Il nostro sito web utilizza i cookies per offrirti una migliore esperienza di navigazione. Continuando ci dai il permesso di installare cookie sul tuo dispositivo, come descritto nella nostra Cookie Policyx
Della ratifica dell’accordo sul Brexit: fra le criticità l’applicazione del protocollo con l’Irlanda del Nord, le misure contro il dumping sociale, ambientale e fiscale, la protezione dei dato personali, l’asilo e l’immigrazione, il ruolo del PE, i servizi finanziari, i diritti dei cittadini
Dello scarico del bilancio 2019. La commissione per il controllo del bilancio ha rifiutato lo scarico delle spese per l’agenzia Frontex accusata di violazione dei diritti fondamentali dei richiedenti asilo
Alla scadenza del 30 aprile solo tredici paesi europei hanno inviato a Bruxelles i loro piani per il rilancio e la resilienza (PNRR). Fra i paesi ritardatari i Paesi Bassi il cui governo gestisce gli affari correnti dopo le elezioni dello scorso mese di marzo e poi Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Croazia, Romania, Bulgaria, Estonia, Lituania, Finlandia (il cui governo rischia di entrare in crisi proprio a causa del Next Generation EU), Svezia, Irlanda, Malta e Cipro.
Come sanno le nostre lettrici e i nostri lettori il Next Generation EU potrà partire solo quando tutti i parlamenti nazionali dei 27 avranno ratificato l’aumento del massimale delle risorse proprie (ne mancano ancora dieci fra cui molti di coloro che non hanno ancora inviato a Bruxelles il loro PNRR).
Successivamente alla presentazione dei piani la Commissione avrà due mesi di tempo per esaminarli e la decisione finale spetterà al Consiglio.
A Bruxelles si temono ritardi che possono far slittare l’avvio del Next Generation EU alla fine del 2021 e cioè un anno dopo il suo difficile parto al Consiglio europeo nel dicembre 2020.
Il Parlamento europeo ha chiarito la sua posizione sul certificato COVID-19 UE, ha approvato l'accordo commerciale e di cooperazione UE-Regno Unito e i principali programmi di investimento.
I tempi per attuare le strategie industriali rischiano di vanificarne gli obiettivi
Tutti siamo consapevoli dell’enorme perdita in termini di vite umane che il COVID-19 ha causato nel mondo e che le misure adottate in attesa dei vaccini, sebbene necessarie per contrastare questa pandemia limitandone la diffusione, hanno a loro volta causato notevoli effetti perversi sia a livello sociale che economico.
Il sostegno finanziario deciso dall’Unione europea a favore degli Stati membri è stato senza precedenti, anche se il processo di ratifica dell’aumento del massimale delle risorse proprie non si è ancora completato in tutti i paesi e questo comporterà forse un ritardo nell’erogazione degli stessi rispetto ai tempi previsti.
Già prima della pandemia, la situazione economica dell’Unione presentava delle criticità e la Commissione proprio per superare questi ostacoli alla crescita aveva presentato il 10 marzo dello scorso anno, poco prima della serie di lockdown - ‘una nuova strategia industriale’ che faceva parte di un pacchetto di proposte a sostegno di un rilancio dell’economia ed in particolare dell’industria europea. Era infatti necessario recuperare lo scostamento con i principali partner mondiali (in particolare USA e CINA) in settori strategici.
Il pacchetto prevede una comunicazione sulle barriere che ancora ostacolano il completamento del mercato interno, un piano di azione per il completamento dello stesso, una nuova strategia industriale ed una strategia per le PMI che, come noto, rappresentano la parte principale dell’industria europea e che sono spesso oberate da oneri amministrativi complessi e costosi che ne limitano l’azione e lo sviluppo, e che la strategia appunto vuole ridurre.
Obiettivo di questo pacchetto è dunque migliorare l’integrazione ed il funzionamento del mercato interno, essere uniti forti e coesi, favorendo in questo modo crescita occupazione e nuove opportunità per i cittadini europei.
L’industria - grande e piccola - è considerata l’attore principale, in un processo di transizione verde e digitale, preannunciato nello EuropeanGreen Deal, la legge vincolante per tutti i paesi europei in risposta ai cambiamenti climatici, che aveva sancito la neutralità delle emissioni inquinanti entro il 2050 e quindi la necessaria adozione di nuovi modelli organizzativi e di produzione per le imprese.
La nuova strategia industriale si basa in sintesi su alcuni fattori fondamentali quali un mercato unico più integrato e digitale, condizioni di parità per l’industria a livello mondiale (attraverso una posizione europea coesa a livello multilaterale), un forte sostegno allo sviluppo sostenibile dell’industria europea, anche attraverso nuovi modelli di produzione e di consumo che possano favorire condivisione, prestito, riparazione, riutilizzo di materiali e prodotti, in modo tale da allungare il loro ciclo di vita, contribuendo a ridurre quanto più possibile i rifiuti e l’utilizzo nuove materie prime (la c.d. economia circolare).
Questo comporta processi innovativi, ma anche di formazione e riqualificazione del personale, accesso ai finanziamenti necessari, soprattutto per le PMI.
La nuova strategia prevede inoltre il ricorso a nuove ‘alleanze’ tra imprese – già rivelatesi positive in alcuni ambiti quali quello del riciclaggio delle batterie e della plastica - anche in altri settori quali quello delle industrie a basse emissioni di carbonio, i-cloud, piattaforme digitali…
La strategia industriale, infine, propone su un nuovo modello di governance, a cui partecipano tutti gli attori della politica economica, vale a dire grandi e piccole imprese, prestatori di servizi, autorità pubbliche, università e centri di ricerca, per avere decisioni condivise, rapide, facilmente attuabili e per fare sistema.
Dopo i lunghi mesi di lotta al Covid-19 e i numerosi cambiamenti intervenuti anche a livello globale, ed infine dopo il Next generation EU, la strategia industriale seppur innovativa rischia di non essere più pienamente adeguata alla situazione reale dell’Unione e alle nuove necessità emerse anche a livello internazionale.
La pandemia è stata un’emergenza non prevista che non si può affrontare solo attraverso erogazione di finanziamenti aggiuntivi ma anche attraverso una strategia industriale, che comporti atti normativi, vincolanti per gli Stati per realizzare un mercato interno coeso e funzionante.
Quello finanziario e quello c.d. regolamentare sono infatti due aspetti essenziali per la ripresa economica.
Per questa ragione il Parlamento europeo ha chiesto alla Commissione una rielaborazione della strategia presentata lo scorso anno, tenendo presente due fasi distinte:
Una fase c.d. di ‘ripresa’ pronta ed immediata, attraverso una trasformazione verde e digitale, un’autonomia strategica dell’Unione (non dipendenza dall’estero in settori strategici, essenziali ai processi economici ed industriali)
La fase della ‘ricostruzione’ e della ‘resilienza’ dell’Unione, da realizzare attraverso il corretto funzionamento del mercato interno, una ricapitalizzazione di quelle imprese produttive che nel corso dell’anno hanno sofferto, il salvataggio dei posti di lavoro anche attraverso una riqualificazione professionale dei lavoratori perché nessuno deve essere lasciato indietro.
La revisione sarà proposta dalla Commissione entro il primo semestre 2021. Solo successivamente, inizieranno i passaggi necessari alla sua attuazione.
Si tratta di presentazione di atti normativi che comportano decisioni da prendere (normalmente a maggioranza), sottoposte al vaglio dei 27 paesi, che quindi potranno essere influenzate da interessi nazionali o anche settoriali.
Tutto ciò richiederà negoziazioni spesso non brevi nei diversi passaggi decisionali (gruppi-Coreper-Consiglio). Infatti, anche se nella presentazione delle proposte normative, la Commissione tiene sempre conto dei risultati delle consultazioni pubbliche (attraverso le quali i cittadini europei, i gruppi di interesse possono inviare la loro posizione, e delle indicazioni dei Parlamenti nazionali, i quali in otto settimane possono esprimere un loro parere) le decisioni dei passaggi successivi richiedono tempi non brevi e possono incontrare opposizioni da parte di Stati membri e/o minoranze di blocco.
A questi tempi di negoziazione, i cui risultati potrebbero essere inoltre variabili per quanto riguarda il testo finale approvato, si aggiungono poi i tempi di pubblicazione dell’atto normativo e della sua trasposizione nei vari ordinamenti nazionali e non da ultimo quelli per la sua corretta applicazione attraverso atti amministrativi.
Infine, la non corretta applicazione della norma può dare corso ad una procedura di infrazione, con ulteriori tempi non facilmente stimabili.
Quello sommariamente descritto è in realtà un processo complesso e lungo, la cui durata ‘stride’ di fronte ad una situazione di emergenza economica e sociale da affrontare con urgenza con decisioni rapide ed attuazione immediata delle stesse soprattutto in settori di interesse comune.
Le necessità, infatti, a cui bisogna rispondere possono non essere più le stesse nel giro di breve tempo se non sono prontamente affrontate e le misure decise inadeguate.
Queste, dunque sono le tempistiche europee, mentre i maggiori attori internazionali con i quali l’Europa si rapporta, decidono ed attuano subito le loro scelte, perché il procedimento normativo non è il frutto delle decisioni di 27 Stati sovrani ma spesso di uno solo o di una federazione di Stati.
Di fronte a questi tempi e a queste modalità operative, che l’Unione europea utilizza per attuare il proprio modello economico-sociale, si rischia di rimanere indietro, di non stare al passo con i nuovi ritmi globali, con le nuove esigenze e quindi si può facilmente causare un malcontento generale ed aumentare quella sfiducia che serpeggia tra i cittadini (in particolare dalla crisi 2008).
È tempo quindi di avviare una riflessione urgente su questa governance, la quale poggia sui Trattati in vigore, che dovrebbero essere rivisti. La prossima Conferenza sul futuro dell’Europa potrebbe essere l’occasione giusta per riaprire il cantiere dell’Unione.
Il 9 maggio riapre il cantiere dell’Europa: la piazza di Polibio o le strade di Porto Alegre
Il 9 maggio riapre a Strasburgo il cantiere dell’Europa. Ventisei mesi dopo la lettera di Emmanuel Macron alle cittadine e ai cittadini europei e con i lunghi mesi della pandemia in mezzo, parte finalmente la Conferenza sul futuro dell’Europa che dovrebbe aprire la strada ad un’Unione “che protegge” e non solo dal virus.
Come tutti i cantieri, anche quello che si apre a Strasburgo sarà inizialmente “vietato ai non addetti ai lavori” e nell’emiciclo del Parlamento europeo ci saranno soprattutto i rappresentanti delle istituzioni, nazionali ed europee.
L’idea originale di creare uno spazio pubblico di confronto vero fra la democrazia partecipativa e quella rappresentativa si è parzialmente persa nei meandri degli interminabili -e incomprensibili ai più – negoziati fra il Consiglio e il Parlamento europeo o meglio fra il COREPER (e cioè gli ambasciatori che rappresentano i governi a Bruxelles) e i capi gruppi del Parlamento europeo (che dovrebbero parlare a nome di ancora embrionali partiti europei).
Si sono innanzitutto dimenticate la democrazia paritaria perché l’equilibrio di genere è stato ignorato e la democrazia di prossimità perché, al di là di uno strapuntino di osservatore offerto al Presidente del Comitato delle Regioni, i poteri locali e regionali sono stati per ora lasciati fuori dal cantiere.
La cosa non ci sorprende – ma ci continua ad indignare – perché la parola “città” non compare in nessun articolo dell’eccessivamente corposo trattato di Lisbona.
Di una vera democrazia partecipativa per ora non si può parlare perché – studiando il complicato funzionamento della piattaforma online, dei panel tematici (sei) e delle plenarie (quattro) si è percepisce l’idea delle istituzioni e soprattutto del COREPER di usare la Conferenza come una gigantesca “citizens consultation” ispirata all’immagine di Polibio di una democrazia elitaria in cui l’élite sta dentro i palazzi e decide interpretando gli applausi o i fischi del popolo in piazza.
Nell’idea del COREPER anche la democrazia rappresentativa è embrionale perché all’unanimità gli ambasciatori hanno deciso che, poiché i rappresentanti dei governi devono essere cinquanta quattro, anche i rappresentanti dei parlamenti nazionali e del parlamento europeo devono essere 54+54 con buona pace della partecipazione attiva di tutte le culture politiche europee e nazionali grandi e piccole.
La gigantesca citizens consultation si conferma poi nell’idea grottesca che le cittadine e i cittadini -scelti a sorte da società private – narrano liberamente la loro visione o il loro sogno del futuro dell’Europa ma le decisioni finali vengono prese all’unanimità dall’élite di memoria polibiana dell’Executive board per essere poi consegnate alle istituzioni di cui i rappresentanti stanno già nell’Executive board.
Non è ancora detto che prevalgano le decisioni del COREPER perché il Parlamento europeo ha mostrato una certa determinazione a difendere un modello multiplo di democrazia rappresentativa anche se la sua determinazione è più sfumata quando si ratta di immaginare come può o potrebbe funzionare la democrazia partecipativa.
Noi speriamo ancora che la determinazione del Parlamento europeo non ceda alle lusinghe della scelta tradizionale di un minimo comun denominatore interistituzionale e che il Presidente del Parlamento europeo difenda – nella cittadella della democrazia europea a Strasburgo – l’idea di uno spazio pubblico europeo per disegnare il futuro dell’Europa che sia più vicina all’immagine delle strade di Porto Alegre quando nacque il primo Forum mondiale della società civile e fu inventato il “bilancio partecipativo” piuttosto che i palazzi di Polibio.
La nostra newsletter settimanale Noi e il futuro dell'Europa, nell’edizione nata all’inizio del 2020 dopo la prima edizione bi-settimanale nel 2018-2019, è stata immaginata per contribuire al dibattito sul futuro dell’Europa con un cantiere che avrebbe dovuto aprirsi il 9 maggio 2020 nella Conferenza immaginata da Emmanuel Macron il 4 marzo 2019.
Come sapete, la Conferenza sarà avviata con un anno di ritardo non solo per la pandemia ma per i contrasti fra i governi e il Parlamento europeo che hanno trovato un punto di incontro nella joint declaration del 10 marzo.
Il nostro impegno viene rafforzato secondo uno schema suddiviso in
- Editoriale che esprime l’opinione del Movimento europeo su un tema di attualità, - Ultime da Bruxelles - Attualità - Rubrica “Pillole d’Europa” - Eventi principali, che speriamo siano di vostro interesse insieme a quelli che vorrete aggiungere e diffondere nostro tramite, - Agenda istituzionale a cura del Movimento Europeo Internazionale - La Conferenza sul futuro dell'Europa - Next Generation EU - Europa dei diritti - Campagna di informazione sull'Europa - Europa in onda
Siamo come sempre a vostra disposizione per migliorare il nostro servizio di comunicazione e di informazione sulla base dei vostri suggerimenti e delle vostre critiche nella speranza di poter contare, se lo vorrete, anche su un vostro contributo finanziario.