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Considerato il conflitto interistituzionale esistente nei rapporti tra Parlamento e Consiglio, che si è nuovamente manifestato in questa settimana, che è stato oggetto di attenzione da parte del Movimento europeo e di cui Vi abbiamo illustrato le ragioni nelle sezioni di questa newsletter, riteniamo opportuno segnalarVi alcuni testi che intervengono sulla materia. Anzitutto, Vi invitiamo altresì a leggere questo documento elaborato dal Movimento Federalista Europeo nel dicembre 1989, dopo la caduta del muro di Berlino, sulle ragioni a supporto della convocazione delle Assise europee che ebbero luogo a Roma a fine novembre 1990.  

Vi invitiamo poi a prendere visione del commentario al progetto Spinelli, relativo ad un progetto, un metodo e un’agenda sul Trattato che istituisce l’Unione europea.

Per collegare le idee e i progetti di allora alla dimensione attuale, Vi suggeriamo poi due saggi. Il primo è del prof. Fabio Ferraro, docente associato di Diritto dell’Unione europea presso l’Università di Napoli. Si intitola “Alcune riflessioni sul ruolo marginale del parlamento europeo nella Pesc” ed è stato pubblicato all’interno della collana “Dialoghi con Ugo Villani”, nel 2017. Il secondo è “Il ruolo ancora decisivo degli Stati membri nella politica estera e di sicurezza comune dell’Unione europea”. È a firma della prof.ssa Criseide Novi, docente associato di Diritto dell’Unione europea presso l’Università di Foggia ed è stato pubblicato sulla rivista trimestrale della Società Italiana per l'Organizzazione Internazionale (SIOI) “La Comunità internazionale” n. 2/2019.

Si tratta di spunti attuali che confermano l’esistenza di limiti e criticità in un settore davvero importante per lo stare insieme, da europei, quale quello della sicurezza. Continueremo a tenere alta l’attenzione sull’argomento, nell’auspicio che le opportune riforme dei meccanismi istituzionali per semplificare le modalità di coordinamento tra Stati membri possano essere effettuate al più presto e siano incisive. Si avverte ancora l’esigenza infatti - e le cronache di questi giorni lo dimostrano - di mettere in atto le opportune tutele da atti gravissimi quale quello verificatosi a Nizza giovedì scorso. Velocizzare lo scambio di informazioni tra Stati membri, agire più efficacemente sia nell’immediato sia lavorando a programmi di sensibilizzazione contro la radicalizzazione, studiare i meccanismi della rete più approfonditamente per controllare meglio i movimenti degli attentatori, su scala europea, potrebbero essere delle strategie attuabili per innescare un salto di qualità nella tutela della sicurezza dei cittadini e per un più efficiente utilizzo delle risorse disponibili. Tuttavia, per poter realizzare i passi in avanti di cui si avverte un’urgente esigenza, è necessario alimentare una nuova e forte volontà politica, oggi carente sotto molti aspetti - ma che si può riscoprire partendo dalle idee sviluppate nel corso delle Assise europee - e sostenerla con ogni mezzo.

 

 

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Più volte, così come si è verificato in questa settimana per la programmazione economica dei prossimi anni, Parlamento europeo e Consiglio dell’Ue sono in contrasto. Esaminando le sentenze della Corte di Giustizia dell’Ue, possiamo riscontrare l’esistenza di una serie di controversie tra le due istituzioni che la stessa è stata chiamata a dirimere. Poniamo perciò alla Vostra attenzione una sentenza del 23 dicembre 2015 con cui la Corte è stata interpellata dal Parlamento europeo in merito alla decisione di esecuzione 2014/688/UE del Consiglio, del 25 settembre 2014, che sottopone a misure di controllo alcune sostanze chimiche. Il principale argomento a sostegno del ricorso del Parlamento europeo verte sulla “violazione di una forma sostanziale a causa della mancata partecipazione del Parlamento alla procedura d’adozione della decisione impugnata”. Il Consiglio dell’Ue, da parte sua ha sostenuto invece che “poiché la decisione impugnata è stata sostituita ed abrogata dalla decisione di esecuzione 2015/1875, che è stata adottata dopo aver consultato il Parlamento e prevede la sottoposizione a misure di controllo delle medesime sostanze psicoattive indicate nella decisione impugnata, la Corte deve pronunciare il non luogo a statuire nella presente causa”.

Come si può notare, il problema sollevato riguarda più il metodo che il merito. Infatti, da un punto di vista sostanziale, la decisione del 2014 era stata sostituita da quella del 2015 e ciò era avvenuto peraltro, come si potrà comprendere leggendo il testo della sentenza, al termine di una ulteriore controversia giudiziaria tra Parlamento e Consiglio.

Ecco quindi che la CGUE, nel deliberare in merito al mancato coinvolgimento del Parlamento europeo, ha stabilito che “è pacifico che la decisione impugnata sia stata adottata dal Consiglio senza previa consultazione del Parlamento. Ne consegue che il secondo motivo dedotto dal Parlamento è fondato e che, pertanto, la decisione impugnata deve essere annullata”.

Tuttavia, la CGUE è stata chiamata a deliberare anche su una potenziale incertezza che si verrebbe a creare sugli effetti della decisione e ha chiarito che “qualora si pronunciasse l’annullamento della decisione impugnata senza prevedere il mantenimento dei suoi effetti, creando, in particolare, incertezza circa la data a decorrere dalla quale gli Stati membri sono tenuti a sottoporre le sostanze psicoattive a misure di controllo e a sanzioni penali, ciò potrebbe compromettere l’efficacia del controllo delle sostanze psicoattive oggetto di tali decisioni e, dunque, la tutela della salute. Orbene, sebbene il Parlamento chieda l’annullamento di tale decisione a motivo del fatto che è stata violata una forma sostanziale, esso non ne contesta né lo scopo né il contenuto. Di conseguenza, gli effetti della decisione impugnata devono essere mantenuti ”.

In conclusione: la decisione è stata annullata, ma i suoi effetti sono mantenuti in vigore. La Corte ha inoltre condannato il Consiglio dell’Ue al pagamento delle spese processuali. Per approfondire, clicca qui.

 

 

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Questa settimana parliamo dell’articolo 43 della Carta dei diritti fondamentali, dedicato alla figura del Mediatore dell’Ue. Questa figura, istituita nel 1992 con il Trattato di Maastricht, è disciplinata altresì dagli articoli 20, 24 e 228 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea. Il suo compito è quello di svolgere indagini sui casi di “cattiva amministrazione nell’azione delle istituzioni o degli organi comunitari, salvo la Corte di giustizia e il Tribunale di primo grado nell’esercizio delle loro funzioni giurisdizionali“. Può agire di sua iniziativa o a seguito di una denuncia presentata da un cittadino dell'UE. Questa carica dura cinque anni, a seguito dell’elezione da parte del Parlamento europeo; ha quindi la durata di una legislatura.

Il Mediatore svolge la sua attività in una serie di ambiti, quali i diritti fondamentali, il rispetto di norme e del principio di buona amministrazione. Le controversie possono riguardare questioni attinenti alla trasparenza, alla cultura del servizio, al rispetto dei diritti procedurali, all'adeguato ricorso alla discrezionalità, al rispetto dei diritti fondamentali, alla buona gestione delle questioni relative al personale dell'UE, ad una sana gestione finanziaria, al rispetto di norme etiche, alla partecipazione del pubblico alle decisioni dell'UE oppure riguardanti la responsabilità nell’esercizio della propria funzione o infine l’assunzione di personale.

Non rientrano invece nella sfera di competenza del Mediatore le attività della Corte di giustizia e del Tribunale nell'esercizio della loro funzione giurisdizionale. Infatti, il Mediatore può indagare solo sulle attività non giudiziarie della Corte di Giustizia dell’Ue, come le gare d'appalto, i contratti e le cause relative al personale. Altre materie di cui non si occupa il Mediatore sono le denunce contro le autorità locali, regionali o nazionali, anche quando trattano materie inerenti all'Unione europea, le attività delle autorità giudiziarie o dei difensori civici nazionali, i fatti che non sono stati preceduti dagli iter amministrativi appropriati presso gli organi interessati, le denunce contro singoli funzionari dell'UE in relazione al loro comportamento.

Il compito del Mediatore è quello di individuare soluzioni per soddisfare il denunciante quando individui un caso di cattiva amministrazione: invia quindi le sue raccomandazioni all'istituzione o all'organo interessato, che ha tre mesi di tempo per rispondere. Se l'istituzione non accetta le raccomandazioni del Mediatore, quest’ultimo può redigere una relazione speciale da presentare al Parlamento europeo. Il Parlamento europeo può a sua volta elaborare una relazione sulla relazione speciale presentata dal Mediatore. Infine il Mediatore informa il denunciante sul risultato delle indagini, sul parere formulato dall'istituzione o dall'organo interessato, nonché sulle proprie eventuali raccomandazioni. Per approfondire, clicca qui.

 

 

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