, industria e ricerca); Trasporti, Comunicazioni e Energia; Agricoltura e Pesca, Ambiente; Educazione, Gioventù e Cultura - nelle riunioni degli ambasciatori, nei numerosi comitati che si fanno carico delle funzioni di controllo e di decisione delle burocrazie nazionali (sapendo che è lì che risiede il peso burocratico nell’Unione europea e non nella funzione pubblica europea) e nelle riunioni informali che “arricchiscono” ogni presidenza semestrale cooperando con il Presidente del Consiglio europeo nella preparazione e nella continuità dei lavori dei Capi di Stato e di governo.

Il Consiglio dell’Unione condivide poi con il Parlamento europeo il potere legislativo e di bilancio (v. articoli 14.1 e 16.1 TUE) ed è tenuto nell’esercizio di queste funzioni a promuovere il rispetto dei valori fondativi dell’Unione europea.

L’Ungheria è non solo da anni sotto procedura di sorveglianza (art.7.1 TUE) ad iniziativa del Parlamento europeo per l’esistenza di un rischio chiaro di violazione grave dei valori comuni ma è ugualmente oggetto della procedura di condizionalità di bilancio intesa a proteggere il rispetto dei diritti e valori fondamentali UE.

A ragione quindi il 24 Aprile scorso e a grande maggioranza il Parlamento europeo ha dichiarato “..la propria preoccupazione circa il fatto che il governo ungherese non sarà in grado di adempiere in modo credibile a tale compito (la presidenza del Consiglio dell’Unione, n.d.r.) nel 2024, in considerazione della sua inosservanza del diritto dell'Unione europea dei valori sanciti dall'articolo 2 TUE e del principio di leale cooperazione; deplora il fatto che il Consiglio non abbia ancora trovato una soluzione a tale problema e che i rappresentanti del governo ungherese presiederanno le riunioni del Consiglio in materia di democrazia, Stato di diritto e diritti fondamentali, comprese le riunioni relative alla tutela degli interessi finanziari e del bilancio dell'UE; sottolinea che tale sfida giunge nel momento cruciale delle elezioni europee e della formazione della Commissione; si rammarica per l'incapacità di trovare una soluzione e ribadisce la propria disponibilità ad adottare le misure necessarie per difendere la credibilità dell'Unione rispetto ai valori sanciti dall'articolo 2 TUE per quanto riguarda la cooperazione con il Consiglio;”[1]

In questa prospettiva, la Presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola dovrebbe comunicare il testo dell’Assemblea al Consiglio Europeo in occasione della sua riunione del 17 e 18 giugno chiedendo che esso modifichi a maggioranza qualificata la propria decisione del 2009[2] chiarendo che, nell’interesse del buon funzionamento dell’Unione europea e del principio di cooperazione leale (art.4.2 TEU), la Presidenza del Consiglio dell’Unione non possa essere assunta da paesi per i quali sia pendente una procedura art.7.1 TUE e/o che siano soggetti alla condizionalità di bilancio.

Rivolgiamo ugualmente questo appello al Presidente della Corte di Giustizia Koen Lenaerts che, in più occasioni, ha dichiarato che la promozione dei valori fondativi fa parte dell’identità costituzionale dell’Unione europea e al Presidente del Consiglio europeo Charles Michel oltre che alla Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e al Primo Ministro Belga Alexander De Croo che preparano le risoluzioni del Consiglio Europeo.

Il Consiglio europeo non può consentire ad uno Stato membro che sfida giornalmente il buon funzionamento dell’Unione europea e ricorre al diritto di veto per bloccare le decisioni all’unanimità di far perdere alle istituzioni europee quel che rimane della loro credibilità presiedendo le riunioni del Consiglio dell’Unione e gestendo i negoziati legislativi e di bilancio con il Parlamento europeo.

Modificando la Decisione del Consiglio europeo e quella del Consiglio dell’Unione che ne dà attuazione offrirebbe invece un forte segnale ai cittadini europei nel momento in cui si recano alle urne e rafforzerebbe nei cittadini ungheresi la convinzione che l’appartenenza alla famiglia europea è davvero fondata sul principio della democrazia rappresentativa (art. 10 TUE) e sullo stato di diritto (art. 2, 7 e 19 TUE).

Movimento Europeo in Italia e Movimento Europeo in Francia

coccodrillo

 

Roma, 13 maggio 2024

 

ALLEGATI:

 

[1] Vedi Risoluzione del Parlamento europeo del 24 aprile 2024 sulle audizioni in corso a norma dell'articolo 7, paragrafo 1, TUE riguardanti l'Ungheria per rafforzare lo Stato di diritto, e sulle relative implicazioni di bilancio (2024/2683(RSP))

[2] Sulla base degli articoli 16.9 TUE e 236 TFUE il Consiglio Europeo ha adottato il 1° dicembre 2009 la Decisione 2009/881/EU sull’esercizio delle Presidenze del Consiglio GUE 2009 L315/50. Questa Decisione é stata a sua volta messa in opera, lo stesso giorno, da una Decisione del Consiglio dell’Unione 2009/908/EU (emendata successivamente dalla Decisione (EU) 2016/1316 del 26 luglio 2016 GUE L 208, 2.8.2016)

 

  

 

 

 

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 L'EDITORIALE

VIKTOR ORBAN NON DEVE PRESIEDERE IL CONSIGLIO DELL’UNIONE EUROPEA

Sulla base del calendario delle presidenze del Consiglio dell’Unione europea, il governo ungherese dell’autocrate Viktor Orban dovrebbe presiedere le riunioni intergovernative – con l’eccezione del Consiglio europeo, del Consiglio dei ministri degli affari esteri, del Consiglio dei ministri della difesa e dell’Eurogruppo – dal 1° luglio al 31 dicembre 2024 sulla base del programma del cosiddetto “trio” composto attualmente dai governi spagnolo, belga e ungherese.

Noi siamo convinti che il governo ungherese – che si è autodefinito una “democrazia illiberale” – non deve presiedere le strutture intergovernative dell’Unione europea, ve ne spieghiamo qui di seguito le ragioni e lanciamo un appello urgente a chi può influire e a chi ha il potere di decidere affinché questo attentato ai valori comuni europei non avvenga.

Come sappiamo, sia il governo spagnolo che quello belga non hanno svolto un ruolo attivo nell’apertura del cantiere della riforma dell’Unione europea avendo il primo deciso di scavallare il Consiglio europeo di metà dicembre nonostante il rapporto votato dal Parlamento europeo il 22 novembre sulla revisione del Trattato di Lisbona ed avendo il secondo evitato di mettere al centro delle riunioni intergovernative il tema del futuro dell’Europa pur avendo il compito di cooperare con il Presidente del Consiglio europeo al fine di assicurare la preparazione e la continuità dei lavori dei Capi di Stato e di governo attraverso il Consiglio affari generali e cioè i ministri degli affari europei.

Per quel che si sa l’Agenda strategica 2024-2029, che dovrebbe essere adottata in solitudine dal Consiglio europeo a fine giugno, non conterrà sul futuro dell’Europa nulla di più delle vaghe affermazioni adottate dai Capi di Stato e di governo a Granada nello scorso ottobre dove l’accento fu messo sulle politiche (policies) ma non sul loro governo democratico (politics) perché – secondo quel che ha preannunciato Mario Draghi nel Summit sociale di La Hulpe – “non possiamo permetterci il lusso di attendere la riforma dei trattati per proseguire il cammino dell’integrazione europea”.

Del resto, il Presidente francese Emmanuel Macron – all’origine dell’idea di una inedita Conferenza sul futuro dell’Europa che avrebbe dovuto applicare il metodo della democrazia deliberativa – non ha speso nemmeno una parola nel suo lunghissimo e recente discorso alla Sorbona sul tema della riforma dell’Unione europea.

Dal 1° luglio Viktor Orban e i suoi dodici ministri (fra cui una sola donna!) dovrebbero coordinare l’azione dei ventisette governi europei nei consigli specializzati - e cioè i Consigli Affari Generali, Ecofin ad eccezione dell’Eurogruppo; Giustizia e Affari Interni (e cioè i “ministri di polizia” che dovrebbero governare le politiche migratorie); Occupazione, Politica Sociale Salute e Consumatori;  Competitività (mercato interno, industria e ricerca); Trasporti, Comunicazioni e Energia; Agricoltura e Pesca, Ambiente; Educazione, Gioventù e Cultura - nelle riunioni degli ambasciatori, nei numerosi comitati che si fanno carico delle funzioni di controllo e di decisione delle burocrazie nazionali (sapendo che è lì che risiede il peso burocratico nell’Unione europea e non nella funzione pubblica europea) e nelle riunioni informali che “arricchiscono” ogni presidenza semestrale cooperando con il Presidente del Consiglio europeo nella preparazione e nella continuità dei lavori dei Capi di Stato e di governo.

Il Consiglio dell’Unione condivide poi con il Parlamento europeo il potere legislativo e di bilancio (v. articoli 14.1 e 16.1 TUE) ed è tenuto nell’esercizio di queste funzioni a promuovere il rispetto dei valori fondativi dell’Unione europea.

L’Ungheria è non solo da anni sotto procedura di sorveglianza (art.7.1 TUE) ad iniziativa del Parlamento europeo per l’esistenza di un rischio chiaro di violazione grave dei valori comuni ma è ugualmente oggetto della procedura di condizionalità di bilancio intesa a proteggere il rispetto dei diritti e valori fondamentali UE.

A ragione quindi il 24 Aprile scorso e a grande maggioranza il Parlamento europeo ha dichiarato “..la propria preoccupazione circa il fatto che il governo ungherese non sarà in grado di adempiere in modo credibile a tale compito (la presidenza del Consiglio dell’Unione, n.d.r.) nel 2024, in considerazione della sua inosservanza del diritto dell'Unione europea dei valori sanciti dall'articolo 2 TUE e del principio di leale cooperazione; deplora il fatto che il Consiglio non abbia ancora trovato una soluzione a tale problema e che i rappresentanti del governo ungherese presiederanno le riunioni del Consiglio in materia di democrazia, Stato di diritto e diritti fondamentali, comprese le riunioni relative alla tutela degli interessi finanziari e del bilancio dell'UE; sottolinea che tale sfida giunge nel momento cruciale delle elezioni europee e della formazione della Commissione; si rammarica per l'incapacità di trovare una soluzione e ribadisce la propria disponibilità ad adottare le misure necessarie per difendere la credibilità dell'Unione rispetto ai valori sanciti dall'articolo 2 TUE per quanto riguarda la cooperazione con il Consiglio;”[1]

In questa prospettiva, la Presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola dovrebbe comunicare il testo dell’Assemblea al Consiglio Europeo in occasione della sua riunione del 17 e 18 giugno chiedendo che esso modifichi a maggioranza qualificata la propria decisione del 2009[2] chiarendo che, nell’interesse del buon funzionamento dell’Unione europea e del principio di cooperazione leale (art.4.2 TEU), la Presidenza del Consiglio dell’Unione non possa essere assunta da paesi per i quali sia pendente una procedura art.7.1 TUE e/o che siano soggetti alla condizionalità di bilancio.

Rivolgiamo ugualmente questo appello al Presidente della Corte di Giustizia Koen Lenaerts che, in più occasioni, ha dichiarato che la promozione dei valori fondativi fa parte dell’identità costituzionale dell’Unione europea e al Presidente del Consiglio europeo Charles Michel oltre che alla Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e al Primo Ministro Belga Alexander De Croo che preparano le risoluzioni del Consiglio Europeo.

Il Consiglio europeo non può consentire ad uno Stato membro che sfida giornalmente il buon funzionamento dell’Unione europea e ricorre al diritto di veto per bloccare le decisioni all’unanimità di far perdere alle istituzioni europee quel che rimane della loro credibilità presiedendo le riunioni del Consiglio dell’Unione e gestendo i negoziati legislativi e di bilancio con il Parlamento europeo.

Modificando la Decisione del Consiglio europeo e quella del Consiglio dell’Unione che ne dà attuazione offrirebbe invece un forte segnale ai cittadini europei nel momento in cui si recano alle urne e rafforzerebbe nei cittadini ungheresi la convinzione che l’appartenenza alla famiglia europea è davvero fondata sul principio della democrazia rappresentativa (art. 10 TUE) e sullo stato di diritto (art. 2, 7 e 19 TUE).

Movimento Europeo in Italia e Movimento Europeo in Francia

coccodrillo

 

Roma, 13 maggio 2024

 

ALLEGATI:

 

[1] Vedi Risoluzione del Parlamento europeo del 24 aprile 2024 sulle audizioni in corso a norma dell'articolo 7, paragrafo 1, TUE riguardanti l'Ungheria per rafforzare lo Stato di diritto, e sulle relative implicazioni di bilancio (2024/2683(RSP))

[2] Sulla base degli articoli 16.9 TUE e 236 TFUE il Consiglio Europeo ha adottato il 1° dicembre 2009 la Decisione 2009/881/EU sull’esercizio delle Presidenze del Consiglio GUE 2009 L315/50. Questa Decisione é stata a sua volta messa in opera, lo stesso giorno, da una Decisione del Consiglio dell’Unione 2009/908/EU (emendata successivamente dalla Decisione (EU) 2016/1316 del 26 luglio 2016 GUE L 208, 2.8.2016)

 

  

 


EUROPA DEI DIRITTI

Il futuro del modello sociale europeo tra applicazione del Social Pillar e revisione dei Trattati (*)

Introduzione rivista ed aggiornata al Webinar organizzato l’8.4.2024 dalla Labour Law Community, dal  Movimento europeo- Italia e da  Europe Direct Chieti

   1.  Dalla Conferenza sul futuro dell’Unione alla richiesta di revisione dei Trattati del Parlamento europeo. In questa introduzione mi concentrerò nella ricostruzione del Progetto del Parlamento europeo di revisione dei Trattati, che ha attivato formalmente la procedura prevista all’art. 48 TUE con la conseguente richiesta al Consiglio europeo di convocare una Convenzione, con la Risoluzione del 22.11.2023, approvata  con una risicata maggioranza di 291 voti a favore e 271 contrari ed oltre 100 tra assenti ed  astenuti (i “si” sono stati circa il 40% degli aventi diritto).

 Si può però comprendere questo “ azzardato”  voto del PE solo se lo si ricollega al tentativo di investire il  consenso e l’indubbia efficacia delle politiche promosse dalla cosidetta “maggioranza Ursula” nella prima parte della legislatura in corso  (dallo Sure al Recovery Plan , dai provvedimenti del digital compass  a quelli di  attuazione del Social Pillar)  in una riforma organica delle regole di funzionamento dell’Unione, capace di renderla una più solida e stabile costellazione politica a carattere sovranazionale rispondente più univocamente a principi di natura costituzionale  consolidati su base continentale (non voglia usare il termine “federale” perché potrebbe ingenerare qualche equivoco non essendo ancora molto chiaro quale, tra i tanti modelli di stato federale oggi conosciuti,  sia pertinente per il futuro dell’Unione).  Insomma si è pensato con la decisione di aprire ufficialmente il cantiere delle riforme costituzionali dopo ben 17 anni dalla stipula del Lisbon Treaty  e di poter  capitalizzare il cosidetto hamiltonian moment, la straordinaria capacità dimostrata dal sistema europeo di saper superare le politiche di austerity mettendo in campo strumenti di intervento solidaristici ed innovativi a protezione e nell’interesse di tutti i cittadini dell’Unione per far fronte alle sfide della crisi pandemica. Si intendeva (almeno nelle dichiarazioni ufficiali) quindi rendere più democratiche e più trasparenti le politiche decisionali dell’Unione  ed al tempo stesso rafforzare (rendendoli egemonici) gli elementi ordinamentali di natura sovranazionale rispetto a quelli di matrice intergovernativa in una direzione ispirata dal Manifesto di Ventotene ([1]) e dal migliore costituzionalismo europeo di archiviazione della “sovranità assoluta” degli stati nazionali che oggi continua ad esprimersi nella regola dell’ unanimità  in moltissime decisioni a carattere strategico.

Come si accennava ha giocato senz’altro a consigliare il tentativo  del PE di determinare una  “svolta” istituzionale pro-europe il varo di un Piano organico  di attuazione del Pilastro Sociale ed i primi spettacoli atti legislativi collegati al Pillar dalla direttiva sul salario minimo a quelle sulla trasparenza dei rapporti di lavoro e,ancor prima, la nuova direttiva sui distacchi, anche “a catena”  (che ha posto fine alla cosidetta Laval querelle sul principio di parità tra lavoratori distaccati e lavoratori del paese ospitante).

 Una prova di forza del PE per uscire dai meccanismi intergovernativi rafforzando gli organi sovranazionali insieme all’efficienza decisionale dell’Unione.  

L’occasione (o il pretesto) è stata proprio la conclusione, dopo un anno di lavori, il 9 maggio2022 della Conferenza sul futuro dell’Unione (CoFoe), voluta soprattutto dal Presidente Macron per consolidare il rilancio del progetto europeo svoltasi con una certa indolenza nel primo periodo di attività ma poi molto effervescente sul finale dei lavori anche sotto il profilo della partecipazione attraverso l’innovativa piattaforma (si stimano in circa 700.000 i momenti individuali i di collaborazione). La CoFoe concludeva i suoi lavori con 49 proposte generali ed oltre 315 misure concrete. Proposte e misure  in molti casi piuttosto atecniche e  generiche ([2]) ma che comunque alludevano univocamente ad un’Unione più forte, meno legata agli interessi nazionali, capace di decidere e di strutturare una rete di protezione e tutele efficaci e determinanti per il benessere dei cittadini europei , sulla base di un rafforzamento della democrazia partecipativa nell’Unione e di valorizzazione del ruolo e della capacità direttrice degli organi non a carattere intergovernativo, in particolare del Parlamento.

Il giorno dopo l’allora Presidente del PE David Sassoli presentava queste conclusioni come una forte richiesta implicita di modifica dei Trattati perché molte delle misure risultavano incompatibili con la loro formulazione;  alcuni leader europei come Macron e Schultz, e con qualche timidezza Draghi, accennavano a questa necessità, cosi come in alcuni discorsi la stessa Presidente  della CE (con particolare riferimento alla fine dell’unanimità come criterio di voto per il Consiglio in alcuni settori).

Si apriva quindi una sorta di polemica istituzionale: il Consiglio dichiarava che il 95% delle proposte della CoFoe potevano essere realizzate senza cambiare il Trattato di Lisbona; la Commissione opportunisticamente precisava che si poteva iniziare con il recepire quelle misure compatibili con i Trattati ma senza escludere cambiamenti costituzionali  mentre il Parlamento tirava dritto.

IL PE con due risoluzioni chiedeva di attivare la procedura ordinaria di modifica dei Trattati ex art. 48.3 TUE nominando una Convenzione; una prima risoluzione più equivoca e sintetica sembrava incentrarsi sulla fine del diritto di veto in politica estera; una seconda invece investiva un po’ tutti gli aspetti dell’architettura istituzionale UE, anche sul punto delle competenze, dando mandato alla Commissione affari costituzionali (AFCO) di articolare un progetto organico di modifiche poi da sottoporre al plenum. Quest’ultima risoluzione è rimasta nei cassetti dell’AFCO, salvo la nomina di sei relatori dei maggiori partiti europei coordinati dal liberale  Guy Verhofstadt, che non ha mai richiesto in un arco di tempo di oltre un anno pareri di giuristi o di altri attori istituzionali  dello scenario UE, almeno ufficialmente. In ogni caso a settembre 2023 veniva annunciato un accordo di 5 relatori su sei (verdi, liberali, left, socialdemocratici e popolari)  su di un progetto che escludeva il sesto partito ECR (di cui fa parte Fratelli d’Italia) che pur avevano un relatore.  Il 22.11.2023 il progetto è stato votato con emendamenti peggiorativi cui accenneremo ma l’accordo prima stipulato è sembrato traballare perché, ad esempio,  al voto del plenum, nella Left su 26 membri 20  hanno votato contro, 20  socialdemocratici hanno fatto lo stesso, così molte decine di  contrari  ed astenuti  sono emersi nelle fila del PPE. La maggioranza, vista l’importanza della decisione, appare molto risicata e non sussiste rispetto agli aventi diritto. A ciò si deve aggiungere che su aspetti qualificanti le proposte dell’AFCO non sono passate.

             2. Le proposte di modifica dei Trattati

In estrema sintesi le proposte di modifica sono numerose decine e riguardano entrambi i Trattati (TUE e TFUE)  e si possono riassumere  così:

  1. Per quanto riguarda le competenze l’UE acquisirebbe la competenza esclusiva sugli accordi internazionali sulla lotta ai cambiamenti climatici; la politica estera e di sicurezza comune diventerebbero competenze concorrenti, con salute, industria ed educazione.
  2. Per i sistemi di voto il PE diventerebbe codecisore in questioni chiave come politica estera e di difesa, la cooperazione penale ed il coordinamento delle politiche economiche e sociali degli stati membri, i negoziati internazionali e l’approvazione del  quadro finanziario pluriennale.
  3. Il Consiglio per regola generale dovrebbe esprimersi a maggioranza qualificata, in certi casi semplice o a maggioranza qualificata rafforzata. Anche se non rappresenterebbe la fine del potere di veto (che rimarrebbe su alcune decisioni) vi sarebbe un notevole indebolimento del suo ambito  di applicazione ed un’allusione vigorosa ad un modello bicamerale tra PE e Consiglio.
  4. Sulla nomina della Commissione si invertirebbe l’attuale procedura per cui il Presidente verrebbe indicato dal Parlamento e dopo il Consiglio dovrebbe votarlo a maggioranza semplice. I candidati sarebbero scelti dal Presidente e quindi eletti dal PE e successivamente ratificati in blocco dal Consiglio europeo. Il Presidente della CE (chiamato ora dell’ “Esecutivo”) guiderebbe i Consigli europei. Una modifica importantissima riguarderebbe l’attribuzione al PE del diritto di iniziativa legislativa e di poter richiedere alla Corte di giustizia di attivare la procedura di infrazione per gli stati membri che violano il diritto dell’ Unione.
  5. Circa la protezione dei valori si tornerebbe al cosidetto “ Trattato Spinelli”, votato dal PE nel 1984 delegando la Corte di giustizia alla valutazione delle violazioni dei valori di cui all’art. 2 TUE; per le sanzioni (anche di sospensione dai fondi strutturali) si potrebbe decidere a maggioranza qualificata.
  6. Sul fronte sociale, il Social Pillar e la Carta di Nizza diventerebbero rilevanti nella sorveglianza macroeconomica e sarebbero inseriti nell’art. 151 TFUE di orientamento generale del capitolo sociale dell’Unione; in tutti le ipotesi previste dall’art.  153 per l’approvazione dei minimi di trattamento si potrebbe deliberare secondo la procedura ordinaria; si aggiungerebbe  alle ipotesi di regolazione già operanti  le “giuste transizioni” e l’ “anticipazione del cambiamento” nonché il “sostegno all’ edilizia  popolare” (153) . Si precisa infine  che le misure adottate ex art. 153 non possano costituire una valida ragione per diminuire il livello di protezione dei lavoratori negli stati membri. La modifica davvero significativa è quella di un Protocollo sociale annesso all’art. 9 TFUE che determini i modi di contemperamento tra protezione dei fundamental social rights e le politiche dell’Unione di cui peraltro si era parlato nel vertice di Porto del 2022. All’art. 151 si propone che “ specifiche previsioni sulla definizione ed implementazione del progresso sociale e delle relazioni tra diritti sociali fondamentali e altre politiche dell’Unione saranno definite in un Protocollo di Progresso sociale nell’UE annesso ai Trattati”.

Tra gli emendamenti ai Trattati  dell’AFCO che il plenum non ha confermato, che mortifica e non di poco il progetto complessivo, è la revisione  dell’art. 311 TFUE che prevede l’unanimità in caso di modifica del quadro delle risorse proprie nel bilancio UE  che continuerebbe ad ostacolare l’adozione di nuovo debito comune  e soprattutto la definizione di nuove entrate stabili per il bilancio comune (premessa anche per i cosidetti eurobond), così come è sparita l’idea di referendum paneuropei. Incredibilmente si è mantenuto  il tabù per le azioni legislative sociali dell’Unione fissato al 153.5 (sciopero, retribuzioni e rappresentanza) la cui cancellazione non è stata prevista neppure dall’AFCO ([3]).

La richiesta PE è stata  comunque quella della nomina di una Convenzione scartando altre ipotesi per cambiare le regole UE previste al  comma   6  del comma 7 dell’art. 48, che potrebbero avere operatività nel settore sociale e per la governance economica ma non al di fuori di questi settori e che  non consentono l’introduzione di nuove competenze. Neppure si è considerata la possibilità che vi siano “adeguamenti “ ai Trattati in sede di allargamento a paesi terzi ex art. 49 TUE  che, però, potrebbe essere chiamata in gioco quanto l’allargamento diventerà operativo con i Trattati di adesione.

Su richiesta della Presidenza spagnola il Consiglio, come previsto dalla procedura dell’art. 48, ha trasmesso al Consiglio europeo l’insieme di modifiche suggerite e quest’ultimo dovrà deliberare se nominare o meno una Convenzione a maggioranza semplice; il Consiglio europeo  ha reso pubblica la sua intenzione di non decidere prima delle elezioni ma dopo il 9 giugno,  presumibilmente alla riunione prevista a fine Giugno ( l’art. 48 non stabilisce tempi di decisione per i quali dovrebbe valere solo il principio di leale collaborazione). Poco prima del voto del 22.11.2022  13 paesi hanno sottoscritto  un non paper nel quale concordavano sull’inopportunità di cambiare i Trattati e sulla possibilità di concretizzare le proposte CoFoe a Trattati immutati, eventualmente  attivando le “clausole passarella” per passare a sistemi di voto a maggioranza di voto ma senza dare corso ad una riforma organica. In un drammatico incontro di pochi giorni fa tra i membri dell’AFCO e la vice presidente della CE (che pur aveva caldeggiato  l’ipotesi di una riforma complessiva della trama dei Trattati ) quest’ultima  ha dichiarato che non sussistono in questa fase le condizioni di una riforma  del genere perché si stima che la maggioranza degli stati membri sia contraria ( pare 19 o 20  stati su 27). Nel documento del 20 marzo del 2024 della CE  “on the enlargement reforms and policy reviews” ([4]) si afferma espressamente che “ while the Commissione has indicated its support to treaty change “if and where it is needed” it belivies that the EU’s governance can be swiftly improbe by using to the full the potential of the current Treaties”; insomma la CE non spingerà per cambiare i Trattati e ritiene questa prospettiva oggi  piuttosto  irrealistica.   

          3. Verso una “fase” costituente? Il progetto del PE nel suo complesso manca forse nell’insieme di un’ispirazione e di una chiara visione dell’avvenire (i grandi costituzionalisti europei non sono, e questo si vede, intervenuti) ma realizzarebbe conquiste di notevole rilievo in  termini di trasparenza, efficacia e razionalità delle politiche UE, passi in avanti (soprattutto nella tutela dei valori dell’Unione e nei poteri di iniziativa del PE) nell’approfondimento (deepining) del processo di integrazione ed anche di  strutturazione ulteriore del capitolo sociale dell’Unione rafforzando nella governance macroeconomica l’attenzione ai parametri sociali ([5]). Non è detto però che si possa con questa proposta ex se superare verso una maggiore integrazione l’equilibrio tra elementi intergovernamentali e elementi sovranazionali dell’ordinamento UE sin qui raggiunto (l’”ermafrodito” di  Giuliano Amato) soprattutto perché il progetto  non disciplina il ruolo, spesso prater legem ,del Consiglio europeo di decisore nei fatti di ogni  questione di qualche rilevanza e comunque di tutte quelle a carattere di straordinarietà, nonostante i Trattati gli assegnino solo compiti di elaborazione delle grandi strategie  di lungo periodo dell’UE. Sul punto cruciale delle risorse proprie dell’Unione e della possibilità di costruire un debito pubblico paneuropeo, peraltro, la proposta nulla aggiunge allo status quo. Ma in ogni caso non vi sono opportunità concrete per procedere in avanti lungo la direzione indicata dal PE perché i governi sono a larga (forse addirittura larghissima) maggioranza contrari. Il Testo del 22.11 comunque dovrebbe rappresentare il minimo comun denominatore di ogni riforma futura, allorché ve ne siano le condizioni, soprattutto politiche. Giuridicamente  è persino incerto che il progetto non sia destinato a decadere con la legislatura come gli atti non definitivi del PE, anche si potrebbe considerare come un atto anche del Consiglio che lo ha trasmesso al Consiglio europeo come prevede l’art 48 TUE.

La proposta del Movimento Europeo-Italia ([6]) è quella del varo di una legislatura costituente (incentrata sul nominando PE) che allarghi l confronto tra Parlamento UE e Parlamenti nazionali, in un dialogo stretto con la società civile, le parti sociali, i partiti, gli enti di ricerca, il mondo degli esperti del diritto ([7] )sulle riforme da realizzare sul modello perseguito nel 1984 per definire il “progetto Spinelli” approvato dal PE nel 1984. Le ipotesi di riforma alla fine di questa complessa fase potrebbero essere convalidate da un’Assise sovranazionale che riunisca davvero la sfera pubblica continentale e consacrate da qualche forma di consultazione referendaria, in modo da non cadere da subito (prima ancora che si sia fortificato un disegno davvero riformatore) negli ingranaggi mortificanti l’innovazione istituzionale dell’art. 48 TUE che riserva comunque alla conferenza intergovernativa la parola decisiva. Ma mentre si cerca di far decollare il dibattito sulle “regole” coinvolgendo il più possibile i cittadini e le loro associazioni occorrerebbe con determinazione proseguire nelle politiche strategiche dell’Unione della transizione digitale, sostenibilità ambientale e sociale anche al di là dell’implementazione del Recovery (i cui effetti termineranno nel 2026) cercando di conferire una qualche continuità alle policies di questi anni. Il Manifesto redatto negli ambienti dell’Istituto universitario europeo alla fine del 2023 ([8]) ha generato un imponente dibattito sui beni pubblici europei , fiscalità comune e debito condiviso, che ha avuto risonanza anche nel Report per la CE di Enrico Letta sul mercato unico ([9]) ed anche nell’anticipazione che Mario Draghi ha fatto del suo Report (previsto per Luglio) il 17 aprile in Belgio sulla competitività economica dell’Unione. Si tratta di una prospettiva sulla quale attualmente c’è un rifiuto energico della Germania e dei paesi più ortodossi “ frugali” che però - dopo le elezioni- potrebbe allentarsi di fronte all’evidenza che senza investimenti massicci nell’innovazione tecnologica e nei settori connessi come educazione, formazione, inclusione sociale, che trascendono la portata dei singoli stati, per l’Europa non residua alcuna possibilità di attuare il proprio modello di sviluppo e di affrontare le sfide globali che non possono essere vinte solo con la risorsa, in cui l’Unione eccelle, della legislazione garantista e protettiva dei diritti fondamentali. Questo piano può forse essere lo spill over perché la questione delle “regole” costituzionali dei Trattati possano davvero entrare in agenda vincendo le resistenze nazionali . In tanti dibattiti, anche di questi giorni, i firmatari del Manifesto come Giuliano Amato hanno ribadito che le questioni fiscali e le risorse attribuite centralmente agli stati sono state spesso la leva delle trasformazioni federali o del rafforzamento del potere federale , come in USA con il New Deal. La dinamica di sviluppo dell’Unione sembra essere stata già spinta in una sorta di contraddizione performativa; il Recovery ha indotto tutti gli stati ad attivare quelle politiche strategiche dell’Unione (digital, green and social) che sono le condizioni per ottenere gli aiuti, ma gli stati da soli non sembrano poter portare a pieno compimento queste politiche, per giunta dopo l’entrata in vigore del nuovo Patto di stabilità, perché non vi saranno i margini economici per farlo. Si tratta di beni pubblici europei per i quali il convergente conseguimento degli obiettivi è insostituibile. Una pressione per la riforma dei Trattati proviene obiettivamente anche dal dossieur dell’allargamento: il PE con la risoluzione del 29 febbraio ([10]) e la CE con la comunicazione del 20 marzo già ricordata hanno già chiesto recentemente che deepining e enlarging vadano insieme; la CE ha prospettato che l’allargamento possa essere il catalizzatore di profonde riforme tra le quali potrebbe rientrare anche il sistema decisionale sovranazionale che certamente non può tollerare ancora il criterio dell’unanimità su 36 stati membri o una Commissione a 36 componenti.

Una legislatura costituente del nuovo Parlamento europeo si potrebbe sviluppare combinando temi costituzionali con urgenze di straordinario rilievo anche materiale per il benessere e la protezione dei cittadini del vecchio continente che difficilmente sembrano gestibili con le regole di 17 anni orsono, introdotte dopo la catastrofe referendaria del 2005.    

Giuseppe Bronzini

Segretario generale Movimento europeo

         

(*) pubblicato il 9 maggio 2024 sul sito di Labour Law Community

 

[1] Il Manifesto di Ventotene viene richiamato nelle premesse della Risoluzione del PE come se fosse una fonte di diritto o un Testo di natura istituzionale

[2] Si veda ad esempio le proposte CoFoe sui  mercati del lavoro “Proponiamo di migliorare il funzionamento dei mercati del lavoro in modo da garantire condizioni di lavoro più eque e promuovere la parità di genere e l’occupazione, ivi compreso quella dei giovani e dei gruppi vulnerabili. L’Unione, gli Stati membri e le parti sociali devono adoperarsi per porre fine alla povertà lavorativa, affrontare i diritti dei lavoratori delle piattaforme, vietare i tirocini non retribuiti e garantire una mobilità equa dei lavoratori nell’Unione. Dobbiamo promuovere il dialogo sociale e la contrattazione collettiva. Dobbiamo garantire la piena attuazione del pilastro europeo dei diritti sociali, compresi i suoi obiettivi principali pertinenti per il 2030, a livello dell’Unione e a livello nazionale, regionale e locale in materia di “pari opportunità e accesso al mercato del lavoro” e di “condizioni di lavoro eque”, nel rispetto delle competenze e dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità, nonché includere nei trattati un protocollo sul progresso sociale” al tracciamento del miglioramento del tenore di vita….” 

[3] Cfr. L. Lionello Il Parlamento europeo apre la procedura di riforma dei trattati: il significato del voto e le priorità per l’Europa, in  I quaderni federalisti, 2023; Perché abbiamo bisogno di una Convenzione per modificare i Trattati, Memorandum MFE in l’Unità europea Gennaio-febbraio 2024  

[4] COM (2024) 146 final

[5] Che oggi può contare dall’Ottobre del 2023 del Social Convergence Mechanism  che obbliga la Commissione nel quadro della valutazione dei piani di riforma nazionali nel semestre europeo a porre la sua attenzione su alcuni parametri di attuazione del Pilastro sociale come li numero dei poveri, dei disoccupati, degli abbandoni scolastici etc. da parte degli stati membri, anche se non è chiaro con quali, eventuali, poteri di intervento e di sanzione.  

[6] PV Dastoli Insieme dal 9 giugno per una costituente europea, in newsletter Movimento Europeo-Italia

[7] A cominciare dalle scuole costituzionali in gran parte oggi arroccate su posizioni agnostiche: cfr. a cura di G. Martinico, L. Piedominici Miserie del sovranismo giuridico. Il valore aggiunto del costituzionalismo europeo, Roma 2023   

[8] The European Union at the Time of the New Cold War. A Manifesto - Il Sole 24 ORE); sulla linea dei beni pubblici europei cfr. il Libro Verde del Movimento europeo-Italia Scriviamo insieme il futuro dell’Europa, Editoriale Scientifica, 2024; M. Buti, M. Messori Europa. Evitare il declino economico europeo. Glossario per un apolitica economica europea. Ed, Il sole 24ore 2024  

[9]  E. Letta, Much more than a market Much more than a market.pdf

[10]  Dal titolo “ Approfondire l’integrazione dell’UE in vista dell’allargamento” P9_TA (2024) 0120

 

 

 


LA SETTIMANA DEL MOVIMENTO EUROPEO

 

14 maggio

  • Cosenza, presentazione del “Libro verde” del Movimento europeo (Comune di Cosenza, coordinamento regionale Calabria del Movimento europeo)

16 maggio

  • Cagliari, presentazione del volume di Emma Bonino e Pier Virgilio Dastoli "A che ci serve l'Europa"

17 maggio

  • Vicenza, presentazione del “Libro verde” del Movimento europeo sul futuro dell’Europa (ALDA - Associazione Europea per la Democrazia Locale)

18 maggio

  • Vicenza, presentazione del volume di Emma Bonino e Pier Virgilio Dastoli "A che ci serve l'Europa" (ALDA - Associazione Europea per la Democrazia Locale)

 

 

   


IN EVIDENZA

 

VI SEGNALIAMO

  • 14 maggio, ore 9:30, Cosenza. Convocato dal Presidente Giuseppe Mazzuca in seduta aperta, il Consiglio comunale dedicherà l'intera riunione alla discussione e all'approfondimento dei temi contenuti del LIBRO VERDE “Scriviamo insieme il futuro dell'Europa - un progetto, un metodo e un’agenda costituente per la decima legislatura 2024-2029” redatto dal Movimento Europeo – Italia”. La seduta sarà aperta al dibattito e ai contributi delle autorità civili, religiose e militari, nonché della cittadinanza. Tale iniziativa rientra tra i momenti di presentazione del Libro verde nel quadro del progetto "Insieme per l'Europa" del Movimento Europeo Internazionale con il sostegno finanziario dell'Unione europea. LOCANDINA e COMUNICATO STAMPA.
  • 17 maggio, ore 18:00, Vicenza. Pier Virgilio Dastoli, Presidente del Movimento Europeo-Italia, già collaboratore di Altiero Spinelli presenta il “LIBRO VERDE” Scriviamo insieme il futuro dell’Europa: un progetto, un metodo e un'agenda costituente per la decima legislatura 2024-2029. Promosso dall’Associazione Europea per la Democrazia Locale (ALDA). Per ulteriori informazioni: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.   
  • 18 maggio, ore 11:00, Vicenza. Incontro con Pier Virgilio Dastoli, autore con Emma Bonino del volume “A che ci serve l’Europa”. Dialoga con l’autore Antonella Valmorbida, Segretario Generale di ALDA. L’incontro si svolgerà presso la Libreria Galla 1880 in Corso Palladio, 11. LOCANDINA.
  • Dal 7 al 23 maggio segui il Festival dello Sviluppo Sostenibile, giunto alla sua ottava edizione, promosso dall’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS) con i suoi oltre 300 aderenti e con il supporto dei Partner. Il Festival è la più grande iniziativa italiana per sensibilizzare e mobilitare cittadini, giovani generazioni, imprese, associazioni e istituzioni sui temi della sostenibilità economica, sociale e ambientale. Un'occasione per diffondere la cultura della sostenibilità e realizzare un cambiamento culturale e politico che consenta all’Italia di attuare l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e centrare i 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs). L’edizione 2024 del Festival si terrà in presenza e online e su tutto il territorio italiano. MAGGIORI INFORMAZIONI e CARTELLONE COMPLETO.
  • SAVE THE DATE ! 24 maggio, ore 17:00, Roma. Presso la Sala conferenze della Fondazione Lelio e Lisli Basso (Via della Dogana Vecchia, 5), avverrà la presentazione del volume “Miserie del sovranismo giuridico. Il valore aggiunto del costituzionalismo europeo” a cura di Giuseppe Martinico e Leonardo Pierdominici (Castelvecchi, 2023). L’incontro, promosso dalla Fondazione Basso e dal Movimento europeo Italia, sarà trasmesso in streaming sul canale Youtube della Fondazione Basso. PROGRAMMA.

 

 

ARTICOLI E TESTI DELLA SETTIMANA

 

 


BANDO DI CONCORSO

IMMAGINI PER IL FUTURO DELL'EUROPA"

Il Movimento Europeo in Italia, con il supporto del Movimento Europeo Internazionale e della Commissione europea, nell’ambito del progetto “Together for Europe (Insieme per l’Europa)”, indice il bando di concorso “Images for the Future of Europe (Immagini per il futuro dell’Europa)”.

Il concorso è rivolto alle studentesse ed agli studenti delle scuole secondarie di secondo grado ed agli studenti universitari presenti sul territorio nazionale.
Le candidature possono essere individuali o di gruppo. L’unico requisito di accesso è rappresentato dall’età che, al momento della scadenza del bando, non deve essere superiore ai 25 anni.

L’iniziativa si inserisce nel più ampio quadro di attività che il Movimento Europeo in Italia sta realizzando per sensibilizzare, in maniera apartitica e terza, i più giovani al tema della partecipazione democratica, in vista delle elezioni europee dell’8 e 9 giugno 2024.

Obiettivo principale del concorso, che mette in campo anche modalità legate all’utilizzo dell’intelligenza artificiale (AI), è quello di invitare le giovani studentesse ed i giovani studenti alla riflessione sulla loro personale visione dell’Europa del futuro, realizzando dei brevi elaborati accompagnati da PROMT per la generazione di immagini AI, che raccolgano una o più proposte che vorrebbero condividere con le istituzioni europee. Tali testi dovrebbero esprimere dei punti di vista sulle priorità dei giovani che vorrebbero venissero fatti propri dalla politica europea, nonché riflettere l’espressione dei bisogni delle nuove generazioni dinanzi ad un’Europa in continuo e rapido cambiamento.


Per accedere al bando di concorso ed alla guida sintetica collegata:

BANDO DEL CONCORSO “Immagini per il futuro dell’Europa”

GUIDA “COME SCRIVERE UN BUON PROMPT”

Per entrare nel modulo di invio della candidatura al concorso:
https://docs.google.com/forms/d/e/1FAIpQLSfS0Wj4kCIi0iGqbsmyStyYKwfen3lWHoxkTbW_2tVQLOYmTg/viewform

 

 

 


LIBRO VERDE

SCRIVIAMO INSIEME IL FUTURO DELL'EUROPA

Il “LIBRO VERDE - Scriviamo insieme il futuro dell’Europa. Un progetto, un metodo e un’agenda costituente per la decima legislatura 2024-2029” è finalizzato ad aprire una discussione pubblica per tradursi poi in un “Libro bianco” con proposte ancora puntuali rivolte al nuovo Parlamento europeo ed iniziative di cittadine e di cittadini indirizzate alla nuova Commissione europea nel quadro delle azioni e delle priorità del Movimento Europeo Internazionale.

Esso si iscrive nel quadro del dibattito sul futuro dell’integrazione europea sottoposta alle drammatiche sfide che hanno sconvolto il Continente e i Paesi vicini nel secondo decennio del secolo prendendo come punto di partenza le raccomandazioni della Conferenza sul futuro dell’Europa e le reazioni dalle diverse istituzioni europee insieme alle indicazioni emerse dal dibattito italiano e dalle organizzazioni rappresentative della società civile dopo la fine della Conferenza.

Esso rientra, inoltre, nel quadro di attività di due progetti più ampi mirati a rafforzare il ruolo del Movimento Europeo come catalizzatore della società civile organizzata in Italia per quanto riguarda le loro aspettative rispetto all’UE.

Il primo di tali progetti “Beni pubblici europei per una prosperità condivisa: opportunità e sfide del sistema Italia nella decima legislatura europea” è realizzato con il supporto del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale ai sensi dell’art. 23 bis del D.P.R. 18/1967.

La seconda iniziativa è la piattaforma di attività “Insieme per l’Europa” promosse dal Movimento Europeo Internazionale con il cofinanziamento dell’Unione europea.

Il Movimento Europeo intende condividere il Libro verde con altre reti della società civile, confrontarsi con ricerche e proposte come quelle del Forum Diseguaglianze Diversità (FDD) nel libro “Quale Europa: capire, discutere, scegliere” e diffonderlo attraverso i nostri centri di coordinamento territoriale e sottoporlo poi alle candidate e ai candidati alle elezioni europee.

Il Libro verde esiste in un formato pocket a stampa ed in un formato e-book e si conclude con una sintesi delle nostre priorità “per un’Europa unita e democratica in un mondo paralizzato da un disordine globale” e con il “Manifesto per le Elezioni Europee 2024 del Movimento Europeo Internazionale”. Un volume secondo (disponibile solo in forma elettronica) riporta diversi testi rilevanti per il dibattito sulle riforme europee tra cui, in particolare, i contributi pervenuti da parte delle organizzazioni facenti parte del Movimento Europeo – Italia

Vai alla versione e-book del “LIBRO VERDE” del Movimento Europeo – Italia   (versione stampata 58 pagine)

Vai al Volume secondo del LIBRO VERDE - ALLEGATI

Versione stampata Editoriale Scientifica  (178 pagine)

 

 


 ATTIRIAMO LA VOSTRA ATTENZIONE

Ci serve davvero l’Europa? Non staremo perdendo tempo ed energie dietro a un’idea? Quella di oggi è la terra dei diritti immaginata a Ventotene? Mentre l’Unione è sotto attacco da più parti, accusata di essere una matrigna distante dai problemi reali dei cittadini, Emma Bonino e Pier Virgilio Dastoli, protagonisti indiscussi del progetto europeista, scelgono di intraprendere un viaggio nella memoria personale e collettiva che ci riguarda tutti da vicino. Ripercorrono lotte e progressi, sconfitte e conquiste, recuperano le tracce delle esistenze e delle aspirazioni di tante donne e tanti uomini che si sono battuti per costruire e difendere questo ideale, e invitano a prendere coscienza di quanto ancora resta da fare, senza però commettere l’errore di dimenticare, o peggio di gettare via, l’enorme lavoro svolto finora.

Il risultato è un dialogo serrato e coinvolgente, stimolato dalle ricostruzioni del documentarista Luca Cambi, in cui si dà conto delle innumerevoli tappe di questo processo, si ravviva il dibattito sulle nuove sfide che ci attendono, e si offre il ritratto appassionato e avvincente di Altiero Spinelli, vero padre fondatore capace di intuire e ispirare con lungimiranza, in un continente lacerato dalla guerra, quei principi di fratellanza, pace e libertà a cui ancora oggi dobbiamo tendere.

COPERTINA.

A che ci serve l'Europa

di Emma Bonino, Pier Virgilio Dastoli

Prefazione di Corrado Augias, postfazione di Romano Prodi, con la collaborazione di Luca Cambi

(edito da Marsilio NODI)

 

 

 

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Ci serve davvero l’Europa? Non staremo perdendo tempo ed energie dietro a un’idea? Quella di oggi è la terra dei diritti immaginata a Ventotene? Mentre l’Unione è sotto attacco da più parti, accusata di essere una matrigna distante dai problemi reali dei cittadini, Emma Bonino e Pier Virgilio Dastoli, protagonisti indiscussi del progetto europeista, scelgono di intraprendere un viaggio nella memoria personale e collettiva che ci riguarda tutti da vicino. Ripercorrono lotte e progressi, sconfitte e conquiste, recuperano le tracce delle esistenze e delle aspirazioni di tante donne e tanti uomini che si sono battuti per costruire e difendere questo ideale, e invitano a prendere coscienza di quanto ancora resta da fare, senza però commettere l’errore di dimenticare, o peggio di gettare via, l’enorme lavoro svolto finora.

Il risultato è un dialogo serrato e coinvolgente, stimolato dalle ricostruzioni del documentarista Luca Cambi, in cui si dà conto delle innumerevoli tappe di questo processo, si ravviva il dibattito sulle nuove sfide che ci attendono, e si offre il ritratto appassionato e avvincente di Altiero Spinelli, vero padre fondatore capace di intuire e ispirare con lungimiranza, in un continente lacerato dalla guerra, quei principi di fratellanza, pace e libertà a cui ancora oggi dobbiamo tendere.

COPERTINA.

A che ci serve l'Europa

di Emma Bonino, Pier Virgilio Dastoli

Prefazione di Corrado Augias, postfazione di Romano Prodi, con la collaborazione di Luca Cambi

(edito da Marsilio NODI)

 

 

 

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