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5 dicembre

  • Roma, presentazione della mostra fotografica e dei risultati del progetto del Movimento europeo “NICE - Nobody Ignores The Charter of Europe”
  • Presentazione online del libro di Michele Mezza "Net-war. Ucraina: come il giornalismo sta cambiando la guerra"

 

6 dicembre

  • Seminario “Il Disarmo Nucleare e il Trattato “NEW START” tra Federazione Russa e USA - La costruzione di una Via della Pace” (Comitato per una Civiltà dell'Amore)
  • Roma, XII riunione della Piattaforma italiana per la Conferenza sul futuro dell’Europa (Movimento europeo Italia)

 

9 dicembre

  • Bruxelles, “Convention Versus Constituent Method”

 

 

 

 
 
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La Corte di giustizia esclude che un migrante irregolare, affetto da una malattia grave, possa essere allontanato se nel paese di destinazione non sia disponibile una terapia adeguata che lo protegga da un aumento rapido, significativo e irrimediabile del dolore associato a tale malattia.

Si tratta di un nuovo, importante, pronunciamento in senso garantista della Corte di giustizia (nella sua composizione più alta della Grande sezione) sui procedimenti di allontanamento dei migranti irregolari nei territori dell’Unione.

Il caso ([1]) riguarda un cittadino russo affetto da una rara forma di cancro del sangue in cura in Olanda. La terapia prescelta consiste in flebotomie e nella somministrazione della cannabis per uso terapeutico a fini analgesici; tuttavia la terapia mediante somministrazione di cannabis non è autorizzata in Russia ove dovrebbe essere rimpatriato il cittadino. Dopo il plurimo  rigetto amministrativo  della domanda di asilo la decisione di rimpatrio è stata impugnata avanti il Tribunale dell’Aja avanti il quale il cittadino ha sostenuto che la terapia somministrata in Olanda è a tal punto essenziale che non potrebbe più condurre una vita dignitosa ove venisse interrotta poiché il dolore sarebbe a tal punto forte da impedirgli di dormire e mangiare, con conseguenti destabilizzanti per il suo stato fisico e mentale (con pericoli di depressioni e pulsioni al suicidio). Il giudice del rinvio rileva che i medici olandesi che hanno in cura il cittadino russo ritengono che la terapia con  uso farmaceutico della cannabis sia l’unico trattamento adeguato per il suo dolore e che questa terapia sarebbe impossibile in Russia ove venisse trasferito. Pone quindi alla Corte di giustizia un insieme di questioni  interpretative della direttiva 2008/115/CE (la cosidetta direttiva “rimpatri”) letta però alla luce di numerosi articoli della Carta dei diritti; l’art. 1 (dignità della persona), l’art. 4 (proibizione di trattamenti inumani e degradanti ), l’art. 7 ( protezione della vita privata e familiare) e infine l’art. 19.2 (divieto di allontanamento verso paesi ove sussista il pericolo di trattamenti inumani e degradanti) diritti che trovano riscontro anche nella Convenzione del 1950 e nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo.

Le questioni poste dal Giudice olandese sono le seguenti:

Se un aumento significativo dell’intensità del dolore a causa dell’interruzione di cure mediche in una patologia invariata possa configurare una situazione contraria all’articolo 19, paragrafo 2, della [Carta], in combinato disposto con gli articoli 1 e 4 della Carta, qualora non venga autorizzato un rinvio dell’obbligo di partenza derivante dalla [direttiva 2008/115]; Se la fissazione di un termine prestabilito, entro il quale devono concretizzarsi gli effetti dell’interruzione di cure mediche per dover presumere ostacoli medici ad un obbligo di rimpatrio derivante dalla [direttiva 2008/115], sia compatibile con l’articolo 4 della Carta in combinato disposto con l’articolo 1 della Carta. Qualora la fissazione di un determinato termine non sia contraria al diritto dell’Unione, se sia consentito a uno Stato membro stabilire un termine generale, identico per tutte le possibili patologie mediche e per tutte le possibili conseguenze mediche; Se sia compatibile con l’articolo 19, paragrafo 2, della Carta, in combinato disposto con gli articoli 1 e 4 della Carta, e con la [direttiva 2008/115] stabilire che le conseguenze dell’allontanamento di fatto devono essere valutate esclusivamente alla luce della questione di determinare se, e a quali condizioni, lo straniero possa viaggiare; Se l’articolo 7 della Carta, in combinato disposto con gli articoli 1 e 4 della Carta e alla luce della [direttiva 2008/115], esiga che la condizione clinica dello straniero e le cure mediche che egli ha in precedenza ricevuto nello Stato membro debbano essere prese in considerazione per valutare se la vita privata debba determinare l’autorizzazione del soggiorno. Se l’articolo 19, paragrafo 2, della Carta, in combinato disposto con gli articoli 1 e 4 della Carta e alla luce della [direttiva 2008/115], esiga che, nel valutare se problemi medici possano configurare ostacoli per l’allontanamento, si debba tenere conto della vita privata e della vita familiare, ai sensi dell’articolo 7 della Carta».

La Corte di giustizia ribadisce la sua già consolidata giurisprudenza sul divieto di rimpatrio verso paesi ove sussista un serio rischio che il rimpatriato sia sottoposto a pena di morte, ad atti di tortura o di trattamenti inumani o degradanti:

<< L’articolo 5 della direttiva 2008/115, che costituisce una norma generale che si impone agli Stati membri dal momento in cui essi attuano tale direttiva, obbliga l’autorità nazionale competente a rispettare, in tutte le fasi della procedura di rimpatrio, il principio di non-refoulement, garantito, in quanto diritto fondamentale, dall’articolo 18 della Carta, in combinato disposto con l’articolo 33 della Convenzione relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951, come modificata dal protocollo relativo allo status dei rifugiati, nonché dall’articolo 19, paragrafo 2, della Carta. Ciò vale, in particolare, come ricordato al punto 53 della presente sentenza, quando tale autorità, dopo aver ascoltato l’interessato, intende adottare una decisione di rimpatrio...Di conseguenza, l’articolo 5 della direttiva 2008/115 osta a che un cittadino di un paese terzo sia oggetto di una decisione di rimpatrio allorché tale decisione prenda in considerazione, come paese di destinazione, un paese in cui esistono seri e comprovati motivi per ritenere che, se fosse data esecuzione a siffatta decisione, tale cittadino sarebbe esposto a un rischio reale di trattamenti contrari all’articolo 18 o all’articolo 19, paragrafo 2, della Carta. In forza di tale articolo 19, paragrafo 2, nessuno può essere allontanato verso uno Stato in cui esiste un serio rischio che egli sia sottoposto non solo alla pena di morte, ma anche alla tortura o a trattamenti inumani o degradanti, ai sensi dell’articolo 4 della Carta. Il divieto di pene o di trattamenti inumani o degradanti, dettato all’articolo 4 della Carta, ha carattere assoluto in quanto è strettamente connesso al rispetto della dignità umana, di cui all’articolo 1 della Carta.. Ne consegue che, qualora vi siano seri e comprovati motivi per ritenere che un cittadino di un paese terzo, il cui soggiorno nel territorio di uno Stato membro sia irregolare, possa essere esposto, in caso di rimpatrio in un paese terzo, a un rischio reale di trattamento inumano o degradante ai sensi dell’articolo 4 della Carta, in combinato disposto con l’articolo 1 della stessa e l’articolo 19, paragrafo 2, della Carta, detto cittadino non può essere oggetto di una decisione di rimpatrio in tale paese fintanto che persista tale rischio. Allo stesso modo, detto cittadino non può essere oggetto di una misura di allontanamento nel corso di tale periodo, come prevede peraltro espressamente l’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva 2008/115 >>.

Va ricordato che l’art. 4 del Testo di Nizza è una norma che non può essere bilanciata con nessun’altra e che il diritto a non subire trattamenti inumani e degradanti  è un diritto assoluto e non comprimibile (l’unico, in sostanza, ad avere queste caratteristiche tra i tanti fundamental rights  riconosciuti nella Carta) come ribadisce la Corte. Ma come abbiamo premesso il cittadino russo non paventa  rischi di torture o trattamenti carcerari inumani ma la mancanza di terapie adeguate. Sotto questo profilo la sentenza è particolarmente interessante. La Corte di giustizia infatti ricorda secondo l’articolo 52, paragrafo 3, della Carta i diritti garantiti dall’articolo 4 della stessa corrispondono a quelli garantiti dall’articolo 3 della Convenzione europea, il significato e la portata di tali diritti sono uguali a quelli loro conferiti da detto articolo 3 della Convenzione. Questo consente di interpretare la Direttiva, che è atto legislativo dell’ Unione, alla luce della giurisprudenza di Strasburgo che ha già affrontato il tema se la mancanza di terapie adeguate possa portare ad una situazione assimilabile a quella di chi subisce, ad esempio, una detenzione inumana o pratiche di tortura.

La Corte quindi osserva che:

<<dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo relativa all’articolo 3 della CEDU risulta che il dolore dovuto ad una malattia sopraggiunta per cause naturali, sia essa fisica o mentale, può ricadere nella portata di tale articolo 3 se esso è o rischia di essere esacerbato da un trattamento, sia esso risultante da condizioni di detenzione, da un’espulsione o da altri provvedimenti, per il quale le autorità possono essere ritenute responsabili, purché le sofferenze che ne conseguono raggiungano il livello minimo di gravità richiesto da tale articolo 3… Occorre, infatti ricordare che, per poter rientrare nell’ambito di applicazione dell’articolo 3 della CEDU, un trattamento deve raggiungere un livello minimo di gravità; la valutazione di tale minimo è relativa e dipende dal complesso dei dati della causa.. A tal riguardo, dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo deriva che l’articolo 3 della CEDU osta all’allontanamento di una persona gravemente malata per la quale sussiste un rischio di decesso imminente o per la quale sussistono seri motivi per ritenere che, sebbene non corra nessun rischio imminente di morire, si trovi di fronte, in ragione dell’assenza di trattamenti adeguati nel paese di destinazione, o in mancanza di accesso ad essi, a un rischio reale di essere esposta a un declino grave, rapido e irreversibile delle sue condizioni di salute, che possa comportare intense sofferenze o una significativa riduzione della sua speranza di vita. Risulta inoltre dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo … uno standard che tiene debitamente conto di tutte le considerazioni pertinenti ai fini dell’articolo 3 della CEDU in quanto preserva il diritto generale per gli Stati di controllare l’ingresso, il soggiorno e l’allontanamento dei non cittadini, riconoscendo nel contempo la natura assoluta di tale articolo.   Dalla giurisprudenza della Corte risulta in modo costante che la soglia di gravità richiesta in materia, ai fini dell’applicazione dell’articolo 4 della Carta,equivale alla soglia di gravità richiesta, nelle stesse circostanze, in forza dell’articolo 3 della CEDU>>  (punti 60-65).

La  conclusione è quindi netta:

<< l’articolo 5 della direttiva 2008/115, in combinato disposto con gli articoli 1 e 4 nonché con l’articolo 19, paragrafo 2, della Carta, osta a che uno Stato membro adotti una decisione di rimpatrio o proceda all’allontanamento di un cittadino di un paese terzo, il cui soggiorno nel territorio di tale Stato membro è irregolare e che è affetto da una malattia grave, allorché sussistono seri e comprovati motivi per ritenere che il suo rimpatrio possa esporlo, a causa dell’indisponibilità di cure adeguate nel paese di destinazione, a un rischio reale di riduzione significativa dell’aspettativa di vita o di deterioramento rapido, significativo e irrimediabile delle sue condizioni di salute, comportante intensi dolori >>.

Inoltre la Corte precisa che

<<Per quanto riguarda poi il requisito secondo il quale il rimpatrio del cittadino di un paese terzo interessato rischi di causare un rapido aumento del suo dolore, occorre sottolineare che una condizione siffatta non può essere interpretata in modo talmente restrittivo che essa osti al rimpatrio di un cittadino di un paese terzo gravemente malato unicamente nei casi estremi in cui quest’ultimo possa subire un aumento significativo e irrimediabile del suo dolore sin dal suo arrivo nel territorio del paese di destinazione o appena dopo tale arrivo. Occorre, al contrario, tener conto del fatto che l’aumento del dolore della persona interessata, causato dal suo rimpatrio in un paese nel quale non sono disponibili terapie adeguate, può essere progressivo e che può essere necessario un certo lasso di tempo affinché tale aumento divenga significativo e irrimediabile. Inoltre, la necessità di prendere in considerazione tutti i fattori pertinenti, ai fini della valutazione della soglia di gravità richiesta al riguardo dall’articolo 4 della Carta, nonché il grado di supposizione insito in un esame in prospettiva di questo tipo, ostano a che, per essere considerato rapido, l’aumento del dolore di un cittadino di un paese terzo, in caso di rimpatrio, deve essere idoneo a prodursi entro un termine predeterminato in modo assoluto nel diritto dello Stato membro interessato>>.

La sentenza qui in esame esclude, quindi, che il periodo pertinente per valutare se esista il rischio prima descritto sia limitabile ai tre mesi e afferma che il rischio da tenere in considerazione non riguarda il solo  percorso di viaggio nel paese di rientro ma anche il periodo successivo di permanenza nel paese di destinazione durante il quale deve essere garantita una adeguata terapia che eviti quelle conseguenze di aggravamento del dolore che abbiamo ricordato (questioni piuttosto delicate e dense di rilievo applicativo).

Più cauta appare invece la Corte in ordine all’interpretazione della Direttiva del 2008 alla luce dell’art. 7 (protezione della vita privata e familiare) in particolare sul punto se la malattia dei cittadino di paesi terzi irregolare che non può, per quanto si è detto, essere oggetto di un rimpatrio nel paese di origine determini il diritto di questi ad avere un diritto di soggiorno nel paese ospitante posto che la direttiva non lo prevede ma si limita ad autorizzare lo stato a concederlo per motivi umanitari, ma fuori dal diritto dell’Unione e sulla base del loro diritto nazionale. L’art. 7 ed il rispetto della vita privata e familiare gioca tuttavia un ruolo determinante nell’orientare la decisione di rimpatrio La Corte ricorda che:

<<le cure mediche di cui un cittadino di un paese terzo fruisce nel territorio di uno Stato membro, anche se il suo soggiorno è irregolare, fanno parte della vita privata di quest’ultimo, ai sensi dell’articolo 7 della Carta. Ed anche che  l’integrità fisica e mentale di una persona partecipa alla sua realizzazione personale e, pertanto, al godimento effettivo del suo diritto al rispetto della vita privata, che comprende anche, in una certa misura, il diritto del singolo di instaurare e sviluppare rapporti con i propri simili. Pertanto.., l’autorità nazionale competente può adottare una decisione di rimpatrio o procedere all’allontanamento di un cittadino di un paese terzo solo dopo aver preso in considerazione le condizioni di salute di quest’ultimo>> (punti 92-95).

Ma di per sé le condizioni di salute ostano al rimpatrio solo ove ricorra quella particolare gravità di cui si è detto perché il diritto al rispetto della vita privata è bilanciabile con altri diritti o interessi di rilievo pubblico secondo  i criteri di proporzionalità, necessità e di strumentalità al perseguimento di finalità di interesse generale fissati all’art. 52 della stessa  Carta.

Si nota nella sentenza una certa sofferenza nel tenere contemporaneamente fermi sia il principio per cui lo stato di malattia non impedisce automaticamente il rimpatrio e tanto meno attribuisce un diritto di soggiorno nel paese ospitante con una certa apertura all’obbligo del  rispetto della vita privata (attento, quindi, sia alle condizioni di salute che ai legami intessuti nello stato ospitante) da parte della autorità competenti a decidere il rimpatrio, che lascia un certo spazio al giudice nazionale nell’assicurare una tutela  anche  in situazioni meno estreme di quelle esaminate in questa sentenza. Forse una maggiore attenzione proprio all’art. 1 della Carta (che ha una dimensione più ampia di quella del mero contrasto di atti inumani e degradanti), menzionato in sentenza ma poco sviluppato  e, da parte del giudice del rinvio, dell’art. 35 sulla protezione della salute avrebbe potuto portare sull’ultimo punto a conclusioni più stringenti sulla sorte di soggetti rimpatriati in altri paesi benché malati. Tuttavia come già osservato v’è un campo aperto e lasciato al giudice nazionale per valutare le condizioni di salute come ragione ostativa per i rimpatri alla luce del diritto dell’Unione e del suo Bill of rights. Sotto questo aspetto la sentenza mostra bene come la Carta dei diritti sia un “insieme” di protezioni che si richiamano circolarmente e che possono essere anche integrate con la giurisprudenza della Corte di Strasburgo. Un sistema ancora da sviluppare pienamente  in tutti i suoi risvolti, molti dei quali dipendono, alla fine, dall’orientamento e dalla valutazioni di merito  del motore di questo “ sistema”, che è il giudice nazionale (come organo di base del sistema multilivello) che dovrà decidere sulla legittimità dei rimpatri e sull’esatto significato delle indicazioni della Corte di giustizia (soprattutto in ordine alla gravità delle malattie sofferte dai migranti) che ha offerto, ancora una volta ci pare, sentieri importanti e non scontati di protezione.

Giuseppe Bronzini

 

[1] Sentenza del 22.11.2022, C-69/2021, Staatsegretaris van Justitie en Veiligheid

 

 

 

 

 

 

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IL DISALLINEAMENTO EUROPEO DEL GOVERNO MELONI

Il leader di Azione Carlo Calenda ha certificato, dopo un lungo incontro a Palazzo Chigi con il Presidente del Consiglio, che “Giorgia Meloni è una persona seria” e che la sua storia (che lo “affascina”) lo predispone positivamente “dal punto di vista della chimica”.

Carlo Calenda ha anche ribadito che Azione non entrerà nella maggioranza di governo e, conoscendo la linearità del suo percorso politico, potremmo cercare di credere in quello che egli afferma!

Il compito del Movimento europeo è invece quello di valutare, giorno per giorno, la linearità o il disallineamento del percorso europeo del Presidente del Consiglio e dei suoi ministri sulle questioni nell’agenda dell’Unione europea lasciando per ora da parte l’analisi sulle sue convinzioni “confederali” e, dunque, di un futuro dell’Europa in cui gli Stati nazionali avrebbero un ruolo prevalente ancor più invadente di quanto è avvenuto dall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona tredici anni fa con il pre-potere del Consiglio europeo.

Il primo tema è quello del governo dei flussi migratori su cui la campagna di disinformazione e di intossicazione dell’attuale ministro dell’interno Matteo Piantedosi e del suo predecessore Matteo Salvini dal 1° giugno 2018 al 5 settembre 2019 così come l’intervento di Giorgia Meloni al Rome Med Dialogues 2022 si è infranta contro i dati incontrovertibili delle organizzazioni internazionali ed europee e contro l’obbligo di salvare le vite umane nel Mediterraneo sancito da convenzioni internazionali e dall’Unione europea.

Si inserisce in questa campagna l’ostilità del governo Meloni - ma anche del governo Conte-2 con il cosiddetto  “accordo di Malta” del settembre 2019 - nei confronti delle organizzazioni non governative (ONG) considerate come un fattore di spinta (pull factor) dei flussi di migranti illegali, una tesi respinta non solo dal Parlamento europeo ma ora anche dalla Agenzia Frontex e dalla sua nuova direttrice Aija Kalnaja dopo le dimissioni del suo predecessore Francis Leggeri accusato di aver coperto respingimenti di massa di richiedenti asilo compiuti dal personale di Frontex e da alcuni Stati membri.

L’Italia si è disallineata rispetto alle posizioni di Francia, Germania e Spagna ma anche della Commissione europea e, naturalmente, della grande maggioranza del Parlamento europeo con l’eccezione dei gruppi politici dove siedono i parlamentari di Fratelli d’Italia e della Lega.

Sulla questione dei flussi migratori, del resto, il disallineamento non riguarda solo la dimensione europea ma l’idea di una civiltà che accoglie e non respinge, di una società che include e non esclude, di culture che si rispettano.

Il messaggio che Giorgia Meloni ha lanciato dal Rome Med Dialogues 2022, oltre alla ripetizione ossessiva del ruolo delle “nazioni”, è stato quello dei respingimenti e dei rimpatri in assenza di qualunque riferimento alle cause delle migrazioni ignorando nello stesso tempo la dimensione delle rotte migratorie che coinvolgono tutto il continente europeo in un quadro mondiale dove i popoli che trasmigrano (i déracinés) lo fanno in primo luogo all’interno dei propri paesi poi verso i paesi vicini quindi verso i paesi in via di sviluppo e solo in ultima istanza verso i paesi sviluppati.

La proposta di un finanziamento di 100 miliardi di euro lanciata da Antonio Tajani per ora in una intervista e ripresa da Giorgia Meloni come un “piano Mattei” (dal nome del fondatore dell’Eni Enrico Mattei, che prevedeva agli inizi degli anni ‘60 uno schema di cooperazione nel mercato petrolifero con un rapporto diretto fra paese produttore e paese consumatore e che dunque non ha nulla a che fare con l’attuale ed eventuale iniziativa italiana) andrebbe nella direzione dell’obiettivo dei respingimenti e dei rimpatri senza precisare se i finanziamenti sarebbero destinati ai paesi del Nord Africa che “accolgono” i migranti dall’Africa sub-sahariana o ai paesi di tutto il continente africano.

La somma indicata da Antonio Tajani non tiene del resto conto del fatto che l’Unione europea e i 27 paesi membri hanno speso nel 2021 settanta miliardi di euro in aiuti ai paesi in via di sviluppo, che questi aiuti corrispondono allo 0.49% de PIL globale dell’Unione europea (pari nel 2021 a 14.500 miliardi di euro), che si è deciso di aumentarli entro il 2030 fino allo 0.7% ancor al di sotto di quell’1% considerato come la soglia minima da raggiungere e che gli aiuti dovrebbero essere finalizzati allo sviluppo economico del continente e non a sostenere le azioni di repressione dei flussi migratori.

Vedremo come si orienteranno i ministri dell’interno e della giustizia nella riunione dell’8 dicembre a Bruxelles, se ci saranno delle decisioni sulle proposte della Commissione europea che dovranno poi essere discusse e approvate dal Parlamento europeo e se Matteo Piantedosi potrà esprimere ancora una volta la sua “personale soddisfazione”.

Il secondo tema è quello del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), su cui si innesta la domanda di una sua revisione rivendicata da Giorgia Meloni durante la campagna che ha preceduto le elezioni legislative del 25 settembre e che è stata riproposta con linguaggio diverso da  vari ministri italiani negli incontri a Roma con la missione della Commissione europea e a Bruxelles nelle riunioni ministeriali.

Il ministro dell’agricoltura, Francesco Lollobrigida, ha affermato ad esempio che “il PNRR era un piano fatto in fretta e in furia per spendere e, a volte, non per farlo bene. All’Europa chiediamo la possibilità di rimodulare le risorse  e i tempi rispetto alle vere domande dei territori e delle imprese sapendo che modificare il PNRR era un tabù demagogico solo per la sinistra”.

Da parte sua, il ministro per gli affari europei, Raffaele Fitto, ha detto che il governo Meloni sta “definendo gli obiettivi al 31 dicembre e dall’altra sta lavorando ad una visione strategica di carattere generale sull’intero programma immaginando implementazioni dello stesso programma in base ai nuovi scenari”.

Di fronte a queste dichiarazioni, la Commissione europea ed in particolare il commissario all’economia Paolo Gentiloni hanno ribadito che la sola rimodulazione possibile è quella legata al raggiungimento degli obiettivi del REPowerEU per conseguire il risparmio energetico, la diversificazione delle fonti di approvvigionamento e l’accelerazione verso l’energia pulita sapendo che non è previsto nessuno slittamento al di là del 31 dicembre 2026 e che l’attuazione delle riforme nazionali non discende da rigide regole europee ma dal rapporto di causa ed effetto  fra le riforme da una parte e la capacità di un paese di rilanciare la propria economia e di essere resiliente.

Queste riforme, come ci ha ricordato Romano Prodi nel suo editoriale domenicale, riguardano fra i capitoli più importanti i servizi pubblici locali ed il sistema giudiziario, l’eliminazione del lavoro nero, un progetto comprensivo di digitalizzazione e la lotta all’evasione fiscale sapendo che “gli interlocutori europei non sono soddisfatti su come si sta camminando in queste direzioni”.

I paesi europei che hanno presentato alla Commissione europea i loro piani di ripresa e di resilienza (PNRR) pagano del resto le conseguenze della decisione collettiva presa nel luglio 2020 (presidente del Consiglio Giuseppe Conte, n.d.r.,) quando decisero di accantonare la proposta europea di un piano – e non di un fondo – che avrebbe dovuto essere implementato per due terzi attraverso beni pubblici europei con una gestione diretta europea.

Essi lo hanno sostituito con un piano o meglio con un fondo che sarà implementato solo attraverso beni pubblici nazionali con una gestione nazionale indiretta, cosicché i meriti della ripresa e della resilienza saranno attribuiti ad ogni governo nazionale ma il fallimento di un piano sarà pagato dal governo incapace di rispettare tempi e modi delle riforme ma tutto il programma europeo pagherà le conseguenze di un fallimento.

Quel che sta avvenendo in questi mesi in materia di costi dell’energia, di ostacoli per il passaggio all’energia pulita, di lotta al cambiamento climatico dopo lo stallo della COP27, di aiuti per la ricostruzione dell’Ucraina (che ha richiesto l’attivazione di un nuovo debito pubblico europeo), di governo dei flussi migratori, della implementazione di una effettiva autonomia strategica nel settore dell’intelligenza artificiale attraverso accordi di partenariato con i paesi che possiedono le materie prime che mancano all’Europa, di creazione di una unione della salute, di politiche coerenti con l’obiettivo della biodiversità, dello sviluppo di una politica industriale europea a partire dal ruolo centrale delle piccole e medie imprese insieme alla rete degli attori dell’economia sociale: tutto questo rilancia la necessità di un piano per beni pubblici europei.

Essi richiedono un rafforzamento della capacità di governo a livello europeo con un’azione convergente di alcuni paesi come la Francia, la Spagna e l’Italia in cui l’interesse nazionale coincide con quello europeo.

Proprio nel momento in cui era indispensabile una più forte intesa fra questi tre paesi per rispondere alle incertezze e alle pulsioni nazionaliste di Berlino, si sono interrotti il dialogo e l’intesa fra Roma e Parigi ad un anno esatto dalla firma del Trattato del Quirinale.

Il terzo tema è quello della difesa dello stato di diritto e cioè della legalità, della certezza del diritto, della prevenzione dell’abuso del potere, dell’uguaglianza davanti alla legge e della non discriminazione, dell’accesso alla giustizia e dunque della indipendenza della magistratura.

Affermare che le sanzioni contro paesi come l’Ungheria e la Polonia, che violano lo stato diritto, congelando fondi europei che sono finanziati da tutti i cittadini europei sia una “barbarie” - come ha affermato l’eurodeputato di Fratelli d’Italia Nicola Procaccini da giovane militante nel Fronte della Gioventù – significa disconoscere e disprezzare i valori comuni su cui si fonda l’Unione europea.

Il disallineamento del governo Meloni dall’Unione europea non nasce certo dalla dichiarazione di Nicola Procaccini ma dal fatto ben più grave del voto dei parlamentari europei di  Fratelli d’Italia (insieme a quelli del partito Prawo i Sprawiedliwosc e cioè Diritto e Giustizia al governo in Polonia) e della Lega (insieme a quelli del Rassemblement National di Marine Le Pen in Francia) contro la risoluzione del Parlamento europeo che chiede il congelamento di quei fondi.

Il disallineamento è provocato ancora di più dal fatto che il governo italiano si prepara ad impedire questa decisione nel Consiglio dei ministri dell’economia e delle finanze del 6 dicembre a cui parteciperà Giancarlo Giorgetti contribuendo alla formazione di una futura minoranza di blocco con Polonia, Ungheria e Svezia con la complicità della presidenza ceca del Consiglio che si orienta a non mettere ai voti la decisione.

Il disallineamento del governo Meloni dall’Unione europea rappresenta un grave danno per l’Italia e contribuisce al rallentamento del processo decisionale europeo nel momento in cui le vecchie e nuove emergenze esigono maggiore efficacia e determinazione.

Roma, 5 dicembre 2022

coccodrillo

 

 

 

 

 

 

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 L'EDITORIALE

IL DISALLINEAMENTO EUROPEO DEL GOVERNO MELONI

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Il primo tema è quello del governo dei flussi migratori su cui la campagna di disinformazione e di intossicazione dell’attuale ministro dell’interno Matteo Piantedosi e del suo predecessore Matteo Salvini dal 1° giugno 2018 al 5 settembre 2019 così come l’intervento di Giorgia Meloni al Rome Med Dialogues 2022 si è infranta contro i dati incontrovertibili delle organizzazioni internazionali ed europee e contro l’obbligo di salvare le vite umane nel Mediterraneo sancito da convenzioni internazionali e dall’Unione europea.

Si inserisce in questa campagna l’ostilità del governo Meloni - ma anche del governo Conte-2 con il cosiddetto  “accordo di Malta” del settembre 2019 - nei confronti delle organizzazioni non governative (ONG) considerate come un fattore di spinta (pull factor) dei flussi di migranti illegali, una tesi respinta non solo dal Parlamento europeo ma ora anche dalla Agenzia Frontex e dalla sua nuova direttrice Aija Kalnaja dopo le dimissioni del suo predecessore Francis Leggeri accusato di aver coperto respingimenti di massa di richiedenti asilo compiuti dal personale di Frontex e da alcuni Stati membri.

L’Italia si è disallineata rispetto alle posizioni di Francia, Germania e Spagna ma anche della Commissione europea e, naturalmente, della grande maggioranza del Parlamento europeo con l’eccezione dei gruppi politici dove siedono i parlamentari di Fratelli d’Italia e della Lega.

Sulla questione dei flussi migratori, del resto, il disallineamento non riguarda solo la dimensione europea ma l’idea di una civiltà che accoglie e non respinge, di una società che include e non esclude, di culture che si rispettano.

Il messaggio che Giorgia Meloni ha lanciato dal Rome Med Dialogues 2022, oltre alla ripetizione ossessiva del ruolo delle “nazioni”, è stato quello dei respingimenti e dei rimpatri in assenza di qualunque riferimento alle cause delle migrazioni ignorando nello stesso tempo la dimensione delle rotte migratorie che coinvolgono tutto il continente europeo in un quadro mondiale dove i popoli che trasmigrano (i déracinés) lo fanno in primo luogo all’interno dei propri paesi poi verso i paesi vicini quindi verso i paesi in via di sviluppo e solo in ultima istanza verso i paesi sviluppati.

La proposta di un finanziamento di 100 miliardi di euro lanciata da Antonio Tajani per ora in una intervista e ripresa da Giorgia Meloni come un “piano Mattei” (dal nome del fondatore dell’Eni Enrico Mattei, che prevedeva agli inizi degli anni ‘60 uno schema di cooperazione nel mercato petrolifero con un rapporto diretto fra paese produttore e paese consumatore e che dunque non ha nulla a che fare con l’attuale ed eventuale iniziativa italiana) andrebbe nella direzione dell’obiettivo dei respingimenti e dei rimpatri senza precisare se i finanziamenti sarebbero destinati ai paesi del Nord Africa che “accolgono” i migranti dall’Africa sub-sahariana o ai paesi di tutto il continente africano.

La somma indicata da Antonio Tajani non tiene del resto conto del fatto che l’Unione europea e i 27 paesi membri hanno speso nel 2021 settanta miliardi di euro in aiuti ai paesi in via di sviluppo, che questi aiuti corrispondono allo 0.49% de PIL globale dell’Unione europea (pari nel 2021 a 14.500 miliardi di euro), che si è deciso di aumentarli entro il 2030 fino allo 0.7% ancor al di sotto di quell’1% considerato come la soglia minima da raggiungere e che gli aiuti dovrebbero essere finalizzati allo sviluppo economico del continente e non a sostenere le azioni di repressione dei flussi migratori.

Vedremo come si orienteranno i ministri dell’interno e della giustizia nella riunione dell’8 dicembre a Bruxelles, se ci saranno delle decisioni sulle proposte della Commissione europea che dovranno poi essere discusse e approvate dal Parlamento europeo e se Matteo Piantedosi potrà esprimere ancora una volta la sua “personale soddisfazione”.

Il secondo tema è quello del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), su cui si innesta la domanda di una sua revisione rivendicata da Giorgia Meloni durante la campagna che ha preceduto le elezioni legislative del 25 settembre e che è stata riproposta con linguaggio diverso da  vari ministri italiani negli incontri a Roma con la missione della Commissione europea e a Bruxelles nelle riunioni ministeriali.

Il ministro dell’agricoltura, Francesco Lollobrigida, ha affermato ad esempio che “il PNRR era un piano fatto in fretta e in furia per spendere e, a volte, non per farlo bene. All’Europa chiediamo la possibilità di rimodulare le risorse  e i tempi rispetto alle vere domande dei territori e delle imprese sapendo che modificare il PNRR era un tabù demagogico solo per la sinistra”.

Da parte sua, il ministro per gli affari europei, Raffaele Fitto, ha detto che il governo Meloni sta “definendo gli obiettivi al 31 dicembre e dall’altra sta lavorando ad una visione strategica di carattere generale sull’intero programma immaginando implementazioni dello stesso programma in base ai nuovi scenari”.

Di fronte a queste dichiarazioni, la Commissione europea ed in particolare il commissario all’economia Paolo Gentiloni hanno ribadito che la sola rimodulazione possibile è quella legata al raggiungimento degli obiettivi del REPowerEU per conseguire il risparmio energetico, la diversificazione delle fonti di approvvigionamento e l’accelerazione verso l’energia pulita sapendo che non è previsto nessuno slittamento al di là del 31 dicembre 2026 e che l’attuazione delle riforme nazionali non discende da rigide regole europee ma dal rapporto di causa ed effetto  fra le riforme da una parte e la capacità di un paese di rilanciare la propria economia e di essere resiliente.

Queste riforme, come ci ha ricordato Romano Prodi nel suo editoriale domenicale, riguardano fra i capitoli più importanti i servizi pubblici locali ed il sistema giudiziario, l’eliminazione del lavoro nero, un progetto comprensivo di digitalizzazione e la lotta all’evasione fiscale sapendo che “gli interlocutori europei non sono soddisfatti su come si sta camminando in queste direzioni”.

I paesi europei che hanno presentato alla Commissione europea i loro piani di ripresa e di resilienza (PNRR) pagano del resto le conseguenze della decisione collettiva presa nel luglio 2020 (presidente del Consiglio Giuseppe Conte, n.d.r.,) quando decisero di accantonare la proposta europea di un piano – e non di un fondo – che avrebbe dovuto essere implementato per due terzi attraverso beni pubblici europei con una gestione diretta europea.

Essi lo hanno sostituito con un piano o meglio con un fondo che sarà implementato solo attraverso beni pubblici nazionali con una gestione nazionale indiretta, cosicché i meriti della ripresa e della resilienza saranno attribuiti ad ogni governo nazionale ma il fallimento di un piano sarà pagato dal governo incapace di rispettare tempi e modi delle riforme ma tutto il programma europeo pagherà le conseguenze di un fallimento.

Quel che sta avvenendo in questi mesi in materia di costi dell’energia, di ostacoli per il passaggio all’energia pulita, di lotta al cambiamento climatico dopo lo stallo della COP27, di aiuti per la ricostruzione dell’Ucraina (che ha richiesto l’attivazione di un nuovo debito pubblico europeo), di governo dei flussi migratori, della implementazione di una effettiva autonomia strategica nel settore dell’intelligenza artificiale attraverso accordi di partenariato con i paesi che possiedono le materie prime che mancano all’Europa, di creazione di una unione della salute, di politiche coerenti con l’obiettivo della biodiversità, dello sviluppo di una politica industriale europea a partire dal ruolo centrale delle piccole e medie imprese insieme alla rete degli attori dell’economia sociale: tutto questo rilancia la necessità di un piano per beni pubblici europei.

Essi richiedono un rafforzamento della capacità di governo a livello europeo con un’azione convergente di alcuni paesi come la Francia, la Spagna e l’Italia in cui l’interesse nazionale coincide con quello europeo.

Proprio nel momento in cui era indispensabile una più forte intesa fra questi tre paesi per rispondere alle incertezze e alle pulsioni nazionaliste di Berlino, si sono interrotti il dialogo e l’intesa fra Roma e Parigi ad un anno esatto dalla firma del Trattato del Quirinale.

Il terzo tema è quello della difesa dello stato di diritto e cioè della legalità, della certezza del diritto, della prevenzione dell’abuso del potere, dell’uguaglianza davanti alla legge e della non discriminazione, dell’accesso alla giustizia e dunque della indipendenza della magistratura.

Affermare che le sanzioni contro paesi come l’Ungheria e la Polonia, che violano lo stato diritto, congelando fondi europei che sono finanziati da tutti i cittadini europei sia una “barbarie” - come ha affermato l’eurodeputato di Fratelli d’Italia Nicola Procaccini da giovane militante nel Fronte della Gioventù – significa disconoscere e disprezzare i valori comuni su cui si fonda l’Unione europea.

Il disallineamento del governo Meloni dall’Unione europea non nasce certo dalla dichiarazione di Nicola Procaccini ma dal fatto ben più grave del voto dei parlamentari europei di  Fratelli d’Italia (insieme a quelli del partito Prawo i Sprawiedliwosc e cioè Diritto e Giustizia al governo in Polonia) e della Lega (insieme a quelli del Rassemblement National di Marine Le Pen in Francia) contro la risoluzione del Parlamento europeo che chiede il congelamento di quei fondi.

Il disallineamento è provocato ancora di più dal fatto che il governo italiano si prepara ad impedire questa decisione nel Consiglio dei ministri dell’economia e delle finanze del 6 dicembre a cui parteciperà Giancarlo Giorgetti contribuendo alla formazione di una futura minoranza di blocco con Polonia, Ungheria e Svezia con la complicità della presidenza ceca del Consiglio che si orienta a non mettere ai voti la decisione.

Il disallineamento del governo Meloni dall’Unione europea rappresenta un grave danno per l’Italia e contribuisce al rallentamento del processo decisionale europeo nel momento in cui le vecchie e nuove emergenze esigono maggiore efficacia e determinazione.

Roma, 5 dicembre 2022

coccodrillo

 

 

 

 


ULTIME DA BRUXELLES

La Corte di giustizia esclude che un migrante irregolare, affetto da una malattia grave, possa essere allontanato se nel paese di destinazione non sia disponibile una terapia adeguata che lo protegga da un aumento rapido, significativo e irrimediabile del dolore associato a tale malattia.

Si tratta di un nuovo, importante, pronunciamento in senso garantista della Corte di giustizia (nella sua composizione più alta della Grande sezione) sui procedimenti di allontanamento dei migranti irregolari nei territori dell’Unione.

Il caso ([1]) riguarda un cittadino russo affetto da una rara forma di cancro del sangue in cura in Olanda. La terapia prescelta consiste in flebotomie e nella somministrazione della cannabis per uso terapeutico a fini analgesici; tuttavia la terapia mediante somministrazione di cannabis non è autorizzata in Russia ove dovrebbe essere rimpatriato il cittadino. Dopo il plurimo  rigetto amministrativo  della domanda di asilo la decisione di rimpatrio è stata impugnata avanti il Tribunale dell’Aja avanti il quale il cittadino ha sostenuto che la terapia somministrata in Olanda è a tal punto essenziale che non potrebbe più condurre una vita dignitosa ove venisse interrotta poiché il dolore sarebbe a tal punto forte da impedirgli di dormire e mangiare, con conseguenti destabilizzanti per il suo stato fisico e mentale (con pericoli di depressioni e pulsioni al suicidio). Il giudice del rinvio rileva che i medici olandesi che hanno in cura il cittadino russo ritengono che la terapia con  uso farmaceutico della cannabis sia l’unico trattamento adeguato per il suo dolore e che questa terapia sarebbe impossibile in Russia ove venisse trasferito. Pone quindi alla Corte di giustizia un insieme di questioni  interpretative della direttiva 2008/115/CE (la cosidetta direttiva “rimpatri”) letta però alla luce di numerosi articoli della Carta dei diritti; l’art. 1 (dignità della persona), l’art. 4 (proibizione di trattamenti inumani e degradanti ), l’art. 7 ( protezione della vita privata e familiare) e infine l’art. 19.2 (divieto di allontanamento verso paesi ove sussista il pericolo di trattamenti inumani e degradanti) diritti che trovano riscontro anche nella Convenzione del 1950 e nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo.

Le questioni poste dal Giudice olandese sono le seguenti:

Se un aumento significativo dell’intensità del dolore a causa dell’interruzione di cure mediche in una patologia invariata possa configurare una situazione contraria all’articolo 19, paragrafo 2, della [Carta], in combinato disposto con gli articoli 1 e 4 della Carta, qualora non venga autorizzato un rinvio dell’obbligo di partenza derivante dalla [direttiva 2008/115]; Se la fissazione di un termine prestabilito, entro il quale devono concretizzarsi gli effetti dell’interruzione di cure mediche per dover presumere ostacoli medici ad un obbligo di rimpatrio derivante dalla [direttiva 2008/115], sia compatibile con l’articolo 4 della Carta in combinato disposto con l’articolo 1 della Carta. Qualora la fissazione di un determinato termine non sia contraria al diritto dell’Unione, se sia consentito a uno Stato membro stabilire un termine generale, identico per tutte le possibili patologie mediche e per tutte le possibili conseguenze mediche; Se sia compatibile con l’articolo 19, paragrafo 2, della Carta, in combinato disposto con gli articoli 1 e 4 della Carta, e con la [direttiva 2008/115] stabilire che le conseguenze dell’allontanamento di fatto devono essere valutate esclusivamente alla luce della questione di determinare se, e a quali condizioni, lo straniero possa viaggiare; Se l’articolo 7 della Carta, in combinato disposto con gli articoli 1 e 4 della Carta e alla luce della [direttiva 2008/115], esiga che la condizione clinica dello straniero e le cure mediche che egli ha in precedenza ricevuto nello Stato membro debbano essere prese in considerazione per valutare se la vita privata debba determinare l’autorizzazione del soggiorno. Se l’articolo 19, paragrafo 2, della Carta, in combinato disposto con gli articoli 1 e 4 della Carta e alla luce della [direttiva 2008/115], esiga che, nel valutare se problemi medici possano configurare ostacoli per l’allontanamento, si debba tenere conto della vita privata e della vita familiare, ai sensi dell’articolo 7 della Carta».

La Corte di giustizia ribadisce la sua già consolidata giurisprudenza sul divieto di rimpatrio verso paesi ove sussista un serio rischio che il rimpatriato sia sottoposto a pena di morte, ad atti di tortura o di trattamenti inumani o degradanti:

<< L’articolo 5 della direttiva 2008/115, che costituisce una norma generale che si impone agli Stati membri dal momento in cui essi attuano tale direttiva, obbliga l’autorità nazionale competente a rispettare, in tutte le fasi della procedura di rimpatrio, il principio di non-refoulement, garantito, in quanto diritto fondamentale, dall’articolo 18 della Carta, in combinato disposto con l’articolo 33 della Convenzione relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951, come modificata dal protocollo relativo allo status dei rifugiati, nonché dall’articolo 19, paragrafo 2, della Carta. Ciò vale, in particolare, come ricordato al punto 53 della presente sentenza, quando tale autorità, dopo aver ascoltato l’interessato, intende adottare una decisione di rimpatrio...Di conseguenza, l’articolo 5 della direttiva 2008/115 osta a che un cittadino di un paese terzo sia oggetto di una decisione di rimpatrio allorché tale decisione prenda in considerazione, come paese di destinazione, un paese in cui esistono seri e comprovati motivi per ritenere che, se fosse data esecuzione a siffatta decisione, tale cittadino sarebbe esposto a un rischio reale di trattamenti contrari all’articolo 18 o all’articolo 19, paragrafo 2, della Carta. In forza di tale articolo 19, paragrafo 2, nessuno può essere allontanato verso uno Stato in cui esiste un serio rischio che egli sia sottoposto non solo alla pena di morte, ma anche alla tortura o a trattamenti inumani o degradanti, ai sensi dell’articolo 4 della Carta. Il divieto di pene o di trattamenti inumani o degradanti, dettato all’articolo 4 della Carta, ha carattere assoluto in quanto è strettamente connesso al rispetto della dignità umana, di cui all’articolo 1 della Carta.. Ne consegue che, qualora vi siano seri e comprovati motivi per ritenere che un cittadino di un paese terzo, il cui soggiorno nel territorio di uno Stato membro sia irregolare, possa essere esposto, in caso di rimpatrio in un paese terzo, a un rischio reale di trattamento inumano o degradante ai sensi dell’articolo 4 della Carta, in combinato disposto con l’articolo 1 della stessa e l’articolo 19, paragrafo 2, della Carta, detto cittadino non può essere oggetto di una decisione di rimpatrio in tale paese fintanto che persista tale rischio. Allo stesso modo, detto cittadino non può essere oggetto di una misura di allontanamento nel corso di tale periodo, come prevede peraltro espressamente l’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva 2008/115 >>.

Va ricordato che l’art. 4 del Testo di Nizza è una norma che non può essere bilanciata con nessun’altra e che il diritto a non subire trattamenti inumani e degradanti  è un diritto assoluto e non comprimibile (l’unico, in sostanza, ad avere queste caratteristiche tra i tanti fundamental rights  riconosciuti nella Carta) come ribadisce la Corte. Ma come abbiamo premesso il cittadino russo non paventa  rischi di torture o trattamenti carcerari inumani ma la mancanza di terapie adeguate. Sotto questo profilo la sentenza è particolarmente interessante. La Corte di giustizia infatti ricorda secondo l’articolo 52, paragrafo 3, della Carta i diritti garantiti dall’articolo 4 della stessa corrispondono a quelli garantiti dall’articolo 3 della Convenzione europea, il significato e la portata di tali diritti sono uguali a quelli loro conferiti da detto articolo 3 della Convenzione. Questo consente di interpretare la Direttiva, che è atto legislativo dell’ Unione, alla luce della giurisprudenza di Strasburgo che ha già affrontato il tema se la mancanza di terapie adeguate possa portare ad una situazione assimilabile a quella di chi subisce, ad esempio, una detenzione inumana o pratiche di tortura.

La Corte quindi osserva che:

<<dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo relativa all’articolo 3 della CEDU risulta che il dolore dovuto ad una malattia sopraggiunta per cause naturali, sia essa fisica o mentale, può ricadere nella portata di tale articolo 3 se esso è o rischia di essere esacerbato da un trattamento, sia esso risultante da condizioni di detenzione, da un’espulsione o da altri provvedimenti, per il quale le autorità possono essere ritenute responsabili, purché le sofferenze che ne conseguono raggiungano il livello minimo di gravità richiesto da tale articolo 3… Occorre, infatti ricordare che, per poter rientrare nell’ambito di applicazione dell’articolo 3 della CEDU, un trattamento deve raggiungere un livello minimo di gravità; la valutazione di tale minimo è relativa e dipende dal complesso dei dati della causa.. A tal riguardo, dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo deriva che l’articolo 3 della CEDU osta all’allontanamento di una persona gravemente malata per la quale sussiste un rischio di decesso imminente o per la quale sussistono seri motivi per ritenere che, sebbene non corra nessun rischio imminente di morire, si trovi di fronte, in ragione dell’assenza di trattamenti adeguati nel paese di destinazione, o in mancanza di accesso ad essi, a un rischio reale di essere esposta a un declino grave, rapido e irreversibile delle sue condizioni di salute, che possa comportare intense sofferenze o una significativa riduzione della sua speranza di vita. Risulta inoltre dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo … uno standard che tiene debitamente conto di tutte le considerazioni pertinenti ai fini dell’articolo 3 della CEDU in quanto preserva il diritto generale per gli Stati di controllare l’ingresso, il soggiorno e l’allontanamento dei non cittadini, riconoscendo nel contempo la natura assoluta di tale articolo.   Dalla giurisprudenza della Corte risulta in modo costante che la soglia di gravità richiesta in materia, ai fini dell’applicazione dell’articolo 4 della Carta,equivale alla soglia di gravità richiesta, nelle stesse circostanze, in forza dell’articolo 3 della CEDU>>  (punti 60-65).

La  conclusione è quindi netta:

<< l’articolo 5 della direttiva 2008/115, in combinato disposto con gli articoli 1 e 4 nonché con l’articolo 19, paragrafo 2, della Carta, osta a che uno Stato membro adotti una decisione di rimpatrio o proceda all’allontanamento di un cittadino di un paese terzo, il cui soggiorno nel territorio di tale Stato membro è irregolare e che è affetto da una malattia grave, allorché sussistono seri e comprovati motivi per ritenere che il suo rimpatrio possa esporlo, a causa dell’indisponibilità di cure adeguate nel paese di destinazione, a un rischio reale di riduzione significativa dell’aspettativa di vita o di deterioramento rapido, significativo e irrimediabile delle sue condizioni di salute, comportante intensi dolori >>.

Inoltre la Corte precisa che

<<Per quanto riguarda poi il requisito secondo il quale il rimpatrio del cittadino di un paese terzo interessato rischi di causare un rapido aumento del suo dolore, occorre sottolineare che una condizione siffatta non può essere interpretata in modo talmente restrittivo che essa osti al rimpatrio di un cittadino di un paese terzo gravemente malato unicamente nei casi estremi in cui quest’ultimo possa subire un aumento significativo e irrimediabile del suo dolore sin dal suo arrivo nel territorio del paese di destinazione o appena dopo tale arrivo. Occorre, al contrario, tener conto del fatto che l’aumento del dolore della persona interessata, causato dal suo rimpatrio in un paese nel quale non sono disponibili terapie adeguate, può essere progressivo e che può essere necessario un certo lasso di tempo affinché tale aumento divenga significativo e irrimediabile. Inoltre, la necessità di prendere in considerazione tutti i fattori pertinenti, ai fini della valutazione della soglia di gravità richiesta al riguardo dall’articolo 4 della Carta, nonché il grado di supposizione insito in un esame in prospettiva di questo tipo, ostano a che, per essere considerato rapido, l’aumento del dolore di un cittadino di un paese terzo, in caso di rimpatrio, deve essere idoneo a prodursi entro un termine predeterminato in modo assoluto nel diritto dello Stato membro interessato>>.

La sentenza qui in esame esclude, quindi, che il periodo pertinente per valutare se esista il rischio prima descritto sia limitabile ai tre mesi e afferma che il rischio da tenere in considerazione non riguarda il solo  percorso di viaggio nel paese di rientro ma anche il periodo successivo di permanenza nel paese di destinazione durante il quale deve essere garantita una adeguata terapia che eviti quelle conseguenze di aggravamento del dolore che abbiamo ricordato (questioni piuttosto delicate e dense di rilievo applicativo).

Più cauta appare invece la Corte in ordine all’interpretazione della Direttiva del 2008 alla luce dell’art. 7 (protezione della vita privata e familiare) in particolare sul punto se la malattia dei cittadino di paesi terzi irregolare che non può, per quanto si è detto, essere oggetto di un rimpatrio nel paese di origine determini il diritto di questi ad avere un diritto di soggiorno nel paese ospitante posto che la direttiva non lo prevede ma si limita ad autorizzare lo stato a concederlo per motivi umanitari, ma fuori dal diritto dell’Unione e sulla base del loro diritto nazionale. L’art. 7 ed il rispetto della vita privata e familiare gioca tuttavia un ruolo determinante nell’orientare la decisione di rimpatrio La Corte ricorda che:

<<le cure mediche di cui un cittadino di un paese terzo fruisce nel territorio di uno Stato membro, anche se il suo soggiorno è irregolare, fanno parte della vita privata di quest’ultimo, ai sensi dell’articolo 7 della Carta. Ed anche che  l’integrità fisica e mentale di una persona partecipa alla sua realizzazione personale e, pertanto, al godimento effettivo del suo diritto al rispetto della vita privata, che comprende anche, in una certa misura, il diritto del singolo di instaurare e sviluppare rapporti con i propri simili. Pertanto.., l’autorità nazionale competente può adottare una decisione di rimpatrio o procedere all’allontanamento di un cittadino di un paese terzo solo dopo aver preso in considerazione le condizioni di salute di quest’ultimo>> (punti 92-95).

Ma di per sé le condizioni di salute ostano al rimpatrio solo ove ricorra quella particolare gravità di cui si è detto perché il diritto al rispetto della vita privata è bilanciabile con altri diritti o interessi di rilievo pubblico secondo  i criteri di proporzionalità, necessità e di strumentalità al perseguimento di finalità di interesse generale fissati all’art. 52 della stessa  Carta.

Si nota nella sentenza una certa sofferenza nel tenere contemporaneamente fermi sia il principio per cui lo stato di malattia non impedisce automaticamente il rimpatrio e tanto meno attribuisce un diritto di soggiorno nel paese ospitante con una certa apertura all’obbligo del  rispetto della vita privata (attento, quindi, sia alle condizioni di salute che ai legami intessuti nello stato ospitante) da parte della autorità competenti a decidere il rimpatrio, che lascia un certo spazio al giudice nazionale nell’assicurare una tutela  anche  in situazioni meno estreme di quelle esaminate in questa sentenza. Forse una maggiore attenzione proprio all’art. 1 della Carta (che ha una dimensione più ampia di quella del mero contrasto di atti inumani e degradanti), menzionato in sentenza ma poco sviluppato  e, da parte del giudice del rinvio, dell’art. 35 sulla protezione della salute avrebbe potuto portare sull’ultimo punto a conclusioni più stringenti sulla sorte di soggetti rimpatriati in altri paesi benché malati. Tuttavia come già osservato v’è un campo aperto e lasciato al giudice nazionale per valutare le condizioni di salute come ragione ostativa per i rimpatri alla luce del diritto dell’Unione e del suo Bill of rights. Sotto questo aspetto la sentenza mostra bene come la Carta dei diritti sia un “insieme” di protezioni che si richiamano circolarmente e che possono essere anche integrate con la giurisprudenza della Corte di Strasburgo. Un sistema ancora da sviluppare pienamente  in tutti i suoi risvolti, molti dei quali dipendono, alla fine, dall’orientamento e dalla valutazioni di merito  del motore di questo “ sistema”, che è il giudice nazionale (come organo di base del sistema multilivello) che dovrà decidere sulla legittimità dei rimpatri e sull’esatto significato delle indicazioni della Corte di giustizia (soprattutto in ordine alla gravità delle malattie sofferte dai migranti) che ha offerto, ancora una volta ci pare, sentieri importanti e non scontati di protezione.

Giuseppe Bronzini

 

[1] Sentenza del 22.11.2022, C-69/2021, Staatsegretaris van Justitie en Veiligheid

 

 

 LA SETTIMANA DEL MOVIMENTO EUROPEO
 

5 dicembre

  • Roma, presentazione della mostra fotografica e dei risultati del progetto del Movimento europeo “NICE - Nobody Ignores The Charter of Europe”
  • Presentazione online del libro di Michele Mezza "Net-war. Ucraina: come il giornalismo sta cambiando la guerra"

 

6 dicembre

  • Seminario “Il Disarmo Nucleare e il Trattato “NEW START” tra Federazione Russa e USA - La costruzione di una Via della Pace” (Comitato per una Civiltà dell'Amore)
  • Roma, XII riunione della Piattaforma italiana per la Conferenza sul futuro dell’Europa (Movimento europeo Italia)

 

9 dicembre

  • Bruxelles, “Convention Versus Constituent Method”

 

 

 


IN EVIDENZA
 

VI SEGNALIAMO

  • Lunedì 5 dicembre, Roma, ore 14:00-16:00. NICE - Nobody Ignores The Charter of Europe. Presentazione della mostra fotografica e dei risultati del progetto. Il Movimento Europeo in Italia promuove una mostra fotografica temporanea dal titolo "NICE - Nobody ignores the charter of Europe" sul tema della percezione dei diritti derivanti dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione europea. La mostra è stata realizzata nell'ambito dell'omonimo progetto finanziato dal programma Europe for Citizens dell'Unione europea, in collaborazione con due partner dei paesi Baltici, l'ONG lituana Unique projects e l'ONG lettone Social Innovation Center. PROGRAMMA. La mostra fotografica sarà ospitata presso il Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale dell’Università La Sapienza (Via Salaria, 113) fino al 13 dicembre.
  • Lunedì 5 dicembre, ore 17:30-19:30. L'Associazione Italiana della Comunicazione Pubblica e Istituzionale ("Compubblica") e l'associazione Infocivica - Gruppo di Amalfi promuovono la presentazione online del libro di Michele Mezza "Net-war. Ucraina: come il giornalismo sta cambiando la guerra" (Donzelli, 2022; https://www.donzelli.it/libro/9788855224116, postscritto di Pierguido Iezzi). PROGRAMMA. L'evento si terrà sulla piattaforma Zoom di Compubblica. Per partecipare e ricevere le credenziali inviare una richiesta a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..
  • Martedì 6 dicembre, Assisi, ore 15:00-18:00. Seminario “Il Disarmo Nucleare e il Trattato “NEW START” tra Federazione Russa e USA - La costruzione di una Via della Pace” promosso dal Comitato per una Civiltà dell'Amore e la Diocesi di Assisi – Nocera Umbra – Gualdo Tadino. Sarà possibile seguire l’evento in streaming sul sito www.diocesiassisi.it
  • Martedì 6 dicembre, Roma, ore 16:00-18:30. XII riunione della Piattaforma italiana per la Conferenza sul futuro dell’Europa, creata dal Movimento europeo nel settembre del 2019, dopo la proposta del Presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron nella sua lettera ai cittadini europei del 4 marzo 2019 e sostenuta dalla Presidente Ursula von der Leyen. L’incontro si terrà in presenza a Roma presso il nuovo spazio espositivo Esperienza Europa - David Sassoli in Piazza Venezia, 11. Registrazione obbligatoria tramite l’indirizzo: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
  • Lunedì 13 dicembre, Roma, dalle ore 17:00. La Fondazione Lelio e Lisli Basso e il Movimento europeo Italia organizzano la presentazione del volume "Dialoghi sull’Europa. Vol. I" a cura di Maria Cristina Marchetti e Alessandro Guerra (DeriveApprodi, 2022). L'incontro si svolgerà presso la Sala conferenze della Fondazione Basso in modalità mista, presenza/distanza. La presentazione del volume sarà trasmessa in streaming sul canale YouTube della Fondazione Basso. PROGRAMMA

 

ARTICOLI E TESTI DELLA SETTIMANA

 

 


ATTIRIAMO LA VOSTRA ATTENZIONE

Concorso Nazionale

“1941 Il Manifesto di Ventotene per un’Europa libera e unita – 2023.
La cittadinanza europea nel cammino verso la costruzione della pacifica convivenza tra popoli”

 

Il Ministero dell’Istruzione ha indetto la terza edizione del concorso nazionale in oggetto, rivolto alle scuole secondarie di primo e secondo grado, statali e paritarie. Il termine di trasmissione degli elaborati e della scheda di partecipazione (Allegato A) firmata digitalmente dal Dirigente scolastico a pena esclusione dal Concorso, è fissato per il 30 aprile 2023. L’invio dovrà avvenire esclusivamente attraverso il foglio di lavoro utilizzando il seguente link: https://forms.gle/tYSncbSbFQu64zFE7.

Bando e Regolamento a.s. 2022-2023

 

 


L'ABC DELL'EUROPA DI VENTOTENE
PICCOLO DIZIONARIO ILLUSTRATO

Zero emissioni di carbonio  - L'ABC dell'Europa di Ventotene

Continua la pubblicazione a puntate del dizionario illustrato "L'ABC dell'Europa di Ventotene" a cura di Nicola Vallinoto e illustrazioni di Giulia Del Vecchio (Ultima Spiaggia, Genova-Ventotene 2022, seconda edizione, licenza Creative Commons).

Zero emissioni di carbonio, di Monica Frassoni

I cambiamenti climatici

Sapete cosa sono i cambiamenti climatici? Sono la sfida più importante per tutta l’umanità. Se non li affrontiamo rapidamente, proprio i giovani e giovanissimi di oggi ne saranno le vittime. Per spiegarci meglio, facciamo subito una distinzione importante: il tempo che osserviamo ogni giorno e i cambiamenti climatici non sono la stessa cosa.
Il tempo (meteo) descrive le condizioni esterne in un momento e in un luogo specifico. Per esempio, pioggia, neve, vento e il gran sole che vedi ogni giorno sono eventi meteorologici. Il clima descrive invece le condizioni meteorologiche che ci si aspetta.

Continua su:  https://www.peacelink.it/europace/a/49129.html

 

 


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