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Questa settimana vi presentiamo una nuova rivista che è anche un progetto dai risvolti futuri che si preannunciano interessanti. Il suo nome è “Democrazia futura - Media e geopolitica nella società dell’informazione e della conoscenza” ed è stata realizzata dal gruppo di Amalfi dell’Associazione Infocivica. Si pregia del contributo di autori esperti, definiti, in questo numero zero che alleghiamo, gli “animatori” della rivista. Essa pone all’attenzione dei lettori spunti di riflessione sul sistema dell’informazione e sul trattamento mediatico di argomenti anche molto distanti tra loro. L’approccio si potrebbe quindi definire eclettico, anche se legato dal filo conduttore rappresentato dell’interesse per i media e la geopolitica. A volte vengono quindi trattati questioni più strettamente relative all’analisi di determinati contenuti, altre ci si focalizza sui grandi assi della politica internazionale: l’Europa, la Cina, gli Stati Uniti, i rapporti Oriente – Occidente, il ruolo del Parlamento a cui restituire dignità. Si tratta insomma di una lettura che potrebbe sembrare indirizzata agli addetti ai lavori, ma, a giudicare dal linguaggio, vuole essere aperta a tutti. La direzione di questo progetto editoriale è stata affidata ad un giornalista di lunga esperienza quale Giampiero Gramaglia; per il Movimento europeo - Italia, potrete trovare il contributo del Presidente, Pier Virgilio Dastoli.
Vi invitiamo pertanto a sfogliare questo primo numero 0 che, come potrete notare, si presenta ancora in un formato grafico iniziale; leggendolo, potrete però apprezzarne i contenuti.
Quello della fiscalità comune è una priorità per il futuro dell’Europa e, soprattutto, per una maggiore coesione delle politiche, per una migliore allocazione delle risorse, insomma un elemento sul quale si gioca la possibilità di avanzamento di una maggiore integrazione. Un caso su cui è stato necessario l’intervento della Corte di Giustizia dell’Ue può aiutare a comprendere meglio la situazione, sul piano pratico. La controversia è stata considerata data la sua particolare attualità: la sentenza è stata pronunciata dalla Corte il 14 ottobre scorso ed ha riguardato l’interpretazione dei principi di leale cooperazione, di equivalenza e di effettività. Essa è insorta tra una società di diritto rumeno, la Valoris srl, e la Direzione generale regionale delle finanze pubbliche di Craiova – Amministrazione distrettuale delle finanze pubbliche di Vâlcea, Romania, nonché l’amministrazione del Fondo per l’ambiente di Romania.
Ecco i fatti:
“Il 25 agosto 2014, la Valoris, società di diritto rumeno, ha versato, ai fini della prima immatricolazione in Romania di un autoveicolo usato proveniente dai Paesi Bassi, una tassa di 2451 lei rumeni (RON) (circa EUR 510) a titolo di «bollo ambientale per gliautoveicoli», conformemente all’articolo 4, lettera a), dell’OUG n. 9/2013”. È da notare che l’OUG è un’ordinanza governativa urgente romena e che quella appena menzionata è stata sostituita il 7 agosto 2017 dalla OUG n. 52/2017; quest’ultima è stata adottata dopo alcune sentenze della CGUE che hanno dichiarato contrarie al diritto dell’Unione “diverse tasse sull’inquinamento applicabili agli autoveicoli istituite dalla Romania, tra le quali figura la tassa prelevata a titolo di detto bollo ambientale”.
In particolare, “L’OUG n. 52/2017 ha concesso ai contribuenti, […] il diritto di chiedere il rimborso degli importi da essi versati […] oltre al versamento degli interessi legali dovuti per il periodo compreso tra la data della riscossione e la data del rimborso. Tuttavia, ai sensi del paragrafo 2 di detto articolo 1, in deroga alle disposizioni dell’articolo 219 del codice di procedura tributaria, tali domande dovevano essere presentate all’organo tributario competente, a pena di decadenza, entro il 31 agosto 2018.
Il 6 dicembre 2018 la Valoris ha presentato una domanda di rimborso della somma che aveva pagato a titolo di bollo ambientale per gli autoveicoli, presso l’amministrazione distrettuale delle finanze pubbliche di Vâlcea, la quale ha respinto tale domanda, con lettera del 7 gennaio 2019, con la motivazione che essa era stata depositata tardivamente.
Il 30 gennaio 2019, la Valoris ha proposto ricorso dinanzi al giudice del rinvio, il Tribunalul Vâlcea (Tribunale superiore di Vâlcea, Romania), al fine di ottenere la condanna delle autorità rumene al rimborso della tassa controversa, oltre ai relativi interessi di mora al tasso legale, sebbene non abbia rispettato il termine di decadenza previsto all’articolo 1, paragrafo 2, dell’OUG n. 52/2017. A sostegno del proprio ricorso, ha fatto valere, da un lato, che tale termine ad hoc violava il diritto dell’Unione in quanto limitava la facoltà dei contribuenti di ottenere il rimborso di tasse dichiarate contrarie a tale diritto e, dall’altro, che un termine compreso tra tre e cinque anni, per poter avvalersi di tale facoltà, era stato considerato come un termine ragionevole nella giurisprudenza della Corte”.
A fronte di tale ricorso, il Tribunale superiore di Vâlcea ha deciso di sospendere il procedimento per consultare la Corte sul fatto se una normativa quale l’OUG n. 52/2017, “che ha fissato un termine di decadenza di circa un anno per la presentazione delle domande di restituzione di talune tasse riscosse in violazione del diritto dell’Unione, qualora la normativa nazionale non preveda un termine analogo per l’esercizio del diritto alla restituzione delle somme percepite in violazione di norme nazionali” sia in contrasto con i principi di leale cooperazione, di equivalenza e di effettività a cui si ispira il diritto dell’Unione europea.
La sentenza della Corte del 14 ottobre 2020 ha focalizzato l’accento sui principi di equivalenza e di effettività, entrambi in combinato disposto con quello di leale cooperazione e la normativa OUG n. 52/2017 è stata ritenuta in contrasto solo con il principio di equivalenza.
I momenti di crisi sono quelli in cui le migliori energie possono emergere, così come una nuova leadership, a condizione che si imbocchi la via giusta e che si perseveri nell’obiettivo. Ecco perché questa settimana ci dedichiamo all’articolo 23 della Carta dei diritti fondamentali, dedicato all’uguaglianza tra uomini e donne, un valore da assicurare “in tutti i campi, compreso in materia di occupazione, di lavoro e di retribuzione”, afferma il comma 1 dell’articolo. Sia nella versione italiana che in quella inglese, questo obiettivo viene inquadrato in maniera netta, con la forma “deve”. Diversamente, la traduzione del secondo comma della versione italiana, afferma che “Il principio della parità non osta al mantenimento o all’adozione di misure che prevedano vantaggi specifici a favore del sesso sottorappresentato”; in lingua inglese, lo stesso comma è espresso facendo ricorso all’indicativo futuro, volendo inquadrare il principio più che altro in termini di obiettivi programmatici. Si fa qui riferimento alle politiche per promuovere l’uguaglianza sostanziale, che prevedono il ricorso a misure che sono state definite di “discriminazione positiva”. Quando cioè si ha la consapevolezza del fatto che esistano disparità insormontabili di accesso, per esempio all’istruzione, alle professioni, al conseguimento di un ruolo indipendentemente dal merito individuale, è compito degli Stati membri adottare misure specifiche al fine di ridurle, perché i loro effetti possono rivelarsi negativi sulla società nel suo insieme. Come si sta ripetendo in queste settimane, il prossimo bilancio europeo e il Recovery plan rappresentano un’occasione inedita per rilanciare politiche attive per promuovere l’uguaglianza e non c’è che da augurarsi che l’intervento sia adeguato alla posta in gioco; in una società più equa, infatti, è più alta la fiducia reciproca, si innescano processi virtuosi, si contrasta più efficacemente la corruzione e il malaffare.