Via Angelo Brunetti, 60   06.36001705  06.87755731  segreteriacime@tin.it  segreteria@movimentoeuropeo.it

Valutazione attuale: 1 / 5

Stella attivaStella inattivaStella inattivaStella inattivaStella inattiva

 

7 – 13 February 2022

Monday 7 February

Tuesday 8 February

Wednesday 9 February

Thursday 10 February

Friday 11 February

Sunday 13 February

 

 

 

 

 

 

Stella inattivaStella inattivaStella inattivaStella inattivaStella inattiva

 

I chiari e gli scuri del Trattato di Maastricht

Il Trattato che istituì l’Unione europea lasciandosi alle spalle i trattati di Roma del 1957 e l’Atto Unico europeo del 1986 fu firmato nel Centro Congressi della città olandese di Maastricht - al confine con la Germania unificata, il Belgio e la Francia - il 7 febbraio 1992 dai capi di Stato e di governo di dodici paesi europei sulla base di un difficile compromesso intergovernativo raggiunto nella notte fra il 10 e l’11 dicembre 1991 dopo un anno di negoziati iniziati a Roma nel dicembre 1990.

Quei negoziati riguardavano teoricamente due Conferenze intergovernative (CIG) sull’Unione economica e monetaria (UEM) e sull’Unione politica (UP) e furono precedute a Montecitorio da una settimana di “assise interparlamentari sul futuro dell’Europa” promosse dal Parlamento europeo, dal Parlamento belga e dal Parlamento italiano dove non parteciparono i governi che decisero di escludere sia il Parlamento europeo che la società civile riducendo il dialogo con i parlamentari europei all’interno di  formali conferenze interistituzionali parallele (CIP) che lasciarono inalterato il controllo diplomatico sui negoziati anche se il passaggio dalla semplice cooperazione legislativa nell’Atto Unico alla codecisione in Maastricht fu significativo come furono significativi l’ampliamento delle aree di decisione del Consiglio a maggioranza qualificata e l’introduzione della cittadinanza europea.

L’idea di un nuovo trattato era nata nel 1988 nella convinzione che non ci poteva essere mercato unico senza moneta unica a cui si era aggiunta nel 1989 la consapevolezza che serviva una unione politica per rispondere alla fine dell’imperialismo sovietico e alla prospettiva di accogliere nelle Comunità europee i paesi dell’Europa centrale che si preparavano a conquistare o riconquistare la democrazia secondo un modello liberale.

Come sanno gli studiosi dell’integrazione europea il nuovo trattato rischiò di impantanarsi nelle ratifiche nazionali in piccola parte per il “nej” nel referendum danese ma soprattutto per le molte reticenze dell’opinione pubblica francese che si espresse con una esigua maggioranza con un “oui” nel referendum convocato da François Mitterrand.

Lo stesso Mitterrand aveva cercato di sormontare il “nej” danese proponendo agli altri governi di uscire tutti insieme dalle Comunità europee e di firmare il Trattato di Maastricht come un accordo internazionale lasciando da solo il Regno di Danimarca nei trattati comunitari ma dovette abbandonare la sua idea per l’opposizione britannica condivisa silenziosamente dagli altri governi che non volevano separarsi dal Regno Unito.

Tutto quello che è avvenuto in questi trenta anni ha progressivamente messo a nudo i difetti del Trattato di Maastricht a cominciare dalla mancanza di un calendario vincolante per la realizzazione dell’Unione politica nell’illusoria convinzione che il processo di integrazione europea viaggiasse su un teorico piano inclinato che ci avrebbe condotto dalla moneta unica alla federazione europea.
Così non è avvenuto ed anzi con il Trattato di Lisbona il piano si è inclinato verso il modello intergovernativo o confederale.

La lista dei “left over” del Trattato di Maastricht è molto lunga e per anni abbiamo pagato le conseguenze del compromesso raggiunto fra i dodici governi con la connivenza della Commissione europea presieduta dal francese Jacques Delors.

Non c’erano nel trattato gli elementi essenziali per affiancare o meglio per sovrapporre all’Unione monetaria una vera Unione politica che era apparsa indispensabile per consentire l’ingresso dei paesi dell’Europa centrale nel sistema comunitario senza squilibrarlo.

Non c’erano nel rapporto sulla moneta unica le condizioni per evitare quella che Carlo Azeglio Ciampi aveva definito la “zoppia” dell’Unione economica e monetaria.

Non c’era una visione unitaria del processo di integrazione europea frammentato in tre pilastri (quello comunitario, quello della politica estera e quello della sicurezza interna) all’interno di un sistema che Giulio Andreotti definì sarcasticamente “un tempio bizantino”.

Non c’erano infine gli strumenti per combattere le diseguaglianze fra paesi, regioni e classi sociali perché la dimensione sociale fu relegata in un modesto protocollo allegato al trattato che il Regno Unito si rifiutò di firmare.

Roma, 7 febbraio 2022

Pier Virgilio Dastoli

 

VI SEGNALIAMO

  • 7 febbraio 2022, ore 19:00 - 20:30. In occasione del 30° anniversario del Trattato di Maastricht, i Movimenti europei in Francia, Germania e Italia - attori principali delle questioni europee - celebrano questo atto di rifondazione della costruzione europea. Firmato il 7 febbraio 1992, il Trattato di Maastricht ha istituito l'Unione europea ed è stato una pietra miliare nella costruzione dell'Europa che conosciamo oggi. La prospettiva storica ci sembra necessaria per collocare i dibattiti sul miglioramento dell'Unione europea in una prospettiva a lungo termine. In presenza di attori europei che hanno avuto un ruolo decisivo nell'elaborazione del Trattato di Maastricht, ci sarà un dibattito su ciò che è stato raggiunto e ciò che resta da fare per garantire che il Trattato di Maastricht mantenga le sue promesse, sia in termini di sviluppi geopolitici attuali che nei prossimi anni per costruire il futuro dell'Europa. L'incontro è realizzato con il supporto della Rappresentanza in Italia della Commissione europea nel quadro del progetto "L'Europa chiama il futuro". Sarà disponibile la traduzione simultanea nelle tre lingue di lavoro: italiano, francese, tedesco. Registrazione obbligatoria: per partecipare e ricevere quindi il link per il collegamento online, inviare un’email di conferma all’indirizzo Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. entro lunedì 7 febbraio alle ore 16:30. PROGRAMMA.

 

ARTICOLI E TESTI DELLA SETTIMANA

 

 

 

 

Valutazione attuale: 5 / 5

Stella attivaStella attivaStella attivaStella attivaStella attiva

 

TRENT’ANNI DA MAASTRICHT: SERVE UNA NUOVA RIVOLUZIONE EUROPEA

Sono trascorsi più di venticinque anni dalla pubblicazione di un saggio che suscitò a torto molta attenzione “Contro l’Europa:  tutto quello che non vi  hanno detto di Maastricht” di Ida Magli a cui l’autrice aggiunse nel 2001 un capitolo dedicato a “previsioni e verifiche” per affermare che le sue teorie di scienziata sociale si erano tutte avverate “con precisione e rapidità” con la sola eccezione del “cinismo” con cui “gli amorosi e pacifici partners della Germania – Francia e Inghilterra – si sono liberati del loro maggior rivale”.

Come sappiamo le tesi di Ida Magli sono regolarmente condivise in Italia da Ernesto Galli della Loggia ospitato senza contradditori dal Corriere della Sera e più recentemente da Lucio Caracciolo che ha scritto sulla “disgregazione del sogno europeo” ma trovano adepti in quasi tutti i paesi europei.

Chi firma questa introduzione scrisse nel giugno 1992 un saggio per Il Mulino dal titolo “A qualcuno non piace Maastricht in cui si mettevano in luce i rischi di un’architettura largamente incompleta in cui la moneta prevaleva sulla politica, il mercato prevaleva sulla dimensione sociale, il potere degli Stati prevaleva su quello dei cittadini europei, la sicurezza esterna ed interna rimaneva nel quadro delle competenze nazionali e l’assenza di una vera democrazia europea avrebbe privato i cittadini dei beni che non potevano più essere garantiti a livello degli Stati.

Quando uscì il saggio di Ida Magli l’Unione europea transitava dalla prima alla seconda fase dell’unione economica e monetaria: nel dicembre 1996 era stato presentato il disegno delle banconote dell’euro (una denominazione scelta dai capi di Stato e di governo dei quindici paesi membri nel dicembre 1995) che contenevano tutte dei ponti come simbolo di una comunità che si univa nella diversità lasciando alle spalle secoli di divisioni e di conflitti senza pensare che dopo vari anni dei capi di Stato e di governo i cui paesi hanno tratto enormi vantaggi dalla appartenenza all’Unione europea vogliono ricostruire l’Europa dei muri.  

A proposito di ponti, l’Italia e l’Austria entravano quell’anno nell’area Schengen garantendo così, insieme all’abolizione delle frontiere interne, la libera circolazione delle persone.

Ai confini dell’Europa e dopo la sanguinosa guerra civile nella ex-Jugoslavia di cui furono responsabili anche gli europei, gli unici fenomeni di conflittualità nel mondo arabo - chiuso nel suo millenario oscurantismo in cui quella società, che pure aveva arricchito la cultura europea, era caduta quando il cristianesimo era passato dalla pax cristiana al bellum sacrum – insanguinavano l’Algeria e non v’era ancora traccia di quei flussi migratori da Sud a Nord che sarebbero stati provocati anni dopo dalle guerre in Iraq, in Siria e in Libia oltre che dalla degradazione socio-economica nell’Africa sub-sahariana per gli scontri tribali, i disastri ambientali e la depredazione delle terre.

Nello stesso tempo, le istituzioni dell’Unione e i governi dei paesi membri avevano avviato un difficile negoziato per accogliere gli Stati e i popoli dell’Europa orientale che erano usciti dal sistema imperialista sovietico nel 1989 pronti ad entrare nel sistema occidentale sottoposto all’egemonia statunitense.

La Commissione europea, debolissimo anello nella catena dei poteri nazional-europei, aveva inutilmente suggerito ai governi di proporre alle nuove democrazie orientali un lungo periodo di associazione per consentire loro di adattarsi alle economie liberali e all’Unione di rafforzarsi per poter governare un insieme di quasi trenta paesi e cinquecento milioni di abitanti nel rispetto delle diversità politiche, culturali e sociali (il metodo della regata). I governi ritennero invece che alla fine del negoziato tutti i paesi candidati avrebbero dovuto entrare insieme nell’Unione e così fu nel 2004 quando i membri passarono da 15 a 25 (il metodo del big bang).

In Francia e nel Regno Unito tornavano al potere i socialisti con Lionel Jospin e Tony Blair e negli Stati Uniti Bill Clinton conquistava un secondo mandato. Nonostante la forte presenza di socialisti al potere in molti Stati europei (dieci su quindici), il Consiglio europeo adottò il Patto di Stabilità (a cui Jospin fece aggiungere l’inutile parola crescita) allo scopo di garantire la disciplina di bilancio negli Stati che avrebbero aderito all’euro secondo i criteri stabiliti dal Trattato di Maastricht.

Secondo le previsioni di Ida Magli, questo trattato avrebbe provocato l’addio all’Occidente facendo spostare il baricentro dell’Unione verso il suo confine sud-orientale, la morte delle Nazioni, la “formazione di un impero europeo governato in base alle strutture economiche” , la svalutazione dell’euro e poi  il suo crollo “non importante tanto per se stesso quanto perché segnala che tutto l’edificio crollerà” e infine “l’invasione islamica collegata alla costruzione dell’Unione europea” con la conseguenza che “insieme agli Italiani e alla cultura italiana finiranno la democrazia, il centro del cattolicesimo, la liberazione delle donne e, di conseguenza, anche il potere dei governanti italiani”.

Se si scorrono i giornali del 1997 si trae la convinzione che gli Europei – o almeno gli Europei dei quindici paesi membri dell’Unione europea – nutrivano altre preoccupazioni: non quella dell’invasione islamica ma piuttosto la paura che l’allargamento ad Est avrebbe portato verso Ovest milioni di lavoratori sottopagati e quindi potenzialmente concorrenti e avrebbe creato sacche di dumping sociale. Per la maggioranza degli Europei l’appartenenza del loro paese all’Unione era una “buona cosa” così come una moneta unica aspettandosi dall’Unione un’azione più incisiva contro la criminalità, nel diritto all’educazione e alla formazione e una sola politica europea per l’immigrazione.

La inopinata riedizione del saggio, che venti cinque anni fa appariva contro-corrente, è avvenuta pochi mesi dopo le elezioni del 4 marzo 2018 che hanno portato inizialmente al governo due forze politiche che si erano contrapposte durante la campagna elettorale, l’una (il Movimento 5 Stelle) dichiaratamente anti-sistema con posizioni europee ed internazionali che si potevano definire “liquide” e l’altra (la Lega) radicata da quasi trent’ani nel sistema politico italiano a livello locale, poi regionale e infine nazionale con una posizione europea allora ed oggi dichiaratamente sovranista.

Il saggio di Ida Magli si iscrive in quella corrente di pensiero che è stata troppo genericamente definita “euroscettica”, un’espressione coniata nel 1985 dal Times per definire l’ostilità del partito laburista britannico contro le politiche liberiste della Comunità Economica Europea. Da allora il termine “euroscettico” viene applicato indistintamente ai (pochi) partiti che si battono per l’uscita del loro paese dall’Unione europea (come è stata l’UKIP di Neil Farage), ai (sempre più numerosi) movimenti contrari alla cessione o alla perdita della apparente sovranità nazionale nella dimensione sopranazionale, ad alcuni partiti della sinistra radicale e alle forze politiche di estrema destra xenofobe e antisemite.

Come avviene per la corrente di pensiero europeista nella quale occorre distinguere gli orientamenti moderati o conservatori di chi difende l’Unione nel suo stato attuale - con le istituzioni consolidate nel Trattato di Lisbona (2007) e le politiche di austerità rappresentate dal Fiscal Compact (2013) – dalla cultura federalista che sostiene la necessità  di sovranità condivise nel quadro di una democrazia europea multilivello, così fra gli euroscettici occorre distinguere fra chi sostiene l’idea di un’Europa intergovernativa nella quale prevalga la difesa degli interessi nazionali e la posizione di chi è contrario in se al progetto di integrazione europea e che ne propugna la fine e che potremmo definire più correttamente “euro-ostili”.

È evidente che il suffisso “euro” in tutti questi casi non si riferisce (o non si riferisce solo) alla moneta unica ma all’integrazione europea nel suo insieme. In questo senso ritengo che sarebbe più corretto definire la presa di posizione di Ida Magli “euro-ostile”, poiché la scrittrice si oppone nel suo insieme ad una “operazione” che condurrebbe o che ha già condotto - a suo giudizio - alla scomparsa dell’identità nazionale, alla fine dell’Occidente e in definitiva alla perdita delle libertà individuali.  

Dopo Maastricht (1992), l’Unione europea è passata attraverso i trattati di Amsterdam (1997), di Nizza (2001) e infine di Lisbona (2007) un trattato voluto da Angela Merkel a cui la cancelliera aveva augurato cinquant’anni di vita. Fra Nizza e Lisbona c’è stata la parentesi del “Trattato che istituisce una costituzione europea” firmato a Roma nell’ottobre 2004, ratificato da tredici paesi membri (in Spagna e nel Lussemburgo per referendum) ma bocciato in Francia e nei Paesi Bassi nella primavera del 2005.

Vale la pena di ricordare che, dalla nascita della Comunità Economica Europea nel 1957, i cittadini e le cittadine di ventidue paesi europei sono stati chiamati quaranta volte ad esprimersi per referendum sul processo di integrazione europea dando il loro consenso ventinove volte (a cominciare dal primo referendum “europeo” nel Regno Unito del 1975) ed il loro voto contrario undici volte ivi compreso il doppio “no” dei norvegesi all’adesione. Fra questi referendum c’è stata anche la consultazione promossa con un’iniziativa di legge popolare nel 1988 in Italia per attribuire un “mandato costituente” al Parlamento europeo e che ottenne l’89% di “si” nel giugno 1989. Non corrisponde dunque a verità l’affermazione secondo cui “quando vengono chiamati ad esprimere la propria opinione, i popoli dicono di no”.

Si è concluso un lungo ciclo, segnato da una globalizzazione caratterizzata da politiche liberiste senza regole, da una crisi economica che è stata la più lunga e profonda che abbia mai attraversato il mondo. La crisi ha prodotto disuguaglianze sia orizzontali che verticali. Orizzontali tra i ceti sociali in conseguenza di un processo redistributivo della ricchezza a scapito del lavoro, del ceto medio e dei giovani e verticale tra i popoli, in cui con la stessa logica non i ceti ma le economie più forti hanno prodotto un ulteriore impoverimento all’interno dell’Unione europea dove vivono oggi oltre cento venti milioni di persone in povertà o che rischiano la povertà e l’esclusione sociale.

L’intero pianeta è interessato da processi che, in maniera sempre più interdipendente e con velocità crescente, ne mettono in discussione l’assetto geopolitico e ne accrescono gli squilibri sociali: da quelli concernenti la finanza e le monete alla loro ricaduta sull’economia e sull’assetto sociale, dalla crescita della popolazione mondiale alla disperata migrazione delle parti più deboli di essa, dal consumo eccessivo delle risorse naturali non rinnovabili alla compromissione irreversibile dell’ambiente, dal miglioramento delle condizioni di benessere di una parte minoritaria della popolazione del pianeta al precipitare in condizioni di crescente povertà, fame e malattia di un’altra parte notevole della stessa popolazione.

Questi processi interdipendenti, se non governati da autorità sopranazionali, provocheranno devastazioni degli assetti istituzionali anche nelle democrazie più progredite del pianeta. Le conquiste di civiltà, in particolare quelle che caratterizzano l’Europa, conseguenti a contraddittorie e controverse secolari azioni di dominio mondiale, rischiano di essere messe in discussione.

L’illusione degli Stati europei che ritengono di attraversare, immuni, gli sconvolgimenti planetari ai quali assistiamo rinchiudendosi nell’ottocentesca dimensione nazionalista sarà spazzata via, non solo dai flussi migratori africani e asiatici, ma anche dal progredire degli Stati continentali. In particolare, necessita maggiore attenzione l’azione espansiva della Cina, da decenni in atto in Africa, che si sta manifestando anche in altre aree del pianeta, con particolare riferimento all’Europa.

Le popolazioni dell’area mediterranea dell’Africa e di quella medio orientale – e soprattutto i giovani che ne sono la parte maggioritaria - avevano manifestato nel 2010-2011 la volontà di affrancarsi dai regimi totalitari dei loro Paesi e affermare i diritti della persona umana, ma la comunità internazionale, l’UE e gli Stati nazionali non sono riusciti ad assicurare loro adeguato sostegno e le cosiddette primavere arabe sono rapidamente sfociate nell’inverno della democrazia.

I processi migratori in atto sono una clamorosa testimonianza dell’inadeguatezza della politica europea (e non solo) per il progresso delle aree di fuga dalle guerre, dalla fame e dai disastri ambientali. Dopo una crescita importante nei primi anni di questo decennio, il numero dei cittadini non-comunitari nell’Unione è cresciuto a partire dal 2017 fino all’8% della popolazione totale, con una maggioranza relativa di cittadini europei, seguiti dagli africani, asiatici, latino-americani conservando nel continente un equilibrio antropologico che ha mantenuto sostanzialmente inalterata l’egemonia delle tre culture cristiane, seguite dagli atei e da una minoranza di mussulmani.  

Alle problematiche sopra accennate si aggiungono, tra le altre, quelle dell’energia e dell’ambiente che continuano a essere affrontate dagli Stati nazionali, singolarmente e nelle sedi internazionali, con scarse possibilità di successo in assenza di soggetti di governo e di politiche che consentano di fronteggiare e governare i processi interdipendenti che le caratterizzano. 

Per rispondere al neo-protezionismo USA, al nazionalismo russo, alla trasformazione nella rete dei poteri globali e al neocolonialismo economico cinese, l’Unione europea dovrebbe essere dotata degli strumenti necessari a svolgere un ruolo autonomo di attore politico a livello planetario per contribuire ad avviare un nuovo ciclo nel governo dell’interdipendenza segnato da uno sviluppo equilibrato e sostenibile, dalla distensione e dal rispetto della dignità umana.

Se la globalizzazione ha cambiato – nel bene e nel male – il mondo in rapidissima sequenza, l’Unione europea è così apparsa incapace di reagire velocemente e in modo adeguato, vittima del gradualismo funzionalista e delle risibili risorse di un bilancio europeo al 2% del PIL globale europeo fino al 2027 finanziato e gestito largamente dagli Stati nazionali con l’eccezione rilevante dei settecento cinquanta miliardi di NGEU, prigioniera del potere multi cefalo dei governi nazionali in settori chiave per la gestione di problemi di carattere nazionale.

Al contrario di un Leviatano o di un Impero europeo che dà ordini a stati e sudditi satelliti dall’alto del Berlaymont (la sede della Commissione europea a Bruxelles), il potere europeo è passato progressivamente nelle mani dei governi nazionali e, per essi, dei capi di Stato e di governo riuniti nel Consiglio europeo all’interno di un’inedita “Santa Alleanza” che costituisce quello che Habermas chiama il “federalismo degli esecutivi”.

I problemi messi in luce nel saggio di Ida Magli (“il depauperamento dei popoli, privati di tutto quello che ne costituisce il valore: la patria, la lingua, i confini, l’identità, il futuro, la responsabilità individuale”) sono stati esaltati dalle nuove sfide di fronte alle quali si sono trovate le nostre società che avrebbero potuto costituire delle opportunità se le istituzioni della democrazia rappresentativa fossero state in grado di adattarsi e di reagire velocemente e in modo adeguato dotandosi di strumenti di decisione (e di partecipazione) alla stessa dimensione dei problemi.

Amplificata dalla rivoluzione tecnologica e digitale, la globalizzazione ha sconvolto in questi anni gli equilibri più di quanto si immaginasse, causando una rapida redistribuzione internazionale del lavoro, delle ricchezze e degli investimenti.

Se la portata inedita di tali fenomeni e il loro manifestarsi in veloce sequenza hanno cambiato il mondo, rendendo precari gli equilibri, l’Unione europea è apparsa incapace di agire, vittima del suo gradualismo, delle risibili risorse finanziarie (tutto il contrario della “enorme massa di denaro che passa attraverso Bruxelles”) del bilancio UE gestito da una euro-burocrazia che costa ad ogni cittadino europeo 1.40 Euro al mese e di un forte potere dei governi nazionali in settori chiave per la gestione di problemi a carattere nazionale.

La velocità delle trasformazioni negli ultimi venticinque anni (google è nato proprio nel 1997 mentre l’uso pubblico del World Wide Web fu deciso dal CERN il 30 aprile 1993) avrebbe reso difficile qualunque previsione soprattutto sia se essa fosse dettata da pregiudizio o dal “compito delle scienziato (di) fare diagnosi e prevedere il decorso degli avvenimenti col minimo scarto possibile”.

Le previsioni di Ida Magli non si sono realizzate e sono rimaste a livello di teorie senza base scientifica:

  • l’euro non è crollato e l’edificio europeo, seppure traversato da profonde crepe è rimasto in piedi,
  • le differenze fra gli Stati nazionali non sono state eliminate e le nazioni non sono morte, il primato della Germania non ha imposto il tedesco (che non è stato generalmente accettato dai paesi dell’Est) lasciando l’egemonia all’inglese internazionale in una lingua franca che rimarrà anche dopo la Brexit mentre la Torre di Babele dell’Unione continuerà a garantire le culture nazionali.
  • gli Stati nazionali non si sono smembrati, la Lega Nord è diventata Lega nazionale e gli indipendentisti catalani si siedono al tavolo del negoziato con il governo socialista di Pedro Sanchez;
  • i parlamenti nazionali hanno recuperato parte dei loro poteri con il Trattato di Lisbona mentre non è nato un “macroscopico progetto di potere”,
  • i governi nazionali non sono stati eliminati, non hanno perso di importanza ed è il “governo europeo” che è diventato esecutore dei governi nazionali;
  • il pluralismo non è stato negato e gli indirizzi comuni nella sanità, nell’istruzione, nella cultura e nella ricerca sono passati dai tentativi (falliti) di armonizzazione al mutuo riconoscimento (quel che è buono in un paese è buono anche negli altri anche se non tutto viene accettato da mercati diversi: per citare un esempio banale, una direttiva europea decise che si poteva commercializzare in tutta l’Unione la pasta di grano tenero ma nessun italiano ne comprerebbe mai un chilo con il rischio di mangiare spaghetti scotti mentre regole europee garantiscono la diversità di 270 prodotti territoriali agroalimentari che non possono essere prodotti in altri territori come il parmigiano-reggiano o la feta greca o il kabanos polacco o i panellets spagnoli);
  • la cittadinanza europea non ha sostituito le cittadinanze nazionali (si è cittadini europei se si è cittadini di uno Stato membro) ma ha aggiunto ad esse diritti comuni che sono stati consolidati nella Carta europea dei diritti fondamentali. Secondo l’interpretazione della Corte costituzionale italiana (la teoria dei contro limiti”) se una costituzione nazionale garantisce un livello di diritti superiore a quello della Carta, prevale la costituzione nazionale;
  • l’Europa non ha subito l’effetto paventato dell’islamizzazione poiché l’analisi antropologica dei popoli europei mostra la prevalenza delle religioni cristiane (cattolici, protestanti e ortodossi) e una percentuale estremamente ridotta di praticanti mussulmani (che, come si sa, non sempre sono arabi così come non sempre gli arabi sono mussulmani) che si accompagna ad una percentuale molto limitata di non-europei nell’Unione che smentisce la tesi dell’invasione di extracomunitari.

Ogni giorno di più la realtà mostra, drammaticamente, che non ci può essere alternativa all’unità politica dell’Europa nella prospettiva di rinsaldare la secessione secolare con l’Oriente e con il Mediterraneo. Per costruire quest’alternativa serve con urgenza una “operazione verità” condotta da un vasto movimento di opinione ben al di là dell’associazionismo europeista, una alleanza di innovatori che nasca dal mondo dell’economia e del lavoro, della cultura e della ricerca, delle organizzazioni giovanili e del volontariato coinvolgendo tutti coloro che vivono l’utilità dell’integrazione europea e pagano le conseguenze dei costi della non-Europa in vista di una fase costituente che dovrà evitare il rischio di una “grigia conclusione” della Conferenza sul futuro dell’Europa e aprire la strada ad una Comunità federale.

coccodrillo

 

 

 

 

 

Stella inattivaStella inattivaStella inattivaStella inattivaStella inattiva

 

La nostra newsletter settimanale Noi e il futuro dell'Europa è stata concepita per contribuire ad una corretta informazione sull’Unione europea e partecipare al dibattito sulla riforma dell’Unione a partire dalla Conferenza sul futuro dell’Europa.

Come sapete, la Conferenza è stata avviata il 9 maggio 2021 a Strasburgo e dovrebbe concludersi nella prossima primavera.

Ecco l’indice della nostra newsletter

- Editoriale, che esprime l’opinione del Movimento europeo su un tema di attualità

- Eventi principali, sull’Europa in Italia e Testi in evidenza

- Agenda della settimana a cura del Movimento Europeo Internazionale

- La Conferenza sul futuro dell'Europa

- Next Generation EU a cura di Euractiv

- Campagna di informazione sull'Europa

Siamo come sempre a vostra disposizione per migliorare il nostro servizio di comunicazione e di informazione e per aggiungere vostri eventi di interesse europeo nella speranza di poter contare su un vostro volontario contributo finanziario.

 

 

 

 

Stella inattivaStella inattivaStella inattivaStella inattivaStella inattiva

CARE LETTRICI E CARI LETTORI

La nostra newsletter settimanale Noi e il futuro dell'Europa è stata concepita per contribuire ad una corretta informazione sull’Unione europea e partecipare al dibattito sulla riforma dell’Unione a partire dalla Conferenza sul futuro dell’Europa.

Come sapete, la Conferenza è stata avviata il 9 maggio 2021 a Strasburgo e dovrebbe concludersi nella prossima primavera.

Ecco l’indice della nostra newsletter

- Editoriale, che esprime l’opinione del Movimento europeo su un tema di attualità

- Eventi principali, sull’Europa in Italia e Testi in evidenza

- Agenda della settimana a cura del Movimento Europeo Internazionale

- La Conferenza sul futuro dell'Europa

- Next Generation EU a cura di Euractiv

- Campagna di informazione sull'Europa

Siamo come sempre a vostra disposizione per migliorare il nostro servizio di comunicazione e di informazione e per aggiungere vostri eventi di interesse europeo nella speranza di poter contare su un vostro volontario contributo finanziario.

 


 L'EDITORIALE

TRENT’ANNI DA MAASTRICHT: SERVE UNA NUOVA RIVOLUZIONE EUROPEA

Sono trascorsi più di venticinque anni dalla pubblicazione di un saggio che suscitò a torto molta attenzione “Contro l’Europa:  tutto quello che non vi  hanno detto di Maastricht” di Ida Magli a cui l’autrice aggiunse nel 2001 un capitolo dedicato a “previsioni e verifiche” per affermare che le sue teorie di scienziata sociale si erano tutte avverate “con precisione e rapidità” con la sola eccezione del “cinismo” con cui “gli amorosi e pacifici partners della Germania – Francia e Inghilterra – si sono liberati del loro maggior rivale”.

Come sappiamo le tesi di Ida Magli sono regolarmente condivise in Italia da Ernesto Galli della Loggia ospitato senza contradditori dal Corriere della Sera e più recentemente da Lucio Caracciolo che ha scritto sulla “disgregazione del sogno europeo” ma trovano adepti in quasi tutti i paesi europei.

Chi firma questa introduzione scrisse nel giugno 1992 un saggio per Il Mulino dal titolo “A qualcuno non piace Maastricht in cui si mettevano in luce i rischi di un’architettura largamente incompleta in cui la moneta prevaleva sulla politica, il mercato prevaleva sulla dimensione sociale, il potere degli Stati prevaleva su quello dei cittadini europei, la sicurezza esterna ed interna rimaneva nel quadro delle competenze nazionali e l’assenza di una vera democrazia europea avrebbe privato i cittadini dei beni che non potevano più essere garantiti a livello degli Stati.

Quando uscì il saggio di Ida Magli l’Unione europea transitava dalla prima alla seconda fase dell’unione economica e monetaria: nel dicembre 1996 era stato presentato il disegno delle banconote dell’euro (una denominazione scelta dai capi di Stato e di governo dei quindici paesi membri nel dicembre 1995) che contenevano tutte dei ponti come simbolo di una comunità che si univa nella diversità lasciando alle spalle secoli di divisioni e di conflitti senza pensare che dopo vari anni dei capi di Stato e di governo i cui paesi hanno tratto enormi vantaggi dalla appartenenza all’Unione europea vogliono ricostruire l’Europa dei muri.  

A proposito di ponti, l’Italia e l’Austria entravano quell’anno nell’area Schengen garantendo così, insieme all’abolizione delle frontiere interne, la libera circolazione delle persone.

Ai confini dell’Europa e dopo la sanguinosa guerra civile nella ex-Jugoslavia di cui furono responsabili anche gli europei, gli unici fenomeni di conflittualità nel mondo arabo - chiuso nel suo millenario oscurantismo in cui quella società, che pure aveva arricchito la cultura europea, era caduta quando il cristianesimo era passato dalla pax cristiana al bellum sacrum – insanguinavano l’Algeria e non v’era ancora traccia di quei flussi migratori da Sud a Nord che sarebbero stati provocati anni dopo dalle guerre in Iraq, in Siria e in Libia oltre che dalla degradazione socio-economica nell’Africa sub-sahariana per gli scontri tribali, i disastri ambientali e la depredazione delle terre.

Nello stesso tempo, le istituzioni dell’Unione e i governi dei paesi membri avevano avviato un difficile negoziato per accogliere gli Stati e i popoli dell’Europa orientale che erano usciti dal sistema imperialista sovietico nel 1989 pronti ad entrare nel sistema occidentale sottoposto all’egemonia statunitense.

La Commissione europea, debolissimo anello nella catena dei poteri nazional-europei, aveva inutilmente suggerito ai governi di proporre alle nuove democrazie orientali un lungo periodo di associazione per consentire loro di adattarsi alle economie liberali e all’Unione di rafforzarsi per poter governare un insieme di quasi trenta paesi e cinquecento milioni di abitanti nel rispetto delle diversità politiche, culturali e sociali (il metodo della regata). I governi ritennero invece che alla fine del negoziato tutti i paesi candidati avrebbero dovuto entrare insieme nell’Unione e così fu nel 2004 quando i membri passarono da 15 a 25 (il metodo del big bang).

In Francia e nel Regno Unito tornavano al potere i socialisti con Lionel Jospin e Tony Blair e negli Stati Uniti Bill Clinton conquistava un secondo mandato. Nonostante la forte presenza di socialisti al potere in molti Stati europei (dieci su quindici), il Consiglio europeo adottò il Patto di Stabilità (a cui Jospin fece aggiungere l’inutile parola crescita) allo scopo di garantire la disciplina di bilancio negli Stati che avrebbero aderito all’euro secondo i criteri stabiliti dal Trattato di Maastricht.

Secondo le previsioni di Ida Magli, questo trattato avrebbe provocato l’addio all’Occidente facendo spostare il baricentro dell’Unione verso il suo confine sud-orientale, la morte delle Nazioni, la “formazione di un impero europeo governato in base alle strutture economiche” , la svalutazione dell’euro e poi  il suo crollo “non importante tanto per se stesso quanto perché segnala che tutto l’edificio crollerà” e infine “l’invasione islamica collegata alla costruzione dell’Unione europea” con la conseguenza che “insieme agli Italiani e alla cultura italiana finiranno la democrazia, il centro del cattolicesimo, la liberazione delle donne e, di conseguenza, anche il potere dei governanti italiani”.

Se si scorrono i giornali del 1997 si trae la convinzione che gli Europei – o almeno gli Europei dei quindici paesi membri dell’Unione europea – nutrivano altre preoccupazioni: non quella dell’invasione islamica ma piuttosto la paura che l’allargamento ad Est avrebbe portato verso Ovest milioni di lavoratori sottopagati e quindi potenzialmente concorrenti e avrebbe creato sacche di dumping sociale. Per la maggioranza degli Europei l’appartenenza del loro paese all’Unione era una “buona cosa” così come una moneta unica aspettandosi dall’Unione un’azione più incisiva contro la criminalità, nel diritto all’educazione e alla formazione e una sola politica europea per l’immigrazione.

La inopinata riedizione del saggio, che venti cinque anni fa appariva contro-corrente, è avvenuta pochi mesi dopo le elezioni del 4 marzo 2018 che hanno portato inizialmente al governo due forze politiche che si erano contrapposte durante la campagna elettorale, l’una (il Movimento 5 Stelle) dichiaratamente anti-sistema con posizioni europee ed internazionali che si potevano definire “liquide” e l’altra (la Lega) radicata da quasi trent’ani nel sistema politico italiano a livello locale, poi regionale e infine nazionale con una posizione europea allora ed oggi dichiaratamente sovranista.

Il saggio di Ida Magli si iscrive in quella corrente di pensiero che è stata troppo genericamente definita “euroscettica”, un’espressione coniata nel 1985 dal Times per definire l’ostilità del partito laburista britannico contro le politiche liberiste della Comunità Economica Europea. Da allora il termine “euroscettico” viene applicato indistintamente ai (pochi) partiti che si battono per l’uscita del loro paese dall’Unione europea (come è stata l’UKIP di Neil Farage), ai (sempre più numerosi) movimenti contrari alla cessione o alla perdita della apparente sovranità nazionale nella dimensione sopranazionale, ad alcuni partiti della sinistra radicale e alle forze politiche di estrema destra xenofobe e antisemite.

Come avviene per la corrente di pensiero europeista nella quale occorre distinguere gli orientamenti moderati o conservatori di chi difende l’Unione nel suo stato attuale - con le istituzioni consolidate nel Trattato di Lisbona (2007) e le politiche di austerità rappresentate dal Fiscal Compact (2013) – dalla cultura federalista che sostiene la necessità  di sovranità condivise nel quadro di una democrazia europea multilivello, così fra gli euroscettici occorre distinguere fra chi sostiene l’idea di un’Europa intergovernativa nella quale prevalga la difesa degli interessi nazionali e la posizione di chi è contrario in se al progetto di integrazione europea e che ne propugna la fine e che potremmo definire più correttamente “euro-ostili”.

È evidente che il suffisso “euro” in tutti questi casi non si riferisce (o non si riferisce solo) alla moneta unica ma all’integrazione europea nel suo insieme. In questo senso ritengo che sarebbe più corretto definire la presa di posizione di Ida Magli “euro-ostile”, poiché la scrittrice si oppone nel suo insieme ad una “operazione” che condurrebbe o che ha già condotto - a suo giudizio - alla scomparsa dell’identità nazionale, alla fine dell’Occidente e in definitiva alla perdita delle libertà individuali.  

Dopo Maastricht (1992), l’Unione europea è passata attraverso i trattati di Amsterdam (1997), di Nizza (2001) e infine di Lisbona (2007) un trattato voluto da Angela Merkel a cui la cancelliera aveva augurato cinquant’anni di vita. Fra Nizza e Lisbona c’è stata la parentesi del “Trattato che istituisce una costituzione europea” firmato a Roma nell’ottobre 2004, ratificato da tredici paesi membri (in Spagna e nel Lussemburgo per referendum) ma bocciato in Francia e nei Paesi Bassi nella primavera del 2005.

Vale la pena di ricordare che, dalla nascita della Comunità Economica Europea nel 1957, i cittadini e le cittadine di ventidue paesi europei sono stati chiamati quaranta volte ad esprimersi per referendum sul processo di integrazione europea dando il loro consenso ventinove volte (a cominciare dal primo referendum “europeo” nel Regno Unito del 1975) ed il loro voto contrario undici volte ivi compreso il doppio “no” dei norvegesi all’adesione. Fra questi referendum c’è stata anche la consultazione promossa con un’iniziativa di legge popolare nel 1988 in Italia per attribuire un “mandato costituente” al Parlamento europeo e che ottenne l’89% di “si” nel giugno 1989. Non corrisponde dunque a verità l’affermazione secondo cui “quando vengono chiamati ad esprimere la propria opinione, i popoli dicono di no”.

Si è concluso un lungo ciclo, segnato da una globalizzazione caratterizzata da politiche liberiste senza regole, da una crisi economica che è stata la più lunga e profonda che abbia mai attraversato il mondo. La crisi ha prodotto disuguaglianze sia orizzontali che verticali. Orizzontali tra i ceti sociali in conseguenza di un processo redistributivo della ricchezza a scapito del lavoro, del ceto medio e dei giovani e verticale tra i popoli, in cui con la stessa logica non i ceti ma le economie più forti hanno prodotto un ulteriore impoverimento all’interno dell’Unione europea dove vivono oggi oltre cento venti milioni di persone in povertà o che rischiano la povertà e l’esclusione sociale.

L’intero pianeta è interessato da processi che, in maniera sempre più interdipendente e con velocità crescente, ne mettono in discussione l’assetto geopolitico e ne accrescono gli squilibri sociali: da quelli concernenti la finanza e le monete alla loro ricaduta sull’economia e sull’assetto sociale, dalla crescita della popolazione mondiale alla disperata migrazione delle parti più deboli di essa, dal consumo eccessivo delle risorse naturali non rinnovabili alla compromissione irreversibile dell’ambiente, dal miglioramento delle condizioni di benessere di una parte minoritaria della popolazione del pianeta al precipitare in condizioni di crescente povertà, fame e malattia di un’altra parte notevole della stessa popolazione.

Questi processi interdipendenti, se non governati da autorità sopranazionali, provocheranno devastazioni degli assetti istituzionali anche nelle democrazie più progredite del pianeta. Le conquiste di civiltà, in particolare quelle che caratterizzano l’Europa, conseguenti a contraddittorie e controverse secolari azioni di dominio mondiale, rischiano di essere messe in discussione.

L’illusione degli Stati europei che ritengono di attraversare, immuni, gli sconvolgimenti planetari ai quali assistiamo rinchiudendosi nell’ottocentesca dimensione nazionalista sarà spazzata via, non solo dai flussi migratori africani e asiatici, ma anche dal progredire degli Stati continentali. In particolare, necessita maggiore attenzione l’azione espansiva della Cina, da decenni in atto in Africa, che si sta manifestando anche in altre aree del pianeta, con particolare riferimento all’Europa.

Le popolazioni dell’area mediterranea dell’Africa e di quella medio orientale – e soprattutto i giovani che ne sono la parte maggioritaria - avevano manifestato nel 2010-2011 la volontà di affrancarsi dai regimi totalitari dei loro Paesi e affermare i diritti della persona umana, ma la comunità internazionale, l’UE e gli Stati nazionali non sono riusciti ad assicurare loro adeguato sostegno e le cosiddette primavere arabe sono rapidamente sfociate nell’inverno della democrazia.

I processi migratori in atto sono una clamorosa testimonianza dell’inadeguatezza della politica europea (e non solo) per il progresso delle aree di fuga dalle guerre, dalla fame e dai disastri ambientali. Dopo una crescita importante nei primi anni di questo decennio, il numero dei cittadini non-comunitari nell’Unione è cresciuto a partire dal 2017 fino all’8% della popolazione totale, con una maggioranza relativa di cittadini europei, seguiti dagli africani, asiatici, latino-americani conservando nel continente un equilibrio antropologico che ha mantenuto sostanzialmente inalterata l’egemonia delle tre culture cristiane, seguite dagli atei e da una minoranza di mussulmani.  

Alle problematiche sopra accennate si aggiungono, tra le altre, quelle dell’energia e dell’ambiente che continuano a essere affrontate dagli Stati nazionali, singolarmente e nelle sedi internazionali, con scarse possibilità di successo in assenza di soggetti di governo e di politiche che consentano di fronteggiare e governare i processi interdipendenti che le caratterizzano. 

Per rispondere al neo-protezionismo USA, al nazionalismo russo, alla trasformazione nella rete dei poteri globali e al neocolonialismo economico cinese, l’Unione europea dovrebbe essere dotata degli strumenti necessari a svolgere un ruolo autonomo di attore politico a livello planetario per contribuire ad avviare un nuovo ciclo nel governo dell’interdipendenza segnato da uno sviluppo equilibrato e sostenibile, dalla distensione e dal rispetto della dignità umana.

Se la globalizzazione ha cambiato – nel bene e nel male – il mondo in rapidissima sequenza, l’Unione europea è così apparsa incapace di reagire velocemente e in modo adeguato, vittima del gradualismo funzionalista e delle risibili risorse di un bilancio europeo al 2% del PIL globale europeo fino al 2027 finanziato e gestito largamente dagli Stati nazionali con l’eccezione rilevante dei settecento cinquanta miliardi di NGEU, prigioniera del potere multi cefalo dei governi nazionali in settori chiave per la gestione di problemi di carattere nazionale.

Al contrario di un Leviatano o di un Impero europeo che dà ordini a stati e sudditi satelliti dall’alto del Berlaymont (la sede della Commissione europea a Bruxelles), il potere europeo è passato progressivamente nelle mani dei governi nazionali e, per essi, dei capi di Stato e di governo riuniti nel Consiglio europeo all’interno di un’inedita “Santa Alleanza” che costituisce quello che Habermas chiama il “federalismo degli esecutivi”.

I problemi messi in luce nel saggio di Ida Magli (“il depauperamento dei popoli, privati di tutto quello che ne costituisce il valore: la patria, la lingua, i confini, l’identità, il futuro, la responsabilità individuale”) sono stati esaltati dalle nuove sfide di fronte alle quali si sono trovate le nostre società che avrebbero potuto costituire delle opportunità se le istituzioni della democrazia rappresentativa fossero state in grado di adattarsi e di reagire velocemente e in modo adeguato dotandosi di strumenti di decisione (e di partecipazione) alla stessa dimensione dei problemi.

Amplificata dalla rivoluzione tecnologica e digitale, la globalizzazione ha sconvolto in questi anni gli equilibri più di quanto si immaginasse, causando una rapida redistribuzione internazionale del lavoro, delle ricchezze e degli investimenti.

Se la portata inedita di tali fenomeni e il loro manifestarsi in veloce sequenza hanno cambiato il mondo, rendendo precari gli equilibri, l’Unione europea è apparsa incapace di agire, vittima del suo gradualismo, delle risibili risorse finanziarie (tutto il contrario della “enorme massa di denaro che passa attraverso Bruxelles”) del bilancio UE gestito da una euro-burocrazia che costa ad ogni cittadino europeo 1.40 Euro al mese e di un forte potere dei governi nazionali in settori chiave per la gestione di problemi a carattere nazionale.

La velocità delle trasformazioni negli ultimi venticinque anni (google è nato proprio nel 1997 mentre l’uso pubblico del World Wide Web fu deciso dal CERN il 30 aprile 1993) avrebbe reso difficile qualunque previsione soprattutto sia se essa fosse dettata da pregiudizio o dal “compito delle scienziato (di) fare diagnosi e prevedere il decorso degli avvenimenti col minimo scarto possibile”.

Le previsioni di Ida Magli non si sono realizzate e sono rimaste a livello di teorie senza base scientifica:

  • l’euro non è crollato e l’edificio europeo, seppure traversato da profonde crepe è rimasto in piedi,
  • le differenze fra gli Stati nazionali non sono state eliminate e le nazioni non sono morte, il primato della Germania non ha imposto il tedesco (che non è stato generalmente accettato dai paesi dell’Est) lasciando l’egemonia all’inglese internazionale in una lingua franca che rimarrà anche dopo la Brexit mentre la Torre di Babele dell’Unione continuerà a garantire le culture nazionali.
  • gli Stati nazionali non si sono smembrati, la Lega Nord è diventata Lega nazionale e gli indipendentisti catalani si siedono al tavolo del negoziato con il governo socialista di Pedro Sanchez;
  • i parlamenti nazionali hanno recuperato parte dei loro poteri con il Trattato di Lisbona mentre non è nato un “macroscopico progetto di potere”,
  • i governi nazionali non sono stati eliminati, non hanno perso di importanza ed è il “governo europeo” che è diventato esecutore dei governi nazionali;
  • il pluralismo non è stato negato e gli indirizzi comuni nella sanità, nell’istruzione, nella cultura e nella ricerca sono passati dai tentativi (falliti) di armonizzazione al mutuo riconoscimento (quel che è buono in un paese è buono anche negli altri anche se non tutto viene accettato da mercati diversi: per citare un esempio banale, una direttiva europea decise che si poteva commercializzare in tutta l’Unione la pasta di grano tenero ma nessun italiano ne comprerebbe mai un chilo con il rischio di mangiare spaghetti scotti mentre regole europee garantiscono la diversità di 270 prodotti territoriali agroalimentari che non possono essere prodotti in altri territori come il parmigiano-reggiano o la feta greca o il kabanos polacco o i panellets spagnoli);
  • la cittadinanza europea non ha sostituito le cittadinanze nazionali (si è cittadini europei se si è cittadini di uno Stato membro) ma ha aggiunto ad esse diritti comuni che sono stati consolidati nella Carta europea dei diritti fondamentali. Secondo l’interpretazione della Corte costituzionale italiana (la teoria dei contro limiti”) se una costituzione nazionale garantisce un livello di diritti superiore a quello della Carta, prevale la costituzione nazionale;
  • l’Europa non ha subito l’effetto paventato dell’islamizzazione poiché l’analisi antropologica dei popoli europei mostra la prevalenza delle religioni cristiane (cattolici, protestanti e ortodossi) e una percentuale estremamente ridotta di praticanti mussulmani (che, come si sa, non sempre sono arabi così come non sempre gli arabi sono mussulmani) che si accompagna ad una percentuale molto limitata di non-europei nell’Unione che smentisce la tesi dell’invasione di extracomunitari.

Ogni giorno di più la realtà mostra, drammaticamente, che non ci può essere alternativa all’unità politica dell’Europa nella prospettiva di rinsaldare la secessione secolare con l’Oriente e con il Mediterraneo. Per costruire quest’alternativa serve con urgenza una “operazione verità” condotta da un vasto movimento di opinione ben al di là dell’associazionismo europeista, una alleanza di innovatori che nasca dal mondo dell’economia e del lavoro, della cultura e della ricerca, delle organizzazioni giovanili e del volontariato coinvolgendo tutti coloro che vivono l’utilità dell’integrazione europea e pagano le conseguenze dei costi della non-Europa in vista di una fase costituente che dovrà evitare il rischio di una “grigia conclusione” della Conferenza sul futuro dell’Europa e aprire la strada ad una Comunità federale.

coccodrillo

 

 

 


IN EVIDENZA

I chiari e gli scuri del Trattato di Maastricht

Il Trattato che istituì l’Unione europea lasciandosi alle spalle i trattati di Roma del 1957 e l’Atto Unico europeo del 1986 fu firmato nel Centro Congressi della città olandese di Maastricht - al confine con la Germania unificata, il Belgio e la Francia - il 7 febbraio 1992 dai capi di Stato e di governo di dodici paesi europei sulla base di un difficile compromesso intergovernativo raggiunto nella notte fra il 10 e l’11 dicembre 1991 dopo un anno di negoziati iniziati a Roma nel dicembre 1990.

Quei negoziati riguardavano teoricamente due Conferenze intergovernative (CIG) sull’Unione economica e monetaria (UEM) e sull’Unione politica (UP) e furono precedute a Montecitorio da una settimana di “assise interparlamentari sul futuro dell’Europa” promosse dal Parlamento europeo, dal Parlamento belga e dal Parlamento italiano dove non parteciparono i governi che decisero di escludere sia il Parlamento europeo che la società civile riducendo il dialogo con i parlamentari europei all’interno di  formali conferenze interistituzionali parallele (CIP) che lasciarono inalterato il controllo diplomatico sui negoziati anche se il passaggio dalla semplice cooperazione legislativa nell’Atto Unico alla codecisione in Maastricht fu significativo come furono significativi l’ampliamento delle aree di decisione del Consiglio a maggioranza qualificata e l’introduzione della cittadinanza europea.

L’idea di un nuovo trattato era nata nel 1988 nella convinzione che non ci poteva essere mercato unico senza moneta unica a cui si era aggiunta nel 1989 la consapevolezza che serviva una unione politica per rispondere alla fine dell’imperialismo sovietico e alla prospettiva di accogliere nelle Comunità europee i paesi dell’Europa centrale che si preparavano a conquistare o riconquistare la democrazia secondo un modello liberale.

Come sanno gli studiosi dell’integrazione europea il nuovo trattato rischiò di impantanarsi nelle ratifiche nazionali in piccola parte per il “nej” nel referendum danese ma soprattutto per le molte reticenze dell’opinione pubblica francese che si espresse con una esigua maggioranza con un “oui” nel referendum convocato da François Mitterrand.

Lo stesso Mitterrand aveva cercato di sormontare il “nej” danese proponendo agli altri governi di uscire tutti insieme dalle Comunità europee e di firmare il Trattato di Maastricht come un accordo internazionale lasciando da solo il Regno di Danimarca nei trattati comunitari ma dovette abbandonare la sua idea per l’opposizione britannica condivisa silenziosamente dagli altri governi che non volevano separarsi dal Regno Unito.

Tutto quello che è avvenuto in questi trenta anni ha progressivamente messo a nudo i difetti del Trattato di Maastricht a cominciare dalla mancanza di un calendario vincolante per la realizzazione dell’Unione politica nell’illusoria convinzione che il processo di integrazione europea viaggiasse su un teorico piano inclinato che ci avrebbe condotto dalla moneta unica alla federazione europea.
Così non è avvenuto ed anzi con il Trattato di Lisbona il piano si è inclinato verso il modello intergovernativo o confederale.

La lista dei “left over” del Trattato di Maastricht è molto lunga e per anni abbiamo pagato le conseguenze del compromesso raggiunto fra i dodici governi con la connivenza della Commissione europea presieduta dal francese Jacques Delors.

Non c’erano nel trattato gli elementi essenziali per affiancare o meglio per sovrapporre all’Unione monetaria una vera Unione politica che era apparsa indispensabile per consentire l’ingresso dei paesi dell’Europa centrale nel sistema comunitario senza squilibrarlo.

Non c’erano nel rapporto sulla moneta unica le condizioni per evitare quella che Carlo Azeglio Ciampi aveva definito la “zoppia” dell’Unione economica e monetaria.

Non c’era una visione unitaria del processo di integrazione europea frammentato in tre pilastri (quello comunitario, quello della politica estera e quello della sicurezza interna) all’interno di un sistema che Giulio Andreotti definì sarcasticamente “un tempio bizantino”.

Non c’erano infine gli strumenti per combattere le diseguaglianze fra paesi, regioni e classi sociali perché la dimensione sociale fu relegata in un modesto protocollo allegato al trattato che il Regno Unito si rifiutò di firmare.

Roma, 7 febbraio 2022

Pier Virgilio Dastoli

 

VI SEGNALIAMO

  • 7 febbraio 2022, ore 19:00 - 20:30. In occasione del 30° anniversario del Trattato di Maastricht, i Movimenti europei in Francia, Germania e Italia - attori principali delle questioni europee - celebrano questo atto di rifondazione della costruzione europea. Firmato il 7 febbraio 1992, il Trattato di Maastricht ha istituito l'Unione europea ed è stato una pietra miliare nella costruzione dell'Europa che conosciamo oggi. La prospettiva storica ci sembra necessaria per collocare i dibattiti sul miglioramento dell'Unione europea in una prospettiva a lungo termine. In presenza di attori europei che hanno avuto un ruolo decisivo nell'elaborazione del Trattato di Maastricht, ci sarà un dibattito su ciò che è stato raggiunto e ciò che resta da fare per garantire che il Trattato di Maastricht mantenga le sue promesse, sia in termini di sviluppi geopolitici attuali che nei prossimi anni per costruire il futuro dell'Europa. L'incontro è realizzato con il supporto della Rappresentanza in Italia della Commissione europea nel quadro del progetto "L'Europa chiama il futuro". Sarà disponibile la traduzione simultanea nelle tre lingue di lavoro: italiano, francese, tedesco. Registrazione obbligatoria: per partecipare e ricevere quindi il link per il collegamento online, inviare un’email di conferma all’indirizzo Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. entro lunedì 7 febbraio alle ore 16:30. PROGRAMMA.

 

ARTICOLI E TESTI DELLA SETTIMANA

 

 


   AGENDA EUROPEA

7 – 13 February 2022

Monday 7 February

Tuesday 8 February

Wednesday 9 February

Thursday 10 February

Friday 11 February

Sunday 13 February

 

 


LA CONFERENZA SUL FUTURO DELL'EUROPA

 

 


 NEXT GENERATION EU

 

 


CAMPAGNA DI INFORMAZIONE SULL'EUROPA

20220206 PapaFrancesco

 

 

 

 

 centricoo

altiero

ImmagineLIBRO VERDE xsito

 BannerPROCESSO UE

bileurozona

rescue

casaeuropa

agorabanner

coccodrillo

banner fake


Le Nostre Reti

eumov

eucivfor

logo asvis

Comitato Eeinaudi desktop 1 1

ride logoretepace

routecharlemagne


Partner e Sostenitori

parleuitarapprita

banner12

banner11


 ed logo

Gioiosa Jonica  -  Modena  -  Nuoro  - Capo d’Orlando


 

Registrati per ricevere le nostre newsletter.
 

Sostieni le iniziative del Movimento Europeo con una piccola donazione


© Movimento Europeo - Via Angelo Brunetti, 60  ||  Realizzato da logoims

Search