Il nostro sito web utilizza i cookies per offrirti una migliore esperienza di navigazione. Continuando ci dai il permesso di installare cookie sul tuo dispositivo, come descritto nella nostra Cookie Policyx
Questa settimana si sono tenute le elezioni in due Paesi molto diversi geograficamente e culturalmente, ma entrambi legati alla storia comune europea: la Bulgaria che è entrata nell’UE nel 2007 e la Groenlandia territorio danese autonomo che ha abbandonato la CEE nel 1985.
Con il record di persone ricoverate negli ospedali del Paese e oltre sessantamila persone in quarantena su una popolazione totale di circa sette milioni, la Bulgaria va al voto in un clima di tensione e sfiducia nei confronti del precedente governo conservatore guidato da Boiko Borisov, al governo dal 2009 e leader del Partito Cittadini per lo sviluppo europeo della Bulgaria.
Nonostante l'ampia partecipazione popolare alle manifestazioni antigovernative svolte nel corso del 2020 e nonostante la predisposizione di sistemi di voto mobili ad hoc per i cittadini bulgari ricoverati ed in quarantena, la partecipazione alle urne non ha comunque superato il 45% degli aventi diritto al voto ed i risultati sembrano aver consegnato al Paese balcanico un quadro parlamentare caotico.
Le manifestazioni antigovernative, che accusavano il precedente esecutivo di corruzione, sembrano aver fatto presa sull'opinione pubblica: il partito conservatore di Borisov resta il primo partito ma perde oltre otto punti percentuali rispetto alle precedenti elezioni, mentre i partiti di opposizione avanzano, seppur in modo assolutamente frammentato.
Come seconda, terza e quarta forza parlamentare del Paese si impongono tre compagini molto diverse fra loro: vera novità di queste elezioni è il partito populista, anti-sistemico, del famoso showmanSlavi Trifonov, che ha sfiorato il 17% dei consensi, seguito dal grande antagonista di Borisov, il partito socialista bulgaro, prima forza di opposizione nella precedente legislatura ed, infine, il partito di destra democratica promotore delle proteste contro lo stesso Borisov.
Anche la Bulgaria, dunque, seppur con un ritardo di qualche anno rispetto agli altri Paesi dell'Unione, sembra esser stata colpita in parte dall'ondata populista di un partito, "C'è un popolo come questo" di Trifonov, che parla all'elettorato al di fuori dei canali istituzionali, ricercando un rapporto diretto attraverso i social media, parlando alla pancia del Paese. Ma quello di Trifonov non è l'unico movimento populista che sembra avanzare nella società civile bulgara, anche il partito "Alzati! Fuori la mafia!" sostenuto dal movimento di protesta "Trio velenoso", promotore di numerose manifestazioni anticorruzione e antisistema.
Vista l'eterogeneità delle quattro principali forze politiche risultanti da queste elezioni, sembra lontana l'ipotesi di una formazione di un governo di coalizione guidata dal precedente premier Borisov, prospettandosi una situazione di duratura instabilità politica che, secondo molti analisti, potrebbe risolversi solo con un’ulteriore tornata elettorale entro l'anno. Non è chiaro, dunque, se la posizione filoeuropea del Paese balcanico possa di fatto risultare compromessa.
Molto più netto invece il risultato delle elezioni anticipate tenutesi in Groenlandia, la più grande isola del mondo, autonoma dalla Danimarca dal 1979. Il Paese artico di soli cinquantaseimila abitanti ha effettuato una scelta elettorale nettamente verde, portando alla vittoria il Partito Ambientalista Groenlandese. Leitmotiv delle elezioni anticipate è stata la vicenda del Monte Kuannersuit, uno dei più grandi giacimenti di uranio al mondo, per il quale il precedente governo avrebbe concesso un’autorizzazione preliminare allo sfruttamento alla società australiana Greenland Minerals, partecipata dal colosso minerario cinese Shenghe Resources Holding, ed al cui sfruttamento si opponeva fortemente il partito Ambientalista vincitore delle elezioni. La scelta verde dei groenlandesi rappresenta una vittoria per l'intera comunità internazionale in quanto mirata alla tutela di un bene comune, l’Artico, fortunatamente poco sfruttato dall'uomo ma inesorabilmente vittima delle attività antropiche che avvengono a migliaia di chilometri da esso a causa del riscaldamento globale. Le elezioni in Groenlandia ci mostrano come la democrazia continui ad essere l'unico, fondamentale strumento di controllo del bene comune in ogni società civile umana.
L’Unione europea è zoppa Dobbiamo rafforzarle la gamba europea
Molto è stato già detto e scritto di quel che è avvenuto ad Ankara il 6 aprile quando la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e il Presidente del Consiglio europeo Charles Michel hanno incontrato il capo dello Stato turco Recep Tayyip Erdogan per riaprire il dialogo fra l’Unione europea e la Repubblica di Turchia sulla “agenda positiva” auspicata dal Consiglio europeo del 25 marzo.
La questione provocata dal sofagate e le relazioni con la Turchia – anche dopo la conferenza stampa del premier Mario Draghi che ha definito Erdogan “un dittatore con cui è necessario cooperare” – occuperanno a lungo l’agenda europea con effetti temporaneamente positivi nelle relazioni fra il Consiglio europeo e la Commissione europea perché Charles Michel è stato costretto a condividere, davanti alla Conferenza dei Presidenti dei Gruppi politici nel Parlamento europeo, l’interpretazione autentica del Trattato di Lisbona esposta da Ursula von der Leyen secondo cui le due istituzioni sono, nelle relazioni esterne, su un piano di perfetta uguaglianza sulla base degli articoli 15 e 17 TUE.
I temi dell’incontro di Ankara – precisati del resto dallo stesso Charles Michel nella sua intervista del 10 aprile a vari quotidiani europei (la modernizzazione dell’Unione doganale in vigore dal 1995, la cooperazione economica nel quadro dell’accordo di associazione del 1963, il rinnovo degli accordi sui migranti siriani del 2016 in cambio di ulteriori aiuti finanziari dell’UE alla Turchia, la politica dei visti per l’ingresso dei cittadini turchi nell’Unione europea) – erano del resto tutti relativi alle relazioni bilaterali fra l’Unione europea e la Repubblica turca con l’obiettivo di superare le tensioni nel Mediterraneo provocate dall’invio di navi turche al largo di Cipro e della Grecia e nelle loro acque territoriali.
Questi temi devono essere affrontati dall’Unione europea avendo come priorità la necessità e l’urgenza del rispetto dei diritti fondamentali e dello stato di diritto a cominciare dalla immediata liberazione dei prigionieri politici, sindacali, del mondo dell’informazione, della giustizia e dell’università, dalla separazione dei poteri fra governo e magistratura e dal ritorno della Turchia nella Convenzione di Istanbul sulla violenza contro le donne.
Questi temi non comprendevano dunque le questioni relative alla politica estera e della sicurezza dell’Unione europea e per questa ragione non era stata prevista ad Ankara la presenza di Josep Borrell Fontelles, Alto Rappresentanza dell’Unione europea per gli affari esteri e la sicurezza.
In questo quadro la partecipazione di Charles Michel all’incontro di Ankara era non solo irrilevante ma contraria allo spirito e alla lettera dei trattati che hanno stabilito una bizantina e inefficace natura tricefala dell’Unione europea in materia di politica estera e di azioni esterne attribuendo diverse responsabilità al Consiglio europeo e al suo Presidente e alla Commissione europea e al suo presidente e infine all’Alto Rappresentante per gli affari esteri e della sicurezza sotto il parziale controllo del Parlamento europeo.
Dopo l’incontro di Ankara Ursula von der Leyen si è recata da sola in Giordania perché anche in questo caso si trattava di discutere di questioni bilaterali e non di politica estera e di sicurezza.
La partecipazione di Charles Michel all’incontro di Ankara si spiega – ma non si giustifica – per il suo eccesso di interventismo che lo ha spinto fin dalla sua elezione il 1° dicembre 2019 ad agire al di là dei trattati come se egli fosse il Presidente di tutta l’Unione europea.
Vale la pena di ricordare il passo indietro del Trattato di Lisbona, rispetto al Trattato-costituzionale, che separò le materie rilevanti dalla politica estera e di sicurezza ivi compresa la dimensione della difesa iscrivendole nel Trattato sull’Unione europea (art. 21-46 del TUE) dalle azioni esterne (politica commerciale, cooperazione con i paesi terzi e aiuto umanitario, conclusioni di accordi internazionali, relazioni con le organizzazioni internazionali e clausola di solidarietà) comprese negli articoli 205-222 del Trattato sul funzionamento dell’Unione (TFUE) dove il Consiglio europeo è totalmente assente.
La separazione fra politica estera propriamente detta e azioni esterne (in particolare in materia economica) fu pretesa nella Conferenza intergovernativa che fece seguito al fallimento del Trattato-costituzionale per sottolineare il carattere intergovernativo della prima e la natura comunitaria delle seconde con un approccio che nuoce alla leggibilità dei Trattati e all’efficacia del ruolo internazionale dell’Unione europea.
L’esperienza ci ha dimostrato che l’efficacia non può essere raggiunta riunendo sotto la responsabilità del Presidente del Consiglio europeo compiti di orientamento, di rappresentanza, di capacità negoziali ed infine esecutive che sono state immaginate invece per l’Alto Rappresentante nel tentativo di assicurare una crescente coerenza internazionale all’azione dell’Unione europea.
Poco importa che il protocollo istituzionale del 2011 dia formalmente la precedenza al Consiglio europeo e al suo Presidente rispetto alla Commissione europea e al suo Presidente nelle occasioni appunto protocollari (pranzi, cene ed eventi simili) perché nei vertici internazionali (ad esempio il G7 e il G20) ad essi viene attribuito esattamente lo stesso rango.
Nonostante la natura tricefala nelle relazioni esterne, il Consiglio europeo e in particolare il suo presidente (prima Herman Van Rompuy ed ora Charles Michel) hanno adottato una interpretazione dolosamente erronea delle disposizioni del Trattato di Lisbona.
Nel caso di Herman van Rompuy egli ha creato intorno a sé una rete degli sherpa dei capi di Stato e di governo che hanno di fatto escluso il lavoro negoziale del Comitato diplomatico dei rappresentanti permanenti a Bruxelles e, al di sopra del Comitato, il ruolo dei ministri degli esteri e degli affari europei riducendo ad un compito amministrativo l’azione della Commissione europea (qualcuno usò l’espressione sherpacrazia).
Ancor peggio è avvenuto nel caso di Charles Michel dove il Consiglio europeo ha assunto sotto la sua guida e per sé un ruolo di decisione legislativa che, in base all’art. 15 TUE, non gli spetta (“Il Consiglio europeo – recita il Trattato - dà all’Unione gli impulsi necessari al suo sviluppo e ne definisce gli orientamenti e le priorità politiche generali. Esso non esercita alcuna funzione legislativa”) così come è stato denunciato dal Parlamento europeo a proposito del negoziato sul Quadro Finanziario Pluriennale.[*]
Charles Michel ha evidentemente mal sopportato il ruolo motore della Commissione europea nel piano di ripresa e resilienza (il Recovery Plan ribattezzato Next Generation EU che ha permesso di accantonare l’approccio esclusivamente intergovernativo del progetto franco-tedesco del Recovery Fund) e non ha perso occasione per cercare di affermare ultra vires il primato del Consiglio europeo su quello della Commissione europea.
Come si direbbe a Roma, Charles Michel si è “imbucato” nella missione di Ankara – sostenuto dai suoi colleghi capi di Stato e di governo e supportato dai suoi servizi - istruendo in sovrappiù la delegazione dell’Unione europea presso la Repubblica di Turchia sulle modalità della partecipazione dei due presidenti europei all’incontro con Erdogan e con il suo ministro degli esteri.
Non si spiegherebbe altrimenti il fatto che Charles Michel si sia accomodato senza fiatare accanto al capo dello Stato turco lasciando in piedi – stupefatta – la presidente della Commissione europea.
Vale la pena di aggiungere la grave colpa in vigilando del delegato ad Ankara dell’Unione europea, il tedesco Nikolaus Meyer-Landrut, che - pur avendo debolmente e inizialmente tentato di resistere alle istruzioni del protocollo di Charles Michel - non ha informato preventivamente i servizi della Commissione europea di una situazione che avrebbe inevitabilmente creato un grave incidente diplomatico.
Interrogato il 10 aprile da alcuni quotidiani europei, fra cui Il Sole 24 Ore, l’ineffabile Charles Michel – dopo aver confessato che “l’incidente di Ankara mi toglie il sonno” – ha inteso ribadire la sua interpretazione immobilista della natura claudicante del sistema istituzionale europeo, una natura resa ancora più evidente dal sofagate, rivendicando il principio della doppia legittimità comunitaria e nazionale e la convinzione che l’Unione europea debba continuare a camminare su queste due gambe dovendo poi esprimere un’opinione diversa per rispondere alle vivaci critiche del Parlamento europeo.
Dall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona in poi, si è accresciuto lo squilibrio fra le due gambe, non solo per quella che Carlo Azeglio Ciampi chiamava la zoppia dell’Unione economica e monetaria e che ha pesato drammaticamente durante tutti gli anni della crisi finanziaria, ma a causa della prevalenza crescente del metodo intergovernativo o confederale e dell’incompiutezza della gamba comunitaria con particolare riferimento al ruolo internazionale dell’Unione europea, nella gestione dei flussi migratori e, più recentemente, nella lotta alla pandemia, nella campagna di vaccinazione e nella mancanza di una politica industriale europea nel settore della ricerca e della produzione farmaceutica.
Il Parlamento europeo e la Commissione europea non possono accettare che il piombo della cosiddetta legittimità nazionale, di cui ha parlato Charles Michel e che egli ha mostrato con imperdonabile arroganza nel palazzo presidenziale di Ankara, pesi a tal punto sulle già gracili ali del dibattito sul futuro dell’Europa da costringere l’Unione europea ad un inaccettabile status quo con la conseguenza di farla regredire verso un concerto cacofonico di apparenti interessi nazionali.
Già nella sessione plenaria del 26-29 aprile il Parlamento europeo esprimerà un forte e negativo giudizio politico ed istituzionale delle ragioni, che non riguardano il galateo né l’equilibrio di genere, alle origini del sofagate aprendo di fatto il dibattito sul futuro dell’Europa a partire dalla mostruosa natura tricefala dell’Unione europea.
In attesa della riforma profonda del sistema europeo, il Trattato di Lisbona consentirebbe di unificare le presidenze del Consiglio europeo e della Commissione europea attribuendo al(la) Presidente della Commissione - alla scadenza di due anni e mezzo del mandato di Charles Michel che terminerà il 31 maggio 2022 o prima di questa data per faute grave e a maggioranza qualificata come prevede l’art. 15 par. 5 TUE - la presidenza del Consiglio europeo.
Si rafforzerebbe così il controllo del Parlamento europeo sul vertice dei capi di Stato e di governo come avviene già per l’Alto Rappresentante per gli affari europei e la sicurezza e come dovrebbe avvenire per il presidente dell’Eurogruppo se si vuole avviare il consolidamento del ruolo internazionale dell’euro e rendere più coerente la politica economica e monetaria della zona euro attribuendone la presidenza al vicepresidente della Commissione per gli affari economici e monetari e l’euro.
Al fine di garantire un adeguato equilibrio politico fra le funzioni di leadership nelle istituzioni europee all’interno della maggioranza che si è costituita intorno alla Commissione von der Leyen (PPE), che ha portato all’elezione di David Maria Sassoli alla presidenza del PE (S&D) e di Charles Michel (ALDE) alla presidenza del Consiglio europeo un accordo interistituzionale potrebbe consentire di confermare David Sassoli fino alla fine della legislatura nel 2024 e attribuire a Guy Verhofstadt la presidenza della Conferenza sul futuro dell’Europa.
Così facendo renderemmo contemporaneamente meno claudicante la democrazia europea in statu nascendi e porremmo il tema essenziale dell’alternativa fra apparenti sovranità nazionali e sovranità europea nell’agenda della Conferenza sul futuro dell’Europa creando le condizioni istituzionali dell’autonomia strategica dell’Unione europea.
Dedichiamo questa newsletter principalmente alle conseguenze del cosiddetto sofagate e alla preparazione della Conferenza sul futuro dell’Europa oltre che alle tradizionali rubriche alle attività e agli eventi della settimana, alle pillole d’Europa, all’agenda istituzionale e all’Europa dei diritti.
Vi auguriamo una buona settimana nella speranza di poter continuare a contare sul vostro sostegno.
Dedichiamo questa newsletter principalmente alle conseguenze del cosiddetto sofagate e alla preparazione della Conferenza sul futuro dell’Europa oltre che alle tradizionali rubriche alle attività e agli eventi della settimana, alle pillole d’Europa, all’agenda istituzionale e all’Europa dei diritti.
Vi auguriamo una buona settimana nella speranza di poter continuare a contare sul vostro sostegno.
La redazione
L'EDITORIALE
L’Unione europea è zoppa Dobbiamo rafforzarle la gamba europea
Molto è stato già detto e scritto di quel che è avvenuto ad Ankara il 6 aprile quando la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e il Presidente del Consiglio europeo Charles Michel hanno incontrato il capo dello Stato turco Recep Tayyip Erdogan per riaprire il dialogo fra l’Unione europea e la Repubblica di Turchia sulla “agenda positiva” auspicata dal Consiglio europeo del 25 marzo.
La questione provocata dal sofagate e le relazioni con la Turchia – anche dopo la conferenza stampa del premier Mario Draghi che ha definito Erdogan “un dittatore con cui è necessario cooperare” – occuperanno a lungo l’agenda europea con effetti temporaneamente positivi nelle relazioni fra il Consiglio europeo e la Commissione europea perché Charles Michel è stato costretto a condividere, davanti alla Conferenza dei Presidenti dei Gruppi politici nel Parlamento europeo, l’interpretazione autentica del Trattato di Lisbona esposta da Ursula von der Leyen secondo cui le due istituzioni sono, nelle relazioni esterne, su un piano di perfetta uguaglianza sulla base degli articoli 15 e 17 TUE.
I temi dell’incontro di Ankara – precisati del resto dallo stesso Charles Michel nella sua intervista del 10 aprile a vari quotidiani europei (la modernizzazione dell’Unione doganale in vigore dal 1995, la cooperazione economica nel quadro dell’accordo di associazione del 1963, il rinnovo degli accordi sui migranti siriani del 2016 in cambio di ulteriori aiuti finanziari dell’UE alla Turchia, la politica dei visti per l’ingresso dei cittadini turchi nell’Unione europea) – erano del resto tutti relativi alle relazioni bilaterali fra l’Unione europea e la Repubblica turca con l’obiettivo di superare le tensioni nel Mediterraneo provocate dall’invio di navi turche al largo di Cipro e della Grecia e nelle loro acque territoriali.
Questi temi devono essere affrontati dall’Unione europea avendo come priorità la necessità e l’urgenza del rispetto dei diritti fondamentali e dello stato di diritto a cominciare dalla immediata liberazione dei prigionieri politici, sindacali, del mondo dell’informazione, della giustizia e dell’università, dalla separazione dei poteri fra governo e magistratura e dal ritorno della Turchia nella Convenzione di Istanbul sulla violenza contro le donne.
Questi temi non comprendevano dunque le questioni relative alla politica estera e della sicurezza dell’Unione europea e per questa ragione non era stata prevista ad Ankara la presenza di Josep Borrell Fontelles, Alto Rappresentanza dell’Unione europea per gli affari esteri e la sicurezza.
In questo quadro la partecipazione di Charles Michel all’incontro di Ankara era non solo irrilevante ma contraria allo spirito e alla lettera dei trattati che hanno stabilito una bizantina e inefficace natura tricefala dell’Unione europea in materia di politica estera e di azioni esterne attribuendo diverse responsabilità al Consiglio europeo e al suo Presidente e alla Commissione europea e al suo presidente e infine all’Alto Rappresentante per gli affari esteri e della sicurezza sotto il parziale controllo del Parlamento europeo.
Dopo l’incontro di Ankara Ursula von der Leyen si è recata da sola in Giordania perché anche in questo caso si trattava di discutere di questioni bilaterali e non di politica estera e di sicurezza.
La partecipazione di Charles Michel all’incontro di Ankara si spiega – ma non si giustifica – per il suo eccesso di interventismo che lo ha spinto fin dalla sua elezione il 1° dicembre 2019 ad agire al di là dei trattati come se egli fosse il Presidente di tutta l’Unione europea.
Vale la pena di ricordare il passo indietro del Trattato di Lisbona, rispetto al Trattato-costituzionale, che separò le materie rilevanti dalla politica estera e di sicurezza ivi compresa la dimensione della difesa iscrivendole nel Trattato sull’Unione europea (art. 21-46 del TUE) dalle azioni esterne (politica commerciale, cooperazione con i paesi terzi e aiuto umanitario, conclusioni di accordi internazionali, relazioni con le organizzazioni internazionali e clausola di solidarietà) comprese negli articoli 205-222 del Trattato sul funzionamento dell’Unione (TFUE) dove il Consiglio europeo è totalmente assente.
La separazione fra politica estera propriamente detta e azioni esterne (in particolare in materia economica) fu pretesa nella Conferenza intergovernativa che fece seguito al fallimento del Trattato-costituzionale per sottolineare il carattere intergovernativo della prima e la natura comunitaria delle seconde con un approccio che nuoce alla leggibilità dei Trattati e all’efficacia del ruolo internazionale dell’Unione europea.
L’esperienza ci ha dimostrato che l’efficacia non può essere raggiunta riunendo sotto la responsabilità del Presidente del Consiglio europeo compiti di orientamento, di rappresentanza, di capacità negoziali ed infine esecutive che sono state immaginate invece per l’Alto Rappresentante nel tentativo di assicurare una crescente coerenza internazionale all’azione dell’Unione europea.
Poco importa che il protocollo istituzionale del 2011 dia formalmente la precedenza al Consiglio europeo e al suo Presidente rispetto alla Commissione europea e al suo Presidente nelle occasioni appunto protocollari (pranzi, cene ed eventi simili) perché nei vertici internazionali (ad esempio il G7 e il G20) ad essi viene attribuito esattamente lo stesso rango.
Nonostante la natura tricefala nelle relazioni esterne, il Consiglio europeo e in particolare il suo presidente (prima Herman Van Rompuy ed ora Charles Michel) hanno adottato una interpretazione dolosamente erronea delle disposizioni del Trattato di Lisbona.
Nel caso di Herman van Rompuy egli ha creato intorno a sé una rete degli sherpa dei capi di Stato e di governo che hanno di fatto escluso il lavoro negoziale del Comitato diplomatico dei rappresentanti permanenti a Bruxelles e, al di sopra del Comitato, il ruolo dei ministri degli esteri e degli affari europei riducendo ad un compito amministrativo l’azione della Commissione europea (qualcuno usò l’espressione sherpacrazia).
Ancor peggio è avvenuto nel caso di Charles Michel dove il Consiglio europeo ha assunto sotto la sua guida e per sé un ruolo di decisione legislativa che, in base all’art. 15 TUE, non gli spetta (“Il Consiglio europeo – recita il Trattato - dà all’Unione gli impulsi necessari al suo sviluppo e ne definisce gli orientamenti e le priorità politiche generali. Esso non esercita alcuna funzione legislativa”) così come è stato denunciato dal Parlamento europeo a proposito del negoziato sul Quadro Finanziario Pluriennale.[*]
Charles Michel ha evidentemente mal sopportato il ruolo motore della Commissione europea nel piano di ripresa e resilienza (il Recovery Plan ribattezzato Next Generation EU che ha permesso di accantonare l’approccio esclusivamente intergovernativo del progetto franco-tedesco del Recovery Fund) e non ha perso occasione per cercare di affermare ultra vires il primato del Consiglio europeo su quello della Commissione europea.
Come si direbbe a Roma, Charles Michel si è “imbucato” nella missione di Ankara – sostenuto dai suoi colleghi capi di Stato e di governo e supportato dai suoi servizi - istruendo in sovrappiù la delegazione dell’Unione europea presso la Repubblica di Turchia sulle modalità della partecipazione dei due presidenti europei all’incontro con Erdogan e con il suo ministro degli esteri.
Non si spiegherebbe altrimenti il fatto che Charles Michel si sia accomodato senza fiatare accanto al capo dello Stato turco lasciando in piedi – stupefatta – la presidente della Commissione europea.
Vale la pena di aggiungere la grave colpa in vigilando del delegato ad Ankara dell’Unione europea, il tedesco Nikolaus Meyer-Landrut, che - pur avendo debolmente e inizialmente tentato di resistere alle istruzioni del protocollo di Charles Michel - non ha informato preventivamente i servizi della Commissione europea di una situazione che avrebbe inevitabilmente creato un grave incidente diplomatico.
Interrogato il 10 aprile da alcuni quotidiani europei, fra cui Il Sole 24 Ore, l’ineffabile Charles Michel – dopo aver confessato che “l’incidente di Ankara mi toglie il sonno” – ha inteso ribadire la sua interpretazione immobilista della natura claudicante del sistema istituzionale europeo, una natura resa ancora più evidente dal sofagate, rivendicando il principio della doppia legittimità comunitaria e nazionale e la convinzione che l’Unione europea debba continuare a camminare su queste due gambe dovendo poi esprimere un’opinione diversa per rispondere alle vivaci critiche del Parlamento europeo.
Dall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona in poi, si è accresciuto lo squilibrio fra le due gambe, non solo per quella che Carlo Azeglio Ciampi chiamava la zoppia dell’Unione economica e monetaria e che ha pesato drammaticamente durante tutti gli anni della crisi finanziaria, ma a causa della prevalenza crescente del metodo intergovernativo o confederale e dell’incompiutezza della gamba comunitaria con particolare riferimento al ruolo internazionale dell’Unione europea, nella gestione dei flussi migratori e, più recentemente, nella lotta alla pandemia, nella campagna di vaccinazione e nella mancanza di una politica industriale europea nel settore della ricerca e della produzione farmaceutica.
Il Parlamento europeo e la Commissione europea non possono accettare che il piombo della cosiddetta legittimità nazionale, di cui ha parlato Charles Michel e che egli ha mostrato con imperdonabile arroganza nel palazzo presidenziale di Ankara, pesi a tal punto sulle già gracili ali del dibattito sul futuro dell’Europa da costringere l’Unione europea ad un inaccettabile status quo con la conseguenza di farla regredire verso un concerto cacofonico di apparenti interessi nazionali.
Già nella sessione plenaria del 26-29 aprile il Parlamento europeo esprimerà un forte e negativo giudizio politico ed istituzionale delle ragioni, che non riguardano il galateo né l’equilibrio di genere, alle origini del sofagate aprendo di fatto il dibattito sul futuro dell’Europa a partire dalla mostruosa natura tricefala dell’Unione europea.
In attesa della riforma profonda del sistema europeo, il Trattato di Lisbona consentirebbe di unificare le presidenze del Consiglio europeo e della Commissione europea attribuendo al(la) Presidente della Commissione - alla scadenza di due anni e mezzo del mandato di Charles Michel che terminerà il 31 maggio 2022 o prima di questa data per faute grave e a maggioranza qualificata come prevede l’art. 15 par. 5 TUE - la presidenza del Consiglio europeo.
Si rafforzerebbe così il controllo del Parlamento europeo sul vertice dei capi di Stato e di governo come avviene già per l’Alto Rappresentante per gli affari europei e la sicurezza e come dovrebbe avvenire per il presidente dell’Eurogruppo se si vuole avviare il consolidamento del ruolo internazionale dell’euro e rendere più coerente la politica economica e monetaria della zona euro attribuendone la presidenza al vicepresidente della Commissione per gli affari economici e monetari e l’euro.
Al fine di garantire un adeguato equilibrio politico fra le funzioni di leadership nelle istituzioni europee all’interno della maggioranza che si è costituita intorno alla Commissione von der Leyen (PPE), che ha portato all’elezione di David Maria Sassoli alla presidenza del PE (S&D) e di Charles Michel (ALDE) alla presidenza del Consiglio europeo un accordo interistituzionale potrebbe consentire di confermare David Sassoli fino alla fine della legislatura nel 2024 e attribuire a Guy Verhofstadt la presidenza della Conferenza sul futuro dell’Europa.
Così facendo renderemmo contemporaneamente meno claudicante la democrazia europea in statu nascendi e porremmo il tema essenziale dell’alternativa fra apparenti sovranità nazionali e sovranità europea nell’agenda della Conferenza sul futuro dell’Europa creando le condizioni istituzionali dell’autonomia strategica dell’Unione europea.
Questa settimana si sono tenute le elezioni in due Paesi molto diversi geograficamente e culturalmente, ma entrambi legati alla storia comune europea: la Bulgaria che è entrata nell’UE nel 2007 e la Groenlandia territorio danese autonomo che ha abbandonato la CEE nel 1985.
Con il record di persone ricoverate negli ospedali del Paese e oltre sessantamila persone in quarantena su una popolazione totale di circa sette milioni, la Bulgaria va al voto in un clima di tensione e sfiducia nei confronti del precedente governo conservatore guidato da Boiko Borisov, al governo dal 2009 e leader del Partito Cittadini per lo sviluppo europeo della Bulgaria.
Nonostante l'ampia partecipazione popolare alle manifestazioni antigovernative svolte nel corso del 2020 e nonostante la predisposizione di sistemi di voto mobili ad hoc per i cittadini bulgari ricoverati ed in quarantena, la partecipazione alle urne non ha comunque superato il 45% degli aventi diritto al voto ed i risultati sembrano aver consegnato al Paese balcanico un quadro parlamentare caotico.
Le manifestazioni antigovernative, che accusavano il precedente esecutivo di corruzione, sembrano aver fatto presa sull'opinione pubblica: il partito conservatore di Borisov resta il primo partito ma perde oltre otto punti percentuali rispetto alle precedenti elezioni, mentre i partiti di opposizione avanzano, seppur in modo assolutamente frammentato.
Come seconda, terza e quarta forza parlamentare del Paese si impongono tre compagini molto diverse fra loro: vera novità di queste elezioni è il partito populista, anti-sistemico, del famoso showmanSlavi Trifonov, che ha sfiorato il 17% dei consensi, seguito dal grande antagonista di Borisov, il partito socialista bulgaro, prima forza di opposizione nella precedente legislatura ed, infine, il partito di destra democratica promotore delle proteste contro lo stesso Borisov.
Anche la Bulgaria, dunque, seppur con un ritardo di qualche anno rispetto agli altri Paesi dell'Unione, sembra esser stata colpita in parte dall'ondata populista di un partito, "C'è un popolo come questo" di Trifonov, che parla all'elettorato al di fuori dei canali istituzionali, ricercando un rapporto diretto attraverso i social media, parlando alla pancia del Paese. Ma quello di Trifonov non è l'unico movimento populista che sembra avanzare nella società civile bulgara, anche il partito "Alzati! Fuori la mafia!" sostenuto dal movimento di protesta "Trio velenoso", promotore di numerose manifestazioni anticorruzione e antisistema.
Vista l'eterogeneità delle quattro principali forze politiche risultanti da queste elezioni, sembra lontana l'ipotesi di una formazione di un governo di coalizione guidata dal precedente premier Borisov, prospettandosi una situazione di duratura instabilità politica che, secondo molti analisti, potrebbe risolversi solo con un’ulteriore tornata elettorale entro l'anno. Non è chiaro, dunque, se la posizione filoeuropea del Paese balcanico possa di fatto risultare compromessa.
Molto più netto invece il risultato delle elezioni anticipate tenutesi in Groenlandia, la più grande isola del mondo, autonoma dalla Danimarca dal 1979. Il Paese artico di soli cinquantaseimila abitanti ha effettuato una scelta elettorale nettamente verde, portando alla vittoria il Partito Ambientalista Groenlandese. Leitmotiv delle elezioni anticipate è stata la vicenda del Monte Kuannersuit, uno dei più grandi giacimenti di uranio al mondo, per il quale il precedente governo avrebbe concesso un’autorizzazione preliminare allo sfruttamento alla società australiana Greenland Minerals, partecipata dal colosso minerario cinese Shenghe Resources Holding, ed al cui sfruttamento si opponeva fortemente il partito Ambientalista vincitore delle elezioni. La scelta verde dei groenlandesi rappresenta una vittoria per l'intera comunità internazionale in quanto mirata alla tutela di un bene comune, l’Artico, fortunatamente poco sfruttato dall'uomo ma inesorabilmente vittima delle attività antropiche che avvengono a migliaia di chilometri da esso a causa del riscaldamento globale. Le elezioni in Groenlandia ci mostrano come la democrazia continui ad essere l'unico, fondamentale strumento di controllo del bene comune in ogni società civile umana.
Flash report of the second meeting of the Executive Board of the Conference on the Future of Europe 7 April 2021, 17.00-20.00 – Brussels (European Parliament – Spinelli Building/Hybrid)
Participants:
Co-chairs of the Executive Board: MEP Guy Verhofstadt (RENEW/BE), Portuguese Secretary of State for EU Affairs Ana Paula Zacarias and Vice-President Dubravka Šuica
Representatives of the Executive Board: MEP Manfred Weber (EPP/DE), MEP Iratxe García Pérez (S&D/ES), Slovenian Secretary of State for EU Affairs Gasper Dovzan, French Minister of State for EU Affairs Clément Beaune (excused), Vice-President Maroš Šefčovič and Vice-President Věra Jourová
Observers: MEP Gerolf Annemans (ID/BE), MEP Daniel Freund (Greens/EFA/DE), MEP Zdzisław Krasnodębski (ECR/PL) and MEP Helmut Scholz (The Left/DE), Czech State Secretary for EU Affairs Milena Hrdinková, Swedish Minister for EU Affairs Hans Dahlgren, Spanish Secretary of State for the EU Juan González-Barba Pera, Belgian Minister for Foreign Affairs and Deputy Prime Minister Sophie Wilmès (excused)
COSAC observers: COSAC represented by the chairman of the Committee on European Union questions of the German Bundesrat, Guido Wolf, the chairman of the Committee on European Affairs of the German Bundestag, Gunther Krichbaum, the chairman of the Committee on European Affairs of the Portuguese Assembleia da Republica, Luís Capoulas Santos, the chairman of the Committee on European Affairs of the Slovenian Državni zbor, Marko Pogačnik and the chairman of the Committee on European Affairs of the Slovenian Državni svet Bojan Kekec
Invited observers: Committee of the Regions (represented by President Apostolos Tzitzikostas), the European Economic and Social Committee (represented by President Christa Schweng) and ETUC (represented by Secretary General Luca Visentini)
Representatives of the Common Secretariat and DG COMM
Summary:
The Executive Board of the Conference on the Future of Europe held its second meeting on 7 April 2021 in the European Parliament (in hybrid format). The meeting took place in a spirit of good will and cooperation and was co-chaired by MEP Guy Verhofstadt, Secretary of State for EU Affairs Ana Paula Zacarias and Vice-President Dubravka Šuica. The Board agreed on the launch of the Multilingual Digital Platform on 19 April 2021 and the Charter, after some adjustments to the topics for discussion in the Platform. The launch will allow the discussions to start and citizens to have a say. The Executive Board also agreed on its own Working Methods. An exchange of views took place on the rules of procedure of the Conference overall based on a draft presented by Mr Verhofstadt that had not been agreed with the co-chairs. Written comments were invited and the Common Secretariat will work on a draft for the co-chairs to present jointly for the next meeting of the Board. In the first exchange, in particular questions on composition of the panels and the plenary were raised. The Executive Board also had a brief exchange about the launch event planned for 9 May in Strasbourg, agreeing that a large-scale physical event was not feasible at this point. The Communications services of the three institutions will come forward with ideas, which will be presented in the next meeting. The next meeting of the Executive Board is planned for 21 or 22 April 2021.
Details:
The Board endorsed the launch of the Multilingual Digital Platform on 19 April, thus allowing citizens discussions to start. Following exchanges in the first Board meeting on 24 March 2021, the topics on the Platform were adapted. ‘Migration’ and ‘Education, culture, youth and sport’ were added as new topics, bringing the list to 10 topics, and other topics were adjusted to explicitly also refer to the rule of law and security, as well as social justice and jobs. Commission representatives provided further explanations on the Platform and its functionalities, in particular in relation to moderation, the analysis and the link between the different strands of the Conference. The Board also endorsed the Charter, which citizens must commit to when using the Platform and which includes the principles enshrined in the EU Treaties and in the Joint Declaration.
The Board equally endorsed its own Working Methods. Discussions leading up to that focussed in particular on the role of the European Economic and Social Committee and the Committee of the Regions as well as social partners and their wish to become permanent observers. Co-chairs confirmed their intention to in principle invite these observers as done so far, but also that the Working Methods cannot go beyond the Joint Declaration. Participants then had a first exchange on the broader rules of procedure of the Conference, based on suggestions by Mr Verhofstadt, which had not been agreed with co-chairs yet. Comments related in particular to the role of citizens and the composition of the plenary and the panels. Both other co-chairs underlined that this was not a joint proposal and that work has to continue. Written comments were invited and the Common Secretariat will prepare a draft text for the co-chairs to submit to the next meeting of the Executive Board.
The Board finally discussed the launch event on 9 May 2021. Participants agreed that a large-scale event with physical participation was not possible at this point, but that a hybrid event should be organised in Strasbourg of about 2 hour length that is attractive to citizens. The Communication Services of the three institutions will work on details and a presentation will be made in the next Board meeting.
The next meeting of the Executive Board is planned for 21 or 22 April 2021.
Europa in Onda- il podcast che ti parla di Europa.
Podcast di attualità, cultura, generazione Erasmus. Una finestra di approfondimento su tutto ciò che attraversa l'Europa ogni due giovedì del mese.
Ascolta la 6a puntata, "La Conferenza sul futuro dell'Europa", del 1 aprile 2021 con Luisa Trumellini e Pier Virgilio Dastoli su anchor.fm/europa-in-onda