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Newsletter n.12/2021 - L'EDITORIALE

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I silenzi assordanti del Consiglio europeo, le “unioni” di Mario Draghi e il futuro dell’Europa

Secondo l’articolo 15 del Trattato sull’Unione europea, il Consiglio europeo dovrebbe dare all’Unione gli impulsi necessari al suo sviluppo e il suo presidente dovrebbe animarne i lavori, assicurarne la preparazione e la continuità, operare per facilitarne la coesione e la continuità.

Dal gennaio 2020, il Consiglio europeo si è riunito mediamente una volta al mese con risultati normalmente mediocri, molto raramente raggiunti per l’incapacità del suo Presidente, per un lungo periodo impotente di fronte al progredire della pandemia e al parallelo progredire della mancanza di coesione fra i suoi membri mancando dunque alla sua missione di impulso, uscito miracolosamente indenne nel dicembre 2020 dal puzzle del negoziato su Next Generation EU, quadro finanziario pluriennale e compromesso sullo stato di diritto dopo aver sottratto – in barba al trattato – il potere legislativo al Consiglio, aver umiliato la Commissione e aver costretto il Parlamento europeo all’impossibile scelta fra un rifiuto dirompente e un accordo al ribasso, tornato dal gennaio di quest’anno ad esercitare la sua funzione di frenatore dello sviluppo dell’Unione europea

La “dichiarazione” dei ventisette del 25 marzo – su cui riferisce in dettaglio la cronaca di Anna Maria Villa - riunisce in sé tutti gli elementi dell’impotenza del Consiglio europeo i cui membri sono stati incapaci di raggiungere un consenso unanime sulle consegne e sulla diffusione dei vaccini, sul blocco delle esportazioni a paesi terzi, su un programma preciso e vincolante per rendere l’Unione europea progressivamente autonoma da un punto di vista sanitario oltre che sulla transizione digitale e sulle relazioni con la Turchia.

Per otto anni Mario Draghi ha partecipato da presidente della BCE alle riunioni del Consiglio europeo, essendo corresponsabile delle sciagurate scelte finanziarie ed economiche durante gli anni della crisi dal 2011 al 2015 come membro della trojka e come suggeritore degli strumenti che hanno stravolto la governance europea (Semestre Europeo, Six Pack, Fiscal Compact, MES e Two pack) ma anche come medico al capezzale dell’Euro prima con il famoso whatever it takes e poi con il Quantitative Easing sette anni dopo gli analoghi ma più consistenti interventi della Federal Reserve e della Banca centrale giapponese.

Da banchiere centrale, Mario Draghi era tuttavia cosciente degli effetti paralizzanti della zoppia dell’Unione monetaria tanto da spingerlo a suggerire di completarla con l’unione bancaria, l’unione dei capitali e l’unione fiscale come pilastri di un’unione economica sulla via dell’unione politica così come fu poi scritto nel rapporto dei cinque presidenti del giugno 2015.

Sono passati quasi sei anni e quel rapporto è rimasto inattuato negli archivi del Consiglio, della Commissione e del Parlamento europeo e Mario Draghi, ritornato nel Consiglio europeo da capo di governo, ha ora sollecitato il Consiglio europeo a riprendere la via delle unioni indicate nel rapporto dei cinque presidenti citando l’esempio statunitense della dimensione del bilancio federale.

La sollecitazione di Mario Draghi non ha scosso più di tanto i suoi colleghi capi di Stato e di governo ed infatti delle unioni necessarie per dare “anima e cacciavite” (per usare la metafora di Enrico Letta) all’unione monetaria non vi è traccia alcuna nella dichiarazione dei 27 perché non avviene le riunioni dei consigli europei si devono concludere secondo il principio del consenso e del minimo comun denominatore con buona pace della missione che il Trattato assegna al Vertice di dare gli impulsi necessari allo sviluppo dell’Unione europea.

La sollecitazione di Mario Draghi era del resto in controtendenza rispetto alla dichiarazione comune sul futuro dell’Europa, frutto del compromesso fra Consiglio, Parlamento e Commissione, dove gli obiettivi del completamento dell’UEM e della capacità fiscale autonoma dell’Unione europea non sono nemmeno citati.

Ci attendiamo ora che il governo italiano trovi alleati disponibili fra i 27 per depositare davanti alla Conferenza sul futuro dell’Europa un non paper sulle indispensabili unioni bancaria, dei capitali, fiscale, economica e politica al fine di rendere stabile nel tempo l’obiettivo di un’integrazione europea al servizio delle sue cittadine e dei suoi cittadini, dando così una risposta radicalmente alternativa al gattopardesco non paper presentato la scorsa settimana da dodici governi nazionali.

Al di fuori dei governi, l’Italia troverà certo un’eco favorevole e un forte sostegno nel Parlamento europeo e fra le associazioni rappresentative della più convinta cultura federalista così come dal mondo del lavoro che si è espresso su questi obiettivi - insieme a quelli dell’agenda sociale – nel recente documento della Confederazione europea dei Sindacati.

 

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