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Di recentissima pubblicazione, nell’ottobre scorso, “Quei ponti sulla Drina” è una raccolta di interventi di Alexander Langer, europarlamentare, ecologista, pacifista, una figura da ricordare mentre l’Europa volge il suo sguardo al termine di questo 2020, nel corso di una crisi che ancora vede davanti a sé incertezze e che ha colpito, anche se in maniera asimmetrica, tutto il territorio europeo. Infatti, è all’Europa nel suo insieme che guardava Langer, non solo agli Stati membri dell’Unione, nella sua operazione per il dialogo e la costruzione di “ponti”. Quella di Alexander Langer è un’opera che attraversa tutto il dopoguerra europeo e che vede una delle sue massime espressioni nel Verona Forum, che, come si può leggere nel testo, “costituì un punto di incontro di democratici di diversa provenienza (liberali, socialdemocratici, riformisti, nazionalisti moderati, ecologisti e alternativi), di giornalisti liberi, di esponenti di associazioni che cercavano di costruire e rafforzare una voce comune, che faticava a trovare ascolto presso le istituzioni europee”.

Questo volume presenta un’introduzione di Sabina Langer, dottoranda in Pedagogia, redattrice, attiva in progetti in Bosnia Erzegovina da oltre vent’anni, che afferma: “La sfida innescata oggi dalla pandemia potrebbe avere una portata ampia quanto quella della caduta del muro di Berlino. Potremmo quindi cercare di cogliere il potenziale di questo cambio di paradigma, proprio come tentò di fare a suo tempo Alexander”. È a partire da queste riflessioni che Sabina traccia un quadro sulla figura di Alexander Langer che non è semplice riassumere in poche parole e che però emerge in maniera nitida, a colloquio con la curatrice del volume: l’Europa vive di dialogo e il mondo nuovo che ci aspetta sarà anche quello in cui ricostruire nuove forme di convivenza pacifica. La Bosnia Erzegovina, testimonia Sabina Langer, è stata di nuovo colpita duramente, in questi ultimi tempi di pandemia, proprio quando sembrava aprirsi un varco di speranza. Riconosciuta come Stato “potenzialmente candidato” all’ingresso nell’Unione, la Bosnia Erzegovina è una realtà che ha sofferto duramente il conflitto degli anni ’90 e che stenta ancora ad uscirne. La sua capitale rappresenta in pieno l’impegno di Alexander Langer, secondo cui  “L’Europa nasce o muore a Sarajevo”. Come afferma Sabina Langer: “Alcuni tentativi politici compiuti da Alexander per cambiare paradigma hanno avuto importanti riscontri, come il Tribunale penale internazionale (costituito anche su sua iniziativa). Alcuni semi che piantò continuano a crescere, anche insieme all’operato della Fondazione che porta il suo nome, insieme al progetto Adopt Srebrenica e all’associazione Tuzlanska Amica. Un albero a lui dedicato cresce nella piazza di Tuzla. Da quel tragico luglio 1995 in molti non si sono arresi. La situazionein Bosnia Erzegovina non è affatto rosea. La pandemia sicuramente non aiuta – come non aiutano abbastanza l’Unione europea o le Nazioni Unite. Molte persone però continuano faticosamente a vivere, ad aggiustare nel loro piccolo un piccolo pezzo di mondo. Senza perdere la speranza”.

 

 

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Il 5 novembre 2019 è stata emessa una sentenza da parte della Corte di Giustizia dell’Unione europea che riconosce che la Repubblica di Polonia è venuta meno ai propri obblighi di rispetto del diritto dell’Unione. Anche se non è direttamente richiamato nella parte del testo relativa al giudizio della Corte, l’articolo 51 della Carta dei diritti fondamentali, trattato questa settimana, secondo cui anche gli Stati membri ne “rispettano i diritti, osservano i principi e ne promuovono l’applicazione secondo le rispettive competenze”, è presente nella sentenza e viene citato nella parte del contesto normativo di riferimento.

L’oggetto del ricorso proposto dalla Commissione europea è una legge polacca di modifica di alcune disposizioni della legge relativa al pubblico ministero, che, il 12 luglio 2017, ha introdotto “in particolare riferimenti ai nuovi limiti di età per il pensionamento dei magistrati del pubblico ministero, vale a dire 60 anni per le donne e 65 anni per gli uomini”. La Commissione ha ritenuto che con tali modifiche la Repubblica di Polonia fosse venuta meno ai propri obblighi “ai sensi, da un lato, dell’articolo 157 TFUE nonché dell’articolo 5, lettera a), e dell’articolo 9, paragrafo 1, lettera f), della direttiva 2006/54, e, dall’altro, del combinato disposto dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE e dell’articolo 47 della Carta”.

Perciò, “la Commissione ha inviato a tale Stato membro, il 28 luglio 2017, una lettera di diffida. Quest’ultimo ha risposto con lettera del 31 agosto 2017, nella quale ha negato qualsiasi violazione del diritto dell’Unione. Il 12 settembre 2017 la Commissione ha emesso un parere motivato, nel quale ha ribadito che le norme nazionali menzionate al punto precedente violavano le suddette disposizioni del diritto dell’Unione. Di conseguenza, tale istituzione ha invitato la Repubblica di Polonia ad adottare le misure necessarie per conformarsi a detto parere motivato entro il termine di un mese a decorrere dalla sua ricezione. Tale Stato membro ha risposto con lettera del 12 ottobre 2017, in cui concludeva per l’inesistenza delle asserite infrazioni. In tale contesto, la Commissione ha deciso di proporre il ricorso in esame”.

Il testo di questa sentenza è assai consistente e richiede una lettura attenta, ma sembrano qui interessanti prevalentemente due punti da porre all’attenzione per comprendere meglio le motivazioni della stessa. Nella parte dedicata al giudizio della Corte, si legge infatti che “sia l’articolo 157 TFUE sia l’articolo 5, lettera a), e l’articolo 9, paragrafo 1, lettera f), della direttiva 2006/54 osterebbero alla fissazione di condizioni di età diverse a seconda del sesso per la concessione di tali pensioni”.

E inoltre: “dette disposizioni (quelle introdotte dalla legge polacca del 12 luglio 2017, ndr) introducono nei regimi pensionistici interessati condizioni direttamente discriminatorie fondate sul sesso, in particolare per quanto riguarda il momento in cui gli interessati possono godere di un accesso effettivo ai benefici previsti da tali regimi, cosicché esse violano sia l’articolo 157 TFUE sia l’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2006/54, in particolare il suo punto a), in combinato disposto con l’articolo 9, paragrafo 1, lettera f), della medesima direttiva”.

Perciò, la Corte ha accolto il ricorso della Commissione, riconoscendo che la Polonia è venuta meno a tali disposizioni e, inoltre, anche all’articolo 19 paragrafo 1, secondo comma del TUE, “conferendo al Ministro della Giustizia (Polonia) […] il potere di autorizzare o meno la proroga dell’esercizio delle funzioni dei magistrati giudicanti dei tribunali ordinari polacchi al di là della nuova età per il pensionamento dei suddetti magistrati”.
Per approfondire, clicca qui.

 

 

 

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Le disposizioni generali della Carta dei diritti fondamentali sono raccolte negli articoli dal 51 al 54, come si è già avuto modo di vedere anche in altri numeri di questa newsletter. Questa settimana, in particolare, trattiamo l’articolo 51, dedicato all’ambito di applicazione delle disposizioni della Carta. In relazione a ciò, il primo comma dell’articolo sintetizza alcuni aspetti importanti, relativi non solo ai suoi destinatari, che sono le istituzioni, gli organi dell’Unione e gli Stati membri. Si menziona infatti anche il rispetto del principio di sussidiarietà, facendo così riferimento alle modalità attraverso cui svolge l’azione dell’Ue e di quelle degli Stati membri, nell’attuazione del diritto dell’Unione, ciascuno nel rispetto delle proprie competenze.

Ma il punto che più ci interessa ai fini del tema prevalente, questa settimana, cioè il rispetto dello stato di diritto all’interno degli Stati membri, è il fatto che tutti i soggetti di cui si occupa l’articolo 51 sono tenuti ad osservarne “i principi e ne promuovono l’applicazione secondo le rispettive competenze”. Come si potrà leggere nella sezione dedicata questa settimana alla giurisprudenza europea, proprio l’articolo 51 è uno di quelli richiamati nell’ambito di una controversia tra la Commissione europea e la Repubblica di Polonia: la Corte di Giustizia dell’Ue lo ha infatti citato in relazione al ricorso per inadempimento proposto dalla Commissione contro la Polonia e, leggendo il testo della relativa sezione, potrete saperne di più.

Ugualmente importante per delineare il quadro d’azione dell’Ue è il secondo comma dell’articolo 51, in cui si afferma che “La presente Carta non introduce competenze nuove o compiti nuovi per la Comunità e per l’Unione, né modifica le competenze e i compiti definiti dai trattati”. Con tali affermazioni si vuole meglio definire la funzione della Carta dei diritti fondamentali e il suo rapporto con i trattati; sono due fonti del diritto dell’Unione, ma intervengono su aspetti differenti e complementari. Questo secondo comma, nella sua sinteticità è però fondamentale per comprendere il significato della Carta, che può essere chiarito ulteriormente ricollegandosi al suo preambolo, in particolar modo in questo punto: “La presente Carta riafferma, nel rispetto delle competenze e dei compiti della Comunità e dell’Unione e del principio di sussidiarietà, i diritti derivanti in particolare dalle tradizioni costituzionali e dagli obblighi internazionali comuni agli Stati membri, dal trattato sull’Unione europea e dai trattati comunitari, dalla convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, dalle carte sociali adottate dalla Comunità e dal Consiglio d’Europa, nonché i diritti riconosciuti dalla giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee e da quella della Corte europea dei diritti dell’uomo”.

 

 

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