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CARE LETTRICI E CARI LETTORI

La nostra newsletter settimanale Noi e il futuro dell'Europa è stata concepita per contribuire ad una corretta informazione sull’Unione europea e partecipare al dibattito sulla riforma dell’Unione, così come abbiamo fatto durante la Conferenza sul futuro dell’Europa e come continueremo a fare in vista delle elezioni europee del maggio 2024.

Il Movimento europeo Italia, come ha fatto dopo le elezioni in Italia del 2018 e la formazione a giugno 2018 del governo Conte-I, seguirà con particolare attenzione la politica europea dell'Italia dopo le elezioni del 25 settembre anche attraverso i suoi social Facebook, Instagram, Twitter e infografiche oltre che sulla newsletter.

Ecco l’indice della nostra newsletter di oggi:

Editoriale, che esprime l’opinione del Movimento europeo su un tema di attualità

- Rubrica “Pillole d’Europa”

- Attiriamo la vostra attenzione

- Eventi principali, sull’Europa in Italia e Testi in evidenza

Agenda della settimana a cura del Movimento Europeo Internazionale

- L'ABC dell'Europa di Ventotene

- La Conferenza sul futuro dell'Europa

- Campagna di informazione sull'Europa

Siamo come sempre a vostra disposizione per migliorare il nostro servizio di comunicazione e di informazione e per aggiungere vostri eventi di interesse europeo nella speranza di poter contare su un vostro volontario contributo finanziario.

 

 


 L'EDITORIALE

QUALI CONSEGUENZE DAL VOTO DEL PE SULLA AUTOCRAZIA UNGHERESE

Il rapporto del Parlamento europeo sulla “autocrazia” in Ungheria (LINK) segna un passaggio fondamentale nella vita della democrazia europea e chi lo ha giudicato come una “scelta ideologica” ne ha sottovalutato l’effetto dirompente sul sistema europeo e sul futuro delle relazioni fra l’Unione europea e gli Stati membri.

La Commissione europea, dopo aver atteso a lungo per usare lo strumento delle sanzioni finanziarie, ha deciso (LINK) di proporre al Consiglio un primo taglio dei fondi di coesione di cui l’Ungheria ha beneficiato dal momento della sua adesione ma anche durante tutti i negoziati che hanno preceduto l’allargamento nel 2005 (i fondi “PECO”) mantenendo la sospensione delle sovvenzioni legate al NGEU e al PNRR che l’Ungheria ha presentato per far fronte alle conseguenze economiche e sociali della pandemia.

Sappiamo che le Corte di Giustizia aveva già giudicato in una prima sentenza del 16 febbraio 2022 che la condizionalità nella concessione delle sovvenzioni entrata in vigore il 1° gennaio 2021 era conforme al diritto europeo e che la sospensione del NGEU riguarda tutti i paesi che non rispettano gli elementi essenziali dello stato di diritto ed in particolare la separazione dei poteri, il principio di legalità e l’indipendenza della magistratura (v. su queste questioni e più specificatamente sul caso polacco l’articolo su questa newsletter di Nicoletta Parisi e Dino Rinoldi).

Il Consiglio, che ha adottato nel 2020 le norme sulla condizionalità della concessione delle sovvenzioni (e dei prestiti) legate al NGEU, dovrà dare seguito al rapporto del PE e alla proposta della Commissione autorizzando i tagli e sospendendo i pagamenti – del resto mai effettuati – con un evidente impatto negativo sull’economia magiara.

Il governo ungherese ha annunciato un pacchetto di diciassette misure legislative legate soprattutto alla lotta alla corruzione sperando di chiudere entro la fine dell’anno il negoziato con Bruxelles e ottenere i fondi che la Commissione ha deciso di tagliare ma nulla è stato annunciato a Budapest per cancellare le norme liberticide ed in particolare il controllo sulla stampa, la dipendenza della magistratura e le leggi che provocano discriminazioni sugli orientamenti sessuali né la rinuncia al sostegno al regime autocratico di Mosca.

Il fatto che la decisione definitiva sul taglio dei fondi spetti al Consiglio sottolinea un primo aspetto delle relazioni fra l’Unione europea ed uno Stato membro e mette in luce un elemento essenziale (e cioè che riguarda l’essenza) del sistema europeo: contrariamente ad un sistema federale in cui le sanzioni applicate contro uno  stato federato vengono decise dal potere federale (governativo, giudiziario o di polizia), nell’Unione europea le sanzioni vengono decise dai governi degli Stati membri seppure all’interno di un organo comunitario come è il Consiglio che è tenuto a rispettare le regole europee a cominciare dall’obbligo di agire a cui si lega la possibilità che la Corte lo condanni a conclusione di un “ricorso in carenza”.

L’Unione europea non è più una confederazione, dove gli Stati membri cooperano fra di loro ma mantengono la loro sovranità, ma non è ancora una federazione dove il potere di interdire le violazioni di regole “costituzionali” spetta agli organi federali.

Ecco qui un primo aspetto che ci induce a ritenere che il rispetto dello stato di diritto nell’interesse dei cittadini richieda il passaggio dal sistema ibrido comunitario ad un sistema pienamente federale.

Vi è tuttavia un secondo aspetto ancora più importante del rapporto adottato dal Parlamento europeo in cui si rilancia e si rafforza una richiesta avanzata già in precedenza dall’assemblea e cioè l’avvio dell’art. 7.1 del Trattato di Lisbona sull’Unione europea che riguarda il “rischio di una violazione grave dei diritti fondamentali e dei valori comuni” in un paese membro.

L’attivazione dell’art. 7.1 TUE può essere fatta dal Consiglio – e non dal Consiglio europeo - che decide con una maggioranza dei 4/5 dei suoi membri (e cioè da 21 membri su 26, essendo escluso dal voto lo Stato sotto inchiesta) dopo l’approvazione del Parlamento europeo ma questa eventuale attivazione solleva quattro questioni fondamentali:

  • Il Parlamento europeo ha concluso che in Ungheria non ci troviamo più di fronte ad un “rischio” di violazione grave dei valori dell’Unione ma che il governo ungherese ha superato la soglia che distingue una democrazia da una autocrazia e cioè un regime illiberale
  • L’avvio della procedura consente al Consiglio di “verificare regolarmente se i motivi che hanno condotto a tale constatazione (del rischio, n.d.r.) sono ancora validi
  • Nessun tipo di sanzione o di interdizione è previsto dal Trattato in questa prima fase della procedura fino a che il Consiglio europeo – all’unanimità meno il voto dello Stato oggetto della decisione e su proposta della Commissione o di un terzo (9, n.d.r.) degli Stati membri – constati l’esistenza della violazione consentendo al Consiglio di applicare delle sanzioni a maggioranza qualificata
  • Durante tutte queste fasi è escluso ogni potere di controllo nel merito delle violazioni da parte della Corte di Giustizia che può solo intervenire per verificare la correttezza della procedura se un attore istituzionale ne fa richiesta, contrariamente all’art 44 del “progetto Spinelli” che assegnava invece alla Corte di Giustizia il potere di constatare la violazione grave e persistente del Trattato sulla cui base il Consiglio europeo poteva decidere a maggioranza di sospendete la partecipazione dello Stato dal Consiglio europeo, dal Consiglio e da ogni altro organo dell’Ue in cui lo Stato è rappresentato in quanto tale.

Oltre alla questione relativa alla natura ibrida dell’Unione europea, che non è più una confederazione ma non è ancora una federazione perché il potere di decisione sulle relazioni fra gli Stati e la stessa Unione europea è affidato....agli Stati o meglio ai governi degli Stati membri, appare con tutta evidenza la contraddizione e la mancanza di coerenza fra la procedura dell’art. 7 TUE relativa ad uno Stato già membro e il principio essenziale dell’art. 49 TUE secondo cui può chiedere di aderire all’Unione europea e dunque di diventarne membro a parte intera solo uno Stato europeo “che rispetta i valori sanciti dall’art. 2 (TUE, n.d.r.) e si impegna a promuoverli”.

L’esistenza di un regime illiberale all’interno di una Unione europea fondata sull’ancoraggio “ai principi della libertà, della democrazia e del rispetto dei diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali e dello Stato di diritto” (primo paragrafo del preambolo del Trattato, n.d.r.) non è accettabile perché corrode le sue radici.

In questo spirito il Parlamento europeo dovrebbe iscrivere nelle proposte di riforma del sistema europeo la richiesta di eliminare questa contraddizione e questa mancanza di coerenza e sottoporre ai parlamenti nazionali e, attraverso di essi, alle opinioni pubbliche un “accordo internazionale sulla democrazia europea” in occasione di una conferenza interparlamentare secondo il modello delle “assise” che si riunirono a Roma nel novembre 1990 dopo la fine dell’imperialismo sovietico e prima dei negoziati sul Trattato di Maastricht.

Tale accordo dovrebbe essere la premessa dei negoziati di adesione come oggetto di un sostegno democratico incontestabile chiedendo ai parlamenti nazionali degli Stati membri e dei paesi candidati di ratificarlo e sostenendo che la mancata ratifica avrebbe come conseguenza l’esclusione della candidatura alla adesione ma anche la decisione di non voler far parte della comunità di destino che unisce cittadini e Stati.

Poiché tutto questo dovrà essere tradotto in norme di trattato – o, se volete, costituzionali – l’accordo deve prevedere l’avvio di un processo costituente che abbia al suo centro il ruolo di proposta del Parlamento europeo e di decisione ad referendum (e cioè in vista di un referendum pan-europeo) dei parlamenti nazionali.

Così si potranno porre le basi per superare il carattere ibrido del sistema europeo e realizzare la finalità federale che è stata posta a fondamento del processo di integrazione europea.

Roma, 20 settembre 2022

 

coccodrillo

 

 

 

PILLOLE D'EUROPA

1) Viktor Orban ha definito la risoluzione adottata a larga maggioranza dal Parlamento europeo sulla violazione sistemica dei principi della democrazia in Ungheria “una barzelletta”.

Il suo disprezzo nei confronti dei deputati europei che rappresentano l’insieme dei cittadini dell’Unione è l’ulteriore dimostrazione della fondatezza del rapporto adottato dal Parlamento europeo, un disprezzo che coinvolge anche i deputati della Lega e di Fratelli d’Italia che pur hanno votato contro.

Questo disprezzo ricorda quello manifestato da Benito Mussolini cento anni fa dopo la Marcia su Roma quando definì il parlamento del Regno d’Italia una ”aula sorda e grigia”

Viktor Orban non riderà quando la Commissione, fondandosi su questo rapporto, confermerà il blocco dei finanziamenti del NGEU ma anche i fondi di cui l’Ungheria ha approfittato dai suo ingresso nell’Ue e quando sarà avviata formalmente la procedura dell’art. 7 per la sospensione del diritto di voto (e del potere di veto) del governo ungherese.

Ci chiediamo se Giorgia Meloni e Matteo Salvini stanno ridendo insieme a Orban e quale è l’opinione dei loro alleati di Forza Italia.

Berlusconi ha già dichiarato che, nel caso di una linea anti-Eu Forza Italia uscirebbe da un eventuale governo di centro-destra anche se la stessa Forza Italia si era opposta all’espulsione del partito di Orban dal Ppe.

Che faranno i ministri di Forza Italia in un ancora eventuale governo di centrodestra se l’Italia decidesse di bloccare l’applicazione dell’art. 7 in una situazione in cui tutto il Consiglio fosse schierato a favore della richiesta del Pe?

 

2) La Corte europea dei diritti dell’Uomo di Strasburgo ha deciso che la Federazione Russa non sarà più una delle parti della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali a partire dal 16 settembre 2022 ma che la Corte continuerà a giudicare i 17.500 ricorsi presentati contro la Federazione russa fino a quella data.

 

3) Il futuro monco dell’Europa di UvdL

Il trattato di Lisbona è stato firmato dai governi quindici anni fa, fu un modesto succedaneo del trattato costituzionale e fu ulteriormente peggiorato prima della sua definitiva entrata in vigore nel 2009.

Da allora l’Unione è passata attraverso sette crisi che hanno messo in evidenza la necessità di gettarsi alle spalle il modesto trattato di Lisbona e costruire un’Europa più democratica e più solidale.

Ciononostante il Parlamento europeo, ora la Commissione e molti europeisti che hanno dimenticato la lezione di Altiero Spinelli pensano ad un futuro monco dell’Europa con una parziale revisione del Trattato di Lisbona fondata sul principio apparentemente intangibile secondo cui gli Stati sono i padroni dei trattati e hanno il potere esclusivo di decidere sulla loro revisione all’unanimità ed anche di sottrarre competenze all’Unione per restituirle agli Stati.

In questo quadro appare sconcertante e non condivisibile la visione monca del futuro dell’Europa presentata da UvdL nel suo discorso sullo stato dell’Unione che qualcuno ha definito molto affrettatamente « storico ».

Secondo UvdL la dimensione democratica, la governance economica, l’economia sociale di mercato (fondata sulle singole persone e non sulla collettività), l’integrazione dei paesi candidati nel mercato unico, l’autonomia strategica e la competitività internazionale, la difesa dello Stato di diritto, la lotta al cambiamento climatico possono realizzarsi a trattati costanti e l’agenda della convenzione per la parziale revisione dei trattati dovrebbe essere limitata alla salute mentale e alla solidarietà fra le generazioni.

Nonostante il reiterato « non possumus » o meglio “nolumus” dei governi gli europeisti che hanno dimenticato la lezione di Altiero Spinelli continuano a illudersi che ci sarà una parziale revisione del modesto trattato di Lisbona in tempi brevi che non darà evidentemente delle risposte ai problemi che secondo UvdL possono essere risolti a trattati costanti.

 
 

ATTIRIAMO LA VOSTRA ATTENZIONE
 

Il 12 settembre scorso, presso la redazione di Milano del quotidiano Avvenire, i promotori dell’Appello “Per una proposta di Pace dell’Unione Europea” hanno presentato le proprie proposte al Cardinale Matteo Maria Zuppi, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana (*).

L’appello, presentato a Roma lo scorso 20 giugno in una conferenza stampa svoltasi presso l'Ufficio di informazione in Italia del Parlamento europeo, è stato sottoscritto da: ANPI, ARCI, MOVIMENTO EUROPEO ITALIA, RETE ITALIANA PACE E DISARMO e Marco Tarquinio (Direttore di Avvenire).

Nell’appello viene ribadito che «nessun conflitto si risolve con le armi, ma solo con dialogo e negoziati e soprattutto con un’ampia conferenza internazionale (Helsinki 2)».

Nei mesi scorsi, il Movimento europeo aveva espresso la sua preoccupazione sul conflitto russo-ucraino già all’alba del 24 febbraio 2022, chiedendo la cessazione immediata delle ostilità, l’applicazione bilaterale degli accordi di Minsk del 2014-2010 e l’avvio di un dialogo multilaterale simile a quello che portò fra il luglio 1973 e l’agosto 1975 alla sottoscrizione degli “accordi di Helsinki” e alla nascita il 1° gennaio 1995 dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE).

Il Movimento europeo è inoltre tra i promotori della Petizione al Governo Italiano, alla Commissione Europea e all’Alto Rappresentante per gli Affari Esteri e la Sicurezza, al Parlamento Europeo e al Segretario Generale delle Nazioni Unite sull’invio di Forze internazionali di interposizione in Ucraina affinché tacciano le armi e si avvii un negoziato sulla pace e la sicurezza.

(*) A questo proposito si segnalano gli articoli pubblicati da Avvenire: Se nemmeno si dice pace. L'Europa e l'escalation bellica, di Mauro Magatti (Avvenire, 10 settembre 2022); La via della pace. L'appello presentato a Zuppi: «La Ue faccia la sua parte» (Avvenire, 14 settembre 2022); Cei. Zuppi: «L'Europa è irrilevante e risulta antipatica perché vincono i nazionalismi», di Luca Mazza (Avvenire, 17 settembre 2022).

 
 
 
IN EVIDENZA
 

VI SEGNALIAMO

  • 20 settembre 2022, ore 17:00-20:00, Roma. Dibattito pubblico con i candidati alle elezioni politiche del 25 settembre dei collegi elettorali di Roma, per discutere del ruolo che l’Italia dovrà svolgere in Europa già a partire dai prossimi mesi. L’incontro, organizzato dal Movimento Federalista Europeo in collaborazione con la GFE Roma e il Movimento Europeo Italia, si svolgerà in presenza presso Sinergie Solidali, in Via Volsinio 21. LOCANDINA. Programma in costante aggiornamento sulla pagina Facebook del MFE Roma.
  • 20 settembre 2022, ore 20:00-23:00, Roma. “I diritti fanno breccia”. Manifestazione per l’anniversario della Breccia di Porta Pia (20 settembre 1870) promossa da Radicali Italiani. Corso d’Italia nei pressi di Porta Pia. LOCANDINA. Ulteriori informazioni.
  • 21 settembre 2022, ore 15:00, Roma. Nella giornata internazionale della Pace indetta dall’ONU, con i Costruttori di Pace, l’Associazione Beni Comuni "Stefano Rodotà", ECPAT, Rete #NOBAVAGLIO, gli studenti del "Villaggio della Pace" e molti altri ancora manifesteremo per affermare a gran voce la volontà di ricercare e costruire la PACE, attraverso un flashmob. L'appuntamento è alle 15:00 in Piazza della Repubblica.
  • 23 settembre 2022, ore 8:30-16:00, Roma. HIGH LEVEL SEMINAR “A NEW EU, A NEW WORLD”. Se il crollo dell'Unione Sovietica è stato descritto come “la fine della storia”, l'invasione russa dell'Ucraina è forse la premessa per un “nuovo inizio storico”? Promosso da Cep Italia, Centro Politiche Europee, in collaborazione con Unicredit e Reinventing Bretton Woods Committee (RBWC). L’incontro si svolgerà presso Palazzo De Carolis (Via Lata, 3 – Roma) e online. PROGRAMMA. Registrazione obbligatoria tramite il seguente LINK.
  • 23 settembre 2022, ore 10:00-13:30, Roma. “Sfide e prospettive per l’Europa” tavola rotonda di riflessione sul discorso sullo Stato dell’Unione. Promossa dalla Rappresentanza della Commissione europea in Italia e l’AUSE, Associazione Universitaria di Studi Europei, con il coinvolgimento dei Professori dell’Azione Jean Monnet del programma Erasmus+ e della più vasta comunità di studiosi e rappresentanti delle Istituzioni, esperti del processo di integrazione europea. PROGRAMMA. Evento in presenza presso la Sala conferenze di Spazio Europa (Via IV Novembre, 149 – Roma). E’ possibile prendere parte all’evento anche in remoto, collegandosi al seguente LINK.

 

ARTICOLI E TESTI DELLA SETTIMANA

 

 


 AGENDA EUROPEA

19-26 September 2022

Monday 19 September

Tuesday 20 September

Wednesday 21 September

Thursday 22 September

Friday 23 September

 

 

 


L'ABC DELL'EUROPA DI VENTOTENE
PICCOLO DIZIONARIO ILLUSTRATO

Nazionalismo - L'ABC dell'Europa di Ventotene

Continua la pubblicazione a puntate del dizionario illustrato "L'ABC dell'Europa di Ventotene" a cura di Nicola Vallinoto e illustrazioni di Giulia Del Vecchio (Ultima Spiaggia, Genova-Ventotene 2022, seconda edizione, licenza Creative Commons).

Nazionalismo, di Lucio Levi

L’avvento del fascismo

Nei termini più generali nazionalismo indica l’ideologia di una formazione politica determinata, lo Stato nazionale, la quale mira a influenzare le ideologie dei partiti in modo che i partiti liberali diventino liberali e nazionali, quelli socialisti diventino socialisti e nazionali e così via. E’ lo Stato nazionale che genera il nazionalismo, in quanto le sue strutture di potere tendenzialmente autoritarie permettono di perseguire il progetto politico della fusione di Stato e nazione, cioè dell’unificazione, nel suo territorio, di lingua, cultura e tradizioni.

A partire dalla Rivoluzione francese e soprattutto nel XIX e nel XX secolo, prima in Europa poi nel resto del mondo, l’ideologia nazionale ha conosciuto una diffusione così ampia che pretende di offrire il solo criterio che giustifica la formazione di uno Stato indipendente nel mondo moderno. E, nello stesso tempo, afferma che un mondo ordinato e pacifico si può fondare soltanto su un’organizzazione internazionale di nazioni sovrane.

 

Continua su:  https://www.peacelink.it/europace/a/49084.html

 

 


  CONFERENZA SUL FUTURO DELL'EUROPA

 

 


 CAMPAGNA DI INFORMAZIONE SULL'EUROPA

 20220014 GiorgiaMeloni

 

 

 

 

 

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Mercoledì 14 settembre il Parlamento europeo voterà il testo concordato con il Consiglio (che dovrebbe seguire il P.E. dopo pochi giorni), dopo un lungo e complesso negoziato, sulla proposta di direttiva su salari minimi adeguati nell’Unione europea (Ue).

Il voto, secondo una procedura speciale, sarà di accettazione o meno in blocco del nuovo testo della direttiva contestata con un certo vigore da alcuni Stati – soprattutto dell’Europa del Nord - e a lungo dibattuta anche tra le parti sociali. 

La premessa di questo passaggio - che estende le competenze sovranazionali  in un aspetto  decisivo, soprattutto oggi in una situazione di debolezza del potere sindacale e di frammentazione delle attività produttive connesse anche ai processi dirompenti di digitalizzazione dell’economia, della disciplina dei rapporti di lavoro - è l’approvazione a Göteborg  il 27.11.2017  dello European social Pillar il cui art. 6 stabilisce che “I lavoratori hanno diritto a una retribuzione che offra un tenore di vita dignitoso”.

Tuttavia, poiché molti dei 20 diritti e principi sanciti nel Social Pillar sono ancora di competenza nazionale, è stata l’attuale Commissione europea a sostenere con una certa determinazione che il “problema salariale“ fosse, per la sua gravità, una grande questione europea e che spettasse all’Ue introdurre un quadro normativo capace di innalzare il livello delle retribuzioni in tutti gli stati membri verso la soglia di decenza.

Secondo gli studi della Commissione europea, i lavoratori con “retribuzioni indecenti” sarebbero oltre venti milioni e in più di nove Stati membri i salari minimi riconosciuti non proteggono dal rischio di povertà. 

Nel muoversi in questa direzione, la Commissione europea ha dovuto fronteggiare obiezioni giuridiche di una certa serietà in quanto l’art. 153.5  del TFUE (norma voluta e sempre accanitamente difesa dal Regno Unito al tempo del negoziato sul Trattato di Lisbona) stabilisce che le procedure di approvazione previste nell’articolo in questione per l’approvazione delle normative a carattere sociale (soggette anche al cosiddetto dialogo sociale europeo, cioè ad un confronto con le parti sociali che godono della possibilità di adottare nelle materie in esame una direttiva) non si applicano a retribuzioni, diritto di associazione e sciopero.

Questo ostacolo, certamente da rimuovere per il futuro, è stato ingigantito dai soggetti contrari ad un intervento regolativo, tra cui anche i paesi scandinavi gelosi dei loro sistemi (molto efficienti) retributivi fondati sulla contrattazione collettiva.

La Commissione europea ha dovuto quindi scegliere una via indiretta per la promozione di salari adeguati fondata sulla trasparenza delle procedure e degli indicatori per l’aggiornamento dei minimi, sui meccanismi di monitoraggio e di informazione sui livelli dovuti e sulle singole componenti di questi (che coinvolge il problema non semplice di qualificare un trattamento goduto come retributivo o meno), sulla difesa giudiziaria e sulle garanzie rafforzate di chi agisce legalmente, sul monitoraggio europeo dell’andamento dei salari e sul contrasto del lavoro falsamente autonomo etc.

Solo per gli Stati che hanno già attribuito alla legge questa competenza sono state individuate regole più stringenti.

La strada intrapresa ed oggi convalidata dall’accordo con il Consiglio mantiene in modo rigoroso la libertà dei paesi membri di scegliere una delle due soluzioni consentite per mantenere un livello decoroso delle retribuzioni in tutti i settori: l’attribuzione alla contrattazione collettiva di questo compito (opzione che oggi seguono solo sei paesi, tra i quali l’Italia) oppure l’introduzione di salari minimi legali (statutory minimum wage).

La proposta di direttiva non obbliga (art. 3) i paesi che hanno un sistema contrattuale a definire neppure un’efficacia erga omnes dei contratti o particolari criteri di rappresentatività per la loro stipula.

Per questi ultimi paesi la direttiva si occupa in buona sostanza (a parte le norme sul monitoraggio, le ispezioni, la difesa giudiziaria etc.) solo di promuovere e spingere verso una copertura molto ampia dei lavoratori da parte dei contratti: al di sotto dell’80% della copertura, infatti, gli Stati sono tenuti a varare un piano efficace e trasparente di estensione, da concordarsi con le parti sociali in una costante interlocuzione con la Commissione europea (art. 4).

Obblighi certamente più stringenti valgono per i rimanenti 21 Stati nei quali il salario minimo è stabilito attraverso” binding legal previsions”: in questo caso la proposta di direttiva obbliga questi paesi a definire le necessarie procedure per la “determinazione e l'aggiornamento dei salari minimi legali. Tale determinazione e aggiornamento sono basati su criteri stabiliti per contribuire alla loro adeguatezza, al fine di conseguire un tenore di vita dignitoso, ridurre la povertà lavorativa, promuovere la coesione sociale e una convergenza sociale verso l'alto e ridurre il divario retributivo di genere” (art. 5).

Sebbene gli Stati godano di una certa discrezionalità nello stabilire i criteri di aggiornamento nazionali devono tenere in considerazione almeno i seguenti elementi: a) il potere d'acquisto dei salari minimi legali, tenuto conto del costo della vita; b) il livello generale dei salari e la loro distribuzione; c) il tasso di crescita dei salari; d) i livelli e l'andamento nazionali a lungo termine della produttività. 

Possono inoltre ricorrere a un meccanismo automatico di adeguamento dell'indicizzazione dei salari minimi legali, basato su criteri appropriati e conformemente al diritto e alle prassi nazionali, a condizione che l'applicazione di tale meccanismo non comporti una diminuzione del salario minimo legale ed i utilizzano valori di riferimento indicativi per orientare la loro valutazione dell'adeguatezza dei salari minimi legali.

A tal fine, possono utilizzare valori di riferimento indicativi comunemente utilizzati a livello internazionale, quali il 60 % del salario lordo mediano e il 50 % del salario lordo medio, e/o valori di riferimento indicativi utilizzati a livello nazionale.

Entrano in gioco, quindi, gli standard internazionali in base ai quali alcuni paesi hanno fissato soglie predeterminate di salario minimo interprofessionale come, notoriamente la Germania o la Spagna (in applicazione di questi standard si era proposta per l’Italia la cifra di 9 euro lordi).

Pertanto, la proposta di direttiva vincola chiaramente questi Stati (21) a prevedere meccanismi trasparenti di adeguamento dei livelli di salario minimo legale, concordati anche con le parti sociali (art. 7), tali da poter raggiungere livelli di decenza retributiva ed impedire il fenomeno del lavoro povero (in molti paesi integrato da sistema di reddito minimo garantito come in Germania o in Italia) secondo gli scopi della direttiva.

Sebbene le formule siano, soprattutto dopo le correzioni del Consiglio, piuttosto aperte, un controllo della Corte di giustizia (e prima ancora della Commissione europea) sul rispetto di questi obblighi è certamente possibile, tenuto conto soprattutto degli indicatori internazionali che offrono parametri dai quali non sembrerebbe possibile per i paesi membri allontanarsi immotivatamente ed irrazionalmente.

Il criterio dell’effetto utile delle direttive, ampiamente utilizzato anche in campo sociale dalla Corte di giustizia, potrebbe condurre ad interpretazioni esigenti degli obblighi posti dall’art. 5 e seguenti.

Si tratta quindi, soprattutto per la maggioranza dei paesi soggetti a disciplina legale, di un deciso passo in avanti verso una maggiore equità delle relazioni di lavoro, di una vittoria di coloro che hanno scommesso già nel 2017 sul Social Pillar come strada unitaria di rilancio del capitolo sociale dell’Unione, cui dovrebbe seguire la definizione di una regolamentazione per il lavoro intermediato da piattaforme (attualmente la proposta di direttiva è pendente per gli emendamenti al Parlamento europeo) e di una complessa disciplina sugli obblighi per le più grandi imprese di controllare il rispetto dei diritti sociali fondamentali anche nelle filiere produttive della subfornitura e,infine, l’emanazione di una attesa Raccomandazione sul reddito minimo garantito ed il contrasto della povertà.

E’ vero che la proposta di direttiva di cui abbiamo parlato lascia molto liberi gli Stati che rinviano alla contrattazione collettiva per determinare il livello di salario minimo (soprattutto quelli che hanno una copertura dei contratti superiore all’80% come l’Italia) , ma ci saranno ben due anni perché questi paesi  possano chiedersi seriamente  se i loro sistemi contrattuali attuali sono davvero efficienti ed adeguati per raggiungere gli scopi della direttiva che ribadisce, secondo i principi generali, che è sempre possibile adottare una normativa interna più favorevole per i lavoratori rendendosi virtuosi anche prater legem.

Non solo la proposta in corso di approvazione, come già accennato, prevede comunque obblighi amministrativi, ispettive, informativi, giurisdizionali che sono comuni a tutti gli stati ma sembra auspicabile che tutti i paesi si interroghino, in cooperazione con le parti sociali, se non siano necessarie modifiche legislative e/o endosindacali che, seguendo le indicazioni ed i parametri accolti dall’Ue, impediscano contratti collettivi con salari minimi al di sotto della soglia della povertà.

Giuseppe Bronzini

Roma, 12 settembre 2022

 
 
 
 
 
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Manifesto di Ventotene - L'ABC dell'Europa di Ventotene

Continua la pubblicazione a puntate del dizionario illustrato "L'ABC dell'Europa di Ventotene" a cura di Nicola Vallinoto e illustrazioni di Giulia Del Vecchio (Ultima Spiaggia, Genova-Ventotene 2022, seconda edizione, licenza Creative Commons).

Manifesto di Ventotene, di Pier Virgilio Dastoli

L’avvento del fascismo

SPINELLI, ALTIERO aveva poco più di quindici anni quando il fascismo di Benito Mussolini andò al potere dopo la cosiddetta “Marcia su Roma” il 28 ottobre 1922 trasformando presto un fragile sistema di monarchia costituzionale in un regime totalitario. Dopo l’arrivo del fascismo in Italia altri paesi europei furono sottomessi alle dittature fasciste e undici anni dopo Mussolini la Germania cadde sotto le violenze razziste di Adolf Hitler.

Spinelli, cresciuto in una benestante famiglia di origini pugliesi e abruzzesi ma residente a Roma, fu introdotto dal padre alla conoscenza della cultura socialista ma ben presto il suo spirito rivoluzionario lo spinse a aderire alla gioventù comunista di cui divenne un autorevole dirigente apprezzato anche da Antonio Gramsci. A causa della sua attiva militanza comunista fu arrestato dalla polizia fascista a Milano all’età di vent’anni e condannato dal Tribunale Speciale, formato da magistrati asserviti al fascismo, a sedici anni di carcere.

Continua su: https://www.peacelink.it/europace/a/49079.html

 

A questo proposito, ci fa piacere segnalarvi la presentazione del dizionario illustrato "L'ABC dell'Europa di Ventotene" che avrà luogo a Fano il 14 settembre 2022 alle 17:30 presso la Mediateca Montanari. Per informazioni scrivere a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

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