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Newsletter 18 Marzo/2024 - RAPPORTO IMMIGRAZIONE E IMPRENDITORIA 2023

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Immigrazione e imprenditoria: una contro-narrazione sulle politiche migratorie   

Ho partecipato per il Movimento europeo il 12 marzo mattina a Roma presso lo “Spazio Europa” a Piazza Venezia alla presentazione del Rapporto “Immigrazione e Imprenditoria 2023” redatto dal CNA e dal Centro studi e ricerche Idos. Si tratta di un Rapporto di notevole rilievo che si compone in sintesi di alcuni studi di carattere generale sulle sfide e dalle opportunità  poste dall’integrazione lavorativa dei migranti di paesi terzi non solo nel contesto nazionale ma anche in ambito europeo con particolare riguardo alle esperienze di carattere imprenditoriale (soprattutto piccole imprese) che, nonostante le mille difficoltà di natura burocratica, culturale, economica, si stanno sviluppando negli ultimi anni e che, finalmente, sembrano trovare una qualche attenzione, non solo di monitoraggio ma anche di ordine promozionale, da parte della Commissione europea. Il Rapporto offre una doppia mappatura del fenomeno sia a livello europeo sia a livello regionale interno cercando di valutare il numero di imprese coinvolte (poco meno di 500.000 nella sola Italia) e la tipologia dell’attività complessivamente svolta anche nel contributo al Pil nazionale e sovranazionale.

Una narrazione, quindi, molto lontana da quella che emerge nel dibattito politico ed anche nei media nel quale c’è, in genere, molto poco spazio per racconti di soggetti migranti del tutto regolari, occupati e spesso addirittura datori di lavoro, protagonisti di canali  di scambio e di comunicazione tra paesi europei e paesi di origine bilaterali che alimentano un flusso contemporaneo nelle due direzioni di ricchezza, di sviluppo e capacità di innovazione produttiva.

La scena del dibattito pubblico è, infatti, occupata innanzitutto da coloro che dipingono (ed al tempo stesso costruiscono) l’Europa come una fortezza assediata e minacciata non solo nei suoi valori e principi fondamentali ( quasi mai ricordati nella loro interezza) ma anche nel suo ordine economico messo a repentaglio dall’arrivo di moltitudini di persone prive di cultura e competenze. A questi sempre più isolati replicano coloro che (giustamente) contrastano questa ricostruzione ricordando le nobili e solenni formule delle Costituzioni europee oggi riassunte nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea ed opponendo che l’Europa non ha messo in campo nessuna credibile politica comune per gestire le politiche migratore, a livello di  inclusione ed ospitalità di coloro che fuggono  per ragioni di necessità, mettendo in gioco risorse adeguate per dare una riposta  ordinata, razionale ed umanitaria per una realtà che certamente non rappresenta un’invasione ma che va trattata con mezzi ed  investimenti di una certa importanza e su scala continentale.

Per una volta ci si è occupati di dinamiche invece meno drammatiche, anche se spesso a rischio e di difficile espansione, nelle quali i canali sono già aperti (anche se in dimensioni troppo ristrette) per offrire i territori europei come sede di realizzazione del benessere e di concretizzazione di progetti di vita anche per cittadini di paesi extra Ue: esperienze che il Rapporto presenta come occasione di presentazione del fenomeno migratorio come risorsa essenziale in un continente nel quale, per molteplici ragioni che non vogliamo ricordare ma comunque irreversibili nel breve così come nel medio periodo, il tasso di natalità sta precipitando. Il momento più toccante della giornata di presentazione del Rapporto è stato il racconto di una giovane imprenditrice peruviana, madre di due figlie, che è riuscita ad attivare un’impresa di food delivery ormai diffusa in molte regioni italiane, che si è mobilitata per sviluppare questo tema in Europa e che sta sperimentando progetti di formazione sul modo di utilizzare al meglio e sotto controllo collettivo  le nuove tecnologie.

La prospettiva che emerge nel Rapporto e nelle varie relazioni che lo hanno presentato di associazioni attive sui problemi dell’immigrazione sembra intimamente coerente con quella del Green Paper del Movimento europeo per le prossime elezioni del PE. Le scelte compite dall’UE in settori – certamente non facili- in questa legislatura come quello sociale, digitale ed anche della sostenibilità ambientale (con qualche rallentamento nell’ultimo periodo) hanno portato a provvedimenti significativi e spesso molto originali (anche su scala globale): l’Unione sembra aver perseguito con successo un disegno strategico, razionale e progressista, da consolidare nel tempo. Le politiche migratorie sono state invece totalmente negative, inadeguate e insensibili al principio di umanità. Come alla fine dicono nel loro insieme gli articoli dei Trattati (artt. 76-80) l’Unione europea avrebbe dovuto perseguire un equilibrio tra il controllo e la sorveglianza dei suoi confini e il rispetto dei diritti umani dei migranti (stabiliti dalla Carta di Nizza, dalla Cedu e dalle Convenzioni internazionali) tra i quali vengono in primario rilievo quello a non essere sottoposto (direttamente o indirettamente) a trattamenti inumani e degradanti, a non essere privato della libertà se per cause eccezionali di concreta pericolosità, a poter chiedere asilo o protezione umanitaria da esaminarsi con attenzione da organi imparziali e a non essere respinto in paesi ove è a rischio della propria incolumità e via dicendo. Bene questo equilibrio nel corso degli ultimi anni si è andato perdendo lungo un piano inclinato che sembra portare l’Europa a sviluppare, come iniziativa privilegiata, opache pratiche di accordo con paesi dalla democrazia “traballante” o inesistente nelle cosidette operazioni di “esternalizzazione” dei confini europei, delegando alle autorità di stati come l’Egitto, la Tunisia (ieri la Turchia) ma persino un “non- stato” come la Libia la gestione ed il controllo sui flussi di migranti in Europa. Gli investimenti che l’UE realizza sono solo nel finanziamento di questa esternalizzazione, con accordi non trasparenti e comunque inverificabili che finiscono con il rafforzare, aiutando i dittatori a rimanere in carica, le stesse dinamiche di fuga di massa che si vorrebbe contenere. La stesso Migration Act (in corso di approvazione) non sembra minimamente in grado di riequilibrare le politiche sovranazionali non offrendo novità sostanziali  né sul piano dell’accoglienza e delle sue strutture, né in ordine alla verifica “europea” del principio del paese sicuro che pure la Corte di giustizia ha sviluppato come meta-limite persino all’applicazione di istituti come il mandato d’arresto europeo tra paesi aderenti all’Unione. Recentemente decine e decine di ONG (da Amnesty a Medici senza frontiere sino a Save the children) hanno richiesto al Parlamento europeo di non votare questo provvedimento così distante da quello che aveva preannunciato lo stesso Parlamento nel 2020. Insomma si assiste ad una sorta di degenerazione del quadro d’insieme dal quale spariscono progressivamente i bisogni essenziali delle persone che fuggono da emergenze di varia natura, ma rimangano solo i miseri stratagemmi per lasciali al di fuori dai confini veri dell’Unione (che non sono quelli del Ruanda o della Libia). Benché la Corte di giustizia continui ad adottare decisioni (nonostante la debole competenza della Corte che riguarda soprattutto ma materia dei rimpatri) che applicano la Carta dei diritti e che attribuiscono ai giudici ordinari il potere –dovere anche d’ufficio di verificare in ogni momento del processo, anche d’ufficio, rigorosamente la sussistenza dei presupposti per privare i migranti della loro libertà o per negare loro lo status di protezione, l’opinione pubblica europea sembra immune da considerazioni umanitarie o di ordine garantista. Troppi insuccessi, forse errori di comunicazione anche di parte democratica, disinformazione sui numeri realmente in gioco, la mancanza cronica di risorse a disposizione degli attori statali, ma è davvero difficile riequilibrare la situazione facendo appello alle sole ragioni giuridico- costituzionali che dovrebbero intimare la modifica radicale delle attuali politiche dell’Unione e degli stati membri.

Occorre ,come abbiamo rimarcato anche nel Green Paper e come emerge in questo Rapporto, un cambio di prospettiva; per dirla con Michel Foucault un diverso “ordine del discorso” che sappia valorizzare i migranti come risorse insostituibili per soddisfare le stesse esigenze del sistema economico, come vettore di comunicazione già attivo tra Europa e paesi terzi, che alimenti l’innovazione e nuovi flussi produttivi, che offra una narrazione anche di successi e di realizzazione di  progetti di vita individuali e collettivi; e restituisca così la storia dei tanti “io Capitano” ospitati nei territori dell’Unione che non solo sono riusciti ad approdare ma anche a farsi protagonisti. Solo in Italia queste storie di vite “intraprendenti” spesso anche come lavoratori autonomi  (cosi diverse dall’immagine del migrante che distrugge la quiete dei nostri quartieri, diffusa da parte del ceto politico) sono ben 500.000, ma potrebbero essere molte di più rivitalizzando le energie del vecchio continente. Il loro esempio forse potrebbe aiutare a tranquillizzare l’opinione pubblica dai suoi spettri.   

Giuseppe Bronzini

Segretario generale Movimento europeo                

         

 

 

 

 

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