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Sergio Fabbrini, nell’ultimo anno e mezzo ha dato la possibilità di comprendere i mutamenti organizzativi nella nuova configurazione delle istituzioni europee.  È per questo motivo che portiamo alla Vostra attenzione il testo “Prima l’Europa – È l’Italia che lo chiede”, pubblicato dalle edizioni Il Sole24Ore. Come si apprende consultando il sito web del più importante quotidiano di economia italiano,  “Attraverso il racconto cronologico l'autore illustra il funzionamento di un'organizzazione cruciale per lo sviluppo economico e la stabilità democratica del nostro continente, eppure poco conosciuta per la sua complessità istituzionale e funzionale.Come è possibile che l'Unione europea sia così poco conosciuta? Come spiegare ciò che avviene in Europa in modo da aumentare la consapevolezza pubblica sulle scelte fatte o da fare?”.

Sergio Fabbrini si è quindi concentrato sul tema delle interdipendenze tra gli Stati membri dell’Ue, “sul suo sistema decisionale, sulle implicazioni delle politiche pubbliche dell'Unione. Dopo tutto, ricordava Luigi Einaudi, occorre conoscere per decidere”.

 

Questa settimana ci occupiamo anche di un altro tema particolare, che permette di creare un collegamento tra un’area di ricerca settoriale ed una riflessione generale su una delle politiche su cui si basa la coesione europea e la fiducia nell’integrazione futura. Il settore è quello della sicurezza dei cittadini; come più volte ricordato, essa si colloca nella riflessione sullo Spazio europeo di Libertà, sicurezza e giustizia, il cosiddetto “terzo pilastro”, metafora utilizzata per parlare dell’integrazione europea fino al Trattato di Lisbona. Ci confrontiamo quindi con uno studioso, il Dott. Luigi Mariano Guzzo, assegnista di ricerca in Diritto ecclesiastico e canonico presso il Dipartimento di Giurisprudenza, Economia e Sociologia dell’Università “Magna Graecia” di Catanzaro – dove insegna anche Storia del diritto canonico e Beni ecclesiastici e beni culturali -, partendo dalla sua recente pubblicazione, intitolata “L’assistenza religiosa alle forze armate nello spazio giuridico europeo” (Wolters Kluwer – Cedam, 2019). Il colloquio con l’autore si è rivelato molto interessante proprio per questa dinamica induttiva, dal particolare al generale, che è stata l’occasione per conoscere un argomento forse poco noto e posizionarlo nel crogiuolo delle iniziative che promuovono l’unità europea.

Per leggere il testo dell’intervista, a firma del giornalista Massimiliano Nespola, responsabile di questa newsletter, clicca qui.

 

 

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È noto che, a livello europeo, sono state formulate dalla Commissione una serie di nuove proposte legislative nell’ambito del nuovo patto sull’immigrazione e l’asilo. Per comprendere meglio il fatto che le direttive in vigore sul fenomeno dell’immigrazione e connessi (es.:il rimpatrio), abbiano dato luogo, per gli Stati  membri, all’esigenza di consultare la Corte di Giustizia europea, ricostruiamo l’iter di una causa che ha riguardato un cittadino colombiano, denominato “MO”. Costui è stato destinatario, il 14 gennaio 2017, di un procedimento “sommario prioritario di allontanamento immediato” da parte del commissariato di polizia di Talavera de la Reina, in Spagna. Al procedimento è seguita, il 3 febbraio 2017, una decisione di allontanamento da parte del rappresentante governativo a Toledo. Questa la motivazione alla base di tale provvedimento: a MO veniva contestato sia il soggiorno irregolare in Spagna, sia un elemento negativo nella sua condotta: “Nel procedimento principale, tali elementi si riferivano al fatto che tale persona non aveva giustificato l’ingresso in Spagna attraverso un valico di frontiera, non aveva indicato la durata del suo soggiorno in tale Stato membro ed era priva di qualsiasi documento d’identità. Inoltre, il suddetto rappresentante ha constatato che l’allontanamento non avrebbe comportato, per quanto riguarda MO, uno sradicamento familiare, in quanto egli non aveva dimostrato l’esistenza di legami con ascendenti o discendenti diretti legalmente residenti in Spagna”.

A fronte di tale decisione, MO ha presentato ricorso prima al Tribunale amministrativo di Toledo, con esito negativo e conseguente respingimento dello stesso. Successivamente, MO ha impugnato tale sentenza dinanzi alla Corte superiore di giustizia di Castiglia La Mancia. In questa fase del giudizio, la situazione si è rovesciata. Il giudice del rinvio, infatti, ha ritenuto che “il rappresentante del governo abbia errato nel constatare la presenza di un elemento negativo nella condotta di MO. Quest’ultimo avrebbe infatti esibito, nel corso del procedimento, un passaporto valido, un visto di entrata nel territorio spagnolo nonché titoli di soggiorno fino al 2013. Inoltre, MO sarebbe radicato in Spagna tanto sul piano sociale quanto su quello familiare. Per quanto riguarda la condotta di MO, tale giudice rileva che il fascicolo sottoposto al suo esame non contiene alcun elemento negativo che si aggiunga al semplice soggiorno irregolare dell’interessato in Spagna”.

Ma questa controversia ha posto all’attenzione anche la necessità di chiarire alcuni punti della direttiva 2008/115, che “stabilisce norme e procedure comuni da applicarsi negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare”; è da notare che la stessa “lascia impregiudicate le disposizioni più favorevoli ai cittadini di paesi terzi previste dall’acquis comunitario in materia di immigrazione e di asilo”. Secondo una precedente sentenza del 23 aprile 2015 (C‑38/14, EU:C:2015:260) – richiamata nella sentenza di cui stiamo parlando – tale direttiva “dev’essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa di uno Stato membro che impone, in caso di soggiorno irregolare di cittadini di paesi terzi nel territorio di tale Stato, a seconda delle circostanze, o una sanzione pecuniaria o l’allontanamento, misure queste applicabili l’una ad esclusione dell’altra”.

Il giudice della Corte superiore di giustizia spagnola, a cui si è appellato MO, ha quindi deciso di chiedere chiarimenti sull’interpretazione di tale direttiva alla Corte di Giustizia dell’Ue, in particolare sul fatto se uno Stato membro possa basarsi direttamente su di essa per adottare una decisione di rimpatrio; il magistrato al quale si è appellato MO, nel sospendere il procedimento e rivolgersi alla CGUE, ha richiamato all’attenzione “la giurisprudenza della Corte che esclude la possibilità di applicare direttamente le disposizioni di una direttiva nei confronti di un singolo, in particolare le sentenze del 26 febbraio 1986, Marshall (152/84, EU:C:1986:84), e dell’11 giugno 1987, X (14/86, EU:C:1987:275)”. Similmente, nel testo della sentenza sul caso di MO, dell’8 ottobre scorso, la CGUE ha stabilito che lo Stato membro non può basarsi su tale direttiva 2008/115 per adottare una decisione di rimpatrio “ed eseguire tale decisione, anche in assenza di dette circostanze aggravanti”.

Per conoscere più nel dettaglio i fatti leggendo tutto il testo della sentenza, clicca qui.

 

 

 

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L’articolo della Carta trattato questa settimana racchiude valori fondanti per l’Unione europea. Afferma infatti che l’Unionerispetta la diversità culturale, religiosa e linguistica”. È lo spunto a partire dal quale immaginare una dimensione di convivenza pacifica, di comprensione della complessità. Come si può del resto garantire ai cittadini uguaglianza di opportunità se non si assicura la possibilità di inclusione e partecipazione? Senza il rispetto della propria condizione specifica, viene a mancare un presupposto basilare per una società aperta, inclusiva e democratica.

Commentare questo articolo ci porta a comprendere meglio il fatto che l’Unione europea riconosce nella complessità un valore positivo e nella diversità un’opportunità di crescita, attraverso il dialogo. Nella sua versione inglese, questo articolo è espresso all’indicativo futuro invece che presente; come già si è avuto modo di riscontrare, ricorrere a questa modalità lascia intendere, in un testo giuridico, il fatto che si stia parlando di un obiettivo programmatico ancora da realizzare. Risulta quindi chiaro che l’articolo in questione, anche se formulato in maniera molto chiara ed essenziale, per poter essere applicato ha la necessità di essere tradotto in norme che specifichino come tale forma di rispetto possa essere garantita. Inoltre, il fenomeno della discriminazione su base culturale, religiosa e linguistica rappresenta ancora una minaccia all’affermazione dei valori europei e richiede ad oggi un forte impegno sia sociale - nella famiglia -, sia istituzionale - nelle scuole, nelle università, negli istituti religiosi - sia nelle decisioni politiche, sia con l’intervento della magistratura, affinché i principi dell’articolo 22 possano essere compiutamente affermati. Non c’è che da augurarsi, comunque, che un valore così importante possa essere trasmesso attraverso le istituzioni primarie di socializzazione piuttosto essere ricordato ogni volta che la cronaca diffonde la notizia di una nuova violazione.

 

 

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