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Per approfondire alcuni aspetti del tema trattato questa settimana, suggeriamo un saggio a firma del dott. Giuseppe Morgese, ricercatore di Diritto dell’Unione europea, Università degli Studi di Bari. Si intitola “Principio di solidarietà e proposta di revisione del regolamento Dublino” ed è inserito nei “Dialoghi con Ugo Villani”, 2017, testo a cura dei docenti, Ennio Triggiani, Francesco Cherubini, Ivan Ingravallo. Il dott. Morgese ha delineato il quadro relativo al principio di solidarietà ed equa ripartizione delle responsabilità, previsto dall’articolo 80 del TFUE. “Questo principio”, afferma, “ha sinora ricevuto scarsa applicazione a causa della volontà della maggioranza degli Stati UE di non modificare i caratteri del regolamento di Dublino, che prevede criteri e meccanismi per la determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri e attribuisce competenza essenzialmente in base al “criterio dello Stato di primo ingresso” regolare o irregolare del richiedente. Il principale ostacolo all’attuazione del principio dell’art. 80 TFUE in materia risiede proprio in questo criterio, che si palesa come l’antitesi della solidarietà e il risultato di un’iniqua ripartizione degli oneri, penalizzando gli Stati UE le cui frontiere esterne sono interessate da flussi migratori provenienti dall’Africa e dal Medio Oriente (soprattutto Italia e Grecia). Per questa ragione, da tempo se ne chiede quantomeno una correzione in senso maggiormente solidaristico”.

Anche il momento in cui il dott. Morgese ha redatto questo saggio contribuisce ad una lettura del genere: ci si trovava in piena emergenza migratoria, nel periodo immediatamente successivo al 2015. Ciò non toglie che ancora oggi la situazione appaia particolarmente insidiosa, proprio nel momento in cui giungono i primi commenti sul nuovo pacchetto asilo e immigrazione della Commissione riportati dai media. Si ha il timore che permarranno inefficienze, là dove l’Unione dovrebbe adottare politiche che incentivino  una maggiore cooperazione reciproca e un maggiore senso di solidarietà: “Non si può non ricordare”, afferma nel saggio il dott. Morgese,  “come le criticità dell’attuale sistema europeo comune di asilo dipendano da flussi migratori ormai a carattere strutturale, potremmo dire “fisiologico”, che però continuano a essere affrontate come se fossero eccezionali. Di eccezionale, a nostro avviso, rimane invece solo la pervicace volontà delle istituzioni UE e della maggioranza degli Stati membri di non modificare in maniera radicale i criteri del sistema Dublino e di non ridurre le vigenti disparità tra Stati in termini di accoglienza, status e procedure: solo in questa maniera, infatti, si avrebbe una vera e compiuta attuazione del dettato dell’art. 80TFUE”.

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Poniamo alla vostra attenzione un caso sottoposto al giudizio della Corte di Giustizia Ue riguardante l’applicazione dell’articolo 19 della Carta dei diritti fondamentali. Il soggetto coinvolto è un cittadino russo, I.N., perseguitato nel suo Paese dal 2015 per il reato di corruzione passiva: in particolare, il 20 maggio di quell’anno venne emesso un avviso di ricerca internazionale nei suoi confronti. È da notare che, all’epoca, I.N. era solo cittadino russo. La sua individuazione è avvenuta il 30 giugno 2019, quando “I.N. si è presentato, quale passeggero di un autobus in possesso di un documento di viaggio islandese per rifugiati, a un valico di frontiera tra la Slovenia e la Croazia, mentre tentava di entrare nel territorio di quest’ultimo Stato. Egli è stato arrestato sulla base dell’avviso di ricerca internazionale menzionato al punto precedente”. Interrogato dal giudice croato, I.N. “ha dichiarato di opporsi alla sua estradizione verso la Russia e ha inoltre riferito di essere al contempo cittadino russo e cittadino islandese. Una nota dell’ambasciata islandese trasmessa allo Županijski sud u Zagrebu (Tribunale di comitato di Zagabria) attraverso il Ministero degli Affari esteri ed europei della Repubblica di Croazia ha confermato che I.N. è, dal 19 giugno 2019, cittadino islandese e che dispone dello status di rifugiato permanente in Islanda”.

Nel frattempo, è giunta al tribunale croato, il 6 agosto 2019, la richiesta di estradizione di I.N. in Russia: “Nella suddetta domanda si indicava che il procuratore generale della Federazione russa garantiva che lo scopo della domanda di estradizione non era di perseguire I.N. per motivi politici né a causa della sua razza, religione, nazionalità o delle sue opinioni, che sarebbero state messe a sua disposizione tutte le possibilità di esercitare la sua difesa, compresa l’assistenza di un avvocato, e che non sarebbe stato sottoposto a tortura, a trattamenti crudeli o inumani o ancora a pene lesive della dignità umana”. Il 5 settembre 2019 il Tribunale di comitato di Zagabria ha dichiarato che sussisteva il rispetto delle condizioni della legge croata relativa alla cooperazione giudiziaria internazionale in materia penale e che quindi l’estradizione poteva aver corso. Quindi, il 30 settembre 2019, “I.N. ha impugnato l’ordinanza succitata dinanzi al giudice del rinvio. Ha sostenuto che esiste un rischio concreto, serio e ragionevolmente prevedibile che, in caso di estradizione verso la Federazione russa, egli sia sottoposto a tortura e a trattamenti inumani e degradanti. Ha inoltre sottolineato che gli era stato riconosciuto lo status di rifugiato in Islanda proprio per via dello specifico procedimento penale cui è sottoposto in Russia e che, con la sua ordinanza del 5 settembre 2019, lo Županijski sud u Zagrebu (Tribunale di comitato di Zagabria) ha compromesso de facto la protezione internazionale concessagli in Islanda”.

In questi casi, in Croazia la competenza in merito al ricorso di I.N. spetta alla Corte suprema, che ha deciso di sospendere il procedimento e di rivolgersi alla CGUE su alcune questioni pregiudiziali: va informata l’Islanda dell’estradizione del suo cittadino I.N.? Se l’Islanda chiede la consegna di tale persona per lo svolgimento del procedimento per il quale è stata richiesta l’estradizione, occorre consegnargliela?

Nell’articolata sentenza della Corte, del 2 aprile 2020, si pone l’accento sulle garanzie per l’interessato: “l’autorità competente dello Stato membro richiesto (la Croazia, ndr) è tenuta a verificare che l’estradizione non pregiudicherà i diritti di cui all’articolo 19, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali; e nell’ambito di tale verifica, la concessione dell’asilo costituisce un elemento particolarmente serio. Prima di contemplare la possibilità di dare esecuzione alla domanda di estradizione, lo Stato membro richiesto è, in ogni caso, tenuto a informare questo stesso Stato dell’AELS (l’Islanda, ndr) e, se del caso, su sua domanda, a consegnargli il cittadino in questione, conformemente alle disposizioni dell’accordo di consegna, purché detto Stato dell’AELS sia competente, in forza del suo diritto nazionale, a perseguire il cittadino in questione per fatti commessi fuori dal suo territorio nazionale”.

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Tema al centro di questa newsletter, quello dell’immigrazione è un ambito nel quale si assiste ad un dibattito acceso e costante. Ricordiamo che la sfera del diritto europeo ha fissato alcuni principi da rispettare, che si traducono anche in buone pratiche che andrebbero seguite. Per esempio, l’articolo 19 è quello che ben si presta a commentare la situazione attuale, in un contesto istituzionale europeo che più volte ha dato prova di non riuscire a fornire risposte adeguate. Si afferma al comma 1 di questo articolo, dal titolo “Protezione in caso di allontanamento, di espulsione e di estradizione”, che “Le espulsioni collettive sono vietate”. Con questo primo comma, che ha una portata molto ampia in quanto non fa riferimento ad una categoria particolare, ma si rivolge alla collettività, si vuole intendere che rispetto al fenomeno dell’immigrazione l’Unione europea deve essere in grado di ricorrere a strumenti che non compromettano la vita e l’integrità delle persone. La quotidianità delle cronache che arrivano dal Mediterraneo, purtroppo, restituisce, rispetto a questo principio affermato dalla Carta, un quadro desolante. Nell’affermare ciò, probabilmente si fuoriesce dal perimetro di per sé già ampio dell’articolo 19, che si occupa dell’espulsione, una fase del fenomeno migratorio successiva a quella della partenza e dell’arrivo in un Paese europeo.

Bisogna però considerare anche la realtà dell’immigrazione nelle sue prime fasi, quella cioè del tentativo di dirigersi verso il territorio europeo. Sappiamo che il fenomeno migratorio non accenna a diminuire, nel corso degli anni, e che spesso il suo esito è drammatico, perché i mezzi a disposizione delle istituzioni europee e le misure adottate non sono adeguati alla domanda che arriva dai Paesi dai quali si fugge. Il Mediterraneo finisce troppo spesso per diventare un cimitero in cui affondano le speranze di persone inermi, che sfuggono a morte sicura, alla fame, alla disperazione e che però vedono negato il loro diritto ad una esistenza dignitosa, a cui ciascun essere umano aspira. D’altro canto, l’argomento trattato è alquanto scottante perché, a fronte delle carenze di un approccio adeguato a livello europeo, i migranti diventano il primo bersaglio delle politiche di chiusura e di difesa dell’interesse nazionale. E inoltre, quanto più l’Unione non è in grado di mettere in atto un’azione adeguata, tanto più si corre il rischio di legittimare una visione opposta a quella di una leale cooperazione. Ecco perché l’auspicio è che il nuovo pacchetto su asilo e migrazione disposto dalla Commissione Von der Leyen sia rafforzato nell’intento di obbligare gli Stati membri ad un approccio più solidale rispetto a questo fenomeno e far leva sulle risorse di cui l’Unione europea dispone. E con questo veniamo al secondo comma dell’articolo 19: “Nessuno può essere allontanato, espulso o estradato verso uno Stato in cui esiste un rischio serio di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti”. Da questo punto di vista, le istituzioni europee e le decisioni della Corte di Giustizia operano per tutelare questi diritti dei migranti. Ma, come si è detto, la drammaticità del fenomeno migratorio è tutta concentrata nel tentativo del migrante di giungere in Europa e di potersi inserire nella società. I veti dei governi e le inefficienze esistenti portano a ritenere che sia ancora lungo il cammino dell’Ue verso un approccio più avanzato rispetto al fenomeno migratorio.

 

 

 

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