CARE LETTRICI E CARI LETTORI
La nostra newsletter settimanale Noi e il futuro dell'Europa, nell’edizione nata all’inizio del 2020 dopo la prima edizione bi-settimanale nel 2018-2019, è stata immaginata per contribuire al dibattito sul futuro dell’Europa con un cantiere che avrebbe dovuto aprirsi il 9 maggio 2020 nella Conferenza immaginata da Emmanuel Macron il 4 marzo 2019.
Come sapete, la Conferenza sarà avviata con un anno di ritardo non solo per la pandemia ma per i contrasti fra i governi e il Parlamento europeo che hanno trovato un punto di incontro nella joint declaration del 10 marzo.
Il nostro impegno viene rafforzato secondo uno schema suddiviso in
- Editoriale che esprime l’opinione del Movimento europeo su un tema di attualità,
- Ultime da Bruxelles
- Rubrica “Pillole d’Europa”
- Eventi principali, che speriamo siano di vostro interesse insieme a quelli che vorrete aggiungere e diffondere nostro tramite,
- Agenda istituzionale a cura del Movimento Europeo Internazionale
- Conferenza sul futuro dell'Europa
- Europa dei diritti
- Campagna di informazione sull'Europa
- Europa in onda
Siamo come sempre a vostra disposizione per migliorare il nostro servizio di comunicazione e di informazione sulla base dei vostri suggerimenti e delle vostre critiche nella speranza di poter contare, se lo vorrete, anche su un vostro contributo finanziario.
Buona lettura!
Considerate le imminenti festività, la newsletter non uscirà lunedì prossimo. Nell’augurarvi una serena Pasqua, vi diamo appuntamento al 12 aprile.
L'EDITORIALE
I silenzi assordanti del Consiglio europeo, le “unioni” di Mario Draghi e il futuro dell’Europa
Secondo l’articolo 15 del Trattato sull’Unione europea, il Consiglio europeo dovrebbe dare all’Unione gli impulsi necessari al suo sviluppo e il suo presidente dovrebbe animarne i lavori, assicurarne la preparazione e la continuità, operare per facilitarne la coesione e la continuità.
Dal gennaio 2020, il Consiglio europeo si è riunito mediamente una volta al mese con risultati normalmente mediocri, molto raramente raggiunti per l’incapacità del suo Presidente, per un lungo periodo impotente di fronte al progredire della pandemia e al parallelo progredire della mancanza di coesione fra i suoi membri mancando dunque alla sua missione di impulso, uscito miracolosamente indenne nel dicembre 2020 dal puzzle del negoziato su Next Generation EU, quadro finanziario pluriennale e compromesso sullo stato di diritto dopo aver sottratto – in barba al trattato – il potere legislativo al Consiglio, aver umiliato la Commissione e aver costretto il Parlamento europeo all’impossibile scelta fra un rifiuto dirompente e un accordo al ribasso, tornato dal gennaio di quest’anno ad esercitare la sua funzione di frenatore dello sviluppo dell’Unione europea
La “dichiarazione” dei ventisette del 25 marzo – su cui riferisce in dettaglio la cronaca di Anna Maria Villa - riunisce in sé tutti gli elementi dell’impotenza del Consiglio europeo i cui membri sono stati incapaci di raggiungere un consenso unanime sulle consegne e sulla diffusione dei vaccini, sul blocco delle esportazioni a paesi terzi, su un programma preciso e vincolante per rendere l’Unione europea progressivamente autonoma da un punto di vista sanitario oltre che sulla transizione digitale e sulle relazioni con la Turchia.
Per otto anni Mario Draghi ha partecipato da presidente della BCE alle riunioni del Consiglio europeo, essendo corresponsabile delle sciagurate scelte finanziarie ed economiche durante gli anni della crisi dal 2011 al 2015 come membro della trojka e come suggeritore degli strumenti che hanno stravolto la governance europea (Semestre Europeo, Six Pack, Fiscal Compact, MES e Two pack) ma anche come medico al capezzale dell’Euro prima con il famoso whatever it takes e poi con il Quantitative Easing sette anni dopo gli analoghi ma più consistenti interventi della Federal Reserve e della Banca centrale giapponese.
Da banchiere centrale, Mario Draghi era tuttavia cosciente degli effetti paralizzanti della zoppia dell’Unione monetaria tanto da spingerlo a suggerire di completarla con l’unione bancaria, l’unione dei capitali e l’unione fiscale come pilastri di un’unione economica sulla via dell’unione politica così come fu poi scritto nel rapporto dei cinque presidenti del giugno 2015.
Sono passati quasi sei anni e quel rapporto è rimasto inattuato negli archivi del Consiglio, della Commissione e del Parlamento europeo e Mario Draghi, ritornato nel Consiglio europeo da capo di governo, ha ora sollecitato il Consiglio europeo a riprendere la via delle unioni indicate nel rapporto dei cinque presidenti citando l’esempio statunitense della dimensione del bilancio federale.
La sollecitazione di Mario Draghi non ha scosso più di tanto i suoi colleghi capi di Stato e di governo ed infatti delle unioni necessarie per dare “anima e cacciavite” (per usare la metafora di Enrico Letta) all’unione monetaria non vi è traccia alcuna nella dichiarazione dei 27 perché non avviene le riunioni dei consigli europei si devono concludere secondo il principio del consenso e del minimo comun denominatore con buona pace della missione che il Trattato assegna al Vertice di dare gli impulsi necessari allo sviluppo dell’Unione europea.
La sollecitazione di Mario Draghi era del resto in controtendenza rispetto alla dichiarazione comune sul futuro dell’Europa, frutto del compromesso fra Consiglio, Parlamento e Commissione, dove gli obiettivi del completamento dell’UEM e della capacità fiscale autonoma dell’Unione europea non sono nemmeno citati.
Ci attendiamo ora che il governo italiano trovi alleati disponibili fra i 27 per depositare davanti alla Conferenza sul futuro dell’Europa un non paper sulle indispensabili unioni bancaria, dei capitali, fiscale, economica e politica al fine di rendere stabile nel tempo l’obiettivo di un’integrazione europea al servizio delle sue cittadine e dei suoi cittadini, dando così una risposta radicalmente alternativa al gattopardesco non paper presentato la scorsa settimana da dodici governi nazionali.
Al di fuori dei governi, l’Italia troverà certo un’eco favorevole e un forte sostegno nel Parlamento europeo e fra le associazioni rappresentative della più convinta cultura federalista così come dal mondo del lavoro che si è espresso su questi obiettivi - insieme a quelli dell’agenda sociale – nel recente documento della Confederazione europea dei Sindacati.
ULTIME DA BRUXELLES
Poche luci e molte ombre nel Consiglio europeo del 25 marzo
Il 25 marzo si è tenuta la riunione del Consiglio europeo. Si è trattata di una riunione non facile considerati i temi all’ordine del giorno e la complessità delle decisioni da prendere. Il Consiglio europeo ha avuto anche come ospite d’onore il Presidente americano, Jo Biden, come non avveniva da diversi anni. La sua presenza ha riaffermato la rinnovata volontà dell’Europa e degli Stati uniti di rafforzare i rapporti di alleanza e cooperazione transatlantica.
Come prevedibile, argomento centrale della sessione è stata la situazione della pandemia in Europa e nel mondo. La diffusione dei contagi è ancora ovunque molto alta, a fronte di una scarsità di vaccini e di disponibilità di medicine efficaci per curare i malati.
Le tempistiche inizialmente previste purtroppo - anche per errori di programmazione - non sono state rispettate. Inoltre, gli stessi paesi produttori di fronte all’aggravarsi della situazione sanitaria interna, destinano le dosi di vaccini prodotte prioritariamente al proprio sistema prima che all’esportazione con evidenti ripercussioni sul timing di vaccinazione previsto negli altri paesi.
Si tratta ad esempio di Inghilterra, India (in questo caso con pesanti ripercussioni anche sul programma COVAX a favore della distribuzione dei vaccini a paesi bisognosi), ma anche degli stessi Stati Uniti.
Tutti questi paesi, impegnati in campagne di vaccinazioni di massa interne con risultati positivi in termini di diminuzione dei decessi e dei contagi, si sono comunque dichiarati disponibili a riprendere le esportazioni verso l’Europa non appena la loro situazione sarà meno critica.
Tutto ciò ha avuto ovviamente delle ripercussioni negative sulla distribuzione dei preparati all’interno dell’Unione, circostanza che ha spinto alcuni paesi dell’est Europa e l’Austria a chiedere una distribuzione delle prossime dosi in arrivo sulla base di un criterio di solidarietà e di bisogno e non più – come avvenuto finora - in base alla popolazione degli Stati.
A questo proposito il Consiglio europeo, pur confermando la validità del criterio inizialmente prescelto di distribuzione in base alla popolazione, ha dato mandato al Comitato dei Rappresentanti Permanenti degli Stati membri (COREPER) ad avviare un negoziato per la distribuzione delle prossime dieci milioni di dosi di vaccino Pfizer in arrivo tra gli Stati membri.
In materia di libertà di movimento, il Consiglio europeo ha confermato le restrizioni anche per i viaggi non essenziali, ma è stata ribadita la necessità di assicurare la libera circolazione dei beni all’interno del Mercato Unico.
La revoca delle restrizioni – che si spera possa avvenire a breve – dovrà essere realizzata in modo coordinato per favorire un graduale ritorno alla normalità.
A tal proposito il Consiglio europeo ha accolto positivamente la proposta della Commissione per i certificati digitali interoperabili per il Covid-19, per i quali ha chiesto di accelerare i lavori.
Altro punto all’ordine del giorno, è stato quello riguardante il Mercato unico, la politica industriale, digitale ed economica europea.
Occorre eliminare innanzitutto gli ostacoli che ancora permangono al pieno sviluppo del Mercato unico, per favorire la ripresa, la resilienza e la transizione verde e digitale non solo della grande industria europea ma anche delle PMI.
In quest’ottica si discuterà di revisione della strategia industriale anche alla luce dei risultati della revisione della Strategia 2020 di cui diversi obiettivi non sono stati raggiunti, considerando come strumento principale anche la transizione digitale.
Quest’ultima sarà - se attuata - quella che veramente cambierà la vita dei cittadini europei, non solo la vita lavorativa ma anche la formazione e l’accesso a molti servizi essenziali.
È necessario dunque rafforzare la sovranità digitale europea, per la quale la Bussola digitale, presentata dalla Commissione europea con obiettivi da realizzare entro il 2030, affronta insieme al Digital Market Act questioni importanti per lo sviluppo digitale dell’Europa.
Tra queste, le regole per la gestione delle piattaforme digitali, il rispetto dei diritti fondamentali degli utenti che accedono a prodotti e servizi informatici a tutela del consumatore ma anche a garanzia di una concorrenza libera e leale.
Solo così l’Unione europea potrà diventare un leader a livello mondiale in un contesto economico sempre più basato sul digitale e la gestione dei dati.
Il Consiglio europeo ha quindi affrontato i rapporti tra Unione e alcuni dei principali attori a livello mondiale.
Con gli Stati uniti si è riaffermato l’impegno per la realizzazione di una nuova modalità di cooperazione transatlantica.
Con i paesi del Mediterraneo orientale, ci si è focalizzati in particolare sui rapporti con la Turchia, per i quali si è sottolineata la volontà di sviluppare relazioni di cooperazione, contando però sull’astensione da parte della stessa di nuove provocazioni o di violazioni alle norme di diritto internazionale. In caso contrario, e cioè di minaccia ad interessi dell’Unione o di singoli Stati membri, confermando quanto deciso a dicembre, il Consiglio europeo si è espresso a favore del ricorso agli strumenti a disposizione.
Il confronto sui rapporti con la Russia, invece, è stato rinviato, per decisioni in merito, al prossimo Consiglio europeo di giugno.
Sul punto riguardante il ruolo internazionale dell’euro, sono invece intervenuti oltre ai capi di stato e di governo anche la Presidente della Banca Centrale Europea, Christine Lagarde ed il Presidente dell’Eurogruppo Paschal Donohoe.
Tutti hanno convenuto sulla necessità di rafforzare l’autonomia strategica dell’euro per favorire un’economia aperta, la stabilità del sistema finanziario europeo e globale e non da ultimo le imprese e le famiglie. Si auspica dunque una sempre più stabile posizione dell’euro su scala mondiale, anche se – come ha chiarito il Presidente Draghi – molte sono le differenze con il dollaro che rimane ad oggi la valuta più utilizzata negli scambi internazionali.
Il Presidente Draghi, sollecitando – con uno sguardo al bilancio federale americano – una riflessione sul bilancio comune e sulla necessità di una rapida politica di integrazione, nonché di una armonizzazione fiscale, ha insistito sulla opportunità di avviare un dibattito su titoli di debito europeo.
Questi ultimi infatti potrebbero costituire un primo passo verso un debito comune europeo, anche se non sono ancora dei veri e propri debiti comuni mutualizzabili.
Come noto il Tribunale costituzionale tedesco ha bloccato in questi giorni la ratifica dell’aumento del massimale delle risorse proprie necessario per avviare il Recovery plan, malgrado entrambi i rami del Parlamento tedesco l’avessero approvata.
Le motivazioni alla base di questo ‘alt’ sono essenzialmente due: i titoli sono emessi dalla Commissione europea per finanziare quote di Recovery Plan agli Stati membri dopo la presentazione da parte di questi dei loro piani di riforma e resilienza.
I titoli sono però garantiti dagli stessi Stati Membri sulla base dei loro PIL e sono strettamente legati alla durata temporale dei finanziamenti erogati.
Da ciò emerge che si è in presenza di una sorta di sfasamento temporale tra ottenimento delle sovvenzioni da parte di uno Stato sulla base di determinate necessità/bisogni, e la garanzia per le risorse ottenute anche in base al PIL che grazie a tali risorse potrà essere generato in ogni paese successivamente.
Il timore di una parte del mondo politico tedesco è che gli Stati più deboli, ossia con più alto debito pubblico quale l’Italia, non saranno in grado di rimborsare quanto avuto in prestito nei tempi previsti.
Se ciò avvenisse il rimborso avverrebbe da parte di Stati più forti, ad esempio la Germania e i cittadini tedeschi in sostanza dovrebbero rispondere di obbligazioni contratte a favore di altri Stati, a fronte di decisioni prese da altri governi.
L’ingente intervento finanziario introdotto dall’Unione si realizzerà solo se tutti i paesi ratificheranno. Se ciò avverrà la Commissione potrà approvare a giugno i piani nazionali e a poi sarà la volta del Consiglio.
Auguriamoci che ciò avvenga nell’interesse generale. Il richiamo all’attuazione delle riforme e alla creazione di debito buono (ossia in grado di incidere positivamente sul PIL) e non cattivo (distribuzione improduttiva a pioggia di risorse che avrebbe solo effetti peggiorativi sul PIL) è necessario. Infatti, è giusto appellarci alla solidarietà tra Stati, ma occorre che quest’ultima debba necessariamente coniugarsi ed essere bilanciata da una maggiore responsabilità da parte di tutti.
Solo in questo modo si potrà costruire quella fiducia reciproca a livello europeo per poter affrontare la pandemia e le sue conseguenze economico-sociali, rilanciare l’Unione, soprattutto ripensando alla governance della stessa in occasione dell’ormai prossimo dibattito sul Futuro dell’Unione.
Le risorse sono limitate ed il tempo è scaduto. Ormai ciò che può aiutare è la giustizia/convenienza anche sociale e non solo economica delle scelte europee e nazionali e la completa e diffusa consapevolezza della delicatezza di questo momento, in cui egoismi e poca attenzione alle conseguenze di ogni decisione su tutto il sistema potrebbero difficilmente essere riparabili.
Anna Maria Villa
PILLOLE D'EUROPA
L’Africa, il G20 e l’Unione europea
Il governo italiano ha accolto la proposta del Movimento europeo di invitare l’Unione africana al G20 in cui il vertice dei leader si riunirà a Roma il 30 e 31 ottobre.
Come abbiamo ricordato nel nostro appello al governo, il 1° gennaio è entrato in vigore il trattato dell’Unione Africana che istituisce la più vasta area di libero scambio nel mondo.
Lavoreremo con le nostre reti europee per portare il tema della cooperazione fra l’Unione europea e l’Africa in tutte le iniziative parallele al G20 intergovernativo: C20 della società civile, Y20 della gioventù, W20 della dimensione delle donne, L20 del mondo del lavoro, U20 delle città, T20 dei Think Tank, S20 della scienza oltre all’incontro Inter-religioso a Bologna promosso dal cardinale Zuppi e all’iniziativa Last 20 di cui vi daremo conto nella prossima newsletter.
Porremo in tutte queste sedi il tema dei diritti fondamentali sapendo che, in base alla presidenza a rotazione, parlerà a nome dell’Unione africana il leader egiziano che ha preso il potere con un colpo di stato militare nel 2014 imponendo un regime che viola con le violenze tutti i valori del diritto internazionale, una presidenza che rende necessario far partecipare alle riunioni preparatorie i rappresentanti di altri stati africani espressione di sistemi rispettosi dello stato di diritto.
L’UE deve fermare gli sbarchi dei richiedenti asilo dalla Libia?
La Repubblica (Alessandra Ziniti, giornalista nella redazione Cronaca) intervista la ministra Lamorgese sul tema delle migrazioni. Attiriamo la vostra attenzione su due punti che ci hanno fatto sobbalzare sulla sedia. Il primo è il titolo molto assertivo: «L’UE fermi gli sbarchi dalla Libia». Come sa chi frequenta le redazioni dei giornali i titoli non li scrive né l’intervistatore né l’intervistato(a). Ci chiediamo quali sono gli strumenti di cui disporrebbe l’UE per fermare gli sbarchi, se sulle coste libiche o sulle coste italiane. Per quel che ne sappiamo l’UE non possiede (allo stato attuale) i mezzi per rispondere positivamente, concretamente e urgentemente all’ingiunzione che, attraverso il titolo de La Repubblica, la ministra Lamorgese invia a Bruxelles. Aggiungiamo noi che, nonostante gli accordi fra le varie fazioni libiche e la visita del ministro Di Maio (che non ha visitato nel suo viaggio à Tripoli i campi dei profughi) in vista delle elezioni del 24 dicembre le condizioni di vita di chi è giunto drammaticamente in Libia sopravvivendo alla traversata del deserto del Sahara sono ancora molto al di sotto del rispetto della dignità umana e che prima di fermare gli sbarchi bisognerebbe decidere come trasformare l’inferno dei campi di profughi in luoghi di accoglienza in attesa della eventuale concessione del diritto di asilo.
Il secondo è la domanda della intervistatrice: « L’Europa (che è un continente e non una istituzione, n.d.r.) ha fatto finora orecchie da mercante ». La ministra Lamorgese sa bene che sono i governi (molti governi) nazionali ad aver fatto orecchie da mercante e non l’UE o per l’UE la Commissione europea ma dalla risposta - molto generica - non si evince una messa a punto di chi è stato finora responsabile di questo stato di cose inaccettabile.
È un vero peccato che la ministra non abbia colto l’occasione di una lunga intervista per spiegare alle lettrici e ai lettori di Repubblica come stanno le cose…in Europa.
Lo stato delle ratifiche del NGEU
Come sanno le nostre lettrici e i nostri lettori, il destino del Recovery Plan come appare a caratteri cubitali e Bruxelles sul palazzo del Berlaymont (denominato dalla Commissione europea Next Generation EU e non Recovery Fund) è legato all’approvazione dell’aumento del massimale delle risorse proprie dall’1.2 al 2.0% del PIL globale dell’UE da parte di tutti i 27 parlamenti nazionali conformemente alla decisione assunta alla unanimità dal Consiglio UE con l’accordo del PE.
Avevamo suggerito al PE di rendere europeo il dibattito interparlamentare sull’aumento del massimale delle risorse proprie seguendo l’esempio delle assise che si svolsero a Roma nel novembre 1990 ma, nonostante l’interesse teorico di questo o quel deputato europeo e di qualche parlamento nazionale, non se ne è fatto nulla lasciando scorrere inesorabilmente il tempo delle ratifiche nazionali.
Allo stato attuale, l’accordo è stato sottoscritto da 16 parlamenti nazionali ivi compresi il Bundesrat e il Bundestag insieme all’Italia il 5 marzo: Belgio, Bulgaria, Cipro, Croazia, Danimarca, Francia, Germania, Grecia, Italia, Lettonia, Lussemburgo, Malta, Portogallo, Romania, Slovenia, Spagna. Come sapete (vi invitiamo a leggere nella newsletter dei commenti giuridici illuminanti), il Tribunale costituzionale tedesco ha intimato al Presidente della Repubblica Federale di non firmare la legge di ratifica in attesa di una decisione sul merito dello stesso tribunale a seguito dell’ennesimo ricorso euro-ostile di un gruppo di 2000 cittadini tedeschi. Secondo i tempi di Karlsruhe il Presidente dovrà attendere almeno tre mesi per firmare la legge di ratifica nell’ipotesi (probabile) che la sentenza sia favorevole all’aumento del massimale anche se ci si attende che i giudici fissino ulteriori paletti al processo di integrazione e annuncino il loro diniego all’idea di rendere perenne il debito pubblico europeo.
Non hanno ancora ratificato i parlamenti di undici paesi: Austria, Repubblica Ceca, Estonia, Finlandia, Ungheria, Irlanda, Lituania, Paesi Bassi, Polonia, Slovacchia, Svezia sapendo che in alcuni casi come i Paesi Bassi i tempi saranno più lunghi del previsto.
Il rischio è forte che la Commissione non potrà indebitarsi sui mercati dei capitali prima del prossimo autunno e che trascorrerà dunque più di un anno da quando fu salutato come un “momento hamiltoniano” la decisione politica del Consiglio europeo del luglio 2020 in piena crisi da pandemia.
EVENTI E TESTI
VI SEGNALIAMO
- 30-31 marzo 2021, XVI Assemblea Congressuale AICCRE, Sezione italiana del CCRE (Consiglio dei Comuni e delle Regioni d’Europa) (online)
- 31 marzo 2021, ore 10.00-11.30, A civil society dialogue on self and collective care inside civic organisations (INGO Conference of the Council of Europe e World Forum for Democracy). Registrazione
- 1 aprile 2021, ore 18.30-19.30, 6a puntata Europa in Onda (Per maggiori informazioni, visita l'apposita sezione)
IN EVIDENZA
- Verso una svolta “sociale” dell’Unione europea? Incontri pubblici sul futuro d’Europa (Fondazione Lelio e Lisli Basso)
ARTICOLO (SU SENTENZA KARLSRUHE)
by Erik F. Nielsen, Group Chief Economist (UniCredit Bank, London)
Happy Palm Sunday,
There is little prospect for Easter peace, let alone a Good Friday agreement, in the epic battle between powerful German institutions over the country’s participation in the European project of ever closer union.
Possibly the single most complicated aspect of European integration is the transfer of competences from independent, and therefore powerful, national institutions to common European institutions. The examples of quiet, or not-so-quiet, resistance by national institutions to accept post-war Europe’s move towards integration are plentiful, and in too many cases the political compromise (nationally and pan-European) has been to leave the national institutions in place, build the desired European institution and accept grey zones of competences between them.
In constitutional matters, the lines between the competencies of the European Court of Justice, established in 1952, and the national constitutional courts were never drawn clearly, but they have in most cases fallen into place over time, although unevenly so between different countries. More recent examples over overlapping institutions include the establishment of the European Medicines Agency in 1995 (we didn’t get one new and common medical agency, but one more along with the national ones), and when the ECB became a bank supervisor in 2014, we didn’t really get one new and common supervisor, but one more along with the national ones.
In particular, the German Constitutional Court in Karlsruhe (the BVerfG) never seemed to accept any transfer of competences to the ECJ in Luxembourg but rather dug in its heals as the guardian of Germany’s sovereign constitution. Yet, as we know, in an interconnected world, let alone in a deeply integrated Europe, sovereignty is not a discipline of national laws, but of management of interconnected relations.
So, on Friday, only a few months after the German government and Bundestag had to jump through a number of rather meaningless loops to satisfy the BVerfG’s objections to the Bundesbank’s participation in the ECB’s QE program, the BVerfG was back with an injunction to stop President Steinmeier from signing into law the legislation for Germany’s participation in the NGEU’s EUR 750bn recovery fund until the court has considered its legality. The Bundestag and Bundesrat had approved the law facilitating Germany’s participation with solid majorities on Thursday and Friday, respectively.
Like in the case against (de facto) the ECB’s QE, the BVerfG acted on Friday in response to a complaint by a small group of German citizens closely associated with the AfD, which, according to Süddeutsche Zeitung, seems largely financed by a Swiss based billionaire with strong anti-EU views. The plaintiffs claim the NGEU is a step towards a “debt union”, which would be unconstitutional under German law.
Yet, there can be no doubt that the NGEU is the right response to the crisis and that it is also in Germany’s interest. Whether it is a step towards another political decision that could be unconstitutional is surely a political question rather than a legal one, so my guess is that this latest BVerfG-spanner in the wheel of the European project will be resolved after a brief delay, maybe a few weeks. That said, the risk of a bigger battle looms because Friday’s motion reflects a bigger institutional problem for Germany - and for Europe. And whether the BVerfG chooses a big fight with Germany’s other branches of the state over the NGEU issue (I think not), or wait for a different case, e.g. the Bundesbank’s participation in the ECB’s PEPP (more likely), I don’t know.
To be sure, it’s part of democracy that laws can be challenged on constitutional grounds, but the BVerfG’s willingness to accept even questionable challenges to German policies related to European integration stands in sharp contrast to the practice of the constitutional courts in other EU member states, it stands in contrast to the will of elected politicians and other institutions, and (as far as opinion polls suggest) in contrast to the majority of Germans. Not surprisingly, its stance is being challenged by several prominent German legal experts, including by constitutional law professor Franz Mayer of the University of Bielefeld.
In today’s note:
■ I’ll first outline the Friday injunction (from what little has been made public), and suggest a possible way out.
■ I’ll then summarize the bigger issue posed by the BVerfG’s practice and rulings so far, which places Germany (and Europe) in what Joe Heller would have called a Catch-22.
■ Finally, I’ll briefly outline what needs to happen for this Gordian knot to be cut.
1. The BVerfG’s injunction.
On Friday, the BVerfG stopped President Steinmeier from signing the law for German participation in the NGEU after it has been approved by both houses of parliament with sizable majorities. The BVerfG’s intervention came after AfD co-founder Bernd Lucke and a group of some 2000 people filed a motion to the court to block the legislation. They claim the NGEU will limit the budgetary power of the Bundestag as the EU plans to develop its own resources with which to service the debt, and that it may lead to a “debt union”.
Dubious as the motion seems on present information, two weeks ago the Federal Audit Office released a highly critical report about the German participation in the NGEU, so this may have influenced the judges’ decision to take the AfD complaint seriously. Nevertheless, it is surprising that the BVerfG didn’t provide any clear justification for its injunction, but only promised to spell out their concern later on. I’m not a legal expert, but this sounds like thin ice to me.
To be clear, motions by the BVerfG to delay the ratification of laws is not unusual in Germany. However, usually, when the BVerfG needs time to consider an appeal, the court asks the president informally to delay his signature, rather than making a public statement. (I have to say that when I learned of this “normal” practice by the BVerfG, my jaw dropped: To learn that the highest court in the land, the guardian of due process of all things legal, itself, when in a bind, gets on the phone to the president (or his office) and asks informally for a delay in his signature, rather than formally notifying the institution of the presidency really leaves you wonder about the consistency and accountability across institutions of the application of the rule of law.)
Why this normal (if highly questionable) practice of informality wasn’t used this time, I don’t know. Frankfurter Allgemeine Zeitung suggests that an informal request night have been sent to Schloss Bellevue, but Steinmeier had declined, or that there was a simple communications error between the two institutions. Or maybe the BVerfG – feeling bruised by the public uproar and the government’s handling of their last (ECB-related) attack - wanted a public statement to remind us all of its importance? Take your pick. My guess is that Steinmeier was indeed notified but that he had had enough and replied something like: Not again! If you want a fight over this, it’s gonna be public! – but that’s obviously just a guess (and a hope).
Either way, well informed folks in Germany mostly seem to agree that there’ll be a solution to this specific case within a few weeks. The point is that the BVerfG frequently issues such injunctions and then withdraws them after having had time to study the issue - or following some clarification.
Also importantly, while the BVerfG is an immensely powerful institution in Germany, its standing rests on people’s trust in its competence and determination to do the right thing – and, in today’s world of general distrust in politicians - its willingness to confront Berlin. Yet, as former deputy chancellor Joschka Fischer of the Greens observed on its challenge to the ECB, “the judges do not have a mandate to undermine Germany’s overall Europe policy.” Furthermore, in the view of the German population, one thing is to challenge to the ECB (via the Bundesbank) and particularly the risk of quasi-fiscal policies out of Frankfurt, a stance with which the also highly respected Bundesbank agrees, it seems a rather different thing to challenge Germany’s participation in Bundestag agreed upon fiscal policy commonality – which is precisely what the Bundesbank has been calling for - not least to help alleviate the pain of the pandemic.
In a more concrete sense, here are my two cents worth on how the present stalemate may be resolved:
As noted above, one of the few specific concerns expressed by the plaintiffs is the risk of this legislation leading to a “debt union”, and the judges may have noted language in the auditors’ highly critical report which point in the same direction: A concern that the NGEU becomes permanent and that a “debt union” emerges. In that report, the auditors noted – and I quote from the English Executive Summary:
“The Union budget is designed to serve as a guarantee for the debt of the Recovery Fund. This means that all member states will be held jointly liable for the debt via their future contributions to the EU budget. If a member state is either unable or unwilling to meet its debt repayment obligations, the other member states must step in to cover any pending repayments, without renewed consent. Such a liability mechanism sets wrong incentives and weakens the Economic and Monetary Union.
The finance ministry stated that the member states would not need to step in for
pending repayment obligations of other member states directly. In case of non-compliance with repayment obligations, the EU Commission would first have to search for liquidity within the Union budget. In a next step, the EU Commission could reschedule maturing EU bonds at short notice. Only once these initial steps would not solve the liquidity problems, the Commission could demand the other member states to cover the pending balances.
As a result, the finance ministry confirms that the EU Commission will always use money from other member states if a member state defaults. Once a member state fails to meet its payment obligations, the other states eventually step in without renewed consent on their part.”
The English executive summary is here: Special purpose report on the potential impact of community borrowing of the member states of the European Union on the federal budget (Recovery Fund)
But the auditors’ quote of the German finance ministry must rest on a misunderstanding when they say that “only once these initial steps would not solve the liquidity problems, the Commission could demand the other member states to cover the pending balances”. If “demand” means “legally demand”, then it implies that the NGEU debt will be issued with a legal Joint and Several clause, i.e. if one member state doesn’t pay its share of the debt service obligations, then – if various attempts by the Commission to sort it out with its own resources fails – then the debt would become a legal obligation of all other member states, including Germany. If so, I can see why someone could argue that the NGEU holds the potential to lead to a “debt union”. If “demand” means “political pressure”, then … well …it’s not legal but political.
And to be clear, the Commission’s debt issued for the NGEU will not enjoy a legal Joint and Several status. (My colleagues, Luca Cazzulani, Matthias Dax and Julian Kreipl discussed these issues in a paper on February 1, poetically titled: “Mirror, mirror on the wall, who is the safest of them all?” and concluded that bunds will remain safer than EU bonds precisely because of the lack of legal “Joint and Several”. Their paper is here, in case of interest: Rates Perspectives, No.87).
So maybe communication between the finance ministry and the auditors broke down, and the auditors confused legal and political issues? Either way, this can easily be clarified by specifying that while there is no such legal clause in the EU debt, the German government – like all other governments – would accept a “political joint and several” obligation.
Again, I’m not a legal expert, but it does seem to me that this impasse should be resolved within a few weeks.
But bigger and more complex issues loom ahead:
2. The bigger issue posed by the BVerfG’s practice and rulings so far.
As I argued at the time, the battle over the Bundesbank’s participation in the ECB’s QE did a good deal of damage to the standing of the BVerfG in the informed part of German (and European) society. They put their name to on flimsy case brought by political motivation (and maybe financed by an expatriate individual), and to help educate them on monetary policy matters, the court called in a group of so-called expert witnesses mostly consisting of lobbyists and people with clearly vested interests.
In the end, the BVerfG found that the German government had not assured that the ECB had proven “proportionality” in its QE related decisions – and forgot, in the process, to explain how this finding rhyme with central bank independence. Their demand of proportionality wasn’t difficult to address for the simple reason that ECB documents are littered with analytical equivalent terms and analyses of “proportionality” (which possibly had gone over the head of the lobbyists standing in for experts). Frankly, for anyone following the ECB and with any decent understanding of monetary policy issues, the case did not make the BVerfG look good.
But for monetary policy experts, the elephant in the room was not really the traditional QE on hand in that specific case, but the PEPP with its much greater flexibility. The PEPP, of course, celebrated its one-year anniversary this week. As you may recall, when it was introduced as a EUR 750bn emergency program in March last year, the ECB said, “The Governing Council will terminate [it] once it judges that the coronavirus Covid-19 crisis phase is over”. In December, it was raised (for the second time) to EUR 1,850bn and extended to at least March 2022, and ECB President Lagarde (rightly) wrote in her blog this past week that this decision “strengthened public confidence in our commitment to remain a reliable and steady source of support even as vaccines are rolled out”.
In my assessment, the PEPP ranks with the OMT (aka “whatever it takes”) not only as the most important policy tools in ECB history, but as essential to the functioning of the eurozone. Without a degree of fiscal union, the ECB needs the PEPP’s flexibility, including the ECB’s willingness to deviate from the capital keys as needed, to preserve the transmission mechanism in all its constituencies.
But while it has been extended twice – and most likely will be again later this year to cover probably all of 2022 – the PEPP’s existence is “crisis dependent” and temporary. How you define the crisis can be debated, but once the BVerfG gets the case and rules on it (and they surely will if they maintain their insistence on playing a role in European affairs), I would be shocked if that doesn’t spell the end of PEPP. Of course, knowing this, and under pressure from the more hawkish part of the Governing Council, the ECB will end it before that time. But what if the BverfG ruling forces an end to reinvestments?
Ending the PEPP will be tricky in the best of circumstances, and a court-dictated end to the Bundesbank’s reinvestments would be extremely disruptive. On present fiscal policies, and under no realistic scenario will the eurozone have closed its output gap – and begun to generate an inflation outlook that meets its target – this side of 2025. This means that unless the ECB will then want to withdraw monetary stimulus (with the inflation target still not in sight), they’ll have to replace the PEPP with something different but with broadly similar effectiveness – which will surely invite the BVerfG right back in to express its views on monetary policies.
So here is the dilemma: The respectable “QE sceptics”, including Bundesbank President Weidmann, argue that the line between “quasi-fiscal” and “pure” monetary policy instruments should be drawn at a further distance from quasi-fiscal operations, and that it’s for the fiscal authorities to legislate for fiscal related transfers. While that line is opaque in theory, it’s extremely unclear in practice, and the further the central bank has to stay on the “safe side”, the more fiscal union is required to bring about an acceptable degree of uniform transmission mechanisms across the eurozone. While temporary, the NGEU can be seen as one step in this direction, not necessarily to be made permanent, but to be replaced by something better designed to address these specific currency union issues (after all, the biggest recipients, as a share of GDP, of the NGEU are several of the non-eurozone EU members.)
Now, if BVerfG argues that the implicit debt incurred by Germany from the NGEU could be unconstitutional under German law, we’ll be a very long way away from squaring the circle between adequate eurozone fiscal and monetary policies. I think that’s what Joe Heller would have called a Catch-22.
3. What’s the long-term outcome?
I can think of two paths through this German institutional battlefield to a sustainable outcome.
Each of the BVerfG’s two senates is made up of eight judges, and the interpretation of the law is – after all – in most cases a matter of judgment by these judges. If in doubt, check out the drama about the appointments to the US supreme court.
And while professionals, judges are susceptible to public opinion, not least if it shifts and thereby begins to undermine their status and power in society. The drama over the Bundesbank’s participation in the ECB’s QE less than a year ago is a good example of the vulnerability of even the BVerfG when it makes a questionable call. The nervousness that descended on Karlsruhe at that time was pretty visible in the unprecedented PR offensive they launched in defense of their ruling.
Similar confrontations between constitutional court interpretations of the law and public (and government) opinion are frequent in most democracies, not least in the US, of course. But the justice system – like the government and parliament – is a branch of the state, and hence of society, and as society changes over time, the branches of the state must change as well for democracy to work.
So, one path to sustainability is a gradual shift in the outlook of the majority of judges at the BVerfG to either begin to reject some of the most obscure challenges, as called for by, e.g., Professor Mayer and as practiced in most other countries. And when cases are taken, then call on an appropriate representation of real expert witnesses to help them inform their judgement, rather than handpick a bunch of people with vested interest, which suggests a political bias.
If this process doesn’t get under way, then – ultimately – Germany needs to consider a change to its constitution to faclitate European integration, as suggested (on earlier occasions) by several influential Germans, including President of the Bundestag and former finance minister Wolfgang Schäuble. The world has changed since the German constitution was written, and so has German society – and, while it’s too early to draw conclusions for the September election, the opinion polls provide no indication that the overwhelming German commitment to an ever-closer Europe Union is about to be interrupted.
Thomas Jefferson, a mentor to the key author of the US constitution and an important influencer of it, observed: “I’m not an advocate of frequent changes in laws and Constitutions. But laws and institutions must go hand in hand with the progress of the human mind. As that becomes more developed, more enlightened, as new discoveries are made, new truths discovered and manners and opinions change, with the change of circumstances, institutions must advance also to keep pace with the times.” Wise words indeed.
And with that I wish you a continued good Palm Sunday. I’ll take an Easter break from writing next weekend, but I’ll be back on April 11. I plan to then elaborate on my concerns about how the ECB gets to phase out the PEPP one day.
Best
Erik
AGENDA EUROPEA
29 Marzo-2 Aprile 2021
- EP: External Parliamentary Activities
- Brussels Conference
- EC: President von der Leyen chairs the Steering Board of the Recovery and Resilience Task Force
- EC: Commissioner Kyriakides holds a call with the G7 Health Ministers
- EESC: Building a European Health Union Event
- Presidency: European Year of the Rail Kickoff
- Presidency: The Contribution of the Social Economy to Job Creation and the Implementation of the European Pillar of Social Rights Conference
- EP: External Parliamentary Activities
- Brussels Conference
- Informal meeting of Transport Ministers
- EC: HR/VP Borrell co-chairs Brussels Conference
- EC: Commissioner Johansson meets with members of Greek government including PM Kyriakos Mitsotakis
- EESC: Event on COVID-19 vaccination rollout and persons with disabilities
- Presidency: Entry into application of the “Transparency Regulation” in the food chain Event
- FRA: Way forward for protecting vulnerable adults conference
- FRA: European Commission Dialogue on Roma inclusion
- EP: External Parliamentary Activities
- EC: Executive VP Timmermans holds a call with representatives from Fridays for Future
- CoR: CIVEX Meeting
- Presidency: The impact of the pandemic crisis on migrants’ living and working conditions event
- Presidency: Capital Markets Union: Financing the post-Covid recovery event
- CoE: Implementation of ECHR Judgements Report
- EP: External Parliamentary Activities
- EC: Commission Holiday
- CoE: Implementation of ECHR Judgements Report
LA CONFERENZA SUL FUTURO DELL'EUROPA
European Commission Flash report of the first meeting of the Executive Board of the Conference on the Future of Europe
24 March 2021, 17.00 -19.00 – Brussels (Council - Europa building)
Participants:
Co-chairs of the Executive Board: Portuguese Secretary of State for EU Affairs Ana Paula Zacarias, Vice-President Dubravka Šuica and MEP Guy Verhofstadt (RENEW/BE)
Representatives of the Executive Board: Slovenian Secretary of State for EU Affairs Gasper Dovzan, French Minister of State for EU Affairs Clém ent Beaune, Vice-President Maroš Šefčovič and Vice-President Věra Jourová, MEP Manfred Weber (EPP/DE), MEP Iratxe García Pérez (S&D/ES).
Observers: Czech State Secretary for EU Affairs Milena Hrdinková, Swedish Minister for EU Affairs Hans Dahlgren, Spanish Secretary of State for the EU Juan González-Barba Pera, Belgian Minister for Foreign Affairs and Deputy Prime Minister Sophie Wilmès (excused), MEP Gerolf Annemans (ID/BE), MEP Daniel Freund (Greens/EFA/DE), MEP Zdzis ław Krasnodębski (ECR/PL) and MEP Helmut Scholz (The Left/DE)
COSAC observers: COSAC represented by the chairman of the Committee Committee on European Union questions of the German Bundesrat, Guido Wolf, the chairman of the Committee on European Affairs of the German Bundestag, Gunther K richbaum, the chairman of the Committee on European Affairs of the Portuguese Assembleia da Republica, Luís Capoulas Santos, the chairman of the Committee on European Affairs of the Slovenian Državni zbor, Marko Pogačnik and the chairman of the Committee on European Affairs of the Slovenian Državni svet Bojan Kekec.
Invited observers: Committee of the Regions (represented by President Apostolos Tzitzikostas), the European Economic and Social Committee (represented by President Christa Schweng), BusinessEurope (represented by Director General Markus Beyrer) and ETUC (represented by Secretary General Luca Visentini)
Summary:
The Executive Board of the Conference on the Future of Europe held its first and constitutive meeting on 24 March 2021 in the Council (in hybrid format). The Executive Board will oversee the work, process and organisation of the Conference. This first meeting took place in a constructive and positive atmosphere and was co-chaired by Secretary of State for EU Affairs Ana Paula Zacarias, Vice-President Dubravka Šuica and MEP Guy Verhofstadt. Participants confirmed their commitment to an inclusive and transparent collaboration to make the Conference a success and underlined that the Executive Board must act as a single entity. The Executive Board took first steps to make sure that citizens can soon start to contribute to the Conference, in particular on the multilingual Digital Platform, including the Charter for citizens’ participation and the visual identity. The Board discussed the possibility of a formal event on 9 May in Strasbourg as well as a first Conference Plenary on 10 May (depending on restrictions imposed due to the COVID-19 pandemic). It also held an exchange of views on its internal working methods and the working methods of the Plenary. The next meeting of the Executive Board is planned for 7 April 2021.
Details:
Representatives and observers took the floor for an introductory exchange of views and confirmed their commitment to listen to citizens and make the Conference a success. They underlined the unique interinstitutional nature of the process, the need to put citizens in the centre and to ensure follow up, as well as to be ready to also hear different views.
The Commission, on behalf of the three institutions, presented the multilingual digital platform as well as the visual identity. The platform is an interactive tool and the digital hub for the Conference, it is the single place for citizens to find all information related to the Conference, share ideas and the place to collect the input from a multitude of events. It will allow all data to be analysed, monitored and published. The platform was very well received by participants and its swift launch was supported by all. Questions related to the list of topics (issues such as migration, social dimension or economic policy to be addressed more explicitly in headings) and to some of the functionalities of the platform, including the use of languages. Ahead of the next Executive Board meeting suggestions will be made to the Board to address the concerns on the topics, with a view to endorse the launch of the platform for 19 April 2021. The decision on the visual identity is left to the Common Secretariat, with the support of the respective Communication services.
The Executive Board briefly discussed elements to be addressed in the working methods of the Plenary and the Executive Board and the possibility of a formal event on 9 May in Strasbourg as well as a first Conference Plenary on 10 May (depending on restrictions imposed due to the COVID-19 pandemic). Draft working methods for the Plenary and the Executive Board will be prepared by the Common Secretariat with a view to their endorsement at the next meeting of the Executive Board.
The next meeting of the Executive Board is planned for 7 April 2021.
PER APPROFONDIRE:
- Building tomorrow’s Europe: EU paves way for Conference on the Future of Europe EU affairs (10/03/2021)
- Conference on the Future of Europe: Common approach amongst Austria, Czech Republic, Denmark, Estonia, Finland, Ireland, Latvia, Lithuania, Malta, the Netherlands, Slovakia and Sweden
- DICHIARAZIONE COMUNE SULLA CONFERENZA SUL FUTURO DELL'EUROPA. DIALOGO CON I CITTADINI PER LA DEMOCRAZIA - Costruire un'Europa più resiliente (10/03/2021)
- Appello UEF/Gruppo Spinelli "La nostra Europa federale, sovrana e democratica" (12/03/2021)
- ETUC resolution on the Roadmap for the ETUC work on the Conference on the Future of Europe (22-23 March 2021)
- Appello del Movimento europeo in Italia al governo italiano sul futuro dell'Europa (14/02/2021)
- Lettera Commissione per i diritti delle donne e l'uguaglianza di genere (FEMM, 24/03/2021)
- Letter to National Parliaments - meeting Executive board (24/03/2021)
EUROPA DEI DIRITTI
LINK IN EVIDENZA
- https://www.questionegiustizia.it/articolo/turchia
- https://www.giurcost.org/studi/albanesi4.pdf
- https://www.giustiziainsieme.it/it/news/130-main/diritti-umani/1635-patrick-george-zaki-l-egitto-e-noi-di-aldo-schiavello
- https://www.giustiziainsieme.it/it/diritto-dell-emergenza-covid-19/1636-tre-rivoluzioni-in-una-l-europa-il-debito-la-rinascita-possibile
- https://www.giustiziainsieme.it/it/attualita-2/1631-dante-e-l-eccezione-di-justin-steinberg
- https://www.questionegiustizia.it/articolo/autonomia-ed-indipendenza-della-procura-europea-come-garanzia-dello-stato-di-diritto
- https://www.diritticomparati.it/news/the-rule-of-law-in-europe-vision-and-challenges-15-april-2021/2021/03/29/
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Giovedì 1 aprile 2021 dalle 18.30 alle 19.30
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- Sabrina Lupi
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